Ora
di inglese. La prof che parla, gli alunni
che dormono.
Sto
quasi per chiudere gli occhi, quando un
suono - non nuovo per me - li fa riaprire.
-“Driiiiiiiiin...!”
- nessuno sembra essersene accorto (un suono
un po’ flebile, dopotutto); ci metto un po’
a realizzare che sono a scuola e che non si
tratta della mia antipatica sveglia, allora
mi sforzo di trovare un’interpretazione:
“No, la campanella dell’entrata non è,
quella dell’intervallo neanche, per andare
a casa è troppo presto... ci sono: è l’allarme
antincendio!”
Balzo
in piedi e comunico alla prof e all’intero
uditorio la mia scoperta. La prof, quasi
stupita che qualcuno si sia finalmente
accorto della Sua presenza, mi guarda e mi
dice: “Sit down, Clarin”.
Io,
che non ho aspirazioni da Giovanna D’Arco,
la campana la sento davvero, e di morire
bruciata non ho voglia e allora dico:
“Ma
prof, bisogna andare, c’è un incendio!”.
Lei,
però: - “Impossibile!” - risponde - “la
responsabile degli incendi sono io, e se
io non decido di uscire, si continua a fare
lezione”.
Intanto
qualcuno, sentendo una voce che non è
quella della prof, si è messo ad ascoltare
e giace steso sul banco mezzo assonnato e
mezzo spaventato. L’inquietante rumore
continua, le ultime parole della prof non
sono state rassicuranti e tantomeno la calma
con cui continua a spiegare il superlativo;
allora raccolgo un po’ di libri, mi metto
lo zaino in spalla e, con la sua stessa
calma e accennando un mezzo sorriso,
comunico: “Salve, prof, io vado,
altrimenti tra un po’ ritorno cenere, com’è
giusto che infine sia, ma non ora!”
La
prof non si scompone, mi guarda severa e mi
ordina: “Torna al tuo posto”.
Ad
un tratto dal corridoio arrivano delle voci
e il suono di uno scalpiccio (sarebbe meglio
dire che sembra un documentario di Quark su
una mandria di bufali...) e qualcuno apre la
porta intimando di sbrigarsi a raggiungere
il cortile.
Subito
dilagano l’eccitazione e la paura tra di
noi.
Io
sono calma, lascio lo zaino per terra, mi
metto in fila e, dopo 20 minuti, lascio
finalmente l’aula e il primo piano,
rimpiangendo dentro di me di non averlo
fatto prima.
Mentre
scendiamo le scale, la famosa campana smette
di suonare.
Arriviamo
in cortile e troviamo tutte le altre classi
(che erano uscite puntualmente, in fila
indiana, tenendosi per mano, con il registro
di classe che serve a fare l’appello dei
superstiti e dei dispersi) con il naso per
aria. Guardo anch’io, ma: niente fumo,
niente fiamme. Mi sento subito più
rassicurata: “Si tratterà di una
esercitazione antincendio o di un errore, ma
se ci fosse stato veramente un incendio, ora
ci sarei ancora?” .
Fortunatamente
si è poi scoperto che si è trattato di una
disattenzione di qualche prof che ha
incautamente fumato l’irrinunciabile
preziosa sigaretta al momento sbagliato e
nel posto sbagliato, e cioè vicino a un
rilevatore di fumo.
Colgo
l’occasione per rammentare ai prof
(specialmente a chi fa almeno il tentativo
di smettere), di non fumare dentro l’edificio
e per chiedere di farci fare una prova di
evacuazione ogni tanto, per evitare di
improvvisare un’uscita frettolosa, con il
rischio di dimenticare in classe qualcuno
che ha il sonno pesante e che se ne resta a
sonnecchiare nel confortevole tepore dell’aula.