Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale
La Pagoda |
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Anno VI n° 2 ( Aprile - Maggio - Giugno ) |
Ricordi di scuola, verità di oggi: un percorso difficile tra l’autoritarismo, l’autorità e l’autorevolezza
di
Rodolfo Savini
Un
ricordo sorto per caso da una lontana esperienza sui banchi di scuola. Come si
può coltivare l’insegnamento di tante guide spirituali che ci inducono con
tranquillità e tenacia, nonostante la pesantezza del nostro cuore, a vedere
ciò che sfugge al nostro sguardo? Quanto spesso smarriamo quel semplicissimo
e banale incontro con il presente, che è già pienezza inesauribile in sé.
Il presente è semplicissimo poiché non richiede tecniche ma un
semplice osservare le cose come sono e sono così proprio perché racchiudono
ciò che sono state e ciò che saranno. Il presente è banale perché,
incontrandolo, non sappiamo riconoscerlo a causa della nostra ignoranza. Se vi
riuscissimo saremmo capaci di scoprire ciò che quel docente ci diceva
guidandoci lungo quel percorso che volge verso l’autorevolezza. Non siamo in
grado di avvertire le risposte a certe questioni di vitale importanza,
anche se ci vengono date ogni momento, poichè dentro di noi non abbiamo
ancora scoperto l’organo in grado di decifrarne i messaggi. Così non
mi ero più posto il problema del rapporto tra autoritarismo, autorità e
autorevolezza, ma ora quegli insegnamenti mi tornano in mente con la loro
forza.
Come
fare a immergerci in quella profondità in cui i conflitti divengono occasione
per un forte abbraccio pacificatore, anziché alimentarne altri? Dentro di noi
e intorno a noi violenza e dolore
hanno posto le loro radici. In noi, con le innumerevoli violenze che facciamo
alla nostra libertà e al nostro desiderio d’amore, intorno a noi con i
conflitti che travolgono uomo e uomo, città e città, regione e regione, le
culture tra loro, gli Stati tra loro. Possiamo dare un giudizio su queste
tempeste? Le loro minacce scaturiscono da motivi diversi o qualcosa le tiene insieme?
Su quali è opportuno intervenire dapprima? Si possono affrontare insieme
perché l’una non è altro che lo specchio dell’altra? Sembra proprio una
condanna, un triste destino alimentato da avidità, rabbia e confusione dentro
e fuori di noi. La domanda oggi si è fatta più intensa.
Non
possiamo rispondere con indifferenza a ciò che capita dentro di noi, intorno
a noi. Talvolta il nostro passo è troppo veloce perché si possa
fermare a guardare e il comportamento ne subisce le conseguenze, perde
il proprio baricentro. È un’onda che travolge interiorità ed esteriorità.
Dobbiamo soffiare di più così da permettere alle nostre onde si travolgere
le altre? È la strada battuta dall’autoritarismo, che risponde alle
contraddizioni della realtà creandone altre più violente. Vorremmo fermare
queste onde ma non ne siamo capaci. Possiamo percorrere le strade con le
nostre bandiere di pace, ma tutto si dimentica troppo facilmente nel rumore
della quotidianità. Fare appello all’autorità appare la soluzione
più praticabile, più sicura: far sì che il vento soffi uniformemente sotto
l’egida della giustizia nazionale e internazionale codificata nel tempo. Ma
siamo sicuri che questa giustizia non sia la giustizia degli Stati più
potenti? Si ricorda dei Paesi poveri? Di quelli in cui il lavoro è
sfruttamento? È questo uno squilibrio che può mettere in discussione i
nostri parametri di giustizia, i nostri criteri di autorità. Ci si
potrebbe anche “educare” a soffiare con più leggerezza, a tramutare il
nostro soffio in canto? L’autorevolezza ha questo suono, è la
fiducia che sgorga da un’esperienza. Il vento, che increspa il mare
del mondo e delle coscienze, si può placare nella misura in cui prestiamo uguale
attenzione alle onde e al soffio del vento, a ciò è dentro e a ciò che
è fuori di noi. Solo da questa unione potrà nascere qualcosa di nuovo. L’autorevolezza
vuol dire saper affrontare i problemi che travolgono la società da una
prospettiva diversa, né con quella della reattività prepotente
dell’autoritarismo, né con la formalità fredda ed inerte dell’autorità,
ma con quel calore che scaturisce dall’aver scoperto veramente la capacità
di saper guardare attimo per attimo in due direzioni potendo così
tenere insieme, in quell’unità che è la creatività dell’amore, ciò che
è già insieme ma che l’uomo ha separato nel momento in cui
l’attaccamento, l’odio e l’illusione hanno preso possesso di lui.
Questa
consapevolezza dà vitalità alla più radicale di tutte le libertà, quella
di aderire perfettamente al reale nella sua mutevolezza. Può darsi che
rimanga un sogno per molti di noi che preferiscono ricorrere alla chiarezza
fornita dai cliché abituali. Ma così non era per quell’insegnante che sui
banchi universitari ci faceva riflettere su questi temi, presentandoceli non
come un “io sono così”, ma come un oggetto prezioso che scopriamo in
mille modi sfaccettato. Ecco il volto di quell’autorevolezza che sa
guardare, violenze e debolezze contemporaneamente e si accorge che, per
essere veramente giusti, non li si può guardare come due nemici schierati in
battaglia, ma come parti di una dimensione sconvolgente in cui il violento non
è solo lì, non è solo lui, ma sono anch’io per tutte le volte che ho
ferito l’altro. E il debole sono ancora io, allorché sono stato ferito.
Solo se sarò in grado di vedere contemporaneamente questi diversi
volti della realtà, la mia azione potrà essere autorevole. Da questa
dimensione profonda, che è nutrimento essenziale della nostra coscienza, non
emerge una tolleranza che taccia davanti al sopruso. È solo che
questi eventi non innescano più il meccanismo della rivalsa. La
motivazione sarà alimentata allora da un’attenzione che travalica la
giustizia umana, sarà sostenuta da un guardare aperto che sappia
comprendere l’equilibrio sfuggevole tra chi sopraffà e chi viene
sopraffatto e che sappia di conseguenza agire creando ciò che non è né
sottomissione né prevaricazione. Si apre il sentiero di una pace che non si
spegne e che, dopo averla incontrata, non si dimentica. Per edificare questa
pace si pot
rà
anche procedere aggiungendo mattone a mattone lungo la strada della legalità,
ma se ciò avviene su un terreno fatto di egoismi, privati e collettivi, la
nostra costruzione potrà facilmente vacillare. È per questo che è allo stesso
tempo necessario trovare anche un’altra sorgente per il nostro agire
che scaturisca da una esperienza
soprattutto individuale che ti
scuota così profondamente nell’intimo da farti incontrare con quella paura
radicale, con quella piccolezza esistenziale che ti induce al silenzio:
un’esperienza che ti manifesti come la vita, il “senza-morte”, superi la
morte stessa. È l’incontro con qualcosa che trasforma la realtà: la
sorpresa per una bellezza diversa da quelle cui siamo abituati, una
bellezza che diviene “Pace che contagia”. Se saremmo in grado, ogni momento,
di purificarci con quel silenzio, il nostro sguardo sul mondo potrebbe,
inaspettatamente, aprirsi. Gli egoismi potrebbero diventare meno tenaci e le
oscure ombre del fanatismo, pronte a insorgere ancor più pericolose e violente
di qualsiasi autoritarismo, meno minacciose. Pensiamo a queste domande e
scriviamoci.
“All’udire
il vero insegnamento il cuore ricettivo si fa sereno come un lago, profondo,
limpido e silente” (Dhammapada,
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