Milano
Finanza
Numero 104,
pag. 41 del
26-05-2001
di
Alberto Lanzavecchia (*)
Banche
- L’analisi fondamentale non basta in molti casi per motivare i prezzi
correnti delle azioni, anche in un settore tradizionale come il bancario.
Che ruolo giocano le aspettative e le performance realizzate in passato?
Ecco i risultati di uno studio condotto in Europa.
I profitti non sono tutto
La valutazione
di un titolo bancario avviene spesso con riferimento ai valori patrimoniali,
reddituali o a entrambi. Il mercato dei capitali, utilizzando i dati disponibili
e stimando un possibile trend di sviluppo, fissa i prezzi. I profili di
analisi sono allora due: valorizzare l’ultimo bilancio a disposizione e
formulare ipotesi di sviluppo.
Qual è
il rendimento di una azione? La crescita nel suo valore in termini di dividendi
percepiti e capital gain confrontato con il rendimento atteso. Questa semplice
impostazione permette di individuare una componente abbastanza certa (il
dividendo previsto) e una assai più incerta (il capital gain). La
formula di Gordon (dividend discount model) consente di prezzare una componente
abbastanza certa data dal dividendo (o l’utile) previsto:
P0
= D1 / Ke
Il prezzo di
equilibrio a una certa data (P0)
è dato dal valore attuale di una rendita perpetua che paga un dividendo
D1. Poiché
il dividendo (utile) è diretta espressione dell’andamento della
gestione, è possibile stimare quanto varrebbe un’azione se generasse
sempre lo stesso dividendo. Si potrebbe fare questo ragionamento anche
considerando l’utile per azione (eps). In entrambi i casi si tratta di
una soluzione semplificatrice.
Con queste premesse
è stata condotta un’analisi su un campione di blue chip del settore
bancario delle borse dell’Uem. Il valore di una azione è stato scomposto
in due parti: una legata al valore della performance operativa, l’altra
alle aspettative di crescita futura. La prima componente è stata
calcolata come quel prezzo (di equilibrio) ottenuto utilizzando il prossimo
dividendo stimato come rendita perpetua (formula di Gordon). La seconda
è stata ottenuta in maniera residuale, deducendo cioè dal
prezzo di borsa il prezzo di equilibrio prima calcolato. Entrambi i valori,
per renderli confrontabili fra banche di diverse dimensioni, sono stati
standardizzati sul patrimonio netto (book value per share). Questo approccio
permette di tracciare una mappa del valore (tabella
e grafico).
I valori medi del campione identificano quattro aree in funzione del diverso
rapporto tra prezzo delle azioni, performance correnti (utili o dividendi)
e aspettative future.
-
I gestori del
valore. Il quadrante in alto a destra identifica quelle banche che
hanno ottenuto significative performance correnti e che continuano ad alimentare
aspettative di miglioramento. In quest’area sono presenti società
che possiedono un’ottima gestione caratteristica e che dimostrano di avere
idee di sviluppo nelle dimensioni (acquisizioni) o nei margini (nuovi business).
Non stupisce che fra queste vi siano i due colossi spagnoli: il Banco Bilbao
Vizcaya Argentaria (Bbva) e il Banco Santander central hispano (Bsch).
Dopo aver consolidato la loro presenza in Spagna (in due coprono il 40%
del mercato) hanno accresciuto il loro peso in America Latina a colpi di
acquisizioni dove ora coprono il 20% del mercato. Le masse gestite sono
di oltre $324 mld per il Bsch e di oltre $280 mld per il Bbva. La loro
capitalizzazione è costantemente cresciuta, fino a portarle a ridosso
di Deutsche bank (che capitalizza 48 mld di euro). Oltre ai valori tangibili,
il mercato incorpora aspettative di nuove acquisizioni profittevoli. Fra
le italiane, sono presenti Banca Fideuram
e Bipop
nonostante i recenti ridimensionamenti nelle loro quotazioni.
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Nel quadrante in
alto a sinistra vi sono i creatori di aspettative. Sono banche che
non hanno significative performance correnti (o non coerenti con il prezzo
di borsa), ma su cui vi è una grossa scommessa sui miglioramenti
attesi. Fanno parte di quest’area i gestori del risparmio privato, le banche
con una forte componente di servizi on-line (Fortis, Bankinter sono alcuni
esempi), oppure banche in turnaround dove il mercato percepisce il cambiamento
in atto (oltre che alla qualità del management) e lo incorpora nel
prezzo attuale. Per tutte diventa cruciale gestire al meglio la propria
attività, al fine di non deludere le aspettative. Per breve durata
possono permanere in quest’area società su cui sono presenti movimenti
speculativi legati a possibili scalate (Hypo bank).
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Il quadrante in
basso a destra identifica banche ben gestite, ma che non creano aspettative
di miglioramenti. Operano prevalentemente in settori tradizionali (il
credito) e non diversificano in business innovativi. Abn Amro, Unicredito,
San
Paolo e Bnp Paribas vengono percepite come banche solide, ben amministrate,
ma talmente diversificate che non sono immaginabili innovazioni di business
sostanziali. L’investitore può diversificare il proprio portafoglio
semplicemente comprando e vendendo le azioni praticamente senza costo.
Inoltre, può passare dall’asset management, ai servizi finanziari
(American express) all’investment banking (JP Morgan) e pesare le azioni
sul proprio portafoglio coerentemente con gli obiettivi di rischio e rendimento
praticamente in tempo reale. Per una qualsiasi impresa diversificata ciò
non è possibile. Non può uscire da un business rapidamente
(e senza costi) né può sovra-investire in talune attività.
Per questo il mercato non gradisce che un’impresa sia ampiamente diversificata
e, al massimo, la paga esattamente per quel che vale.
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Il quadrante in
basso a sinistra individua quelle società che operano in aree
di business in declino o hanno inefficienze operative oppure si trovano
in una fase di transizione (Banca
di Roma). Spesso, a seguito di fusioni o acquisizioni, tutti gli sforzi
del management sono volti a «gestire l’integrazione» piuttosto
che a sviluppare e migliorare il business caratteristico (Db). Le sinergie
nei ricavi molto spesso si trasformano in cannibalismo fra prodotti/ clienti/
filiali mentre le sinergie di costo non sono altro che esuberi del personale
o filiali in eccesso. È naturale che debba esistere una fase di
transizione. L’obiettivo tuttavia deve essere portarsi verso il lato destro
della mappa del valore, magari verso l’alto con gran gioia degli investitori
iniziali!
L’analisi
qui esposta suggerisce una chiave di lettura molto semplice per alcuni
lettori, ma può rappresentare un’interessante informazione per il
singolo azionista e per il management. Il primo può verificare quanta
parte del prezzo dell’azione sia originato da valori abbastanza certi (utili
o dividendi del prossimo anno) e quante aspettative di crescita sta comprando.
Il secondo può formulare piani di sviluppo che creino valore, comunicarli
efficacemente al mercato e gestire al meglio la propria attività,
affinché, da un lato, non si alimentino inutili aspettative di crescita
irraggiungibili e, dall’altro, vengano raggiunte le performance operative
attese oggi dai mercati.
(*) Università
degli studi di Parma |