Trimestrale d'informazione dell'Associazione culturale
La Pagoda |
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Anno VI n° 4 ( Ottobre - Novembre - Dicembre ) |
Dalla nascita alla morte: un spazio da colmare
di
R. Savini
Già avevamo familiarizzato con testi rivolti alla coppia e in
particolare alla donna sul “parto attivo”. La gravidanza è un campo
privilegiato di osservazione, che indubbiamente coinvolge con un’attenzione
rinnovata e in un processo di crescita consapevole.
Ora l’attenzione viene attratta anche dalla diffusione di
esperienze meditative e di testi su una “morte attiva”, cioè su
un’educazione aperta a guardare la morte e su un
più consapevole
accompagna-
mento spirituale del morente. Certo che la morte ha costituito
una perenne minaccia non solo per ogni uomo, che la vive nella propria ombra dal
momento della sua nascita, ma anche per ogni presenza vivente o inanimata che
sia. Spesso però, nella nostra cultura pervasa da consumo ed efficienza, il
morente, giovane o vecchio che sia, è stato a lungo relegato al margine,
costretto a vivere individualmente la propria sorte, in solitudine. Anche se il
morente minaccia, con la sua stessa presenza, i tracotanti modelli prevalenti,
è oggi sempre meno un evento privato, avvolto da un dolore cieco; può anche
diventare, ed è questo il nuovo spazio che sembra crearsi, una dolorosa
esperienza sì, ma di apertura e di rasserenamento. Nel dolore si può scorgere
quella stretta relazione con la vita, non dissimile da quella che accompagna la
madre con il bimbo che ha in grembo. Il dolore di perdere qualcosa, il dolore di
aprirsi a qualche altra. Tali mutamenti radicali cadenzano il ritmo nascosto
della vita che nella nascita e nella morte emergono con la loro inevitabile
natura. Mi sembra che su queste esperienze l’insegnamento di Buddha abbia
gettato luce con le prime due Nobili Verità: “tutto è dolore” –
“questa è l’origine del dolore”. Ogni qualcosa nasca è costretta a
perire.
Lo sforzo che ci attende ora è quello di arricchire lo spazio
vertiginoso che intercorre tra questi due momenti, tra la nascita del corpo e la
sua morte; tra il bimbo che nasce e che altrettanto inavvertitamente scivolerà
verso la morte.
Tra questi due estremi della nostra esistenza umana sembra che
tutto sia pervaso da un ritmo implacabile e inarrestabile fatto di guerra e
pace, di conflitto sociale e culturale, di rabbia e di ebbrezza, di tante gioie
grandi o piccole e di altrettante delusioni. Questi momenti sono il paesaggio
della nostra vita, sono le radure, i boschi, le steppe, le montagne e le
voragini che la coscienza percorre e affronta, sono la bellezza nella sua
fragilità.
Per vivere in questo equilibrio tra il nostro inizio e la nostra
fine possono esserci d’aiuto le altre due Nobili Verità formulare da Buddha:
“questa è la cessazione del dolore” – “questa è la via che conduce
alla cessazione del dolore”. Soprattutto quest’ultima traccia un cammino, un
sentiero verso una vita che non trascuri nulla, ma che da tutto tragga quel
fuoco che la tempri. Tra il primo ieri e l’ultimo domani ci si potrebbe
accorgere che vi è un “ponte” che li rende meno lontani. Anzi possono
apparire sempre più vicini tra loro, man mano che uno sguardo attento se ne
prenda cura. “Mi propongo di essere lì, insieme a tutto ciò che mi
circonda”, ecco una determinazione che potrebbe aiutarci a stare in equilibrio
sul ponte della nostra esistenza, in ogni suo piccolo attimo, qualunque
coloritura esso abbia. Sappiamo ora dove disciogliere la “medicina
dell’attenzione”. È lei che può discernere rigidità e conflitti nel loro
inesorabile susseguirsi, nel loro apparire e dissolversi siano esse esperienze
attuali, ricordi, aspettative. Tutti momenti tra loro lontani ma che, se si
avvicinano e si incontrano, non possono farlo che insieme e nello stesso momento
perché comune è ciò che li divide. Tutti barcollano infatti sul
“ponte dell’ignoranza più cruda”, nel riconoscerla nascita e morte
perdono la loro identità, l’una nasconde in sé il seme dell’altra, quasi
due facce di una medaglia in cui vi è inscritto il mistero della vita.
Forse è una follia, ma apprendere da ogni attimo vuol dire
essere disponibili a gustare un sapore dimenticato. Conoscersi è colmare lo
spazio abissale tra nascita e morte, è viverli nel loro perenne susseguirsi, è
accompagnarli e sostenerli nel loro incontro. Nel mio abisso posso discernere
l’abisso di ogni cosa animata o no; in ciò che mi circonda posso discernere
il mio abisso. Colmare questo spazio che interiormente separa è colmare ciò
che recide; è stupirsi che la ricchezza e la povertà di ogni esperienza può
acquisire il senso più autentico sciogliendosi in questo mare grande come la più
piccola goccia di vita.
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