Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale

fior_di_loto.jpg (2050 byte)

La Pagoda

fior_di_loto.jpg (2050 byte)

Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo)

 

 

Anno IX n° 1 ( Gennaio - Febbraio - Marzo 2007 )

“Sono già arrivato alla fine e non me ne sono neanche accorto!”

Tra successi e fallimenti, distrazioni e attenzione focalizzata, concentrazione e,  alla prossima,  tra raccoglimento e consapevolezza

di Rodolfo Savini

 

Perché il mio tempo cambia estensione, ora vola, ora sembra non passare mai? Può mutare la sua “durata” a seconda di ciò che mi sta accadendo? Coinvolge l’emotività, ma quale relazione ha con l’attività razionale?

La “durata” cambia continuamente a seconda della prospettiva da cui ne guardiamo lo scorrere. Vale a dire che ci appare più lunga all’inizio di ciò che stiamo intraprendendo, più breve quando ci volgiamo ad essa come qualcosa di già trascorso; quando è un’introduzione o quando è un epilogo.

Il tempo ha in sé una forte connotazione emotiva; così al cospetto della tristezza diviene rimpianto, melanconica nostalgia; al cospetto della vitalità diviene entusiasmo progettuale, creatività. La tristezza ci volge indietro al prima  rendendo nebbioso il dopo, la vitalità al contrario fa calare la propria ombra sul prima  e rende ampio il dopo. Sia nel mondo esterno che in quello interiore nulla rimane immoto e questi stati d’animo possono, incontrando le nostre problematiche interiori o esteriori che siano, subire un cambiamento di rotta.

Per esaminare la “fretta” o meno che ha il tempo possiamo distinguerne uno cronologico e uno interiore. Il senso di “ieri”, “oggi” e “domani” non posso esplicitarlo che alla luce di uno sguardo carico di aspettative più o meno positive. Senza rendermene conto il tempo si dilata o si restringe  nella sua durata. Nel tempo cadenzato dall’orologio, dall’agenda e dal calendario, così logico e razionale possiamo trovare “qualcosa” capace di romperne la struttura compatta, qualunque imprevisto, pur banale che sia, ne infrange la presunta sicurezza.

Il tempo cronologico, con il suo scorrere, è il tempo in cui si sviluppa soprattutto la nostra attività razionale, il nostro progettare ricco di condizioni mai sufficienti a dar ragione dell’imprevisto.  Se non riusciamo a concludere un’iniziativa intrapresa può essere facile attribuire la responsabilità a cause “esterne” che si sono venute a creare e che ne hanno reso impossibile il risultato atteso. La presa d’atto consapevole di tali cause permettere di vedere con chiarezza la lacerazione che è sempre presente tra “io voglio” e “io conseguo”.

Se i progetti vanno in porto il tempo cronologico avvalora la motivazione che viene così rafforzata ma sorge la minaccia dell’orgoglio; se falliscono la demotivazione è alle porte, con le sue oscure conseguenze.

Siamo sempre sottoposti al rischio che la ruota del tempo  ci faccia “partire per la tangente” se non riusciamo ad assecondarne i momenti sempre diversi con cui ci troviamo a confronto. Smussare l’orgoglio serve per comprendere appieno il successo; non farsi annebbiare dalla depressione è uno stimolo a riemergere dai fallimenti.

Conoscere il tempo è viverlo nel suo mutamento, è apprenderne l’insegnamento. Imparare che già basta un atteggiamento superficiale o uno sguardo annoiato per non farci vedere lo “scollamento” tra il progetto e sua realizzazione con la conseguenza di vedere il tempo come uno schieramento compatto contro cui “battersi”. Individuare e riconoscere questo scollamento è trovare uno spazio in cui avviene qualcosa di segreto che non ha a che fare con il prima e con il dopo; è lì, ma non lo vediamo presi come siamo dalle cose.

L’ansia di voler riempire questi spazi fa perdere ai medesimi la loro leggerezza e la loro intensità, li arrugginisce, li soffoca. Ogni passo che compiano diviene allora un peso, una lotta da cui scaturisce un agire disordinato e conflittuale. I nostri passi graffiano la terra e divengono tutt’altro che sicuri, spesso si contraddicono o si impongono, spesso il dubbio li paralizza o la presunzione li esalta, la sfiducia li spegne rendendoli vicoli ciechi o al contrario li rende presuntuosi. Questo sforzo ci fa scordare la meta o comunque ce l’allontana sempre di più. Quindi o vagare qua e là alla cieca o cercare di ridare senso anche a “quel passo” cui ne seguirà un altro e così via: ognuno servirà a mettere meglio a fuoco dove giungere per poterci riposare, prima di ripartire.

La distrazione, cioè un’attenzione focalizzata ma senza determinazione, è apparentemente un buon strumento per ridare vitalità alla mente, per superare quello spazio tra il partire e l’arrivare.  È facile ricordarci in quante occasioni, proprio perché distratti, si sia arrivati a quei risultati che dapprima sembravano irraggiungibili. Quasi ogni nostra esperienza può essere addotta come esempio. Quando si fa trekking si arriva “prima” se nel tragitto parliamo con un amico, quando si è in treno si arriva “prima” se abbiamo un libro interessante sotto mano.  Per molti di noi basta farsi accompagnare da una musica che quel lavoro noioso passa “senza accorgersene”. Se riusciamo a “trasferire” l’impegno che ci è richiesto su “qualcosa” d’altro, al momento “più” interessante, tutto sembrerà più facile. La distrazione è un “dimenticarsi” del tempo. Quello spazio e quel tempo sembrano misteriosamente accorciarsi. Ciò può avvenire anche in un senso “costruttivo”. In un viaggio in macchina, per esempio, la monotonia può essere rotta dal rivolgere l’attenzione, in questo caso già un’attenzione focalizzata, ad un progetto da realizzare con conseguenze brillanti anche se, come “costo”, può rendere più automatica e meno sicura la guida. 

Questa dinamica funziona anche all’opposto. Se su quel treno chi ci è vicino chiacchera a gran voce con un altro o al cellulare ci sarà difficile “distrarci” e quel viaggio sembrerà “interminabile”.  Se si crea un ingorgo imprevisto sull’autostrada, certo non si sarà più capaci di definire progetti e prospettarne sviluppi.

L’attenzione focalizzata può quindi essere capace di farci arrivare “prima”. In certi casi però vorremmo, al contrario, che il tempo non “passasse mai”. In tal caso il punto di partenza e quello d’arrivo sembrano separati da un lasso di tempo”infinito”.  Se un’esperienza è piacevole, infatti, vorremmo protrarla “per sempre”. Questo spazio infinito tra il prima e il dopo viene tenuto aperto da questa forte tensione. Così avviene nell’ultimo sforzo prima dell’arrivo di una corsa, al momento di un esame, ad un paesaggio inaspettato. In questi momenti ci dimentichiamo di ciò che abbiamo fatto e di ciò che faremo. Lo spazio tra il prima e il dopo si dilata e non c’è parola che emerga e a questa dimensione temporale non si può sfuggire anche se la mente fa presto a colmarla con il suo chiacchiericcio, con il ripresentarsi della necessità di un ritorno al mondo abituale popolato di giudizi. In questi momenti di forte intensità allattenzione focalizzata è richiesto un così grande sforzo che è lì lì per incepparsi. Il fluire del tempo rende ogni momento uno scontro con se stesso. Può accadere che davanti a queste resistenze, sperimentate come insuperabili, la mente si rifiuti di “restare” nella situazione ed esploda, con la stessa energia, in direzioni del tutto divergenti, p.es. con un eccesso di rabbia o con un mangiare nervoso. La concentrazione non è riuscita a stare con se stessa.

Se la mente si scopre incapace di distrarsi e ancor più a focalizzarsi su un oggetto/relazione pur fragili che siano, ci si può trovare al cospetto di un’emozione che si spegne e si dissolve nella noia. Siamo davanti a quell’ “Uffa quando si arriva” che sentiamo spesso in bocca ai bambini allorché quel “viaggio" sembra non finire mai. È proprio quando l’attenzione focalizzata fallisce e la mente scivola nella noia che la distrazione perde la sua debole energia e la mente si volge verso una invadente demotivazione con i suoi successivi aggravi. Nel caso della noia infatti la nostra mente perde consistenza  e diviene incapace di “far presa” sulla realtà interna o esterna che sia: quel lasso di tempo tra partenza e arrivo sembrerà una palude invalicabile.

Successi; fallimenti; distrazioni; mente vagante; rischio della noia e della demotivazione; ricorso, più o meno consapevole, ad una “attenzione focalizzata”; la qualità della situazione: modi diversi che cadenzano il nostro procedere nel tempo, fatto di pieni e di vuoti, di certezze e di fragilità, di senso  e di non senso.

L’attenzione focalizzata può  consistere, e in questo si avvicina alla distrazione, in quel motivetto pubblicitario che la nostra mente ha assimilato e che continua a ronzarle dentro facendoci dimenticare così del tempo cronologico. L’attenzione focalizzata può anche sostenere un “pensiero concentrato” capace di riemergere allorché venga sopraffatto. Il tempo viene “indirizzato”. Nulla però ci dice sulla “qualità” di questo pensiero che può convergere sia verso il bene, per sé e per  gli altri, sia verso il male per sé e per gli altri. A questo “pensiero fisso” possiamo dare il nome di concentrazione. Qualità indispensabile sempre, per agire con efficacia, sia al chirurgo per operare con precisione, sia a chi pulisce casa per non rompere nulla. La concentrazione può rivolgersi a qualsiasi oggetto ed è un movimento consapevole della mente per fermare il vagabondare dei pensieri. Con la distrazione tale atteggiamento manca, con l’attenzione focalizzata questa concentrazione può avvenire ma è pur sempre occasionale e non consapevole.

Fluire nel tempo è un andare a “scuola”; è apprendere che nell’inciamparmi trovo un’occasione per imparare a rialzarmi così come nel camminare trovo un’occasione per prestare attenzione a dove metto i piedi. Il tempo è lo spazio in cui coltivare la fiducia nel procedere, che a sua volta aiuta a capire e a sua volta ancora aiuta a gioire. Come è difficile scrivere questa parola eppure dobbiamo farlo perché è proprio nel movimento del corpo, del respiro, del sangue, dei pensieri che abbiamo la possibilità di comprendere che cosa vi sia tra un passo e l’altro: quel delicato equilibrio che abbiamo acquisito nell’arco di millenni e che ormai diamo per scontato. L’equilibrio non è altro che una parola diversa per esprimere l’equanimità, la capacità del retto vedere e quindi di comprendere dove stiamo andando, tra passato e futuro, tra ieri e domani, tra un passo e l’altro, tra un respiro e un altro. Laddove il gong batte per ricordarci che siamo qui.

 

go_back.JPG (3453 byte) INDICE Trimestrale Anno IX n° 1

Località Quercia Grossa, 33 Pieve a Socana 
52016 Castel Focognano ( AR )