EDUCAZIONE CONTINUA IN MEDICINA

 
Evento a distanza: settembre 2002
Corso di informazioni tecniche su:
DIAGNOSI E TERAPIA DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER: UN PERCORSO PER LE UNITA' DI VALUTAZIONE ALZHEIMER

L'IRCCS San Giovanni di Dio in collaborazione con la Fondazione Fatebenefratelli ha sottomesso alla Commissione ECM del Ministero la valutazione dell'evento.
 
 

 
WEEKLY MESSAGE - MESSAGGIO SETTIMANALE
Le novità più recenti della ricerca nel campo della malattia di Alzheimer e delle demenze, selezionate dalla letteratura internazionale tra quelle che hanno un maggior interesse clinico.
 

18/07/2002

MEMANTINA: UN POSSIBILE TRATTAMENTO PER LA DEMENZA VASCOLARE 

EFFICACY AND SAFETY OF MEMANTINE IN PATIENTS WITH MILD TO MODERATE VASCULAR DEMENTIA: A RANDOMIZED, PLACEBO-CONTROLLED TRIAL (MMM 300)

Orgogozo JM, Rigaud AS, Stoffler A, Mobius HJ, Forette F. Stroke 2002;33:1834-1839 http://stroke.ahajournals.org/cgi/content/abstract /33/7/1834 

La demenza vascolare è la seconda più frequente causa di demenza dopo la malattia di Alzheimer ma, a differenza che nell'Alzheimer, non ha una terapia specifica, così che il trattamento è limitato al controllo dei fattori di rischio vascolari. La memantina è un antagonista non competitivo del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA) per il glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio presente nei neuroni corticali e ippocampali. L'eccessiva stimolazione del recettore NMDA indotta dall'ischemia porta a danno e morte neuronale. Sulla base di questo razionale, in Francia è stato condotto uno studio multicentrico, randomizzato, controllato con placebo, sull'efficacia della memantina (10 mg´ 2/die) somministrata per 28 settimane a circa 300 pazienti con demenza vascolare probabile (criteri NINDS-AIREN) di gravità lieve-moderata (MMSE 12-20). Lo studio ha dimostrato un significativo miglioramento della cognitività nel gruppo dei pazienti trattati (differenza assoluta di 2 punti all'ADAS-cog tra trattamento e placebo e miglioramento di 2 punti al MMSE nei trattati). La tollerabilità è buona; i principali effetti collaterali sono stati agitazione, confusione e vertigini.

 
 

ARCHIVIO NEWS

 

11/07/2002

NEI MARKER BIOLOGICI LA POSSIBILITA' DI PREDIRE LO SVILUPPO DI DEMENZA? 

INCREASE OF BRAIN OXIDATIVE STRESS IN MILD COGNITIVE IMPAIRMENT. A POSSIBLE PREDICTOR OF ALZHEIMER DISEASE. 

Practicò D, Clark CM, Liun F, Lee VY-M, Trojanowski JQ. Arch Neurol 2002;59:972-976. http://archneur.ama-assn.org/issues/current/abs/no c10356.html 

Negli ultimi anni si è sviluppato un grande interesse per la ricerca di marker biologici in grado di riconoscere i pazienti con decadimento cognitivo lieve (MCI) che convertiranno in demenza. Una terapia preventiva effettuata già nello stadio preclinico di demenza, infatti, potrebbe avere maggiore efficacia nel rallentamento della progressione della malattia. Un gruppo di ricercatori americani ha dimostrato che i livelli di isoprostano, marker di perossidazione lipidica, sono significativamente aumentati nelle urine, nel plasma e nel liquor di 33 pazienti con MCI amnesico rispetto a 40 controlli non dementi. Inoltre, i livelli di isoprostano sono più elevati nei pazienti con AD rispetto agli MCI, dimostrando una tendenza al progressivo aumento del danno ossidativo a partire dagli stadi più precoci di malattia. Nel futuro lo sforzo della ricerca dovrà probabilmente essere quello di unire più marker biologici, che singolarmente si sono dimostrati predittivi di progressione di MCI in demenza (volume ippocampale, livelli liquorali di proteina tau e Abeta 42, ipoperfusione alla SPECT), in un profilo che, nel paziente con decadimento cognitivo lieve, definisca con elevata sensibilità e specificità il rischio di progressione.

4/07/2002

MANGIARE CIBI RICCHI DI VITAMINA E AIUTA A PREVENIRE L'ALZHEIMER?                                 DIETARY INTAKE OF ANTIOXIDANTS AND RISK OF ALZHEIMER DISEASE                                          Engelhart MJ, Geerlings MI, Ruitenberg A, van Swieten JC, Hofman A, Witteman JC, Breteler MM                JAMA 2002;287:3223-3229 http://jama.ama-assn.org/issues/v287n24/abs/joc120 12.html                                 DIETARY INTAKE OF ANTIOXIDANT NUTRIENTS AND THE RISK OF INCIDENT ALZHEIMER DISEASE IN A BIRACIAL COMMUNITY STUDY                                                                                                                        Morris MC, Evans DA, Bienias JL, Tangney CC, Bennett DA, Aggarwal N, Wilson RS, Scherr PA                JAMA 2002;287:3230-3237 http://jama.ama-assn.org/issues/v287n24/abs/joc115 70.html

Nell'ultimo numero di JAMA due studi prospettici, uno europeo del gruppo del Rotterdam Study, l'altro americano del Chicago Health and Aging Project, hanno focalizzato il ruolo degli antiossidanti nella prevenzione primaria della malattia di Alzheimer (AD). Entrambi hanno dimostrato che un elevato consumo di antiossidanti con la dieta è associato ad un rischio più basso di sviluppare AD. In particolare, un consumo di vitamina E superiore a 10-15 mg/die è associato con un rischio del 40-70% in meno di sviluppare la malattia. Sorprendentemente, l'associazione non rimane significativa nel caso di utilizzo di supplementi vitaminici, anche se tale risultato può essere falsato dall'influenza della malattia preclinica (iniziale disturbo di memoria) sulla correttezza del report del soggetto. Considerando altri limiti metodologici dei due studi, sottolineati dall'editoriale di accompagnamento, la risposta finale alla domanda se gli antiossidanti siano veramente protettivi per l'Alzheimer si avrà solo con trial clinici di intervento o con studi di coorte più ampi e di maggiore durata. Comunque, dato per certo che gli antiossidanti non influenzano negativamente l'invecchiamento cerebrale, ha senso incoraggiare l'anziano ad una alimentazione ricca di antiossidanti, come vitamina C (agrumi, kiwi, cavoli, broccoli) ed E (cereali, frutta secca, olio d'oliva e di semi, tuorlo d'uovo).

27/06/2002

ANCORA NUOVE PROSPETTIVE NELLA CURA DELL’ALZHEIMER

TARGETED PHARMACOLOGICAL DEPLETION OF SERUM AMYLOID P COMPONENT FOR TREATMENT OF HUMAN AMYLOIDOSIS.

Pepys MB, Herbert J, Hutchinson WL, Tennent GA, Lachmann HJ, Gallimore JR, Lovat LB, Bartfai T, Alanine A, Hertel C, Hoffmann T, Jakob-Roetne R, Norcross RD, Kemp JA, Yamamura K, Suzuki M, Taylor GW, Murray S, Thompson D, Purvis A, Kolstoe S, Wood SP, Hawkins PN.

Nature 2002;417:254-259.

E’ in corso di studio una nuova strategia terapeutica per combattere l’aggregazione di proteine anomale in depositi di amiloide, responsabili di danno tissutale e delle conseguenti manifestazioni cliniche in diverse malattie quali l’amiloidosi sistemica, il diabete di tipo II e la malattia di Alzheimer. Il target della terapia è la proteina amiloide sierica (SAP), la forma solubile di amiloide che si lega ai depositi di amiloide e li protegge dalla fisiologica degradazione da parte di enzimi proteolitici e fagociti, favorendo la deposizione tossica di amiloide nei tessuti. Ricercatori londinesi hanno identificato una molecola a basso peso molecolare in grado di legare la SAP con i seguenti effetti: (i) previene il legame della SAP ai depositi di amiloide; (ii) forma un complesso con la SAP che viene rapidamente rimosso dal sangue e degradato a livello epatico; (iii) sposta l’equilibrio SAP libera-legata in favore della quota libera, con conseguente passaggio della SAP legata nel sangue, e sua rimozione. Il farmaco è stato sperimentato in pazienti con amiloidosi sistemica, nei quali si è verificata una significativa riduzione di SAP libera e legata. Questo nuovo approccio potrebbe trovare applicazione anche nella malattia di Alzheimer, dove il farmaco legante la SAP avrebbe il vantaggio di non dover attraversare la barriera emato-encefalica per essere attivo. Resta da verificare se abbassare i livelli di SAP sia sufficiente per facilitare la disaggregazione e la completa rimozione dei depositi di beta-amiloide.

20/06/2002

IL VOLUME DELL’IPPOCAMPO PREDICE LA MALATTIA DI ALZHEIMER PARECCHIE DECADI PRIMA DELLO SVILUPPO DELLA MALATTIA

HIPPOCAMPAL VOLUME AS AN INDEX OF ALZHEIMER NEUROPATHOLOGY. FINDINGS FROM THE NUN STUDY.

Gosche KM, Mortimer JA, Smith CD, Markesbery WR, Snowdon DA.

Neurology 2002;58:1476-1482.

La certezza della diagnosi di malattia di Alzheimer (AD) si ha solo con la neuropatologia e Il “Nun study” ha il grande vantaggio di unire i dati clinici a quelli neuropatologici. Gosche e colleghi hanno determinato il valore predittivo del volume ippocampale nell’identificare gli stadi neuropatologici di AD (stadio I e II, indicativi di AD preclinica, stadio III e IV di AD clinicamente manifesta) in 56 suore del “Nun study”, di cui 32 non dementi. I risultati dimostrano che il volume ippocampale è in grado di distinguere non solo i pazienti con AD confermata neuropatologicamente dagli anziani non dementi, ma anche di identificare i soggetti con una neuropatologia di AD che non hanno ancora sviluppato demenza. In particolare, il volume ippocampale è in grado di predire le differenze tra gli stadi I e II, quindi di identificare gli stadi patologici più precoci di AD, che possono essere presenti diverse decadi prima che si sviluppino i sintomi di demenza. Nonostante l’importante valore predittivo del volume ippocampale, che si è dimostrato superiore anche a quello di un test di memoria episodica, l’utilizzo della tecnica come screening di decadimento cognitivo nella popolazione anziana è a tutt’oggi limitato da considerazioni pratiche, di costi, ed etiche di assenza di strategie di prevenzione primaria.

13/06/2002

GLI ASTROCITI DELL’IPPOCAMPO PROMUOVONO LA NEUROGENESI NELL’ADULTO: POSSIBILI IMPLICAZIONI PER LA CURA DELL’ALZHEIMER?

ASTROGLIA INDUCE NEUROGENESIS FROM ADULT NEURAL STEM CELLS.

Song H, Stevens CF, Gage FH.

Nature 2002;417:39-44.

Negli ultimi anni si è sviluppato un grande interesse riguardo il possibile utilizzo delle cellule staminali nella cura delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Attualmente, i meccanismi della neurogenesi nell’adulto sono poco noti, anche se la presenza di fattori di crescita locali sembra giochi un ruolo molto importante. Ricercatori statunitensi hanno dimostrato che gli astrociti, cui tradizionalmente si assegnava un ruolo di semplice supporto ai neuroni, hanno invece un ruolo attivo di promozione della neurogenesi delle cellule staminali neuronali adulte, attraverso uno stimolo sia della proliferazione, sia della differenziazione in neuroni. La cosa interessante è che la neurogenesi è regione-specifica, poiché solo gli astrociti dell’ippocampo hanno tale capacità. Se la strategia terapeutica delle cellule staminali si dimostrerà vincente, quindi, gli astrociti ippocampali potrebbero rappresentare il target di strategie mirate allo stimolo della neurogenesi proprio in quella regione cerebrale, l’ippocampo, che viene colpita per prima nella malattia di Alzheimer.

06/06/2002

IPERTENSIONE+IPERINTENSITA’ ALLA RISONANZA=DETERIORAMENTO COGNITIVO. UNA FORMULA QUANTIFICABILE?

QUANTITATIVE MRI FINDINGS AND COGNITIVE IMPAIRMENT AMONG COMMUNITY DWELLING ELDERLY SUBJECTS.

Koga H, Yuzuriha T, Yao H, Endo K, Hiejima S, Takashima Y, Sadanaga F, Matsumoto T, Uchino A, Ogomori K, Ichimiya A, Uchimura H, Tashiro N.

J Neurol Neurosurg Psychiatry 2002;72:737-741.

Diversi studi negli ultimi anni hanno studiato l’ipertensione e le alterazioni della sostanza bianca come possibili determinanti di decadimento cognitivo nell’anziano sano non demente. Tale interesse deriva dalla possibilità di mettere in atto strategie di prevenzione e di diagnosi precoce. Lo studio di Koga e colleghi conferma che ipertensione e iperintensità della sostanza bianca sono associati a decadimento cognitivo, ma dà anche lo spunto per alcune considerazioni, che vengono sottolineate dall’editoriale di commento: (i) nello studio viene utilizzato un metodo quantitativo di misurazione semiautomatica delle iperintensità della sostanza bianca alla risonanza magnetica: questo dimostra il sempre crescente utilizzo di tecniche quantitative di imaging e di analisi dei dati, che possano fornire informazioni maggiori rispetto alla semplice valutazione qualitativa ispettiva della lastra; (ii) nello studio viene confermato un importante rilievo epidemiologico, cioè l’associazione tra ipertensione sistolica e decadimento cognitivo: nonostante il generale accordo su questo dato, la prevalenza di ipertensione non controllata nell’anziano è ancora rilevante. Inoltre, i meccanismi fisiopatologici che sottendono le variabili dell’equazione pressione arteriosa + alterazioni cerebrali = decadimento cognitivo non sono ancora noti.

30/05/2002

IMMUNIZZAZIONE PASSIVA: ALLA RICERCA DI POSSIBILI ALTERNATIVE ALLA VACCINAZIONE PER L’ALZHEIMER.

IMMUNIZATION REVERSES MEMORY DEFICITS WITHOUT REDUCING BRAIN ABETA BURDEN IN ALZHEIMER’S DISEASE MODEL.

Dodart JC, Bales KR, Gannon KS, Greene SJ, DeMattos RB, Mathis C, DeLong CA, Wu S, Wu X, Holtzman DM, Paul SM.

Nat Neurosci 2002;5:452-457.

La sperimentazione del vaccino per l’Alzheimer è stata sospesa, tuttavia continua la ricerca di approcci terapeutici mirati a colpire direttamente la beta-amiloide, cioè la proteina che, aggregando a formare i depositi di placche, rappresenta un evento cruciale nella patogenesi della malattia. Una possibile via alternativa al vaccino, che consiste nella somministrazione di beta-amiloide e produzione di anticorpi protettivi (immunizzazione attiva), è l’immunizzazione passiva, cioè la somministrazione di anticorpi diretti contro la beta-amiloide. Ricercatori statunitensi hanno dimostrato che la somministrazione subacuta (per 6 settimane) e acuta di anticorpi anti-beta amiloide porta a rapido miglioramento i deficit di memoria in un modello murino di malattia di Alzheimer. Tale miglioramento è associato a riduzione della quota di beta-amiloide solubile nel sangue e nel cervello, ma non alla quota depositata nelle placche. Se, come sembra da recenti studi, anche la beta-amiloide solubile è implicata nello sviluppo dei disturbi di memoria dell’Alzheimer, l’immunizzazione passiva potrebbe rappresentare una valida possibilità terapeutica. Tale possibilità dovrà essere confermata nell’uomo.

16/05/2002

NEI SOGGETTI CON MCI LA MANCANZA DI CONSAPEVOLEZZA DEI PROPRI DEFICIT FUNZIONALI PREDICE LO SVILUPPO DI AD

FUNCTIONAL DEFICITS IN PATIENTS WITH MILD COGNITIVE IMPAIRMENT. PREDICTION OF AD.

Tabert MH, Albert SM, Borukhova-Milov L, Camacho Y, Pelton G, Liu X, Stern Y, Devanand DP.

Neurology 2002;58:758-764.

Ricercatori americani hanno valutato le attività funzionali avanzate di 107 soggetti con decadimento cognitivo lieve (MCI), come autoriferite dai soggetti stessi e eteroriferite da un familiare e li hanno seguiti nel tempo per valutare la conversione in malattia di Alzheimer. Mentre non vi era differenza nel deficit funzionale autoriferito tra i soggetti convertiti e quelli non convertiti a malattia di Alzheimer al follow-up, il deficit funzionale eteroriferito era maggiore nei soggetti convertiti. In particolare, un indice di discrepanza >1 (almeno 1 deficit funzionale eteroriferito in più rispetto all'autoriferito) conferiva un rischio di 8 volte di sviluppare malattia di Alzheimer a 2 anni, indipendentemente da età, scolarità, MMSE e CDR. Questo cutoff di indice di discrepanza ha una sensibilità e una specificità piuttosto buona per la diagnosi di malattia di Alzheimer, del 62% e 83%, rispettivamente. Nei soggetti con MCI, quindi, la mancanza di consapevolezza dei propri deficit funzionali (peraltro reminiscente di un fenomeno frequente nel malato di Alzheimer) ha un elevato valore predittivo per la conversione in malattia di Alzheimer.

02/05/2002

SEMPRE MAGGIORI EVIDENZE INDICANO IL POSSIBILE RUOLO DELLE STATINE NELLA PREVENZIONE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER.

SERUM LIPOPROTEIN LEVELS, STATIN USE, AND COGNITIVE FUNCTION IN OLDER WOMEN - Yaffe K, et al - Arch Neurol 2002;59:378-384.

REDUCTION OF PLASMA 24S-HYDROXYCHOLESTEROL (CEREBROSTEROL) LEVELS USING HIGH-DOSAGE SIMVASTATIN IN PATIENTS WITH HYPERCHOLESTEROLEMIA – Locatelli S, et al. Arch Neurol 2002;59:213-216.

Negli ultimi anni diversi studi epidemiologici hanno dimostrato una ridotta prevalenza e incidenza di malattia di Alzheimer in persone che assumono statine. A supporto di questi dati, che sembrano evidenziare una relazione tra terapia anti-colesterolo e prevenzione della malattia di Alzheimer, vi sono due recenti studi. Un primo, studio osservazionale di 1037 donne in post-menopausa, ha evidenziato che, dopo 4 anni di follow-up, le donne con i livelli più elevati di colesterolo LDL hanno una peggiore performance cognitiva e un maggiore rischio di sviluppare decadimento cognitivo. L’utilizzo delle statine migliora in maniera significativa la cognitività e tende ad abbassare il rischio di decadimento cognitivo. Un secondo, trial farmacologico con simvastatina ad alte dosi (80 mg/die) somministrato per 24 settimane ad 80 soggetti ipercolesterolemici, ha dimostrato una riduzione del 50% del cerebrosterolo, il colesterolo cerebrale che, modulando la formazione dei depositi di beta-amiloide, potrebbe avere un ruolo nel favorire la neurodegenerazione. Studi clinici randomizzati controllati dovranno confermare questi promettenti risultati.

 

18/04/2002


UNA SEMPLICE MISURA PER QUANTIFICARE SULLA TC L’ATROFIA DELL’IPPOCAMPO NELLA MALATTIA DI ALZHEIMER.
RADIAL WIDTH OF THE TEMPORAL HORN: A SENSITIVE MEASURE IN ALZHEIMER DISEASE
Frisoni GB, Geroldi C, Beltramello A, Bianchetti A, Binetti G, Bordiga G, DeCarli C, Laakso MP, Soininen H, Testa C, Zanetti O, Trabucchi M
AJNR Am J Neuroradiol 2002;23:35-47
La diagnosi di malattia di Alzheimer è a tutt’oggi una diagnosi clinica. Tuttavia, la sensibilità è molto variabile, andando dal 50% all’80% anche in centri diagnostici di eccellenza. Migliorare l’accuratezza diagnostica è di fondamentale importanza, anche per l’attuale disponibilità di una terapia efficace. L’atrofia delle strutture temporali mesiali (ippocampo, corteccia entorinale) rilevata su immagini digitali di RM è uno dei marker più accurati di malattia di Alzheimer, ma considerazioni pratiche (necessità di personale addestrato, costi elevati, ) ne hanno limitato finora l’utilizzo nella pratica clinica. In questo studio effettuato nel nostro Istituto abbiamo sviluppato una misura (l’ampiezza radiale del corno temporale) in grado di quantificare sulla TC l’atrofia dell’ippocampo, identificando i pazienti con malattia di Alzheimer con una sensibilità e specificità molto elevate (93% e 97%, rispettivamente). La semplicità della rilevazione di tale misura, effettuata direttamente sulla lastra della TC, la rende un utile strumento da utilizzare nella pratica clinica routinaria per la diagnosi di malattia di Alzheimer.
  

04/04/2002


GLI ANTICOLINESTERASICI MODIFICANO LA STORIA NATURALE DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER.
CHOLINESTERASE INHIBITOR TREATMENT ALTERS THE NATURAL HISTORY OF ALZHEIMER’S DISEASE.
Lopez OL, Becker JT, Wisniewski S, Saxton J, Kaufer DI, DeKoski ST
J Neurol Neurosurg Psychiatry 2002;72:310-314.
L’efficacia a lungo termine del trattamento con inibitori dell’acetilcolinesterasi (CEIs) nella malattia di Alzheimer non è nota. Un recente studio osservazionale ha valutato l’efficacia a 3 anni del trattamento con CEIs in un gruppo di 135 pazienti con malattia di Alzheimer lieve-moderata, confrontati con un gruppo di 135 pazienti con caratteristiche cliniche simili ma che non avevano mai assunto CEIs. Ad 1 anno di follow-up, i pazienti che assumevano CEIs avevano una migliore performance cognitiva e funzionale rispetto ai pazienti che non li assumevano. Con il progredire della malattia, tuttavia, il beneficio su cognitività e funzione svaniva, mentre era mantenuto il beneficio a lungo termine rappresentato da un ritardo nell’istituzionalizzazione (il 40% dei pazienti che non aveva mai assunto CEIs era istituzionalizzato a 3 anni, vs il 6% di coloro che li assumevano). Non vi era impatto sulla sopravvivenza. Questi dati suggeriscono che gli CEIs potrebbero modificare la storia naturale della malattia di Alzheimer; occorre, quindi, porre attenzione nel giudicare l’efficacia degli anticolinesterasici in base alla risposta ottenuta dopo solo pochi mesi di trattamento, poiché i pieni benefici della terapia si evidenziano anche sul lungo periodo.
  

21/03/2002

LA GENETICA PRE-IMPIANTO PERMETTE A SOGGETTI PORTATORI DELLA MUTAZIONE PER L’ALZHEIMER DI AVERE FIGLI SANI.
PREIMPLANTATION DIAGNOSIS FOR EARLY-ONSET ALZHEIMER DISEASE CAUSED BY V717L MUTATION.
Verlinsky Y, Rechitsky S, Verlinsky O, Masciangelo C, Lederer K, Kuliev A
JAMA 2002;287:1018-1021.

La diagnosi genetica pre-impianto, che unisce le più moderne tecniche di fecondazione assistita e di genetica molecolare, permette di effettuare una diagnosi precoce (ancora prima dell’inizio della gravidanza) di malattie genetiche. La tecnica consiste nel sottoporre, nel corso di una fecondazione in vitro, gli ovociti o gli embrioni a biopsia e analisi genetica, per poi impiantatare nell’utero materno solo gli embrioni non portatori della mutazione genetica. La diagnosi genetica pre-impianto è stata effettuata all’Istituto di Genetica Riproduttiva di Chicago su una donna con storia familiare di malattia di Alzheimer autosomica dominante ad esordio precoce e portatrice, ancora sana, di una delle mutazioni del gene della proteina precursore dell’amiloide, ma probabilmente destinata a sviluppare la malattia. L’applicazione della diagnosi genetica pre-impianto ha portato alla nascita di un figlio sano, non portatore del gene mutato per la malattia di Alzheimer. Resta aperto il dibattito sull’eticità di questo tipo di tecniche di intervento.

07/03/2002


ALCUNI CASI DI ENCEFALITE SOSPENDONO LA SPERIMENTAZIONE DEL VACCINO PER L’ALZHEIMER. NERVE INFLAMMATION HALTS TRIAL FOR ALZHEIMER’S DRUG.
Check E.
Nature 2002;415:462.
La principale costituente delle placche senili della malattia di Alzheimer (AD) è una forma alterata della beta-amiloide (
Ab42), che deriva da un alterato processamento della proteina precursore dell’amiloide (APP). Tre anni fa ricercatori della casa farmaceutica Elan hanno dimostrato che la somministrazione di Ab42 in topi transgenici, cioè portatori di una APP umana, era in grado di indurre una risposta immunitaria contro le placche di Ab42, riducendone il numero e prevenendone la formazione. Il vaccino utilizzato nella sperimentazione sull’uomo è una forma sintetica di beta-amiloide. Lo studio di fase I (di tollerabilità) aveva dimostrato che il vaccino non ha rilevanti effetti collaterali su 80 uomini partecipanti. Lo studio di fase II (di efficacia), iniziato lo scorso ottobre, invece, è stato sospeso a causa dello sviluppo di encefalite in 5 dei 360 pazienti arruolati. L’encefalite potrebbe essere il risultato di una risposta autoimmune diretta non solo contro Ab42, ma anche contro APP, che è una normale costituente dei neuroni. Una commissione per il monitoraggio e la sicurezza farmacologica stabilirà con certezza quale sia stata l’origine dell’infiammazione.
  

21/02/2002


INFLUENCE OF LEISURE ACTIVITY ON THE INCIDENCE OF ALZHEIMER’S DISEASE.
Scarmeas N, Levy G, Tang MX, Manly J, Stern Y.
Neurology 2001;57:2236-2242.
Uno studio prospettico effettuato su 1.700 anziani non dementi ha dimostrato che l’intrattenersi in attività ricreative riduce del 40% il rischio di sviluppare demenza. Le attività di tipo intellettivo (leggere, giocare a carte) sono associate con il rischio più basso, ma anche le attività sociali (visitare amici, frequentare club, fare volontariato) e fisiche (camminare) hanno un significativo effetto. L’importanza delle attività ricreative (in particolare leggere, frequentare amici e parenti, andare al cinema o al ristorante, camminare o fare escursioni) nel ridurre il rischio di sviluppare demenza è sostenuta dal fatto che tale effetto protettivo è indipendente da scolarità, occupazione, performance cognitiva alla baseline, comorbilità che possa limitare lo svolgimento dell’attività ricreativa, malattia cerebrovascolare e depressione. Questi dati suggerirebbero l’opportunità di integrare gli interventi clinici con interventi psicosociali che stimolino le attività e le esperienze ricreative degli anziani.
 

07/02/2002


PRACTICE PARAMETER: INITIATION OF TREATMENT FOR PARKINSON’S DISEASE: AN EVIDENCE-BASED REVIEW. Report of the Quality Standards Subcommittee of the American Academy of Neurology.
Miyasaki JM, Martin W, Suchowersky O, Weiner WJ, Lang AE.
Neurology 2002;58:11-17.
L’American Academy of Neurology, la più autorevole associazione di neurologia al mondo, ha pubblicato un documento di revisione dell’evidenza ad oggi disponibile sulla terapia della malattia di Parkinson (PD). Le conclusioni sono che: (i) la selegilina può essere somministrata come trattamento sintomatico iniziale della PD quando ancora non vi è necessità di una terapia dopaminergica, ma non ha valore neuroprotettivo; (ii) la terapia dopaminergica può essere iniziata sia con levodopa, sia con un agonista dopaminergico; la scelta dipende dall’obiettivo terapeutico: migliorare la disabilità motoria (la levodopa è più efficace) o evitare le complicanze (discinesie) della terapia a lungo termine (meglio gli agonisti); (iii) nel caso in cui si somministri levodopa, sembra non vi sia differenza tra la formulazione standard e quella a lento rilascio; ulteriori dati sono necessari a questo riguardo poiché tale evidenza viene supportata da un solo studio, con un disegno metodologico non appropriato.
 

24/01/2002


A SUBSET OF NSAIDs LOWER AMYLOIDOGENIC ABETA42 INDEPENDENTLY OF CYCLOOXYGENASE ACTIVITY.
Weggen S, Eriksen JL, Das P, Sagi SA, Wang R, Pietrzik CU, Findlay KA, Smith TE, Murphy MP, Bulter T, Kang DE, Marquez-Sterling N, Golde TE, Koo EH.
Nature 2001;414:212-216.
Studi epidemiologici hanno evidenziato che l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) può prevenire lo sviluppo della malattia di Alzheimer (AD), probabilmente attraverso una riduzione della risposta infiammatoria che si accompagna al processo patologico della AD (vedi NEJM 2001;345:1515-1521). Ricercatori americani hanno, invece, dimostrato che l’effetto protettivo di alcuni FANS (ibuprofene, indometacina e sulindac) non è legato ad una aspecifica attività antinfiammatoria, ma ad una selettiva azione anti-amiloide, indipendente dall’attività antinfiammatoria stessa. Questi FANS, infatti, hanno la capacità, in colture cellulari, di ridurre i livelli di abeta42, la proteina amiloidogenica direttamente implicata nella patogenesi della AD. L’identificazione di FANS con spiccata attività anti-beta42 e ridotta attività antinfiammatoria anti-ciclossigenasica potrebbe rappresentare una nuova generazione di farmaci anti-amiloide, privi degli effetti collaterali gastrici e renali tipici dei FANS, da utilizzare nella terapia della AD
 

Pagina aggiornata il 18/07/2002