Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale

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La Pagoda

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Località Quercia Grossa,33 -Pieve a Socana 52016 Castelfocognano (Arezzo)

 

 

Anno VI n° 4 ( Ottobre - Novembre - Dicembre )

Impedimenti 

di Ludovico Petroni

 

In quel tempo risiedevano in una caverna posta in alto su di una rupe molto tranquilla, piuttosto lontana dai sentieri degli uomini e di difficile accesso.

Da lassù, facilmente il Buddha ed il fido Ananda potevano sapere con largo anticipo degli eventuali visitatori che tentavano la scalata e che raramente potevano disturbare i due asceti impegnati nella loro reclusione dalla frenesia del mondo e dei suoi stimoli.

In una bella mattina tranquilla in cui tutta la natura, con i raggi del sole ancora tiepidi, con i canti degli uccelli ed i fruscii delle foglie sembrava voler partecipare alla serenità della mente, Ananda scorse niente di meno che Mara che stava salendo.

Mara è l’impersonificazione del male, il cui ruolo è destabilizzare, disturbare con i suoi trucchi la mente degli asceti e avvelenare la vita degli uomini. Già era stato sconfitto con tutte le sue armate nella notte dell’illuminazione, ma mai si darà per vinto finchè il respiro fluirà.

Allarmatissimo, Ananda  si rivolse all’Illuminato: “Signore, signore, Mara sta arrivando, prepariamoci a fuggire o a combatterlo”.

Il preoccupato impeto del povero Ananda fu accolto nella freschezza e nello spazio ormai consueto lasciato libero dai pensieri, dagli attaccamenti, dalle afflizioni, purificato da una consapevolezza attenta e ormai costante: “Che il venerabile Ananda prepari del tè” sentenziò l’Illuminato.

E, ancorché intimorito, Ananda si preparò ad accogliere il loro peggior nemico come e meglio di quei visitatori che sporadicamente salivano all’eremo con le migliori intenzioni.

La tazza di tè spiazzò totalmente Mara. Rimasto ormai senza più appigli per scatenare le sue insidie, ben presto si ritrovò disarmato dalla benevole accoglienza e finì per confidarsi come un vecchio amico: “ Non crederete mica sia piacevole penetrare il cuore degli uomini con l’odio, con l’invidia e con l’avversione. Non crederete mica sia facile tenere acceso il fuoco del desiderio, dell’avidità, dell’inquietudine e della paura. Non crederete mica che mi esalti gettare la coltre del torpore perché il viandante non possa vedere il sentiero per la liberazione, o che sia semplice riuscire ad elaborare con successo le sottili esche che istillano dubbio ed incertezza nei cuori. Io non sono in pace mai!”

Certo che no.

Questa storiella può ben illustrare  quella che può essere la giusta attitudine da adottare nei confronti di qualunque stimolo o stato che coinvolga la mente in modo più o meno rilevante, sia durante i periodi di pratica meditativa formale che altrimenti.

Mi sembra importante saper riconoscere il tipo di condizionamento o pulsione attivo nella mente al punto da poter disturbare la formale pratica di sviluppo di concentrazione e consapevolezza. Per facilitare l’opera di individuazione, ciò che disturba la meditazione (e altresì inquina le nostre vite) è stato suddiviso in cinque categorie distinte e singolarmente più riconoscibili chiamate Nivaranas in Pali, tradotte con hindrances generalmente in Inglese.

Mi piace specificare che lavorare con le Nivaranas o hindrances è la chiave per far si che la propria pratica meditativa risulti efficace per migliorare la nostra vita quotidiana di comuni occidentali, che magari neppure aspirano a mete di liberazione finali.

 Credo che attribuirle un nome adeguato per il modo in cui impareremo a trattarle sia un buon inizio. Adotterei quindi, preferibilmente, il termine “impedimenti” piuttosto che il termine “nemici”, che implicitamente evoca un moto ovviamente avversivo. “Impedimenti”, quindi, che magari contribuiscano alla nostra crescita introspettiva nell’impegno che metteremo per superarli, letteralmente penetrandoli e non “ostacoli” insormontabili, di fronte ai quali rinverdire il paralizzante motto “non ce la posso fare” e quindi bloccarsi.

L’attitudine a non opporsi avversivamente, nè a fuggire, come sarebbe impulsivamente avvenuto per il venerabile Ananda, sembra un moto generale e trasversale di tutta la pratica buddista, uno dei riflessi della cosiddetta Via di Mezzo, dove il “giusto sforzo” nella pratica è paragonato all’accordare uno strumento musicale, che emetterà buona musica solo se le corde non saranno troppo tirate nè troppo allentate. Oppure, come evidenziato nella parabola dell’asceta Siddharta, che mortifica il suo corpo in modo quasi terminale, finchè, giunto allo stremo, capisce che la sua pratica contemplativa sta degenerando e decide di interrompere l’eccesso del suo ascetismo accettando il riso e latte offertogli dall’umile pastorella Sujiata, senza la generosità della quale oggi saremmo una specie senza speranza. Proprio grazie a quel cibo  Siddharta troverà l’energia per la conquista della Liberazione finale.

Anche tutti i passaggi dell’ottuplice sentiero sembrano essere “giusti” nell’evitare gli estremi. Qualcuno ha paragonato il viaggio verso la liberazione alla discesa di un tronco lungo la corrente di un fiume. Il tronco entrerà nell’oceano solo se eviterà di impigliarsi in una delle due rive: l’avversione o l’accondiscendenza.

Nella pratica meditativa si cerca proprio di trattare ciò che ci “impedisce” di stare con l’oggetto di meditazione senza reagire con l’abituale risposta all’accondiscendere, magari lasciando che i pensieri e le fantasie che si affacciano alla mente prendano campo e senza che ad essi si risponda con opposizione, avversione, contrarietà, negazione.

La via di uscita è l’osservazione attenta di ciò che sta accadendo nella mente-corpo.Un turbine di pensieri negativi spazza via la nostra meditazione?! Benissimo, guardiamo cosa cova sotto: cosa c’è sotto quei pensieri, quali sensazioni si sviluppano in contemporanea, dove, in quale parte del corpo si sviluppa la tensione (ancora non so dire se nasca prima la sensazione o il pensiero, ma l’idea che una sensazione originaria spiacevole dia il via al turbine di pensieri avversivi mi intriga parecchio).

La scoperta di certe sensazioni rilevanti per quanto riguarda la loro interdipendenza con stati mentali cronici disturbati, magari avversivi , può aver luogo anche dopo una lunga pratica, come riferisce Dyane Rizzetto, che solo recentemente ha scoperto una sensazione spiacevole allo stomaco, tipo “sfregamento di carta vetrata”, che c’è sempre stato. Personalmente faccio un lavoro di fatica, la stanchezza mi si è abitualmente associata all’irritabilità, la rabbia, il malumore anche devastanti; forse l’ho sempre saputo, ma l’individuazione precisa delle sensazioni fisiche relative alle suddette circostanze è avvenuta solo a distanza di oltre dieci anni dal primo ritiro di meditazione e da almeno cinque dall’inizio di una pratica quotidiana continuativa. Comunque vada,  se prima o poi vi scopriste adatti a calarvi al di sotto del pensiero discorsivo e dei suoi intrighi, provate a ricercare quali sensazioni albergano proprio nel vostro cuore, nel centro di voi e, quando vi scoprite coinvolti in stati d’animo sottili al punto da non essere definibili a parole, cercate di riconoscerli per come si manifestano nel vostro cuore.

   

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Località Quercia Grossa, 33 Pieve a Socana 
52016 Castel Focognano ( AR )