Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale
La Pagoda |
Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo) |
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Anno VII n° 1 - 2 ( Gennaio - Giugno 2005 ) |
Impedimenti, oltre ed altro
di Ludovico Petroni
L’ascolto/osservazione
ci consente di non reagire allo stato d’animo. La non reazione, la non
interferenza dell’io fa si che la malerba non si riproduca. Le erbacce nel
giardino del nostro cuore si
riproducono solo grazie alla nostra reazione, come se l’io ne confermasse
l’esistenza e contemporaneamente approfondisse il solco della nostra
abitudine, alias attaccamento,
al giochetto che abbiamo prestabilito con quel certo stato d’animo.
Sarebbe
opportuno riferirsi ai moti dell’anima come se non ci appartenessero: “c’è
rabbia” invece che “sono arrabbiato”, “c’è desiderio” invece che
“io voglio”.
Per
poter applicare il linguaggio verbale a questa consapevole non interferenza
occorre cercare parole molto sottili.
Vogliate
perdonare l’introduzione di termini inglesi, dovuta al fatto che in questo
periodo, la diffusione del Dhamma raggiunge la nostra latitudine prevalentemente
attraverso la lingua occidentale più diffusa in Asia.
Il
termine “let it go” = “lasciar andare” è usato molto spesso ed indica
in modo soddisfacente una nostra non interferenza nei confronti di un
impedimento che è sorto, al momento disturba la mente nel suo tentativo di
raccogliersi, e che, senza una nostra reazione, semplicemente se ne andrà.
Mi
sembra che “lasciar andare” indichi anche una direzione generale dello
Sviluppo Mentale cui siamo tranquillamente appassionati: il nostro progredire
non è caratterizzato dall’acquisizione o dall’accumulo di qualcosa come la
conoscenza o il potere. Ma è, se
mai, caratterizzato dallo sminuirsi della tensione, dell’attaccamento, della
rigidità, dell’egoismo, dallo smorzamento, dalla riduzione e finalmente
estinzione della rabbia, dell’avidità, dell’inquietudine,
del torpore e del dubbio. Questi sono appunto i cinque impedimenti
che stiamo lasciando andare .
Lo
Sviluppo Mentale o Spirituale consiste nel ridursi, non nell’amplificarsi.
In
Asia circola un detto: “grande EGO, poco rispetto, tanti problemi, piccolo
EGO, molto rispetto, pochi problemi.” E l’EGO in questione a volte mi sembra
seriamente concretizzato di impurità mentali, tanto che se quest’ultime
evaporassero, non vedo cosa potrebbe rimanere, se non quelle qualità mentali di
cui il rispetto è la punta dell’iceberg e che naturalmente prendono campo in
clima di purezza.
Molti
di coloro che hanno fatto esperienza di ritiri intensivi in silenzio hanno
incontrato almeno uno o più impedimenti in modo inequivocabile se non
addirittura violento. Cioè si sono ritrovati travolti da una intensa emozione
(ad esempio avversione rabbiosa) costantemente alimentata da un turbine di
pensieri, tra l’altro, spesso sempre gli stessi, che forse abbandoneremo il
giorno in cui ci avranno annoiato abbastanza. Chiameremo questa condizione
mentale, che molti meditanti hanno sperimentato, “SPINNING”, da “girare
intorno”. Si tenta disperatamente di uscire dal vortice ossessivo, magari
riconoscendone la penosità, ma ci si ritrova ancora ed ancora risucchiati al
suo interno in una spirale di cui si vede la via d’uscita solo saltuariamente.
Si
sta facendo una eccezionale conoscenza dell’attaccamento,
che funziona da tensione e carburante dell’impedimento che ci assilla.
Per quanto l’esperienza di una tale tempesta possa essere deprimente e possa
sembrare stridente dentro il contesto di raccoglimento cui saremmo intenzionati,
la fase di spinning può rivelarsi un valido, prodigioso momento di crescita,
poiché è, in senso molto letterale, che le impurità si superano
attraversandole. Più forte è il turbine che ci travolge e maggiore è il
quantitativo di attaccamento/tensione/carburante che ci sta lasciando, e le
tempeste saranno destinate a diminuire di intensità e di frequenza se
riusciremo a restare alla barra del timone anche solo con due dita. Due dita di
consapevolezza per non reagire.
Cercate
di perdonare il linguaggio bellico. La fase di spinning è sentita come una vera
battaglia per ritrovare una via d’uscita dal circuito dei pensieri ossessivi.
Oltre all’arma della consapevolezza con cui cerchiamo di avvicinarci
all’ideale di “ io semplice testimone non identificato” e che si aiuta
osservando le sensazioni fisiche prevalenti nel corpo, l’altra arma che
caldamente evidenzio è un uso sempre più magistrale e massiccio della
Compassione. I pensieri che ci disturbano possono esser piegati verso la
Compassione. Compassione verso tutti gli attori del film in onda, ma anche verso
l’attore principale: me stesso, in ovvie innegabili difficoltà, nel bel mezzo
di una tempesta interiore; Compassione per le ragioni remote e a monte che
procurano il tumulto attuale, e che spesso è un visitatore abituale della
nostra vita quotidiana, cioè fuori dal contesto del ritiro intensivo. Dal
momento che, nel profondo del nostro silenzio e della nostra solitudine,
semplicemente s’incontrano con acuta intensità e chiarezza i demoni grandi e
piccoli che affliggono l’esistenza nostra e non solo.
Quindi,
verso la Libertà vola un uccello le cui ali sono Compassione e Consapevolezza.
Dal
momento in cui, nell’apertura con genuino interesse agli impedimenti consiste
un effettivo progresso verso una maggiore confidenza intima, diviene opportuno
segnalare quei posti all’inizio e lungo il percorso spirituale ove lo
smarrimento può aver luogo. Voglio
innanzi tutto riferirmi all’idea per cui un atteggiamento di non reazione agli
impedimenti e alle impurità mentali note coincide con il non far niente di
niente: con qualche conoscenza teorica e vaga della tecnica di Liberazione, si
giustifica un comportamento totalmente lassista ed un non iniziare pratica
alcuna, perché “niente” è la miglior cosa da fare, il “vuoto” c’è
già, perché corromperlo con una pratica così innaturale poi.
In
realtà, il tentativo di essere semplici testimoni non interferenti delle
pulsioni che stiamo sperimentando trova posto nell’ambito di un impegno di
grande motivazione, di raccoglimento e di rinuncia extra ordinarie, se
ordinariamente siamo debilitati dall’abitudine all’effimero soddisfare un
crescente numero di desideri.
Un
‘ampia riflessione deve concernere l’uso della Compassione, quale qualità
più frontale alla più essenziale Verità del Dolore. Una pratica meditativa
estranea alla dimensione della Compassione è conseguentemente distante dalle
Quattro Nobili Verità. Nell’auspicare che ognuno possa appassionarsi ad un
uso sempre più magistrale del “sentire con”, e che ciò non coincida col
guardare là, a quelli laggiù che soffrono da una certa distanza, che diviene
lo spessore dell’involucro che ci separa dagli altri esseri. Quindi calda
vicinanza, prima con le persone “facili”, gli amici, i familiari, poi le
persone neutre e infine le persone più difficili, quelle con le quali il nostro
cuore non si sente in sintonia, fino ad abbracciare tutti gli altri esseri
viventi. Finchè si scopre che abbracciare tutti gli altri esseri non include
esattamente tutti. C’è una persona per cui la “calda vicinanza”, la
condivisione di sofferenze grandi o di disagi sottili, sembra più inusuale.
Quella
persona siamo noi stessi.
Compassione
per se stessi è il titolo iniziale del ciclo della Luce, il primo piede posato
sul più affascinante dei pianeti, il primo passo di un viaggio che appare a
portata solo all’inizio, come una “fata Morgana”, poi ci si scopre così
lontani dalla meta, ed è allora
che si comincia a procedere sul serio nel coltivare il proprio cuore, che è
l’unico a portata di mano, nell’epoca in cui non c’è altro che si possa
fare.
Se
le Nobili Verità fossero solo due e non quattro, la Compassione sarebbe la
molto più comune e meno nobile “autocommiserazione”: l’insano gusto di
indulgere in un rapporto rassicurante per quanto notoriamente infausto,
illusoriamente impermanente e senza speranza. Mentre invece la nobile
Compassione è coronata da una via di uscita alla sofferenza.
La
Compassione da coltivare è venata dalla fiducia che tutte le affezioni, quelle
note e quelle che ancora non conosciamo, proprie ed altrui,
sono materiale a perdere e che la loro natura muterà, anche se noi non
lo volessimo.
(articolo
precedente trim. n°4 anno 2004 – segue sui prossimi numeri)
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