Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale

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La Pagoda

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Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo)

 

 

Anno IX n° 1 ( Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 )

L’avversione  di Ludovico Petroni 

L’orgoglio rabbioso  in Occidente si combina con una valenza sociale: chi non si inalbera orgogliosamente è considerato vile e mediocre. Generalmente parlando, la rabbia incute timore e rispetto. Quasi come  ‘se uno si arrabbia vuol dire che ha ragione’. Questa attitudine reverenziale  verso il moto di rabbia ha radici molto profonde e caratterizza le dinamiche dei rapporti in varie dimensioni sociali: è ben stabilito nelle regole comportamentali tra gli adolescenti, come tra i membri di associazioni criminali (codice d’onore); gioca infine un ruolo educativo fondamentale. Si pensi alla profusione della coercizione punitiva effettiva o minacciata: ‘non fare questo altrimenti mi arrabbio’ o addirittura ‘se fai questo o se non fai quello ti do ….’

Così finiamo per attribuire allo sbotto di violenza rabbiosa un valore di riferimento per la crescita individuale. La reazione rabbiosa diviene parametro di riferimento indiscutibile per capire ciò che è bene e male.

Una considerazione marcatamente diversa è quella che della rabbia  si ha ancora nella più tradizionale società sud orientale: lo sbotto di rabbia è manifestazione di fragilità psicologica. Chi mostra in pubblico la propria reazione rabbiosa ‘perde la faccia’ ed è probabile che venga deriso per la sua manifesta debolezza ed instabilità.

Dal momento che l’attaccamento alla rabbia si accompagna al fragoroso vortice di pensieri che la giustificano e motivano e che,  rincorrendosi,  finiscono per esser sempre gli stessi, ribadirei l’importanza di contemplare l’emozione avversiva nella sua dimensione più intima, al di sotto dei pensieri, come contrazione facilmente riconoscibile in qualche parte del corpo, come onda di calore ecc.

Più si riesce ad osservare l’emozione rabbiosa per come si manifesta nel corpo e meno reagiremo mentalmente alimentandola.

Questo cercare la sensazione fisica relativa all’emozione sperimentata, ha il senso opposto del ‘volgere lo sguardo altrove’,  rifiutando ed automaticamente aumentando il dolore. Questo calarsi nella sensazione ha il senso di porre il proprio cuore al centro del turbamento che stiamo sperimentando  e,  nel fare ciò, già la contrazione dolorosa si risolve un po’.

Zenkei Blanche Hartman riferisce: “Nonostante che ‘Dhukkha’ sia normalmente tradotto con ‘sofferenza’, deriva da una parola che significa ‘l’esser fuori centro dall’asse della ruota, ” che è esattamente come vengono lette certe afflizioni sottili nell’area del cuore, che è il centro di sé: un senso di latente incompatibilità che si ricompone quando ci si ricentra, riponendosi in asse rispetto alla ‘Ruota della Vita’. Nel fulcro della quale la consapevolezza rivela certe pulsioni basilari simboleggiate dal gallo, il serpente, il cinghiale …

 

Ovviamente un cambio di direzione così importante può aver luogo nel raccoglimento del  ritiro intensivo, nel contesto del quale è oculato che vengano date il prima possibile appropriate istruzioni su come lavorare con la rabbia e gli altri ‘impedimenti’. Infatti, la tendenza distruttiva della avversione può ben essersi stabilita già da prima della prima seduta del primo ritiro, ed è probabile che una tale scomoda novità venga accolta con irritazione e che la prima seduta diventi anche l’ultima.

 

Si può provare avversione per il posto, per il programma, per gli insegnanti, per gli inservienti, per certi momenti della giornata, per certe tendenze mentali (provare rabbia per la rabbia),  per il cibo, per certe tecniche di meditazione ecc.

Uno dei modi più comuni con cui si fa esperienza dell’avversione nell’ambito del ritiro intensivo è noto come V.V. (Vipassana Vexation),  diametralmente opposto a V.R. (Vipassana Romance), che  è stato considerato nei numeri precedenti di questa rivista nell’ambito del desiderio.

V.V. è il moto di avversione che si sviluppa nei confronti di uno o più partecipanti al ritiro. In mancanza di meglio la mente si focalizza su difetti  e mancanze del soggetto in questione. Spesso il pretesto iniziale è insignificante, come l’apparenza, il rumore dei passi, il luogo prescelto per la seduta e camminata ecc. Quindi, col passare del tempo,  il nostro interesse s’intensifica ed usiamo al meglio tutta la nostra consapevolezza per tutto ciò che di disdicevole è possibile notare.

È inevitabile che le prime V.V e V.R. siano travolgenti. Successivamente, quando se ne è fatta conoscenza, e soprattutto quando se ne riconosce il sorgere, il fenomeno si affievolisce. Rimane comunque un’esperienza da cui imparare notandone le variazioni ed evoluzioni.

Gli insegnanti del mio primo ritiro erano (sono) una coppia. La simpatia e l’interesse che provavo per lui erano direttamente proporzionali all’antipatia che provavo per lei. Quando col tempo lei cominciò a risultare meno antipatica, lui cominciò a risultare meno simpatico.

Un po’ come se l’energia che investiamo in un’ infatuazione (evidente in V.R.) potesse prosciugare l’energia solitamente dedicata ad altre aree (interessi, rapporti ecc.)

E’ probabile che V.V. non arrivi in fondo al ritiro e che,  quando al Nobile Silenzio si sostituisce la parola, che velocemente ritorna ignobile, si scopra come l’oggetto della nostra avversione sia sorprendentemente diverso da ciò che ci aspettavamo. Si scopre che la realtà non è obbligata nei nostri confronti e che conviene guardare con circospezione alle nostre piroette intellettuali.

 

Può essere importante tornare sul rapporto tra rabbia ed energia. E’ noto che la rabbia mette in circolo, ‘brucia’ una grande quantità di energia. E’ possibile che certi soggetti avvertano mancanza di energia (magari sonnolenza durante i ritiri) per averne precedentemente dilapidata sull’altare della ‘sacrosanta’ rabbia.

D’altro canto, mi sembra che il temperamento collerico sia spesso anche molto energetico e determinato. Prevedibilmente chi si ritrova su questo sentiero di liberazione, con queste caratteristiche mentali, progredirà a prezzo di aspre battaglie.

L’energia è intrinseca all’impegno fisico, e lo sforzo fisico sovente si combina con la rabbia. La coniugazione rabbia – energia segue dei percorsi anche piuttosto articolati.

Ricordo che in un periodo in cui affrontavo delle giornate di lavoro potenzialmente molto impegnative, mi ritrovavo a coltivare pensieri di risentimento durante il tragitto in macchina. I soggetti potevano essere i più disparati. Un soggetto favorito era rappresentato dalle gravi ingiustizie in terra di Palestina. Era un po’ come darsi la carica per affrontare la giornata con la grinta giusta, un fare colazione con la rabbia che, appunto,  aveva anche un sapore …. Di schiuma nel petto.

Caldamente invito a non ripercorrere questi miei precedenti.

Più precisamente la fatica, che è mancanza di energia, sembra essere almeno una puntuale circostanza collaterale allo sbotto di rabbia; e ancora una volta, il soffermarsi sulle sensazioni fisiche, spesso localizzate nelle parti del corpo interessate dallo sforzo, diviene un passaggio chiave.

 

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