Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale

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La Pagoda

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Anno II n°3 ( luglio-agosto-settembre )

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Tempo e Religione: una dimensione buddhista.

(Rodolfo Savini e Marta Saralegui)

Uno degli aspetti più misteriosi e affascinanti della vita, è certamente il tempo: nel suo scorrere, nel modificarsi delle cose, nella successione degli eventi, nella personale percezione del suo passare e nella nostra differente maniera di rapportarci ad esso.

Le grandi onde del tempo fatte dal susseguirsi degli anni, dei secoli, dei millenni, rifluiscono nel trascorrere delle stagioni, dei mesi, delle settimane, dei giorni. Ed è proprio in questo espandersi e condensarsi che è possibile trovare il proprio punto di riferimento con le cose, il nostro rapporto con gli altri e con noi stessi.

Nel buddhismo, il tempo è concepito come qualcosa di ciclico e non di lineare, evidenziando quell’alternanza che segna ogni istante della vita. È nella ciclicità che possiamo leggere il senso che anima ogni cosa, ogni essere vivente: il susseguirsi del giorno con la notte, il sorgere ed il dissolversi dei nostri entusiasmi, l’ascesa e la decadenza degli imperi. Se questo da una parte può sembrare un monotono ripetersi, dall’altra si ripropone con nuove ed inesplorate dimensioni, capaci di animare e suscitare inimmaginabili trasformazioni. Così, come il ritmo del nostro respiro va e viene, anche l’energia che sollecita il divenire, muove la ruota della vita.

L’esistenza non si risolve in un semplice girare in cerchio, è un continuo movimento a spirale che continuamente si apre verso aspetti che sfuggono alla nostra comprensione, e nel contempo si raccoglie nell’interiorità in cui tutta l’alternanza di nascita e morte, del sorgere e scomparire diviene evidente: dal più semplice moto del pensiero, alla vita della cellula più recondita.

La Verità che il buddhismo ci vuole indicare, è quella di imparare a riconoscere i diversi modi con cui il tempo si presenta al nostro sguardo, alla nostra coscienza, non per sceglierne uno, ma perché la soluzione del disagio, dell’insoddisfazione, del dolore, risiede nel totale superamento di ogni dimensione del tempo.

Superare il tempo vuol dire dissolvere i miraggi dello spazio, trascendere tutte le illusorie facce con cui entrambi si presentano. Solo questa esperienza ci può permettere di comprendere e sperimentare che nel mondo del divenire di cui siamo parte, vi è celata una dimensione completamente diversa, che non esclude la precedente, ma che con essa convive. Per i buddhisti, questa dimensione, è la realizzazione del Nirvana. E’ l’esperienza del divino che si trova oltre i propri limiti personali: nella gentilezza, nella compassione, nella gioia altruistica, nella serenità. La divinità, nel buddhismo, è nell’unicità, nella non separazione, in quello stato privo di tempo e di spazio, che va oltre la dicotomia spazio-temporale, di spirito e materia, bene e male, beatitudine e dolore, vita e morte, essere e non essere.

L’amore per questa dimensione, per quell’energia che appena si esprime diventa alternanza, ma che in essenza è qualcosa di inesprimibile e di incommensurabile, è la direzione verso la quale il Buddha ci indica di muovere il nostro passo. Il Nirvana, la cessazione del divenire, è l’amore per il segreto che ogni istante cela in sé. Questa intuizione, questa scoperta, non si manifesta cambiando la realtà, ma, sgorgando dal nostro cuore, cambia radicalmente il nostro modo di rapportarci ad essa.

Marta Saralegui, presidente della nostra Associazione, a riguardo della percezione del tempo scrive:

-Tante volte, parlando con gli amici della visione del tempo e di come la percepivo in relazione con la pratica di meditazione, mi mancava quella chiarezza per trasmettere in forma semplice quello che sentivo e vivevo. Pochi giorni fa, rileggendo un libro del Venerabile Dalai Lama, ho trovato scritto queste parole: "In qualità di buddhisti, come scopo non ci proponiamo solo di dare il sollievo temporaneo o benefici temporanei, ma risultati a lungo termine. Ai buddhisti non interessa solo questa vita, ma la vita dopo la vita, e così via. Noi non contiamo le settimane o i mesi, e neppure gli anni, ma le vite e gli eoni" e ancora aggiunge "Le buone qualità mentali infatti una volta sviluppate in modo adeguato, si accrescono all’infinito".

Questo era il punto di partenza di cui avevo bisogno per poter dare una semplice spiegazione alla percezione del tempo, nella vita di una praticante che giorno dopo giorno si domanda che cosa è e come vivere questa esperienza.

Alcuni anni fa, in Patagonia, ero seduta in meditazione nel bosco intorno alla casa nella quale abitavo, e vissi la sensazione del tempo come se tutta la storia dell’uomo potesse essere contenuta in un attimo: in quell’istante c’era il passato e contemporaneamente il futuro, c’erano le stelle ancora non nate e quelle morte da tempo; lo scorrere del tempo mi avvolgeva velocemente senza che il mio essere potesse intervenire in alcuna maniera. Da allora ho sempre cercato di dare spiegazioni razionali a quell’esperienza, ma nella sua essenza è sempre rimasta inafferrabile; anche perché tante altre volte ho percepito il tempo come lento, ampio, fermo, creando uno spazio temporale unico dove l’infinito assorbiva tutto.

Quello che questa esperienza mi ha donato, è la capacità di aprirmi e di allargare i limiti della conoscenza, andando oltre i concetti, senza per questo pretendere di spiegare tutto metafisicamente.

Il tempo siamo noi, sta in noi; il mio tempo è il tempo dei cinque miliardi di abitanti del pianeta terra, dei miliardi di abitanti dell’universo, di ogni animale o pianta vivente, del continuo pulsare della nascita e morte del cosmo. Questa non è poesia, è solo riconoscere l’assoluto nel relativo, in noi stessi; è riconoscere ciò che fa scattare la molla a quel movimento di sviluppo di ogni società, di ogni individuo. E’ ciò che mantiene la nostra connessione e il nostro legame in questo tessuto universale.

Come individui, siamo la voce della totalità: ognuno di noi è legato alla storia di Roma antica, alla persecuzione degli ebrei, all’Impero Cinese, al Rinascimento, alla seconda guerra mondiale... Proprio, come ciò che ognuno di noi sta oggi vivendo, è, e sempre sarà, parte della storia futura.

Siamo parte della totalità e questo è inevitabile, siamo la fame, la povertà e la ricchezza, il ricordo e la dimenticanza, e nessuno di noi può sfuggirne. Non c’è via di scampo, i nostri cammini sono diversi, è vero, ma non c’è bisogno di conversioni.

Il tempo è una relatività assoluta, sta in ogni bocca che parla, in ogni respiro, in ogni bambino che muore di fame, è presente in ogni pratica religiosa; ciò che forse fa paura, è come viverlo, come esplicitarlo, come farlo diventare, in questo nostro tempo, un elemento cosciente, capace di darci la possibilità di aprirci a tutto, senza venire soffocati dalla paura che questo "presente-infinito" può farci. Il divino rappresenta questa infinita presenza. È nostra la possibilità di riconoscerlo, di contattare in noi questa estensione, di avere quell’umiltà di ridimensionare i nostri limiti personali vissuti quotidianamente, abbracciando la morte come continuità della vita.

Mi domando come può essere diversa la percezione del tempo tra un buddhista e un musulmano, tra un ebreo e un cristiano o tra uno sciamano e un induista, tra un fisico e un muratore, tra un bambino africano e uno europeo. Il tempo sarà limitato fin tanto che la nostra mente rimarrà chiusa e il nostro cuore sarà pieno di egoismo. La nostra percezione muterà invece, nel momento che il nostro cuore e la nostra mente si apriranno alla totale accettazione degli altri, e della diversità; ciò ci permetterà di percepire il senso del tempo, semplicemente come una parte della nostra esistenza.-

C’è una semplice frase che racchiude in sé tutta l’essenza della pratica buddhista e con la quale possiamo concludere questo articolo: "Domandarono al Buddha perché i suoi discepoli sembrassero sempre così allegri; la risposta fu: "Non rimpiangono il passato né si preoccupano del futuro; vivono nel presente, ecco perché sono gioiosi"."

 

a cura di

Rodolfo Savini e Marta Saralegui.

 

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