Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale

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La Pagoda

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Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo)

 

 

Anno IV n° 2 ( aprile-maggio-giugno )

Riflessioni a più voci sulla "Seconda Nobile Verità" giornata di meditazione alla Pagoda - 24 feb. 02

Sintesi a cura di Rodolfo Savini

 

Nell’ascoltare gli insegnamenti di Buddha sulla causa del disagio verso il quale scivolo, mi sembra inaspettatamente di ritrovare per la prima volta considerazioni che già da tempo avevo incontrato. Incontrarle durante la lettura tra una seduta e l’altra mi ha permesso di guardarle con una nuova attenzione. L’identificazione con i propri desideri: ecco l’ostacolo da superare, nei loro confronti si tratta di trovare un modo completamente diverso di vederli. Non c’è più la reazione immediata, occorre scoprire lo spazio che si può creare tra i desideri e il loro soggetto. Non sono più succube di questa propensione a prendere o respingere, ma riesco a riconoscere e contemplare il desiderio. Tra l’attaccamento che mi spinge a volerlo realizzare e il rifiuto che mi porta a volerlo sradicare, vi è lo stare a contemplarlo, guardarlo per quello che è, come qualcosa che passa, che scorre, che non permane.

La radice del desiderio è in ognuno di noi e dobbiamo imparare a conviverci. Talvolta, attaccato ai miei desideri, mi sembra di essere perfetto, sono ricchi di sfaccettature e anch’io mi sento così. Se tentassi di reprimerli li farei diventare ancor più pressanti. Mi sembra meglio farmi muovere da loro così come sono più che nutrire aspirazioni irrealizzabili, più che alimentare "desideri di spiritualità" che suscitano solo della frustrazione. Meglio non nutrire queste aspirazioni e convivere con le onde, così come il vento le spinge.

Alla radice del desiderio vi è il caotico pulsare delle emozioni. Desiderio ed emozioni sono i compagni della mia giornata. Non guardo alla qualità che li caratterizza, se sono più o meno "spirituali": sto imparando a contemplarli. Solo in questo modo non affondano nell’inconscio, né divengono incessante carburante dell’azione condizionata. Qui assume pieno significato la pratica che è intermedia tra il rifiutare e l’assecondare: è il contemplare. In passato avvertivo il disagio ad accettare la presenza del desiderio: dovevo reagire facendo qualcosa, rifiutandolo o esprimendolo. Ora sto imparando a contemplarlo.

Il peso dei desideri risiede nel fatto che sono loro ad essere i protagonisti del mio comportamento. Sono loro schiavo, mentre penso erroneamente di esprimere la mia libertà.

Un rapporto che costituisce un interrogativo non risolto è quello tra desiderio e volontà. Per me questi due termini non sono sinonimi, con loro indico qualcosa di diverso. Siamo qui perché c’è desiderio di cambiare o perché c’è volontà di cambiare? Con volontà intendo la determinazione con cui Buddha è rimasto seduto ai piedi dell’ "Albero dell’Illuminazione" finché non fosse giunto a comprendere: "Questo è il dolore; questa è la causa del dolore, questa è la cessazione del dolore; questa è la via che vi conduce".

La volontà potrebbe indicare forse il desiderio più elevato, proprio quello che non è caratterizzato dall’attaccamento egoico. E’ importante però fare qualcosa senza desiderio, ma fare.

Impariamo a distinguere l’azione dalla reazione. Mentre la prima mi indirizza verso la pace, con la seconda si acuisca la mia sofferenza. Il mio comportamento è caratterizzato dalla domanda: ciò che faccio porta alla felicità mia e degli altri? O, al contrario, crea infelicità a me e agli altri? Mi capita di frequente di rinunciare a molti desideri, perché posso causare infelicità agli altri. Rinuncio liberamente, non attuo, nei loro confronti, una repressione.

Non dobbiamo però partire, nel dare senso alla nostra azione/reazione, dal voler compiacere gli altri. È importante che la dimensione egocentrica sia ben definita. Sapere che qualcuno mi riama, toglie spessore a quella quotidianità tappezzata di desideri. Qui si inserisce l’attenzione alla pratica e il coltivare la contemplazione. Desideri e avversioni producono su di me molteplici effetti. Sostenere l’equanimità è una pratica necessaria e basilare per superare desideri, sarà lei a permettermi di apprendere a contemplare desideri e reattività.

Occorre partire da sé, anche se ciò produce disagio agli altri, spesso infatti gli altri hanno bisogno del nostro disagio per crescere a loro volta.

Se questo vuol dire però che io sono posto su un piedistallo vuol dire che ciò non va bene. Gli altri sono sempre io. Occorre coltivare un atteggiamento lenitivo verso gli altri. Facendo qualcosa per gli altri c’è già un immediato ritorno, vi è una compartecipazione paritaria: un contemporaneo dare e ricevere.

Mi chiedo quale natura abbia il desiderio, quale differenza distingua il desiderio dalla volontà, la reazione dall’azione. Sento il bisogno di alimentare la mia volontà coltivando il mio ego in vista di un servizio da rendere agli altri.

Se voglio provare a distinguere azione da reazione potei aggiungere che l’azione è espressione di un desiderio sano mentre la reazione tradisce una sottaciuta paura. Avverto però che in ogni relazione c’è dualità, ci sono io e gli altri. Al centro di tutto c’è l’individuo.

Mi sembra che però si possa andare oltre a questo dualismo tra io/altri. L’esperienza buddhista mette in risalto come tutto sia collegato e interagisca. La foglia è composta da elementi che sono non-foglia: il sole, l’acqua ecc. senza i quali non ci sarebbe la pianta.

Dobbiamo stare in guardia davanti ai discorsi inutili, con i quali ciascuno si rotola e si ripiega nelle proprie nevrosi. Agire è per me fare la cosa giusta al momento giusto, allora agendo farò sempre la cosa giusta.

Quando avverto sofferenza che cosa faccio? Come mi relaziono a questo peso? Ne potrei parlare o devo tacere perché non riguarda gli altri?

Alcuni discorsi possono essere inutili quando si scivola sul teorico, quando si coltiva il ragionamento e si alimenta troppo l’attività mentale. Bisognerebbe parlare di sé, è proprio questo quello che dobbiamo fare.

Dobbiamo partire dalle nostre possibilità. Ognuno di noi deve fare del proprio meglio.

 

"Tutto quello che ha la natura di apparire,

quello stesso ha la natura di cessare"

Majjhima-nikaya, III

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