Il
capitolo sulla cultura artistica figurativa lucana a cavallo tra sei e
settecento si infittisce sempre piu’ di dati grazie a ricerche e scritti di
diversi studiosi. L’ultimo lavoro segnalabile è un contributo ricostruttivo
della parabola esistenziale e dell’esperienza artistica di una famiglia di
pittori materani: i Conversi.
La loro produzione pittorica rimane circoscritta tra Basilicata e Puglia e si
piega ossequente alle prescrizioni per la confezione di pale d’altare e
affreschi strettamente devozionali.
Giovanni Battista, Giuseppe, Vito Antonio e Donato Paolo: questi
i nomi dei pittori; Giovanni Lerede l’autore della ricerca documentaria
pubblicata nel luglio scorso su un “Quaderno” del Centro Studi di Storia e
Cultura di Turi e presentata a Matera, presso il Circolo Culturale “La
Scaletta”, il 24 novembre passato. L’occasione è stata propizia per puntare
l’attenzione sui modi pittorici dei diversi artisti, per i quali, tra l’altro,
è ipotizzabile il rapporto di parentela. Pur restando in una realtà
geograficamente circoscritta, lavorarono per svariate chiese soddisfacendo i
gusti della committenza locale, non senza guardare ai fermenti artistici che
agitavano la cultura figurativa nel Vicereame spagnolo. A
Giovanni Battista Conversi, nato a
Matera nel 1684 circa, probabilmente il più anziano del gruppo, pittore di
professione, si possono al momento ascrivere due opere autografe e cioè un
ciclo affrescato nel chiostro conventuale francescano di Castellaneta e una
pala d’altare nella chiesa di San Rocco a Montalbano Jonico. Di
Donato Paolo Conversi materano del
1697 e di suo figlio Giuseppe,
si ricordano alcune opere a Turi.
Ma sicuramente il più meritevole di considerazione critica rimane Vito
Antonio, le cui tele sono oggi
dislocate tra Matera, Ginosa e Mola di Bari, almeno da quello che salta fuori
dalla ricerca. I primi dati anagrafici sull’artista ci giungono dall’Archivio
di Stato di Napoli dove si scopre nel “Catasto Onciario dell’anno 1754, fol.
2072v.-2073” di “Vit’Antonio Conversi
della Città di Matera, Pittore, d’anni 41” e continuando sulla
residenza “in Casa d’affitto del
Venerabile Monistero di Santa Lucia….Tiene in affitto: una bottega, per uso
della sua arte, del Venerabile Convento di San Francesco, nella Contrada di
Santa Sofia, confina circum circa con le Botteghe delli Signori Gattini…”.
Dunque materano nato intorno al 1713, del quale Giovanni Lerede annota nel suo
studio due sole opere fuori Matera: una prima in Mola di Bari, nella chiesa
della Madonna di Loreto, una tela con Sant’Andrea e Santa Rosa e una seconda
nella chiesa del Rosario di Ginosa, con un’Annunciazione. Ma il
corpus più consistente rimane in Matera e precipuamente nelle chiese di San
Giovanni Battista e di San Domenico. Proprio in quest’ultimo edificio
conventuale si conserva una delle più riuscite composizioni del pittore
materano, un’Annunciazione firmata e datata “Vitus Antonius Conversi
Matheranus Pin. 1753”.
Qui il dolce volto della Vergine che si ripiega nell’ubbidienza della
gestualità all’annuncio angelico, ricorda molto da vicino il medesimo soggetto
rappresentato in una tela della basilica di Miglionico. Il
felice, caldo e avvolgente colorismo rinviano nella stessa direzione, senza
dimenticare le posture e il grande angelo che rimanda nella fisionomia a
quello dell’Annunciazione di Ginosa. Tutti indizi che mi hanno portato a
ricercare; presso la Sovrintendenza di Matera nella scheda dell’opera era
annotata una dicitura presente ai piedi della Madonna nella tela di Miglionico
che secondo il trascrittore suonava: “Ursus Antonius/ Canonicus/ Matheranus/
1751” evidentemente da rileggere e trasformare, dopo un opportuno
confronto stilistico con il dipinto materano, o dopo una perizia calligrafica
o paleografica comparata con la firma della tela materana, in “Vitus
Antonius/ Conversi/ Matheranus/ 1751”. Nella tela di Miglionico
confluiscono una varietà di modi espressivi e cromatici che facevano gravitare
l’opera fino a qualche tempo fa nella sfera artistica di Francesco Solimena
(1657-1747); ci sono in realtà rimandi piuttosto puntuali che mirano in alto,
al meglio della cultura artistica napoletana, senza rinunce nel passare
attraverso il verbo giordanesco, con una puntatina verso il Preti e con
un’occhio al Guarino. Tutte componenti del resto presenti nell’ultima maniera
neobarocca solimenesca costruita con intense vibrazioni cromatiche che
ricordano le giovanili passioni dell’artista per il Preti. L’atmosfera si fa
calda, la gamma cromatica va dal blu intenso al giallo antico, con gli
incarnati ora rosei ora pallidi. La figura della Vergine, che non incrocia le
mani al petto come nelle tele di Ginosa e Matera, mostra una dolcezza e una
serenità espressiva non da poco con i panneggi del voluminoso manto dalle
incavate pieghe modellati tra
l’ombra
e la luce. Maria appare comunque sempre inginocchiata, con un lembo
dell’abbondante manto che al suolo si pronuncia in avanti; non manca in questa
tela e in quella materana raffigurato il medesimo libro con una pagina
svolazzante, che restituisce matericità e movimento alla figura angelica che
arriva dall’alto. Nella tela di Miglionico, eseguita negli anni della piena
maturità artistica, il pittore non rinuncia ai particolari e al luogo fisico
in cui ambienta la sacra rappresentazione. Su di uno sgabello ad un angolo
della scena che poggia su di un pavimento a formelle quadrangolari in cotto
tracciato in prospettiva obligua, con piedi leonini e cuscino imbottito, sono
poggiate forbici e accessori per ricamo. Da questo pende uno stemma gentilizio
che ricorda la casata del committente, forse un arciprete o un vescovo, dove
appaiono due leoni controrampanti ad un pozzo sormontato da stelle (la
famiglia Del Pozzo di Miglionico?). Una delle più riuscite composizioni,
dunque, quella del pittore lucano per la collegiata di Miglionico che apre
l’importante capitolo, tutto da verificare e studiare, dell’alunnato
dell’artista presso un caposcuola napoletano; non si spiegherebbero
diversamente le sue riuscite composizioni, come quella per il piccolo centro
del materano, dove, pur nella elementarietà della rappresentazione, non
rinuncia al colorismo sgargiante dalla pennellata densa, alle fisionomie
edulcorate dalla luce, al movimento burrascoso dei panneggi, alla dolcezza e
finezza delle gestualità, al nebuloso addensamento delle soffici nubi, alle
mielose testine cherubiche, al puntuale tono descrittivo. |