Francesco Vallino

Scendendo da via Cesarea, per arrivare sul lungomare, si passa sotto l'archivolto intitolato a Francesco Vallino; oggi quasi nessuno sa chi egli fosse e anche ai suoi tempi, a metà '800, per molti loanesi quel nome era come di un illustre incognito. Bastava però nominare il “Gingio” perchè ogni loanese corresse col pensiero ad uno dei migliori artigiani che si contassero in paese a quell'epoca. 

Anche i pilastri della porta di Passorino (la “Torre dell'Orologio”) indicavano il geniale calderajo, fonditore, scultore, uomo dalle più singolari trovate, dotato d'una costituzione di ferro accoppiata ad un cuore sensibilissimo. La sua compagnia era ricercata da tutti per il carattere franco, disinvolto e per la generosità che dimostrava in ogni atto della sua vita.   

Una famiglia si trovava in miserrime condizioni? A un contadino un incendio aveva distrutto le poche masserizie? A un pescatore i delfini avevano squarciato le reti? Niente paura! Usciva il Gingio di bottega e metteva insieme quel tanto da sollevare quanti erano stati colti da sventura! La sua bottega era il ritrovo di tutta la gioventù studiosa: si parlava di arte, di lettere, di politica, si commentava la disfatta di Novara e si criticava la cessione alla Francia di Nizza, patria di Garibaldi, e della Savoia, culla dei Biancamano!!!  E lì si affibbiavano nomignoli e soprannomi a Tizio e Caio (molti così ben appropriati che sono utilizzati dai veri loanesi ancora ai nostri giornii!).  

Ma il suo buon cuore gli costò la vita.

Nella serata triste e piovosa del 24 novembre 1864 - San Giovanni dalla Croce – si trovava come al solito, con alcuni amici a fare una partita a tresette nell'osteria della Gambona quando comparve ansante e trafelato il Min ad annunziare che la piena del Nimbalto aveva travolto cavalli e passeggeri della diligenza che faceva servizio da Genova a Ventimiglia [allora non esisteva ancora ne il ponte sul lungomare ne la linea ferroviaria, inaugurata solo 8 anni dopo …. e rimasta ancor oggi, dopo quasi 140 anni, a un solo binario!].

Senza por tempo in mezzo il Gingio  varca la porta della marina dirigendosi verso il Nimbalto dove intanto la diligenza era stata invasa dalle acque e un senso di terrore aveva preso gli astanti: i viaggiatori invocavano aiuto con grida assordanti, il nitrito replicato dei cavalli dimostrava con quanto sforzo tentavano di liberarsi da ogni freno. Il pericolo immediato faceva indietreggiare anche i più audaci, i più intrepidi; ma nessuno osava correre al soccorso. 

Quand'ecco che compare, tra la moltitudine, la maschia figura del Gingio che, senza badare al pericolo, si slancia vestito in soccorso di quei disgraziati e trae alla riva il primo.... ci riprova, e poi s'avanza ancora, intrepido, ma la forza del torrente infine lo travolge e l'onda rapace lo trascina via, lo allontana e lo inghiotte. 

L'indomani tre corpi inerti galleggiavano sulle ormai placide onde del mare nello specchio d'acqua prospicente il molo; le carogne dei cavalli si rinvennero presso la foce della Berbenetta, ma il corpo del Gingio scomparve letteralmente e infruttuose riuscirono le pur reiterate ricerche.

La commissione comunale assegnò il suo nome all'archivolto detto di Gambin, all'altro estremo del paese.

Non sarebbe giusto murare una lapide nei pressi del ponte per ricordare ai posteri il luogo dove il Gingio lasciò la vita? 

Antonio Garibbo

[Anche questa  storia è stata  estratta  da volumi e copie di documenti conservati  nella “Casetta” dei Lavoratori del Mare di Loano dove  sono tante altre copie di testi storici utili per fornire ai lettori della “Gazzatta” ulteriori interessanti racconti di  veri “Loanesi d'altri  tempi”!]

 

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