Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale
La Pagoda |
Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo) |
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Anno VI n° 3 ( Luglio - Agosto - Settembre ) |
Solo paura
di
Rodolfo Savini
Cerco le radici profonde di questa violenza così tremenda che si
rovescia su di me, su di noi, dalle relazioni interpersonali, alle notizie
televisive, dalle tensioni sociali, ai conflitti religiosi, economici e politici
e quanta ancora ne potrebbe esplodere.
Un brivido gelido di paura, una paura radicale che suscita per
risposta stratagemmi ormai sperimentati per soffocarla e reprimerla. Sappiamo
che lasciarsene trasportare non è una novità, è quello che sempre abbiamo
fatto nel corso della nostra storia: una storia in cui la pace sembra
un’eccezione, travolta da un mare di guerre.
Costruiamo i nostri “muri” fatti di regole, di comportamenti
stereotipati, di leggi. Possiamo essere così acuti nel costruire queste difese
che talvolta possono sembrare veramente efficaci contro le nostre e le altrui
aggressività.
Nelle democrazie occidentali sembra che, lungo il difficile e
aspro sentiero del progresso, siano state via via debellate queste paure e che
l’uomo e le società abbiano acquisito oggi veramente il senso della libertà
e del rispetto reciproco. Purtroppo queste ombre continuano a persistere nello
spazio oscuro della nostra coscienza e dei nostri popoli e da lì limitano le
potenzialità di apertura, di un confronto sincero, sfalsano la visione
delle cose, ma intanto logorano la nostra presunzione.
Non possiamo aspirare ad una pace autentica, alla pace come
valore, reprimendo e soffocando una parte di noi, come non ci riusciremo
commettendo le più atroci violenze su chi la trasgredisce. Tutto ciò che
costruiremo, dentro o fuori di noi, avrà sempre purtroppo un sapore
“formale”, qualcosa di precostituito, un “modo d’essere” da applicare
ad una realtà che tuttavia ci sfugge.
L’esperienza interiore aspira a veder emergere qualcosa di
nuovo rispetto a ciò che nasce già scontato, qualcosa che non scaturisca da
quell’io egoista, individuale o sociale che sia. Come si spengono facilmente,
però, queste piccole luci di libertà se non si ha il coraggio impossibile di
“fare i conti” con tutte le immagini, con tutti gli impulsi violenti e
aggressivi (ma anche fiacchi e remissivi) che soggiacciono dentro di noi.
Fare i conti non vuol dire necessariamente dare uno sfogo a
queste pulsioni, come già altre volte abbiamo fatto e faremo, potrebbe volere
dire anche avere la capacità di
“lasciarle uscire, osservandole”. Quest’esperienza procura sofferenza, il
dolore di togliere, al di là di ogni anestesia, quel nodo che soffoca la nostra
parola, farlo passare attraverso la nostra coscienza, avvertirne tutto il
disgusto che porta con sé, e vomitarlo. Senza smettere di contemplarne il
segreto che nasconde: a vedere bene forse quel nodo in gola potrà essere un
nuovo carbone, un nuovo petrolio, una nuova fonte di energia che con tutto il
suo cattivo odore potrà far andare il mondo lungo quei sentieri che solo di
rado ha finora percorso.
Un’aspirazione impossibile per quella coscienza che, così
povera, viene sempre più spesso soffocata dai “devi”, rapita dal
“tempo”, travolta da una miriade di “informazioni”.
Può darsi che questa sia la più affascinante delle scommesse
con la nostra età, sappiamo che se perderemo ci troveremmo semplicemente
immersi in quella realtà in cui è una tremenda illusione perdere o vincere e
in cui, in ogni caso, vi saremo rimasti, oppressi dalla nostra stessa
superficialità.
Riuscire a sciogliere quel
nodo è trovare energia d’amore,
di comprensione, di compassione per tutti quegli esseri che ne sono stati
soffocati, più o meno ignari. Vuol dire ridare libertà, sciogliere catene che
sembravano indissolubili. Laddove tutto sembrerebbe privo di linfa, vedere
fiorire volti, sorrisi, abbracci: un big-bang fatto di amore che trasforma, non
di ignoranza che distrugge.
Ecco il temporale sciogliersi in nubi che fanno trasparire una
luce che riscalda, che incoraggia, che sospinge a proseguire. Accade
“qualcosa” che è troppo grande per l’io e per il mio, che sfugge a
regole, leggi, convenzioni sociali. Quella colla del samsara che, come
mosche, ci appiccica all’ignoranza sembra perdere consistenza.
Avere la semplicità di
guardare in questo modo è forse la più grande benedizione che la vita possa
donarci. Accorgerci che le nostre mani sono così vuote che non vi rimangono, né
violenze, né paci, né aggressività, nè amori, né eserciti, né chiese: non
tratterranno nulla di ciò che è conosciuto e proprio perciò si accorgeranno
stupite di essere ricolme di ciò che è sconosciuto: di quell’equanimità che
sola può donare pace.
L’orrore di guerre, violenze, omicidi non potrà scomparire da
questo mondo: è il frutto inarrestabile dell’ignoranza che ci ha sospinto dai
tempi dei tempi e che ancora persevera:
“Tutto è dolore”. Sì, drammaticamente resterà, ma sempre più
aperto sarà il varco per chi si accorgerà che la compassione sa capovolgere
l’immane peso del samsara e trasformare, ciò che da sempre ha legato,
in quella comprensione di cui tutto ha una tremenda e inesauribile sete.
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