A Calakmul, la città maya delle "guerre stellari"

dal CorriereScienze


La capitale perduta del regno Testa di Serpente era una superpotenza dello Yucatan. Ma nel 900 fu abbandonata

CAMPECHE (Messico) - Era la primavera del 1931. Ormai da diversi giorni Cyrus L. Lundell, esploratore-biologo, si apriva la strada a colpi di machete nella foresta tropicale del Peten, nello Yucatan meridionale. Da anni sfidava quell’ambiente frequentato da serpenti e giaguari per conto di una compagnia per lo sfruttamento delle risorse forestali del Messico. Il suo compito era quello di individuare le zone più ricche di legname pregiato e soprattutto segnalare la presenza dell’"albero del chicle "; poi sarebbero arrivati i chicleros a raccogliere il lattice da inviare negli Stati Uniti dove diventava chewingum , l’ultima mania degli americani. Quella volta, però, non era stato l’albero del chicle ( Manilkara sapota) a spingerlo tanto lontano dall’ultima baracca della compagnia. Era stata una strana storia che due taglialegna gli avevano raccontato parlando di una città ingoiata dalla selva, di piramidi alte come colline, di muraglie avvolte dalle radici, di bassorilievi affondati tra le paludi che rendevano quella foresta un vero inferno verde. Una storia confusa,, ma Lundell decise di partire alla ricerca della città perduta. Si diresse a sud, e dopo giorni di fatiche se la trovò davanti all’improvviso, dominata da due piramidi-colline che gli suggerirono come battezzarla: Calakmul, "tra due alture" in lingua maya. ATTACCHI DI PIRATI - Così venne scoperta Calakmul e da allora è stato un susseguirsi di scavi archeologici e di scoperte che alla fine hanno delineato una lunga storia (dal 450 avanti Cristo al 900 dopo Cristo), tanto sorprendente quanto poco conosciuta al grande pubblico, perché Calakmul non è ancora nel circuito turistico internazionale. Una storia fatta di intrighi, alleanze, guerre e protagonisti dai nomi suggestivi, come "Artiglio di Giaguaro", signore del regno "Testa di Serpente", il vero nome maya di Calakmul. Proprio per ritrovare questo frammento di storia dimenticata siamo atterrati a Campeche, il capoluogo dell’omonimo stato messicano affacciato sulla costa del Golfo, punto di partenza per raggiungere la grande Calakmul. Campeche sembra ferma nel tempo, col suo centro storico in bello stile coloniale circondato da mura ottogonali che avrebbero dovuto difenderla dagli attacchi di pirati come Henry Morgan, Leoncillo, L’Olonese, Rock Brasiliano e persino Pie de Palo (Gamba di Legno). Ma quando la muraglia fu terminata, nel 1704, i pirati se ne erano già andati in altri mari. Stessa sorte ebbero i due forti ai lati della città, che ora ospitano due musei. E proprio nel Forte San Miguel c’è una maschera maya in mosaico di giada che da sola meriterebbe un posto nella lista delle Sette meraviglie. Raffigura il volto di un ignoto signore che salì sul trono di Testa di Serpente nel VII secolo dopo Cristo. Ha un’espressione serena e uno sguardo nero d’ossidiana come si addice a un sovrano: un capolavoro assoluto. Nelle altre vetrine ancora maschere di giada e la ricostruzione delle tombe di grande Artiglio di Fuoco (più noto come Artiglio di Giaguaro), sovrano di Calakmul, e di una delle sue mogli che venne sacrificata insieme a un bambino quando il suo sposo morì, attorno all’anno 705. I veri resti del re sono nelle mani dei restauratori e nella tomba ricostruita c’è solo una parte del prezioso corredo funebre (il resto sarà esposto entro quest’anno). Ma la storia di Artiglio di Giaguaro va cercata a Calakmul, la città dove visse e morì.
MONTAGNA DI PIETRE - In cinque ore di autobus si scende a sud-est passando per Escarcega, vecchio centro di raccolta del legname, e si raggiunge X’puhil, un paesotto segnalato a distanza dalla doppia cresta di una grande piramide, una delle tante in quest’area e tutte da vedere. Due o tre alberghi senza pretese, un telefono al bar-ristorante, un mercato dove comprare qualcosa per la giornata. Calakmul è a 130 chilometri e laggiù non c’è nulla di nulla. A un bivio della Carretera federal 186, la strada entra nella Riserva della biosfera di Calakmul (723 mila ettari) dove, oltre a una quantità di animali di tutti i tipi, si trova l’antica capitale dei Maya. All’ingresso della zona archeologica una stele alta sembra una sentinella a guardia della prima piramide ripida come un picco. A pochi metri un’altra piramide fronteggia un edificio lungo con tre templi allineati in cima: tre "punti di mira" che guardati dalla piramide segnalavano rispettivamente la posizione del sorgere del Sole al solstizio d’estate, all’equinozio e al solstizio d’inverno. Testimonianza del legame quasi maniacale che i Maya avevano con stelle e pianeti. Camminiamo sotto un tetto di vegetazione che copre il cielo e la penombra gronda umidità; dagli alberi pendono liane e grappoli di orchidee. Una banda di scimmie urlatrici scuote il tetto della foresta come un uragano. Tutti gli edifici sono assediati dagli alberi, stretti da radici che paiono piovre. Appena un po’ più libero lo spazio della grande Acropoli ovest dove gli edifici si accavallano l’uno sull’altro per lasciare poi lo spazio al campo del gioco della palla, un gioco rituale che finiva con sacrifici umani. Il reticolo delle costruzioni prosegue e si infittisce nel quartiere detto il Labirinto. Da qui la nobiltà controllava il lavoro degli artigiani che producevano armi e utensili raffinatissimi scheggiando l’ossidiana, importata dal Guatemala, e una pietra locale simile alla selce (i Maya non conoscevano i metalli). Da ogni lato le costruzioni continuano sotto la foresta, sempre meno visibili e sempre più lontane. L’estensione della città scoraggia anche il visitatore più deciso. Il solo centro monumentale copre una superficie di 25 chilometri quadrati con una decina di acropoli, piazze e piramidi e gli ultimi sobborghi si incontrano a 6-7 chilometri dal centro. In tutto gli archeologi hanno individuato oltre 6 mila strutture e dicono che nel momento della massima espansione a Calakmul vissero 50 mila persone. Ma è la Grande Piramide che domina tutto. Un edificio strutturato in tre corpi che un tempo raggiungeva i 55-60 metri di altezza (ora 45) e i suoi lati arrivano a 140. Tutt’intorno foresta alta che impedisce di apprezzare in uno solo colpo d’occhio questa montagna di pietre. Salendo fino in cima si supera di molto il tetto della selva e lo sguardo spazia su un tappeto verde che occupa tutto l’orizzonte, interrotto solo dalla vetta dell’altra grande piramide di Calakmul (40 metri), dove lavorano gli archeologi.
CASSAFORTE DEL TEMPO - Ed è proprio con l’aiuto degli archeologi che è possibile ripercorrere la lunga storia del regno Testa Serpente, letteralmente sigillata all’interno della grande piramide un tempo intonacata e dipinta di rosso. Le piramidi maya sono come scatole cinesi, una dentro l’altra, perché il re che veniva dopo costruiva la sua nuova piramide appoggiandola su quella che aveva fatto il suo predecessore, il quale aveva fatto la stessa cosa prima di lui; e così via, di dinastia in dinastia. E col passare dei secoli la struttura si ingigantiva sempre di più, crescendo sulle proprie radici. Ecco perché le piramidi maya sono vere casseforti del tempo. "Sotto questa struttura abbiamo individuato due piramidi una più antica dell’altra e almeno quattro ristrutturazioni parziali - spiega Ramon Carrasco Vargas, direttore degli scavi di Calakmul dal 1993 -. Alla base di tutto c’è un edificio del 450 avanti Cristo, decorato con un bassorilievo a colori lungo venti metri; per ora è la più antica struttura a cui siamo arrivati, ma penso che sotto ve ne siano altre due ancora più vecchie". Scavando come talpe cunicoli che si infilano tra una piramide e l’altra e traducendo le iscrizioni incise sui monumenti di tutta l’area maya (la scrittura è stata decifrata per circa l’80 per cento), gli archeologi sono ora in grado di raccontarci una storia fatta da tante città-Stato spesso in lotta tra loro - come le nostre città rinascimentali - unite da una base culturale comune, dalle stesse divinità e da lingue simili quanto l’italiano e lo spagnolo.
GUERRE STELLARI - A Calakmul, durante i secoli d’oro del Periodo Classico, la vita doveva essere davvero splendida, almeno per la nobiltà. I mercanti portavano merci preziose da Paesi lontani, i sacerdoti osservavano il cielo dalla piramide-osservatorio e stabilivano i tempi della semina e del raccolto, il sovrano saliva al tempio per le cerimonie di autosacrificio e con lame di ossidiana e aculei di razza si feriva il pene e la lingua per versare sangue ed entrare in contatto con gli dei, nobili e ambasciatori andavano da una città all’altra per tessere alleanze, esigere tributi o imporre matrimoni politici o re-fantoccio alle città vassalle. Architetti e artigiani erano impegnati a ingrandire edifici, tracciare canali, scolpire monumenti. Un formicolio di vita che si interrompeva solo quando i guerrieri prendevano le armi per portare il dominio di Testa di Serpente fin dove potevano arrivare. Ma quello fu anche il tempo in cui a Tikal, l’altra superpotenza del Peten, salì al trono un uomo conosciuto con un nome singolare, Ah Cacaw (Cioccolata) e pochi anni dopo (nel 686) a Calakmul venne incoronato Artiglio di Giaguaro, un nobile di 37 anni. Due personalità di primordine destinate a scontrarsi, anche perché Ah Cacaw dette inizio a una serie di guerre - note come "guerre stellari" - in coincidenza di particolari situazioni astronomiche che secondo i Maya garantivano la vittoria. E al momento giusto Ah Cacaw lanciò i suoi guerrieri contro il regno Testa di Serpente. "Lo scontro avvenne nel 695 - spiega ancora Ramon Carrasco - e su un’iscrizione ritrovata a Tikal, Ah Cacaw si vanta di aver "catturato lo scudo di pietra del regno di Artiglio di Giaguaro". Affermazione che venne interpretata come una metafora dell’uccisione del sovrano di Calakmul. Ma non era così. Quattro anni fa, infatti, abbiamo scoperto la tomba di Artiglio di Giaguaro dietro la scalinata della grande piramide. E’ quindi evidente che Ah Cacaw catturò proprio lo stendardo e non il sovrano; che infatti morì alcuni anni dopo".
MORTE DEL SOVRANO - Lo studio della sepoltura reale permette di immaginare che cosa accadde in quei giorni. Artiglio di Giaguaro era alto un metro e settantadue centimetri, almeno dieci in più dei suoi sudditi, aveva piccole giade incastonate nei denti incisivi - segno della sua nobiltà - e soffriva di spondilite anchilosante, una malattia genetica delle ossa. Morì quando aveva poco meno di sessantanni, ma da tempo aveva fatto scavare la sua tomba nella piramide. I sacerdoti dettero ordine di preparare tessuti e resine per avvolgere il corpo del re, gioielli e vasi da deporre nella tomba. Un lavoro che richiese diversi mesi scanditi da cerimonie e offerte di sangue umano, finché arrivò il giorno della sepoltura. Il corpo, adornato con un’acconciatura di giada e piume (vedi disegno), venne introdotto nella piccola camera affrescata insieme al corredo funebre. Poi i sacerdoti prepararono un veleno per una donna di 25-30 anni, forse una delle sue mogli, e un bambino di 8-12 anni, e i loro corpi (ora all’esame del Dna) vennero adagiati in un loculo adiacente a quello del re. Infine, il cunicolo d’accesso fu sigillato e coi secoli se ne perse la memoria.
LA MAPPA DEL TESORO - Sette altri sovrani si avvicendarono sul trono del regno Testa di Serpente, per due secoli ancora, ma poco dopo l’anno 900 accadde qualcosa che gli archeologi non sanno del tutto spiegare. Calakmul venne abbandonata e rapidamente l’antica superpotenza diventò una città fantasma. La stessa fine fecero tantissime altre città maya e nel solo stato del Campeche gli archeologi hanno individuato ben 2.500 abitati, ancora da scavare. Ma ve ne sono altri da scoprire. "Ho vissuto fino a vent’anni nella selva - racconta sorridente Leticia Valenzuela Santiago, 31 anni - che coordina l’attività del suo Centro de Interpretacion e Informacion Turistica mentre frigge tacos a un banchetto del mercato di X’puhil - e ci torno spesso per portare turisti a vedere animali o visitare rovine. Quattro anni fa arrivai dalle parti di Altamira, non lontano dalla frontiera col Guatemala, e mi trovai fra piramidi e gradinate. La foresta copriva tutto, ma ebbi l’impressione che si trattasse di una città grande. Ricordo una stele con la figura di guerriero che piantava una lancia nel corpo di un uomo steso ai suoi piedi. Ho deciso di ritornarci questo mese per fare delle foto. Partiremo in sei e dovremo aprirci la strada col machete per tre o quattro giorni. Voglio anche cercare i resti di un aereo caduto da quelle parti con una stele maya a bordo. Se ne parla da anni, ma nessuno l’ha ancora trovato. Se vuoi venire con noi sei il benvenuto". E traccia una mappa su un pezzo di carta, con una X sul punto della città perduta. Una proposta d’avventura che purtroppo non coincide coi nostri tempi di viaggio. Ripartiamo per l’Italia conservando quella piccola mappa del tesoro. Che prima o poi Leticia troverà.
Viviano Domenici