La Cimice                                      Ricorrenze di Marzo e Aprile                                                      W il 2000

Tra epifania e Pasqua, ecco il carnevale ambrosiano e romano

IL CARNEVALE NEI SECOLI: tempo di baldoria e trasgressione

di Marco Alati

La meteorologia della tradizione annuncia una pioggia di coriandoli e un venticello di follia: ecco il primo carnevale del nuovo secolo e del nuovo millennio. Dopo che i re Magi hanno ripreso la via dell’oriente per tornare alle loro dimore, e fino all’inizio della penitenziale Quaresima, cioè al Mercoledì delle Ceneri, che in questo 2000 cade l’8 Marzo (e va a coincidere con la festa della donna). Poi, quaranta giorni dopo, come stabilisce la liturgia, sarà Pasqua: domenica 23 Aprile. Una “Pasqua alta”, così si usa dire, quando tale festività variabile cade ad aprile avanzato: perciò il periodo di carnevale risulta quest’anno piuttosto lungo.

Noi, però, della diocesi di Milano in cui si segue la liturgia del rito ambrosiano introdotto da S. Ambrogio nel IV secolo d.C., quest’anno festeggiamo il carnevale sabato 11 Marzo. Tra le caratteristiche che differenziano il rito ambrosiano dal rito romano, le principali riguardano la durata dell’ Avvento, che inizia dopo l’11 novembre e dura sei settimane, e la durata della Quaresima, che non inizia il mercoledì delle Ceneri ma la domenica seguente, sicché il carnevale ambrosiano dura quattro giorni più di quello romano.

Nelle vetrine è avvenuto l’ avvicendamento; via i panettoni, via gli addobbi colorati, gli alberi di natale, le lucine a intermittenza, e avanti le prime maschere, le stelle filanti, i coriandoli, i gadget-scherzi.

Carnevale è già qui: come ogni anno da duemila anni, per quanto trasformato, adatto ai tempi. Eh sì, perché l’origine di questi giorni di pazzia affonda sicuramente le radici in un periodo storico precedente al Cristianesimo: un filo di continuità si trova, ad esempio, con la festa dei saturnali (in onore del dio Saturno) che nell’antica Roma si celebravano al solstizio d’inverno. C’era un “re” della festa, un pupazzo, che prima di venire condannato a morte e bruciato al rogo, rivelava al popolo sghignazzante tutte le malefatte del potere: affari sporchi, tradimenti, compromessi, disonestà.

Per quanto riguarda l'etimologia della parola “carnevale”, la più accreditata interpretazione si rifà al latino: “CARNEM LEVARE” cioè “ togliere la carne”, come poi in effetti avviene durante i digiuni quaresimali. Il carnevale, insomma, sarebbe una lunga e festosa preparazione al periodo della penitenza: faccio oggi all’eccesso (compreso il mangiare) quanto mi sarà vietato fare durante la quaresima.

Dopo l’antica Roma, arrivò il Medioevo, durante il quale, sempre nello stesso periodo, si celebrava la “festa dei folli”, che prevedeva mascheramenti e comportamenti che definire solo trasgressivi è poco. Si mangiava (fino alla nausea) adoperando come mense gli altari delle chiese.

Nel XV secolo molta gente, protetta dalla maschera, approfittò dell’occasione per lasciarsi andare ad atti criminali: furti e addirittura omicidi. Tant’è che da allora intervenne pesantissima la censura: a forza di minacciosi editti si vietò di coprirsi il volto.

Poi arrivò l’epoca del Barocco, il Seicento, quando i riti del carnevale raggiunsero il massimo dello splendore e dell’eleganza. Stavano per nascere, in tempi diversi, le tradizioni delle maschere regionali, quasi tutte mutuate dalla commedia dell’Arte.

Il bolognese dott. Balanzone era nato già dal 1500. Il piemontese Giaduia arriverà nel primo Ottocento, il veneziano Pantalone nasce in pieno barocco, un po' dopo il bergamasco Arlecchino, a fine '700 vede la luce il fiorentino Stenterello. A Napoli imperava Pulcinella, destinato poi ad emigrare nel mondo intero, mentre in Francia si asciugava una lacrima Pierrot romantico e triste innamorato (anche lui nato dalla commedia dell'Arte).

Carnevale: abbiamo detto un po' di trasgressione e un pizzico di follia. Balli, cotillon, cene…

Ma che senso ha la maschera sul viso?

Una volta la maschera era il mezzo (e il simbolo) per una inversione, o almeno una confusione, dei ruoli reali: così, nei Saturnali dell'antica Roma i servi si vestivano con le stesse tuniche dei padroni. È chiaro che oggi il significato non è più quello. Quale sarà allora? Il carnevale è liberatorio, si dice comunemente, e la maschera è "l'evasione dal quotidiano": ma sembra difficile credere che adesso, tornando da una festa mascherata, qualcuno si senta "liberato" dai problemi della quotidianità.

Peggio: per diversa gente (bambini esclusi) indossare una maschera, magari per una serata "a tema" (vanno tanto di moda), costituisce una seccatura, al limite del supplizio.

E carnevale non può risolversi in un ulteriore supplizio: c'è già la Quaresima, al termine di questo tempo pazzo, che impone la penitenza.

DI CHI È ARLECCHINO?

Contesa tra Venezia e Bergamo

di Jacopo Del Corno e Emanuele Cedro

Tutti sanno che le maschere di Carnevale hanno una loro provenienza, ad esempio: Pulcinella è napoletano, il Dottor Balanzone è bolognese, Colombina è veneta ecc.

Ma Arlecchino da dove proviene? Le ipotesi più accreditate dicono che venga da Venezia, però alcune città lombarde se ne disputano la nazionalità, tra cui S.Giovanni Bianco, un piccolo paese, in provincia di Bergamo, che si è dato il titolo di “Patria di Arlecchino” scrivendolo anche sul cartello del confine comunale ed aprendo un sito Internet sul carnevale. Ma se in Italia Arlecchino è conteso tra diverse città, in Francia sta attraversando un periodaccio. Non si sa se la rete di Internet riuscirà a scoprire le vere origini di Arlecchino, ma egli rimarrà pur sempre al di qua e al di là delle Alpi un tipo “dalle scarpe grosse ma del cervello fino”.

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