Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale
La Pagoda |
Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo) |
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Anno VI n° 1 ( Gennaio - Febbraio - Marzo ) |
AMICIZIA:
dimensioni di un’esperienza di
R. Savini
Talvolta
mi sembra di essere incapace a “stringere” amicizie. Vedo spesso persone
che si ritrovano con gruppi ampi di amici per fare progetti e dar vita ad
iniziative. Anche a me capita di partecipare a queste attività ma avverto che
ciò che mi spinge in tali direzioni è un “motivazione temporanea”.
Questo interesse si accende in vista di un progetto comune, sembra attivarsi
ma però si conclude con il dissolversi di ciò che l’aveva animato.
Un’escursione, un viaggio, una serata a ballare, una gara, un ritiro,
possono servire ad aprire l’isolamento individuale, a creare la relazione.
In questi casi è altrettanto facile dischiudersi come, al contrario,
richiudersi nuovamente nel proprio isolamento. Infatti da un lato l’io può
disciogliersi nella molteplicità del “noi-gruppo” e anche la relazione può
allora coinvolgere e creare entusiasmi forti, dall’altro però il rischio
della superficialità può essere
sempre latente. La chiusura su se stessi può svilupparsi in quella
“malattia egoica” che, spesso neanche notata, lede e sgretola la
coesione del gruppo.
Spesso
il gruppo può crearsi a partire da “motivazioni profonde”, radicate nei
singoli e quindi ben diverse da quelle “temporanee” di cui si è detto; è
chiaro allora che può crescere questa dimensione profonda, quell’incontro
più ricco in qualunque progetto si intraprenda. In tali casi l’incontro
assume una risonanza che coinvolge i diversi partecipanti ma che può rendere
“meno dinamica” la relazione. L’interiorizzazione individuale, motivata
e sincera, si scopre profondamente radicata nell’intimità del singolo e
l’apporto di “compagni di viaggio” che condividono la spessa esperienza
di silenziosa solitudine, di “spirituale egoismo”, può trovare difficoltà
ad aprirsi con altrettanta spontaneità e immediatezza all’incontro con gli
altri: il “saper tacere” non riesce a tradursi in un “saper
scherzare”, la determinazione non diviene spontaneità giocosa.
Una diversa motivazione dell’amicizia è quella che si può stringere in modo più stabile tra un numero ristretto di persone che condividono atteggiamenti psicologici comuni, in cui prevale cioè la similarità. Lo stesso atteggiamento può manifestarsi anche per motivi opposti, la profonda differenza nel carattere può dar vita all’esigenza di integrazione.
In
entrambi i casi capita di passare insieme un “tempo senza confini”,
dimenticandosi delle propria individualità, integrandosi pienamente.
Questi
livelli dell’amicizia mi sono sempre risultati difficili. Pur provando una
profonda simpatia per questo o quell’amico, spesso avverto dentro di me,
qualora si esaurisce un certo livello di conversazione, una sottile ansia nel
cercare un’altra tematica o qualche altra sollecitazione che sia capace di
rivitalizzare la conversazione e con essa il contatto interpersonale. Da un
lato questa sensazione potrebbe essere un’ottima occasione per fare quel
“salto” verso un approfondimento interiore, dall’altro invece potrebbe
spingerci a far riemergere tutta quella rete di parole-immagini-sensazioni che
riconducono alla superficialità relazionale.
Sembra
naturale che questo problema scaturisca dalla difficoltà
a vivere con spontaneità i “diversi momenti” del rapporto, ad
aprirsi completamente all’amico, come capita invece ad una persona con cui
si è in relazione da più tempo, allora i silenzi sono accettati con
spontaneità e naturalezza. In certe relazioni a due può capitare che il
rapporto diventi più difficile, che emergano momenti di silenzio tali da
esprimere indifferenza più che condivisione.
Quel
“vuoto” che si crea nel dialogo può permettere di confrontarsi con uno
dei tanti volti con cui l’ansia si manifesta: la difficoltà a superare la
distinzione io-tu attraverso il dialogo. Anche se in certi momenti questo
“abisso relazionale” sembra superabile, lascia però facilmente un margine
che scaturisce dalla “fluidità” del rapporto stesso. L’io proprio e
quello altrui possono sprofondare nella solitudine di una individualità
estremamente povera.
Un’occasione
importante è quella di “accorgersi” di questo baratro interpersonale e,
anziché sfuggirne il ghiaccio o volerlo superare artificiosamente, prendere
coscienza che proprio in questa dimensione il rapporto io-tu può veramente
acquisire un significato diverso. Il significato relazionale non risiederebbe
nè nel mio “io” né nell’altrui “tu”, bensì proprio in quello
spazio che è vero che separa da un lato, ma dall’altro unisce.
In alcune esperienze di forte dolore, la comune condizione può più spontaneamente disciogliere le resistenze individuali e aprire spazi di solidarietà in cui l’io-tu si trovano abbracciati nell’esperienza fortissima dell’ “essere-insieme”. Nulla garantisce che ciò accada sempre e necessariamente, basta però che uno degli interlocutori si sia confrontato con la propria interiorità e con la sua connessione con l’ansia relazionale io-tu-noi, che le divisioni divengano meno tenaci e più facilmente, anche se spesso per poco, si disciolgano. Il “parlare di sé” in condizioni di grave malattia mette a nudo tutta quella rete di progetti che sovraccaricano l’io coinvolto dal “fare” esteriore. Il confronto con l’altro può aiutare entrambi ad accorgersi che qualcosa scricchiola nelle proprie certezze: sono proprio le resistenze dell’io ad aprirsi a ciò che lo pervade dentro e fuori da sé. Si apre lo spazio al di là di ogni confine, al di là di ogni parola. Emerge quel gesto, quella stretta di mano, quell’abbraccio che è condivisione. Da questo “silenzio che unisce”, nonostante il rumore del mondo e quello che pervade la mente, può sgorgare, sorgente riscoperta, un sorriso che non è contingente, un entusiasmo che è fiducia. Può emerge la gioia del partecipare insieme, attimo per attimo, ad un’avventura che non richiede viaggi in Paesi lontani o attività spericolate, ma l’accorgersi che, qualunque cosa si faccia, siamo immersi nel “gioco del vivere”, ove ogni momento sprigiona la propria ricchezza. Soprattutto quando ci si trova al confine della vita, quando la malattia sembra fermare quella ruota che gira, ci si può accorgere, senza scampo, che nella povertà dell’attimo vi è l’entusiasmo sconfinato del Tutto.
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