Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale
La Pagoda |
Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo) |
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Anno IX n° 2-3 ( Aprile - Settembre 2007 ) |
Il titolo di questa prima conferenza ha proposto di dar modo ai partecipanti, stimolati in questo dai due relatori particolarmente introdotti in questa indagine Tae Hye sunim e Mario Thanavaro, di riflettere sul proprio rapporto con una forma di raccoglimento pertinente alla tradizione buddhista, la meditazione di consapevolezza.
Questo insegnamento, tra le molteplici definizioni di buddhismo come religione, filosofia o scienza, dà importanza soprattutto a quest’ultima. Nella scienza c’è un soggetto che osserva un oggetto, nella meditazione di consapevolezza si fa un passo in più: è sempre il soggetto che osserva ora però se stesso.
Le esperienze nella meditazione si propongono di indicarci come entrare in questo mondo i cui strumenti d’indagine sono da un lato il raccoglimento, cioè una concentrazione che raccolga l’attenzione di per sé dispersiva – pratica che prende il nome di shamata, e dall’altro la capacità, una volta quietata la mente, di osservare con maggior chiarezza i contenuti mentali che la percorrono - questa pratica prende il nome di vipassana .
Questa conferenza ha voluto sollecitare un incontro con questi due “arnesi” dell’indagine buddhista, la pacificazione e la comprensione, tra una pratica che fa assopire l’irrequietezza della mente e l’altra che ne ravviva la capacità discriminativa. pag. 5
dal Dhammapada
Lunga è la notte
per chi non può dormire.
Lungo il viaggio per chi è stanco.
Immersa nell’ignoranza,
lunga e tediosa la vita
per chi ignora la verità.
Lo stolto che sa di essere stolto
ha un pizzico di saggezza;
lo stolto che pensa di essere saggio
è impudentemente stolto.
Come un cucchiaio non può
gustare il sapore della minestra
così è lo stolto che non intende la verità,
pur vivendo per una vita
in mezzo ai saggi.
Come la lingua che gusta
il sapore della minestra
è chi vede distintamente
la verità, essendo stato un poco
in compagnia di chi è saggio.
L’insoddisfazione 10 maggio, spunti introduttivi
Con questa seconda conferenza abbiamo affrontato un argomento che all’apparenza sembra rientrare come ingrediente “naturale” nella nostra vita quotidiana. In realtà su questo stato d’animo Buddha fonda il proprio insegnamento.
L’insoddisfazione non è lontana da noi, non è radicata nell’evento che la suscita è anzi uno dei più frequenti atteggiamenti con cui ci relazioniamo ad ogni aspetto percettivo.
L’insoddisfazione “dipende” dall’incrinarsi di una relazione con l’esterno e con noi stessi: siamo insoddisfatti di ciò che accade, siamo insoddisfatti di noi stessi. Questa riflessione potrebbe condurmi alla conclusione che “dovrei” anziché essere coinvolto dall’insoddisfazione cercare di alimentare, all’opposto, ciò che mi aiuta a sviluppare un senso di compiacimento verso di me e di ciò che faccio. Questo stato d’animo sarà tema di un prossimo incontro perché sia nell’una che nell’altro ci sentiamo “certi” di ciò che proviamo come se fossimo giunti a “decretare” giudizi irremovibili. pag. 6 Spesso però, tornando all’insoddisfazione, non è sempre appariscente. Assai di frequente è un moto sotterraneo che denota un atteggiamento di fondo, quello di avvertirci incapaci sia di “ottenere” ciò che ci interessa sia di “liberarci” da ciò che ci infastidisce. Sorge la frustrazione. Scatta un’energia annebbiante, l’ignoranza, che monta sino a diventare fonte di conflitto, di violenza, sofferenza per noi e per gli altri. La Prima Nobile Verità formulata dal Buddha, quel “Tutto è dolore”, immerge senza pietà la consapevolezza in questo mare di cui cogliamo solo gli aspetti più superficiali. Le sue parole vanno dritte al centro: “Ecco o monaci, la santa verità sul dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che non si ama è dolore, la separazione da ciò che si ama è dolore, non soddisfare il proprio desiderio è dolore: insomma, i cinque aggregati dell’umano attaccamento (corpo, percezioni, sensazioni, abitudini, coscienza) sono dolore”. Da questa intima consapevolezza può sorgere anche la capacità di “osservare” la dinamica dell’insoddisfazione, di apprendere a rivolgere uno sguardo pacato ma chiaro in quello spazio da cui emergono tutti i miei ”voglio-non voglio” che non sono altro che i nostri “voglio-non voglio” e da qui una rete indistricabile di cause ed effetti.
I fiori dal Dhammapada
Mentre l'uomo è impegnato nel raccogliere fiori, la sua mente è preda della distrazione ed egli non è pienamente soddisfatto dai piaceri, allora la morte lo ghermisce.
Così come l'ape raccoglie il nettare dai fiori senza arrecare danni né al suo colore, né al suo profumo, così l'uomo saggio deve vivere nel proprio villaggio.
Non faccia attenzione alle ingiustizie subite, a ciò che gli altri avrebbero dovuto fare o non fare: faccia attenzione piuttosto a ciò che egli stesso deve o non deve fare.
Come un fiore splendido e profumato, così, splendide e ricche di frutto, sono le parole di chi agisce in conformità con esse.
“I miei sì, i miei no” 5 luglio, spunti introduttivi
Una coscienza in divenire
L’ovvietà può divenire un campo di riflessione inaspettato. Ogni momento delle nostre giornate è cadenzato da questo impulso a scegliere, a optare, a preferire.
I miei sì e i miei no, i miei “mi-piace/non-mi-piace” sono l’immediata reazione a ciò che accade ma sono anche l’altrettanto immediato impulso a reagire di conseguenza. Possono essere così mutevoli e fluttuanti, da non dare quasi il tempo di metterli a fuoco. Eppure nella riflessione interiore occorre riconoscere questi tasselli all’apparenza insignificanti ma che danno pag. 7 silenziosamente forma alla nostra coscienza. pag. 8 Senza comprenderli è assai arduo fare il “salto” verso una più profonda relazione con sè e con ciò che è altro da sè.
Questi sì e questi no sono una delle grandi vette della nostra coscienza verso la quale ci affatichiamo a salire ma che sempre di più si allontana. Si allontana perché la nostra mente, di momento in momento, recita sempre lo stesso copione. Attaccamento, avversione, confusione ci hanno spinti fin qui e ancora attaccamento, avversione e confusione ci spingono a procedere, non diversi in questo da quel mulo bendato che fa girare la macina e nella sua ignoranza pensa di essere arrivato a destinazione.
Dietro ai miei sì e i miei no c’è la mia storia, quella del mio corpo, aggregato di molteplici elementi, ci sono abitudini e giudizi radicati nel mio corpo, c’è il deposito di avversioni, attaccamenti, confusioni, ci sono impedimenti che distraggono, c’è quella perenne amarezza di veder invecchiare ciò che è nato, c’è il peso della nostra ignoranza che vela e rende incomprensibile ciò che accade.
Un cambiamento potrebbe avvenire se ci rendessimo conto di quanto siano inquinati i nostri sì e i nostri no. La mia azione (fisica– emotiva-mentale) potrebbe cambiare, potrebbe diventare una “azione appropriata”, cioè tale da interrogare ogni momento, ogni attimo delle mie giornate per chiedergli: “E tu chi sei? Da dove vieni? Fatti riconoscere, sei la solita avversione, sei il solito attaccamento sei la solita confusione mentale: ti ho riconosciuta”. Potrà continuare a fare il suo gioco ma sarà sotto il riflettore attento di una consapevolezza che vuole conoscere, che non giudica, che sa accogliere e amare ciò che ogni attimo le regala.
La mente dal Dhammapada
La padronanza della propria mente,
ribelle, capricciosa e vagabonda,
è la via verso la felicità.
Il saggio osserva continuamente
i propri pensieri,
che sono sottili, elusivi ed erranti.
Questa è la via verso la felicità.
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