O R I E N T E A L I E N O

Di GIUSEPPE COLAMINE'

NOTA INTRODUTTIVA

La storia dell'uomo è un libro scritto in forma intellegibile, che racchiude
verità inconoscibili, custodite gelosamente dai protagonisti in incognito di
un confronto millenario con realtà inimmaginabili.
Molti eventi tramandati di generazione in generazione rappresentano solo la
copertura di altre verità, la cui divulgazione spiazzerebbe l'Umanità dalle
posizioni cui essa si aggrappa da sempre, togliendole la comune facoltà
discriminante fra ciò che è ritenuto bene e quanto viene comunemente
definito come male.
I protagonisti informati di questa storia occulta vivono portando in se il
segreto irrivelabile che li rende estranei al Mondo, costringendoli a
partecipare ad una farsa ben congegnata nella quale essi appaiono ora come
stupide comparse, ora come spietati burattinai dei destini umani.
Nessuno di questi individui sceglie spontaneamente il proprio ruolo; la vita
glielo presenta inesorabilmente, dandogli via via forma nel susseguirsi
degli avvenimenti ed alla fine essi si ritrovano ad essere controvoglia i
prescelti per un compito già dettato ai loro avi agli albori del tempo.
Derisi, ignorati, guardati come folli visionari o come fanatici servi di un
potere spietato, i timonieri invisibili dell'Umanità vivono come attori
consapevoli della farsa che propongono ed al tempo stesso dell'enigma che
quest'ultima nasconde. Nessuno di loro conosce il finale della commedia, ma
tutti sanno bene che l'unica via possibile è continuare a recitare
nell'attesa che prima o poi il Grande Regista dia un segno di Se e sveli
almeno in parte il vero senso della trama.

Giuseppe Colaminè.

ANTEFATTO.
Dal BBC-News-net del 12 Aprile, anno 20………….
Lo scacchiere Medio-orientale intorno a cui sono puntati oramai da anni gli
occhi dell'intera popolazione Europea e Statunitense, è stato teatro nelle
ultime 24 ore di un imprevedibile avvenimento.
A Teheran, la scorsa notte, un colpo di mano portato a termine da militari
simpatizzanti del movimento Anti-Integralista "Nuova Persia", ha rovesciato
il regime dell'Iman Akemavy.
Dopo alcune ore di intensi combattimenti che hanno interessato il centro
urbano ed i dintorni della capitale, il palazzo del governo è caduto ed i
membri del vecchio regime fatti prigionieri.
Scontri sono stati segnalati anche a Tabriz ed in varie zone della parte
nord del territorio Iraniano. Nello stretto di Ormus una squadra navale
della fazione golpista ha bloccato l'accesso alle coste, affondando un
numero imprecisato di unità fedeli al vecchio regime.
Formazioni aeree composte da Mig-55, appoggiate da missili terra-terra della
classe "Kvar" hanno bombardato a tappeto gli schieramenti filo-governativi
situati lungo il confine con la Turchia.
Il nuovo Presidente Rahzi Jasfanei, insediatosi nelle ore del mattino, ha
dichiarato caduto il regime del Partito Pan Islamico definendolo
testualmente "una feroce sanguisuga che ha infangato la vera tradizione
Islamica". Jasfanei ha anche espulso gli ambasciatori di Iraq, Siria,
Libia, Algeria, Afghanistan, Pakistan e della Federazione Sovieto-Islamica
(FSI), in pratica le nazioni guida del blocco Islamico ed ha preannunciato
che il suo regime porterà avanti sin dalla nascita una politica di pace e di
collaborazione con i paesi che ha definito "fratelli d'occidente".
Preoccupanti e drammatiche le reazioni degli ex alleati. Un vertice di
emergenza è tuttora riunito a Bagdad, il cui portavoce governativo ha
definito il colpo di stato in Iran "un tentacolo del demonio che ha
strappato il cuore dell'Alleanza", lasciando ad intendere la possibilità di
un intervento militare da parte dei paesi del Patto di Kabul. Un
contingente di 4000 uomini della NATO ha raggiunto Ankara nelle scorse ore,
proseguendo verso i confini con l'Iran. Per ora non vi sono commenti
ufficiali del governo di Washington, né del Parlamento Europeo.
L'Ammiraglio Le Couvier, capo di Stato Maggiore della Marina Militare
Francese, nel corso di un'intervista rilasciata al quotidiano Le Monde, ha
affermato che difficilmente l'Occidente resterà immobile di fronte ad
un'invasione dell'Iran da parte dei suoi ex alleati. A Washington fonti non
ufficiali comunicano che la Casa Bianca ha ordinato la messa in pre-allerta
rosso del WASD (Western Alliance Satellitary Defence). Il portavoce
ufficiale del governo Russo ha invece smentito che unità aviotrasportate
stiano avvicinandosi ai confini meridionali della Georgia ed ha affermato
che momentaneamente Mosca manterrà un fermo atteggiamento di non ingerenza
negli affari Medio-Orientali.

Un anno dopo, Aprile.
CNN - News - net
Il Presidente Iraniano Rahzi Jasfanei è giunto stamani in visita ufficiale a
Londra. Ad attenderlo all'aeroporto c'erano il Primo Ministro Britannico
Virginia Barrington ed i principali membri del Governo. In un suo primo
discorso pronunciato all'interno dell'aeroporto Londinese, Jasfanei si è
detto fraternamente grato ai paesi della NATO che con il loro appoggio hanno
permesso all'Iran di risollevarsi dall'oscurantismo maturato nei decenni di
governo oltranzista ed ha auspicato un incremento della collaborazione
economica fra la sua Nazione e l'intero Occidente. Ad una domanda postagli
dal corrispondente del Belfast Harold riguardo presunte epurazioni di massa
fra i sostenitori del vecchio regime, Jasfanei ha precisato che non vi è
stata alcuna condanna alla pena capitale ma solo pene detentive peraltro
accompagnate da trattamenti rieducativi del tutto conformi al rispetto dei
diritti dell'uomo. Quella di Rahzi Jasfanei è la prima visita all'estero
dopo un anno dal suo insediamento al potere. La nuova politica economica
dell'Iran ha fatto si che il paese raddoppiasse a tempo di record il suo
tasso di industrializzazione , già avviato dal regime degli Imàn negli anni
precedenti, fino ad inserire il Rial, la moneta ufficiale, nelle quotazioni
borsistiche mondiali. Attualmente il tasso di disoccupazione in Iran non
supera il 9% e le previsioni del "World Statistical Institute " assicurano
che entro 5 anni la nazione divenetrà competitiva a livello industriale su
scala planetaria. Al di là degli aspetti legati all'industria civile
l'Iran rappresenta la settima potenza militare del Mondo, subito dopo la
Francia, seguito a ruota da Israele e Germania. L'arsenale nucleare di
Teheran comprende missili a medio e lungo raggio. Benchè sprovvisto di
armi satellitari l'Iran possiede un proprio ente spaziale, l'IKO (Iranian
Kosmik Organon), completamente militarizzato, che sta progettando la messa
in orbita di una rete satellitare entro i prossimi 10 anni. L'insieme di
questi dati rende ragione della grande attenzione dedicata dal mondo
Occidentale all'evoluzione politica di questa nazione situata nel cuore del
blocco Islamico. Con l'uscita di Teheran dal Patto di Kabul l'alleanza Pan
Islamica ha perduto il suo maggiore esponente ideologico ed anche la sua
seconda potenza militare dopo la Federazione Sovieto-Islamica .
Nonostante il fatto che Rahzi Jasfanei non abbia permesso la presenza nel
suo paese di osservatori delle nazioni del blocco NATO, la sua politica
filo-occidentale e marcatamente contraria alla linea del Patto di Kabul
rappresenta una spina nell'interno dell'Alleanza Islamica. Jasfanei, ex
capo carismatico della dissidenza anti-oltranzista, condannato a morte dal
vecchio regime e rimasto latitante fino al giorno del golpe dello scorso
anno, è un uomo dai princìpi democratici, ispirati ad un modello prettamente
Euro-Americano; ciononostante è un fervente religioso che nella politica
interna ha dato ampi spazi al culto e potere agli Ayatollah . Convinto
repubblicano presidenzialista, egli ha respinto fermamente i tentativi di
Rehza Dario, ultimo discendente degli Scià, di rientrare in Iran, così come
ha respinto la proposta avanzata da quest'ultimo in sede ONU di indire un
referendum popolare per il ripristino della Monarchia. L'uomo nuovo di
Teheran mostra al mondo la sua volontà di rompere con il passato ed avviare
la Nazione verso un processo di Occidentalizzazione unico nella storia dei
Paesi del Medio Oriente.

Capitolo 1
Quattro mesi dopo; Agosto.
Nave Portavelivoli Britannica Cunningham, incrociante nel quadrante sud est
del Mar Nero, al largo della costa Turca.
ore 01,10p.m.

La voce stridente dell'ufficiale di sala radio fece storcere le labbra al
capitano O'Kindelly. Odiava gli individui che steccavano quando erano
emozionati e quel Fox gli dava proprio la sensazione di un gallinaccio.
Chissà perché lo avevano messo sulla nave più importante della flotta.
Il motivo della chiamata comunque meritava attenzione. Un satellite
telescopico aveva rilevato un mezzo in movimento in Iran, a sud di Maku,
lungo la linea di confine con la Turchia, in una zona semideserta e priva di
strade. Facilmente poteva trattarsi di un gruppo di clandestini che
tentava di penetrare in territorio NATO. Negli ultimi mesi molti agenti
del Patto di Kabul avevano tentato di entrare in Turchia passando attraverso
l'Azerbajdan Russo in preda alla guerra civile, mantenendosi lungo il
confine nord dell'Iran per evitare la rete di sorveglianza che praticamente
era impenetrabile lungo la fascia meridionale Turca a ridosso di Siria ed
Iraq.
"Ci stanno riprovando." Pensò O'Kindelly."Li fregheremo anche
stavolta."
Fox aveva riacquistato padronanza del tono di voce ed illustrava i dettagli
del rilevamento riportati sul grafico. O'Kindelly lo fissò
accigliato.
"Non è possibile; deve esserci un errore." Disse lapidario.
"Non c'è errore, capitano. Ho fatto due controlli di prova."
Il mezzo era oramai a due chilometri dalla linea di confine. La rete di
sorveglianza Iraniana lo aveva localizzato troppo tardi per poterlo
intercettare; quanto ai militari Turchi, in quel settore erano pochi ed
inefficienti. Il meglio delle truppe era ovviamente schierato su altri
confini.
Chiunque fosse stato a bordo di quel veicolo sarebbe riuscito a penetrare
indisturbato nell'Anatolia Orientale.
Inspiegabilmente, il mezzo emetteva un radiosegnale perfettamente
sintonizzato sulla frequenza del satellite spia, come se ne conoscesse l'ora
del passaggio e volesse farsi localizzare apposta.
O'Kindelly rimase assorto per qualche attimo, poi ordinò che due "Mandrake"
fossero approntati per levarsi in volo.
"Vuole mandarli a prendere?" Gli chiese Fox con un sorriso un po'
idiota.
"Si….non mi convince questa storia. Sembra che ci stiano lanciando una
specie di SOS."
"Ma che motivo avrebbero? Se sono infiltrati non hanno certo interesse a
mostrarsi; se ci sono amici non ne hanno a passare il confine
clandestinamente….."
Fox si interruppe; O'Kindelly lo fissò quasi con disprezzo.
"Appunto…..non abbiamo capito un accidente Per questo andiamo lì a
prelevarli e ci facciamo raccontare a cosa stanno giocando."
Rispose seccamente e si alzò di scatto, diretto verso l'uscita.
I due velivoli decollarono dopo 20 minuti esatti, con piani di volo, mappa
dell'obbiettivo e varianti di azione belli e pronti.
Il computer aveva stabilito in in quale zona si sarebbe trovato il veicolo
nel periodo in cui gli aerei avrebbero avuto la possibilità di
intercettarlo, cioè dopo un'ora e 15 minuti.
A quota 6000 metri, ancora in spazio internazionale, i Mandrake arrivarono a
velocità Mach 2 ed allora scesero fino a 1900 metri, entrando invisibili
nello spazio aereo Turco.
La NATO si fidava poco dei suoi partners periferici, specie se questi erano
paesi Islamici con forte dissidenza oltranzista. Così i militari Turchi
non avevano mezzi per identificare i Mandrake i quali volavano protetti da
una schermatura anti-radar e da un rivestimento che li rendeva invisibili ad
occhio nudo anche di giorno.
Ogni apparecchio aveva un pilota ed un comparto che poteva contenere un
passeggero oppure un prigioniero, tenuto isolato dai comandi a discrezione
del pilota.
Intorno alle 3 gli aviogetti scesero a 700 metri di quota ed incominciarono
ad esplorare la zona di operazioni. L'intruso venne localizzato dopo pochi
minuti; continuava ad emettere lo stesso radiosegnale sintonizzato sulle
frequenze satellitari, praticamente era come un faro in mezzo ad alture
deserte.
Uno dei Mandrake scese fino a 300 metri ed identificò a vista l'oggetto in
movimento, un "overground" ad eliche orientabili e cuscino d'aria, ideale
per percorsi accidentati e dotato di un'ampia autonomia grazie ai suoi
motori a basso consumo.
Arthur Caine, pilota dell'aviogetto, inviò un messaggio radio all'intruso,
qualificandosi e chiedendo senza mezzi termini al conducente di fermarsi ed
uscire allo scoperto disarmato. La risposta fu immediata.
"Sono Amelan Tarnakadi, cittadino Iraniano e chiedo asilo politico alle
Nazioni del gruppo NATO."
La voce era maschile, calma; parlava in perfetto Inglese. L'overground si
bloccò, mantenendo accese le luci di posizione. Un uomo di media corporatura
venne fuori con le mani in vista; aveva uno zainetto in spalla. Percorse
alcuni metri, per poi fermarsi, mantenendo le braccia allargate.
Il Mandrake calò dal buio, facendo onore al suo nome. Una folata di vento
fece ondeggiare l'uomo mentre l'aviogetto stava sospeso a soli 40 metri
sopra di lui. Da quella distanza il detector di bordo riuscì a
scandagliare il fuggiasco che risultò essere disarmato.
"Si sposti sulla spianata alla sua destra; le calerò un'imbracatura per
tirarla a bordo." Ordinò il pilota frettolosamente. Lexington, il
suo compagno, segnalava elicotteri Turchi in avvicinamento. L'uomo a terra
obbedì; pochi attimi dopo era a bordo, sigillato nel comparto ospiti.
L'aviogetto riprese quota rapidamente; gli elicotteri erano a due minuti dal
contatto visivo. L'altro Mandrake lanciò un razzo "Deton-44" che centrò
l'overground, facendolo esplodere. Il fosforo dell'ordigno avrebbe reso
impossibile ogni ricerca di tracce biologiche fra i resti dell'ordigno, così
i Turchi avrebbero creduto che il piota fosse rimasto disintegrato
dall'esplosione.
Alle 4,45 Amelan Tarnakadi fu introdotto nell'ufficio del capitano
O'Kindelly al quale ripetè la sua richiesta di asilo politico. Uno dei
marinai di scorta mostrò all'ufficiale lo zaino trovato indosso all'uomo.
O'Kindelly lo soppesò; sembrava pieno di materiale leggero, forse video-CD o
pacchi di fogli.
"Lo apra se vuole." Disse l'Iraniano sorridendo. "Comunque sappia che lì
vi sono informazioni molto riservate. Non so se i suoi superiori
apprezzeranno il fatto che lei le abbia esaminate."
L'ufficiale lo guardò con aria sprezzante. Tarnakadi era un tipo sulla
quarantina, scuro di pelle, piuttosto trasandato, con l'espressione odiosa
del classico "santone illuminato".
"Pidocchio e presuntuoso." Pensò O'Kindelly. "Chissà per quale carogna
lavora e che sorpresa sta per farci. Si dichiarano nostri alleati e tirano
a fregarsi fra loro"
Lasciò cadere lo zaino sulla poltrona e si rivolse all'Iraniano con tono
sbrigativo.
"Lei è solo di passaggio qui; fra poco verranno a prenderla. A me le sue
informazioni non interessano."
Si girò verso i marinai di scorta.
"Fategli bere un the caldo e portatelo all'imbocco del ponte di prua.
Bendatelo e tappategli le orecchie. Fra mezz'ora al massimo ce ne saremo
liberati."
Dopo 30 minuti esatti. Tre aerei atterrarono sul ponte della Cunningham; uno
era un C-215 Americano da trasporto, gli altri due erano caccia di scorta
F-118 della classe "Destroyer" ed appartenevano alla NATO-Interforces; uno
Italiano, l'altro Francese.Tarnakadi venne prelevato da due marines e messo
a bordo del C-215 che decollò pochi minuti dopo, diretto verso nord ovest.
L'uomo era sempre bendato e con i tappi alle orecchie. In quello
stato venne fatto scendere all'aeroporto militare di Napoli e lì imbarcato
su di un Icarus - FX-10. L'aereo lo avrebbe portato negli Stati uniti in
meno di 5 ore.
A bordo l'uomo venne liberato da benda e tappi. Un ufficiale di colore gli
offrì un sandwich ed un caffè, poi gli diede una sigaretta e si mise a
sedere di fronte a lui, presentandosi come Luis Williamson, capitano dell'US
Air Force ed agente di collegamento con l'ABI (Atlantic Bridge Intelligence)
, l'ala militare della CIA, deputata alle operazioni legate alla sicurezza
degli alleati NATO nel bacino del Mediterraneo.
"Lei ha detto di essere un cittadino Iraniano, i suoi documenti lo
confermano. Per quale motivo è fuggito da suo paese?"
Gli chiese con tono affabile. Tarnakadi lo fissò ieratico.
"Sono un funzionario dell'EKARY, il servizio di sicurezza Interna della
Repubblica Iraniana. Ho le prove che il mio paese sta per mettere in
grave pericolo la pace mondiale e la sopravvivenza stessa del genere umano."
Rispose serio, con espressione impassibile.
L'altro smise all'istante di sorridere."Le sue informazioni sono contenute
in quello zaino?" Chiese indicando il bagaglio dell'uomo. Tarnakadi
annuì con un cenno del capo. Williamson riprese a parlare.
"Non sono autorizzato ad esaminare i suoi documenti, ma almeno può dirmi per
sommi capi in quale modo l'Iran che noi oltretutto consideriamo un nostro
buon alleato, possa mettere in atto iniziative così pericolose per
l'equilibrio politico internazionale?"
L'Iraniano rimase silenzioso per qualche attimo. Si girò verso l'oblò, dando
un'occhiata veloce al buio dell'esterno, poi abbassò la testa. La rialzò
guardando Williamson con gli occhi quasi sbarrati.
"L'Iran non è più governato dalla sua gente. Io non volevo crederci; avevo
appoggiato il Presidente Jasfanei perché odiavo gli Integralisti, ma poi ho
dovuto accettare la verità. Un gruppo di demoni comanda la mia terra,
creature infernali che hanno come unico obbiettivo la distruzione
dell'uomo."
Williamson abbozzò un sorriso; non sapeva se considerare quell'uomo un pazzo
o solo un fanatico che si esprimeva con enfasi.
"Demoni? Lei intende individui appartenenti a qualche fazione estremista
che vuole pilotare il suo paese verso una politica
aggressiva………"
L'altro lo interruppe a voce alta. "No. Non parlo di questo; si tratta di
demoni! Creature disumane che non appartengono a questo mondo , che
guidano le mosse del Presidente, che seducono lui ed i suoi collaboratori,
li controllano, se ne servono come schiavi!"
Tarnakadi si fermò mentre Williamson lo osservava interdetto. Abbassò la
testa e riprese a parlare a voce bassa
"Per me sono demoni, anche se voi li chiamate…alieni."
"Alieni?" Chiese l'Americano con voce afona.Tarnakadi annuì ripetutamente.
"Alieni." Disse nuovamente con un filo di voce.


Mese di Novembre. -- Pentagono.
Centrale dell'SDB (Space Defence Boureau).
Arnold Baughmarten si umettò le labbra deponendo la tazza ancora piena di
caffè sul grande tavolo che aveva davanti. Sfogliò svogliatamente un
pacco di fogli, poi accese una sigaretta al mentolo soffiando il fumo con
una smorfia di disgusto. Il grosso schermo alla sua destra mostrava
l'immagine di un uomo piuttosto paffuto, dallo sguardo accigliato, che
osservava la scena in silenzio.Di fronte stava seduto Amelan Tarnakadi,
calmo, immobile, con la stessa espressione da santone che aveva dato tanto
sui nervi dei suoi interlocutori.
L'uomo lo fissò accennando un sorriso e facendogli cenno di versarsi da
bere. Tarnakadi riempì una tazza di the caldo e diede un lungo sorso.
"Il materiale che lei ci ha fornito conferma in tutto e per tutto le sue
tesi e purtroppo è autentico."
Scandì il capo dell'SDB.
"C'è solo un particolare però, un aspetto direi vitale dell'intera
questione. La nostra rete satellitare effettua una sorveglianza
fittissima dell'orbita terrestre. Eventuali passaggi di moduli spaziali,
navette o UFO che dir si voglia, oramai difficilmente ci sfuggono.
Insomma, creature extraterrestri che volessero venire qui a fare i loro
comodi verrebbero perlomeno identificate diciamo con un buon 90% di
probabilità."
Si fermò, protendendosi in avanti ed appoggiando le braccia al tavolo.
"Non abbiamo uno, dico un solo rilevamento di UFO in tutta l'area
territoriale dell'Iran negli ultimi 4 anni." Disse con tono severo.
L'altro continuò a fissarlo imperturbabile.
"Ora, ammettendo che esseri non terrestri stiano esercitando un controllo
sul suo paese e considerando che le sue documentazioni provano un vero e
proprio via vai di questi individui, resta da chiedersi come facciano a
spostarsi con tanta facilità a bordo delle loro navette senza che i nostri
satelliti li avvistino."
Spense quasi rabbiosamente la sigaretta, frantumandola nel portacenere, poi
fissò nuovamente Tarnakadi, poggiando pesantemente il mento sul pugno
serrato della mano.
"Come spiega questo fenomeno?" Gli chiese con un sorriso tagliente.
"Semplicemente: questi esseri conoscono le tecniche per eludere i vostri
satelliti. A quanto pare non sarebbe la prima volta." Rispose l'uomo
candidamente. Baughmarten battè il palmo della mano sul tavolo.
"Non è così semplice! Altri oggetti non identificati sono stati rilevati in
questo periodo. Vengono spesso, tentano di atterrare, qualche volta vi
riescono. Quest'ufficio è nato proprio per prevenire il fenomeno. I
nostri amici dello spazio però pare non siano interessati ai vostri
territori e mi riesce difficile pensare che abbiano scavato un tunnel dalla
Siberia fino all'Iran , facendo poi atterrare una loro astronave dal nulla
per depistarci e farvi credere che loro discendano dal cielo."
"Depistaggio." Lo interruppe Tarnakadi con un guizzo luminoso nello
sguardo.
"Ha detto la parola giusta. Loro depistano tutti, anche voi. Si fanno
intercettare per convincervi di essere in grado di contrastarli e
intanto….per usare un vostro termine, ve la fanno sotto il naso,
mandando altre astronavi a fare da….." Si interruppe per un
attimo. "Specchietto per le allodole." Concluse poi soddisfatto.
"Potrebbe aver ragione." Commentò sardonico Edward Pallotta, l'uomo che
seguiva la scena dallo schermo. Arnold Baughmarten gli fece un cenno di
assenso con il capo, poi si girò di nuovo verso Tarnakadi.
"Il motivo per cui abbiamo voluto incontrarla oggi è legato all'adozione di
contromisure da attuare nel suo paese. Si renderà conto che abbiamo bisogno
di molta collaborazione da parte sua."
"Sono a vostra completa disposizione." Rispose l'Iraniano sorridendo.
"Dovremo stabilire contatti con elementi della dissidenza, anche legati al
movimento Integralista. Lei dovrà essere la nostra guida principale in
questo passaggio."
Riprese severamente Edward Pallotta. Tarnakadi continuava ad annuire.
"Incominceremo subito." Troncò Baughmarten."Fra tre ore vi sarà una prima
riunione con uno staff di esperti. Le conviene preparare un elenco di
nominativi, indirizzi, modalità di contatto, tutto quello che può occorrere
per creare una cellula attiva a Teheran. Il nostro governo intende
affrontare il problema nel più breve tempo possibile."
Due uomini in divisa erano entrati nella sala, piazzandosi alle spalle di
Amelan Tarnakadi il quale si alzò lentamente all'impiedi. Poco dopo
l'Iraniano fu fuori , Edward Pallotta battè un pugno sulla scrivania
imprecando.
"Faremo un favore a quei bastardi del Patto di Kabul. Gli oltranzisti
rientreranno trionfanti a Teheran e ci ritroveremo di nuovo con il pericolo
di una guerra Mondiale! Sono quasi in dubbio su chi poi ci è veramente
nemico."
Esclamò aspro.
"Non ci sono dubbi su questo." Gli rispose Baughmarten laconico.
"Quegli altri hanno già messo in pericolo il pianeta negli anni scorsi.
Siamo riusciti a malapena a fermarli e solo perché loro giocano una specie
di partita a scacchi. Quando si vedono scoperti fingono di ritirarsi in
buon ordine, per poi riprovarci dopo un po', con metodi sempre nuovi e più
subdoli. Sembra che si divertano a giocare a gatto e topo."
Pallotta non rispose. Baughmarten tirò un lungo sospiro.
"Meglio una guerra con gli Islamici. Si può sempre trattare. Sono esseri
umani, simili a noi. E' molto meglio rispetto all'incubo di avere sul collo
il fiato di questi maledetti esseri che stanno cercando di trasformarci in
una loro mandria di animali da allevamento."


Capitolo 2
L'anno successivo, 14 Febbraio.
Linda Flowerborn percorse il corridoio a passi veloci. Tirava con il naso;
le lacrime sembravano voler straripare dai suoi occhi.
Pochi metri davanti a lei due studenti rallentavano il passo ; uno di loro
si girò e la vide. Sembrava volesse chiederle qualcosa.
La donna entrò di filato nelle toilette che in quel momento erano proprio
alla sua destra, si chiuse in una cabina e lì finalmente scoppiò a piangere.
"Fred ….amore mio….perché te ne sei andato?"
Piangeva disperata mentre i singhiozzi si facevano incontrollabili.
Era passato meno di un anno dalla morte dell'unico uomo con il quale aveva
pensato di poter davvero trascorrere la vita.
Un anno prima, il 14 Febbraio, i due avevano festeggiato il giorno di San
Valentino in un cottage nel Montana; sembrava tutto così vicino , come
fossero passati solo pochi giorni.
Il pianto si fece irrefrenabile. Il sorriso di Fred, le sue parole, le
sue espressioni, tutto scivolava nella mente di Linda come un video. Una
successione pazzesca di immagini, suoni, odori; tutto era nitido, perfetto,
quasi reale.
"La mia dolcissima maestra." La chiamava lui accarezzandole i capelli.
Rivide Fred all'impiedi, vestito con quel suo assurdo pigiama a scacchi,
mentre sorridendo le porgeva la tazza piena di caffè quando lei sbuffava
appena sveglia.
Battè le mani sul muro piastrellato, appoggiò la guancia alla parete, la
baciò e scivolò giù lentamente, fino a sedersi sul pavimento. Era
inzuppata di lacrime.
Tre studentesse entrarono nelle toilette parlando ad alta voce dei loro
appuntamenti della sera. Linda si ricompose velocemente e rimase in
silenzio ad aspettare che uscissero.
Un minuto dopo venne fuori; si guardò di sfuggita allo specchio. I
suoi capelli, lisci , biondi; quei suoi occhi verdi, la sua pelle sempre
abbronzata; piacevano tanto a Fred…Fu di nuovo sul punto di piangere
ma si contenne. Attraversò il corridoio oramai deserto e finalmente si
infilò nel suo ufficio.
Era passato mezzogiorno e l'Istituto di Storia della Filosofia Occidentale
della Massachussets University era praticamente deserto. Tutti erano a
colazione; pochi sarebbero tornati nel pomeriggio. Il 14 Febbraio per gli
studenti era un giorno di festa.
Linda rimase seduta alla scrivania, scorrendo sul computer gli appunti che
aveva preparato per la prossima lezione sui movimenti neo-Platonici del XX
secolo. Di tanto in tanto sobbalzava scossa da un singhiozzo; a conti fatti
si sentiva meglio.
Era bella, nel senso letterale della parola. Una di quelle donne che non
sembrano invecchiare e tuttalpiù guadagnano morbidezza con il passare del
tempo.
Nonostante i suoi quasi 50 anni conservava un fisico armonico, gentile,
appena un po' formoso. Aveva un'espressione dolce ma forte; la bocca un
po' larga, il naso regolare, il mento piuttosto volitivo, appena sporgente,
i capelli di un bel biondo-castano, lisci, corposi, cascanti.
Si era sposata a 39 anni. Aveva avuto storie vissute a metà, finite in
bolle di sapone, scemate nella noia con uomini che aveva creduto di amare
per poi accorgersi che si trattava solo di un'illusione, un frutto del suo
bisogno quasi estetico di un amore che forse esisteva solo
nell'immaginazione.
Con il primo marito era andata male, cinque anni di litigi, di astio, di
vendette reciproche; il divorzio era venuto come una liberazione.
Lui se n'era andato imprecando, sbattendo porte, dando calci alle sedie,
sputando per terra, come suo solito. Per Linda era stato l'inizio di una
quiete compensatoria. Per quattro anni si era dedicata al lavoro, alle
attività del club, alla cura di se stessa, creando dei ritmi idilliaci nei
quali si era cullata.
Le rimaneva il rammarico di non aver avuto un figlio. Antony non ne aveva
voluti; ne aveva già due dal primo matrimonio e li considerava quasi un
incomodo. Linda aveva sperato di poterlo convincere ma era stata una
fatica inutile. Quell'uomo che si presentava come un duro dal cuore tenero
in realtà era un fantoccio dal cuore duro e dai modi brutali. Dove metteva
tende lì portava acredine, negatività, disamore.
Negli anni dopo il divorzio c'era stato ben poco spazio nella vita della
donna, scandita da ritmi quasi sonnolenti, per altri uomini che venivano
visti come interferenze pericolose ed invadenti e per questo allontanati in
modo rapido.
Fred Gilman però si era comportato diversamente. Senza nemmeno chiederle di
fermarsi, l'aveva attesa ad ogni angolo, sorridendole, regalandole fiori,
foulards, miniature in terracotta delle quali Linda era appassionata.
Aveva fatto questo per mesi e quando alla fine linda si era accorta di
amarlo, lui aveva continuato a non chiedere. Era stata la donna a
chiedergli di vivere insieme e Fred aveva accettato con la naturalezza di
chi decide di fare la più semplice ed ovvia delle cose. Se l'era
ritrovato accanto con la sensazione di conoscerlo da sempre. Si erano
sposati una mattina di Sabato, nel centro di Boston, semideserta per il week
end del 4 luglio.
Avevano preso due testimoni a caso e con loro avevano festeggiato in un
ristorante Cinese, per poi ritirarsi tranquillamente nella loro villetta,
come se nulla fosse accaduto.
Avevano deciso di giocare la grande carta: avere un figlio. Ne avevano
parlato durante la vacanza nel Montana in occasione di San Valentino. Fred
era morto pochi giorni dopo per uno stupido incidente stradale.
"Dio l'aveva già scritto….va a capire perché."
Pensò Linda mentre rileggeva la teoria Platonica delle idee innate.
Alzò gli occhi verso il soffitto.
"Quando arriverò lì però me lo spiegherai!"
Mormorò con un sorriso triste. In quel momento trillò il telefono; la donna
sobbalzò . La voce di Oswald Molinesky era come al solito rimbombante.
Sembrava l'eco di un tuono.
"Ho una bella notizia. Il Ministero degli Esteri ha approvato la nostra
proposta di aprire una sede in un paese straniero. Indovina un po'dove?"
"Dimmelo. Non è facile indovinare con tutto il globo a disposizione."
Rispose lei annoiata.
"A Teheran, nel cuore del Medio Oriente! Non è fantastico?"
"Direi di no." Rispose Linda scettica. "Un paese in via di sviluppo,
circondato dai nostri peggiori nemici."
L'uomo sembrò quasi offeso."Ma non ti rendi conto? L'Iran è una nazione
culturalmente ricchissima; è il nostro unico alleato da Suez fino all'India
e sta sviluppando un modello sociale di tipo occidentale. Sarà uno scambio
culturale unico nella storia."
"Forse non hai tutti i torti." Rispose la donna riflettendoci su.
Lui incalzò."Apriremo una piccola università Americana nel cuore di quella
locale. Corsi di letteratura, storia, filosofia, sociologia, antropologia,
psicologia; tutte materie umanistiche insomma. Sarà un trionfo!"
"Bè…speriamo che vada così. Posso contribuire in qualche modo
all'iniziativa?"
Il tono dell'uomo divenne improvvisamente flebile.
"Ho proposto te come direttrice della sede; il Senato Accademico ha
accettato. Devi dirmi solo cosa ne pensi."
Linda ebbe uno scatto di collera.
"Accidenti! Come ti viene in mente di mettermi di fronte ad un fatto
compiuto? Credi davvero che sia arrivata alla fine della strada e vuoi
mandarmi a dimenticare i miei guai nella Legione Straniera?"
Molinesky cercò di spiegare, ma lei non gli permise di terminare la frase.
"Tu credi di poter fare della gente ciò che vuoi con queste trombonate
simili al tuo tono di voce! Bè..con me hai sbagliato perché io mi dimetto
anche subito ma non mi faccio sballottare qua e là. Che mandino qualcun
altro a fare lo zio d'oltreoceano, io ne ho fin sopra i capelli di questo
tuo modo da mercante . Non vendiamo rossetto, calze a rete e
preservativi; quando voialtri cowboys del Senato Accademico lo capirete sarà
sempre tardi!"
Chiuse la comunicazione, disattivò il computer ed uscì dall'ufficio con il
cappotto infilato a metà. Era furiosa e non sapeva nemmeno perché. Forse
era solo il dolore che cercava altre vie di sfogo.
Oswald Molinesky le si parò davanti subito dopo l'ingresso del garage.
Muoveva le braccia facendole cenno di calmarsi. Era un uomo massiccio ma
bonario; a Linda in quel momento fece quasi tenerezza.
"Ti chiedo scusa per averti tenuto all'oscuro della faccenda. Non sei
tenuta ad accettare. Io credevo ti facesse piacere cambiare aria per un
po'."
Disse mortificato.
"Dovevi consultarmi, non sono in vena di sorprese. Sai che sto
attraversando il periodo peggiore della mia vita."
Rispose lei severamente.
"Certo che lo so…..Linda, io credo che tu debba darti una nuova chance
di vita. Non puoi mollarti così. Mi capisci?"
"E credi di poterla decidere tu la chance? Oppure pensi che quest'incarico
serva a farmi dimenticare Fred?"
Chiese lei con le lacrime agli occhi, sbattendo la borsa sul tetto
dell'automobile.
"No…non credo affatto questo. Sono stato invadente e per questo sono
davvero mortificato." Il tono dell'uomo era sincero, accorato. Linda capì
di aver sbagliato a trattarlo in quel modo.
"Lascia perdere; scusami tu piuttosto. E' chiaro che non sono in grado di
accettare nuovi incarichi. Piango in media una volta all'ora. Ho bisogno
di uno psichiatra. Altro che Università a Teheran!"
"Oh si che lo sei! Di questo sono convinto!"
L'uomo aveva riacquistato sicurezza. Linda lo fissò senza parlare.
"Almeno riflettici su; ti chiedo solo questo."
"D'accordo, ci penserò, ma non credo che potrò accettare." Rispose
lei a voce bassa.
"Questa è casa tua; non dimenticarlo mai."
Concluse l'uomo con una dolcezza inusuale. Lei sorrise; sentiva nuovamente
quel nodo in gola che voleva farla piangere.
" Non lo dimentico, Oswald. Scusami per prima e…grazie."
Due giorni dopo Linda si presentò nell'ufficio dell'uomo ed accettò
l'incarico con un'aria quasi rassegnata. Lui ebbe un momento di esitazione,
quasi di rimorso. Forse la stava davvero mandando in esilio. Fu tentato di
dissuaderla.
"Tieni presente che sei libera di cambiare idea e ritornare in qualunque
momento; non ci sono vincoli." Le disse.
"Se non reggerò il deserto, me ne tornerò alla svelta. Non so perché ma me
lo figuro come un posto brutto e depresso."
"Non è così, non più con il nuovo corso politico. Stanno costruendo
villaggi, centri turistici; stanno modernizzando le città. Insomma hanno
fatto grandi balzi in avanti."
"Quand'è che parto?"
"Fra un mese; abbiamo ancora da completare qualche pratica burocratica."
La donna salutò Oswald con una stretta di mano piuttosto sbrigativa.
"Avrò il tempo di comprare un po' di vestiti unghi con veli per il viso."
Disse ironica davanti alla porta; l'uomo scoppiò in una risata.
"Non vanno più di moda laggiù; farai meglio a procurarti abiti scollati e
gonne corte!"
Il viso di Linda divenne severo. Oswald capì al volo di aver fatto una
gaffe ed ammutolì.
"Non credo che mi servirebbero." Disse con tono lapidario e uscì.


La più discutibile operazione in nero che i servizi segreti della NATO
avessero organizzato dalla fine del XX secolo era stata denominata in codice
"SORAYA LOOM". Per progettarne i dettagli gli esperti della CIA e
dell'ABI avevano lavorato giorno e notte insieme agli uomini dell'SDB.
L'obiettivo era ambizioso, l'unico possibile considerata la situazione:
creare in Iran una rete di militari e dissidenti, inclusi gli Integralisti
Islamici, che rovesciasse il regime di Rahzi Jasfanei.
Così sarebbero stati localizzati ed intercettati gli alieni che stavano
esercitando la loro influenza sulla leadership di Teheran.
La missione avrebbe avuto come punta penetrativa un gruppo di agenti
specializzati, sia in operazioni anti-aliene che in azioni di spionaggio, i
quali avrebbero agito all'interno del territorio Iraniano. Il supporto
esterno sarebbe stato massiccio: Unità militari di pronto intervento
schierate lungo i confini Turchi, nel Mar Nero, a sud del Golfo Persico,
oltre all'appoggio continuo del WASD perennemente allertato, avrebbero
garantito la possibilità di azioni veloci, sia per dar man forte al gruppo
che per tirarlo in secco qualora ve ne fosse stata necessità.
Le esitazioni erano state molte. Spiro Shevadon, direttore della CIA,
aveva mostrato un serio rammarico per un'operazione che avrebbe riaperto le
vie del potere agli oltranzisti del Patto di Kabul. Il contatto con gli
appoggi locali era infatti stato mediato da Amelan Tarnakadi il quale
conosceva l'intera mappa della dissidenza clandestina ed un buon 60% di
questa era legata al Partito Pan Islamico.
Dal suo canto Edward Pallotta era molto più preoccupato della possibilità
che un'eventuale invasione del'Iran da parte dei suoi ex alleati avrebbe
portato questi ultimi ad appropiarsi di nuove tecnologie delle quali
Jasfanei aveva beneficiato, rafforzando pericolosamente il Blocco di Kabul.
L'unico deciso e privo di dubbi era Arnold Baughmarten. Per lui nulla era
più pericoloso dell'infiltrazione aliena. Era già avvenuto in passato che
gli Stati Uniti prendessero sotto gamba il significato dell'interferenza di
quegli extraterrestri che in gergo venivano chiamati "i Grigi", per
anteporvi interessi politici legati alla "Guerra fredda" con i rivali
dell'unione Sovietica.
Il risultato era stato disastroso. Russi ed Americani erano stati costretti
a correre ai ripari quando era già tardi per attuare una contromisura
radicale. Ne era derivata una sorta di guerriglia permanente con gli
alieni, i quali tentavano di infiltrarsi sul pianeta subdolamente e di
continuo. Un confronto impari, con avversari sfuggenti, quasi invisibili,
che oramai da anni manteneva l'SDB in uno stato di impegno totale
permanente.
Anche se non poteva essere risolta definitivamente, la questione aliena
andava comunque affrontata con priorità rispetto a qualsiasi altro problema
politico o militare.
Il gruppo selezionato per portare a termine l'operazione SORAYA LOOM
comprendeva sei elementi: tre erano agenti del'ABI e tre appartenevano
all'SDB.
Ronald Briggs, Melanie Barchet e Franziska Hoffmann erano stati scelti
nell'Unità "BLACK MISSION" dell'ABI. Durante la missione avrebbero cambiato
identità, conservando solo i nomi di battesimo. Briggs sarebbe diventato
Crowner , Melanie Barchet avrebbe avuto come cognome Duval, mentre la
Hoffmann si sarebbe chiamata Gloeber.
Lo stesso cambiamento era stato attuato per i tre agenti dell'SDB.
Angela Groove sarebbe diventata Trumping. Clarissa Delivery sarebbe stato
il nuovo nome del tenente Wilbirth. Il maggiore Cortez Herrera,
comandante della missione, avrebbe assunto il cognome di Aguillar.
Mantenere immutati i nomi di battesimo era una misura dettata da decenni di
esperienza in fatto di missioni segrete. Era stato notato che nel corso
di operazioni ad alto rischio che richiedevano una estrema concentrazione
emotiva, gli agenti erano assai più efficienti e pronti quando chiamati con
il loro nome di battesimo. Lo pseudonimo infatti provocava un
disorientamento subliminare che comunque distoglieva anche se in misura
minima dall'azione. Gli psicologi avevano concluso che il cambiamento
del nome provocava una lieve frustrazione dell'Ego e quindi abbassava il
tasso di motivazione. Per questo, in occasione di operazioni classificate
come OPL (OMEGA performance level), come era appunto la SORAYA LOOM, i nomi
originali di battesimo venivano lasciati immutati.
Il gruppo di azione sarebbe arrivato in Iran nelle spoglie di uno staff
addetto alle "public relations", al seguito dei docenti della neonata
American University of Teheran, della quale Linda Flowerborn era direttrice.
Briggs in qualità di animatore, la Barchet e la Hoffmann come segretarie,
Clarissa Wilbirth e Angela Groove rispettivamente come interprete e guida
turistica; Cortez Herrera sarebbe stato il coordinatore dello staff.
Nessuno dei docenti della Massachussets University inviati in Iran, sette in
tutto inclusa Linda, aveva idea di cosa celasse realmente quell'iniziativa
così bizzarra di aprire una "dependance" in Medio Oriente. Tutto
era stato deciso, pilotato e messo in atto dalla CIA e dall'ABI, come
copertura all'infiltrazione di sei fra i più pericolosi elementi dei servizi
segreti occidentali.
La selezione degli insegnanti era stata guidata da esperti della CIA.
Linda era stata scelta anche per le sue condizioni psicologiche che la
rendevano poco legata alla sua città e potenzialmente collaborativa.
Molinesky era anche lui all'oscuro di tutto. Il suggerimento di proporre la
donna come direttrice gli era giunto da un personaggio influente dal quale
egli aspettava l'okay per la sua nomina a Rettore.
Lo staff dei docenti aveva conosciuto il gruppo dei falsi addetti alle
relazioni sociali durante un party organizzato dall'Università pochi giorni
prima della partenza.
Linda era rimasta sulle sue, piuttosto superba verso quegli individui che
considerava elementi di secondo piano.
Briggs le era sembrato un pappagallo da spiaggia; quanto a Cortez Herrera,
lo vedeva come un ruffiano di alto bordo con quel suo fare compìto e
spudoratamente falso.
Le uniche chiacchiere più distensive le aveva fatte con Angela Trumping, che
le era apparsa la più colta del gruppo. Clarissa Wilbirth, nonostante la
sua conoscenza di lingue orientali, le era apparsa un'oca giuliva.
Ciò corrispondeva esattamente all'impressione che i sei agenti volevano dare
di se. A Teheran avrebbero dovuto muoversi in estrema libertà con tabelle
di marcia imprevedibili. Era necessario che le loro frequenti assenze
dall'Università venissero interpretate come l'inefficienza di un gruppo di
scanzonati, motivati da scopi prettamente turistici.
A metà serata Linda salutò i suoi colleghi, liquidò sbrigativamente
Molinesky ed il rettore Philip Briekman e se ne andò.
Si sentiva acida, cattiva, invidiosa di qualunque accenno di gioia su di un
volto e non sopportava di vedere quella gente di buon umore.
Appena all'aperto fu investita da una pioggia torrenziale che le rovinò la
pelliccia. Imprecò bestemmiando. Non lo aveva fatto più da quando era
stata sposata con Antony.
Maledisse se stessa, la sua vita, il Mondo intero. Sentiva di nuovo voglia
di piangere, di urlare, di dare calci e pugni ai muri, di prendersela con
Dio.
"Cosa può farmi più che lasciarmi morire?" Pensò.



Capitolo 3.
L'aeroporto di Teheran fu una sorpresa per Linda che aveva immaginato di
atterrare nel bel mezzo di uno scenario da dopoguerra. Invece si trattava
di uno scalo modernissimo, costruito in vetroide atermico, con varchi
doganali automatizzati, bar, ristoranti, negozi e sottofondo musicale di
jazz sinfonico.
Quella era la prima opera pubblica realizzata dal Presidente Jasfanei in
solo otto mesi dopo il suo insediamento.
Un video tridimensionale situato pacchianamente nel bel mezzo del terminal
illustrava la meraviglie del nuovo Iran, con il commento di una voce
femminile più adatta ad un sexy-message che ad una celebrazione politica.
Il traffico di passeggeri era scarso, almeno relativamente agli enormi spazi
dell'aeroporto ed al calendario dei voli, numerosissimi, in partenza ed in
arrivo da ogni parte del globo. La IGA (IRANIAN GLOBE AIRLINES) era una
compagnia che offriva un servizio eccellente a prezzi competitivi, ma di
turismo lì non se ne parlava ancora. Il movimento di stranieri era per lo
più composto da imprenditori, industriali, esponenti dell'alta finanza che
andavano a Teheran per gettare le basi dei loro futuri investimenti. Lo
stesso aeroporto che aveva il nome di Safawi, quello di una dinastia che nel
XVI secolo aveva ridato potenza alla nazione, era stato costruito in società
con un gruppo Svizzero.
C'erano pochi poliziotti, tutti in divisa verde con fasce bianche; i
controlli elettronici erano capillari e richiedevano una minima presenza
umana. Un individuo in turbante bianco si presentò a Linda come Benal
Kaddavani, addetto alle relazioni culturali. Era un uomo paffuto, piuttosto
goffo e spiacevolmente sudato. La donna lo passò sbrigativamente a Cortez
Herrera il quale invece avviò immediatamente una chiacchierata amabile in
Francese.
Lo staff venne fatto salire su sette automobili bianche, tutte europee di
grossa cilindrata che avrebbero condotto gli ospiti al centro di Teheran,
allo Xerses Imperial Palace.
La strada era enorme, otto corsie con un traffico pressochè insignificante e
passava nel bel mezzo di Teheran lasciando notare l'enorme quantità di
cantieri che stavano trasformando la città in una metropoli ispirata a
modelli prettamente occidentali. Edifici in vetro, in neocemento
multicolore, agglomerati a comparti agganciati su enormi portanti metallici
si confondevano con moschee ed altri monumenti antichi in ristrutturazione.
Una folla appiedata camminava caoticamente sotto lunghissime tettoie
trasparenti.
"Ci hanno guadagnato a mettersi dalla nostra parte; scommetto che nella loro
storia non hanno visto una sola volta tanto denaro."
Osservò acidamente Angela Trumping, seduta a fianco a Linda.
"Bè…millenni fa questo era un grande impero. Hanno già avuto un
momento di gloria." Rispose la donna pacatamente.
"E adesso ne hanno un altro, con la differenza che il primo se l'erano
conquistato, mentre questo è un regalo che gli facciamo con le nostre
tasse." Ribattè Angela .
Linda la guardò per un attimo stupìta. Era così abituata a sentirsi
emarginata da sentirsi presa alla sprovvista quando si accorgeva che anche
qualcun altro aveva la luna di traverso.
Lo Xerses Imperial era una costruzione faraonica, sullo stile dei più
bizzarri edifici Hollywoodiani; i suoi alloggi erano in stile antico,
riecheggianti gli interni delle residenze imperiali dell'età classica;
sembrava di trovarsi sul set di un film. Lo staff universitario vi
sarebbe rimasto per tre mesi, il tempo necessario perché venisse approntato
un edificio idoneo ad ospitare gli Americani all'interno della cittadella
della Scienza.
Il programma della giornata prevedeva un cocktayl nel salone dell'Istituto
superiore di Cultura, a cui avrebbero partecipato anche autorità politiche e
successivamente cena con i membri del Consiglio Accademico locale.
Era pomeriggio e mancavano due ore al primo appuntamento. Il salone
dell'università risaliva agli anni precedenti e portava i segni del
fondamentalismo, in stile austero, rigorosamente orientale; solo il
pavimento in mosaico arabescato dava una certa allegria a quel locale che
aveva ospitato i convegni degli studenti Islamici integralisti.
L'Ambasciatore Americano, Charles Feldom, somigliava ad un gangster del
secolo precedente, sia nell'abbigliamento che nei modi. Più compìto era
invece Mosfar Zasafrenai, il ministro Iraniano della cultura, accompagnato
da quattro individui in borghese che avevano tutto l'aspetto di essere le
sue guardie del corpo.
I componenti del senato Accademico erano dodici, tutti anziani ed austeri;
più di tutti lo era Alem Osmakar, il rettore, un uomo sulla sessantina con
l'aspetto somigliante a quello di un patriarca biblico.
Il cocktayl fu sobrio e di buon gusto, nonostante le aspettative di Linda
che aveva pensato a fiumi di bevande e quintali di dolciumi.
Il primo discorso lo tenne Zasafrenai, semplice, prudente, gentile, in linea
con il suo stile.
La risposta di Feldom fu una suonata di trombone, piena di enfasi, retorica,
frasi melensa, battute veramente lassative. Linda si trattenne dallo
scoppiare a ridere, un fatto unico in quell'ultimo anno. Si girò cercando di
distrarsi e vide Angela Trumping farle un sorriso complice. Ronald Briggs
sbuffava come un bambino ad una Messa da Requiem; Cortez Herrera annuiva con
una falsità spudorata. Alem Osmakar parlò con tono grave, cadenzato. Era
un uomo di cultura per davvero, lo si notava dalla semplicità dele sue
citazioni, dalla moderazione delle sue frasi; un discorso lungo che però si
faceva ascoltare senza un cenno di noia.
Toccò a linda che per la prima volta dopo molto tempo si sentì emozionata.
Anche il suo fu un discorso cortese, prudente, senza toni enfatici,
improntato al ringraziamento verso le autorità locali ed all'auspicio di
un'evoluzione fattiva del gemellaggio tra le due culture. Si pentì di non
aver preparato qualcosa di più entusiasmante; quando aveva buttato giù il
discorso era di umore nero ed era stato già un miracolo che questo non
avesse i toni di un elogio funebre.
Gli applausi scrosciarono; Benal Kaddavani le mise in braccio un gigantesco
mazzo di fiori, mentre Osmakar e gli altri anziani le facevano elogi in
lingua locale, incomprensibili per lei che comunque era confusa, commossa,
incredula di essere di buon umore.
Si girò per liberarsi dei fiori; glieli prese una valletta poco più che
adolescente. Un attimo dopo Mosfar Zasafrenai e Charles Feldom arrivarono
davanti alla donna per baciarle la mano.
Angela le diede una pacca sulla spalla."Sono tutti cotti." Disse
divertita.
Linda scoppiò a ridere con le lacrime agli occhi; forse aveva trovato
un'amica. Briggs le stava facendo cenno di voltarsi per le riprese video.
Lei immaginò che Fred fosse lì, che le stesse parlando ed allora ebbe
di nuovo voglia di piangere.
Rientrò in albergo insieme agli altri poco dopo la mezzanotte. Durante la
cena si era parlato di argomenti strettamente culturali con i docenti
dell'università di Teheran ed allora Linda si era accorta degli orientamenti
piuttosto duri dei suoi colleghi di staff. In effetti si trattava di
giovani al primo incarico che avevano accettato una sede così lontana solo
per ambizioni di carriera ma che in realtà mancavano di esperienza, non
tanto dal punto di vista della preparazione culturale ma da quello
strettamente dialogativo.
Li riunì tutti e sei in un salottino ed allora dovette tirare fuori la sua
severità per farli rientrare nei ranghi.
riuscì a ridimensionare Debora Bacalov, la docente di psicologia, le cui
interpretazioni ossessive stavano diventando fastidiose; zittì letteralmente
Frank Di Majo, che da critico storico ostentava un tono polemico del tutto
fuori luogo.
La tabella di marcia non dava tregua. In America aspettavano risultati che
si sarebbero espressi in ricerche, tesi, resoconti da pubblicare a prezzi
esclusivi. Il business che sottendeva l'iniziativa era di alto valore
economico, per questo ogni minuto era denaro.
Per cinque giorni vi sarebbero stati incontri prerliminari con un gruppo
selezionato di professori del posto per stabilire un programma di argomenti
da trattare, poi sarebbero iniziati i seminari e le lezioni a ritmo
intensivo. Fra giugno e Luglio, stando alle previsioni, un centinaio di
studenti iraniani avrebbero sostenuto i primi esami presso l'Università
Americana ed a quel punto la Centrale di Boston avrebbe avuto richieste da
tutto il mondo di aprire nuove sedi decentrate.
C'era un profondo significato politico in tutta la questione. L'Università
era solo un pretesto per piantare saldamente i piedi in un territorio
cocente e da lì agire per fini tutt'altro che culturali. Questo Linda lo
aveva capito sin dall'inizio ma aveva scelto di stare al gioco.
Politicizzato era anche il suo lavoro a Boston; tanto valeva andare a
confrontarsi con un mondo nuovo che per quanto infido potesse essere sotto
il profilo ideologico, forse era molto più pulito sotto quello umano.
Che non si trattasse di un'impresa facile lo si notò il mattino successivo
dalle prime battute. L'incontro con i docenti iraniani mise subito in
risalto le diversità difficilmente conciliabili fra le due culture.
"La storia è un movimento armonico, finalizzato ad amalgamare l'umanità
intera nella consapevolezza della sua discendenza dall'assoluto. Non
possiamo concepirla come l'insieme casuale di fatti che hanno portato allo
stato attuale."
Affermò con delicatezza ma decisione al tempo stesso Kiros Palavani, uno dei
membri più autorevoli dello staff di Teheran.
Linda intuì che per quella gente tutto era finalizzato ad un incontro
mistico; il loro sforzo interpretativo della realtà era sempre finalizzato
ad inserirla nel "grande disegno".
Erano solo illusi, oppure avevano capito qualcosa che gli occidentali non
avrebbero potuto conciliare con il loro senso imprenditoriale della vita?
Comunque stessero le cose, ora l'imperativo era trovare una soluzione di
compromesso ed in quest'opera di mediazione la donna era l'unica matura in
mezzo ad un gruppo di oltranzisti di occidente, mentre dall'altra parte
c'erano personalità granitiche a sostenere una milenaria saggezza d'oriente.
Non si poteva cedere; a Boston si aspettavano una vera e propria
evangelizzazione culturale, ma far digerire a quegli imperturbabili
individui la novella del pionierismo sembrava davvero un'impresa senza
speranze.
La cosa andò meglio di quanto ci si potesse aspettare. Linda Flowerborn era
dotata di un potere persuasivo basato fondamentalmente sulla pacatezza con
cui sosteneva le sue tesi. Era il suo vero pregio, che scompariva quando
la donna cedeva alla rabbia ed allo sconforto, per poi riaffiorare
rinvigorito e questo stava avvenendo a Teheran, dopo un anno di letargo.
Dopo due giorni di incontri i componenti del gruppo Iraniano avevano
acquisito un tono benevolo, tollerante. Sorridevano bonariamente di fronte
a modelli di pensiero che disapprovavano in toto ma che erano disposti a
prendere criticamente in esame, fino a proporli al mondo studentesco come
l'altra via", forse più tortuosa, ma per loro anch'essa conducente verso
l'armonia con l'Assoluto.
Era questo il punto: qualunque cosa venisse proposta con onestà poteva
essere considerata un'emanazione di Dio e Linda di onestà ne aveva da
vendere.
Clarissa Wilbirth partecipava alle riunioni come interprete ed ogni sera
faceva un resoconto ai suoi compagni di missione. Alla fine del terzo
giorno spiegò a Cortez Herrera, nella cafeteria dello Xerses Imperial, i
contenuti del confronto di quella mattina. L'uomo l'ascoltò svogliatamente,
preso com'era dai programmi dell'operazione che stava per entrare nella sua
fase attiva, poi la fissò divertito.
"Hai un'ammirazione notevole per la dottoressa Flowerborn." Le disse
sorridendo.
"E' una persona intelligente e pulita; un po' mi dispiace che sia coinvolta
in questa storia." Rispose la donna calma.
"Se tutto va bene non se ne accorgerà nemmeno."
"Lo credi davvero? Secondo me già stenta a capire noialtri cosa stiamo a
fare qui."
L'uomo accigliò lo sguardo."Non possiamo impiantarle una cimice addosso; se
davvero qui è tutto sotto il controllo di quegli angioletti, la
rileverebbero subito. Angela deve starle addosso; ho visto che vanno
d'accordo. Noi intanto organizzeremo un piccolo incontro pomeridiano con
gli studenti. Diamo un po' di roba da mangiare, mettiamo sù musica
moderna; insomma mostriamo di esserci."
In quel momento Ronald Briggs entrò con la sua solita aria scanzonata, prese
una vodka al bar e andò a sedersi accanto ai due.
"Andiamo a fare un giro stasera; ci aspettano nel quartiere vecchio."
Disse con una smorfia piuttosto tesa. Cortez annuì tamburellando con le
dita sul tavolino.
"Sta bene." Rispose. "Ci ritroviamo sul posto: io e Clarissa, tu e
Melanie."
"Perché non portiamo Angela? E' la nostra guida turistica; saremo più
credibili."
Ribattè Briggs; Cortez scosse la testa."Angela non si stacca dalla
Flowerborn; non so quanto ci convenga lasciarla da sola."
"Ci sono problemi?" Chiese l'altro.
"Nessuno per ora e così deve continuare." Rispose secco Cortez.



Capitolo 4
Ronald Briggs e Melania Barchet si fermarono davanti all'ingresso di una
casa al piano terra di una palazzina dentro un vicolo angusto e semibuio,
quasi scavato in un alveare di casupole fatiscenti.
Erano passate da poco le 23 e la zona sembrava deserta. Due uomini vestiti
con lunghi pastrani scuri gli passarono accanto parlando a voce alta. Lui
fece cenno alla donna di proseguire; non era prudente fermarsi lì.
Percorsero pochi metri quando videro sbucare da una viuzza laterale Cortez e
Clarissa che camminavano sottobraccio con l'aria di due turisti sprovveduti.
Fecero un breve giro poi li raggiunsero mentre Cortez aveva appena
bussato. I quattro entrarono in un androne angusto e lurido mentre una
donna di mezza età, completamente sdentata, gli indicava una scalinata in
discesa.
"Che fetore!" Commentò Melanie. "Sembra di stare in una latrina
pubblica."
In fondo alla scala c'era una porta aperta oltre la quale si intravvedeva la
luce di un locale. L'odore umido e stantìo della muffa si mescolava ad
altri indecifrabili. Ronald fece una risata acre.
"Forse era meglio portarci le maschere." Disse ironico
"Li avremmo offesi e non sarebbe stato un buon inizio." Rispose Cortez
serio.
La stanza era illuminata fiocamente da due lampade a muro. Due uomini
stavano seduti su piccole poltrone; uno, ben vestito con un abito grigio,
sorrideva in maniera ossequiosa, l'altro aveva il capo coperto e indossava
una specie di tonaca a fasce bianche e nere; sembrava impassibile.
I 4 vennero fatti accomodare su piccoli puff; la stessa donna di prima portò
un bricco pieno di the con sei tazze. Cortez fece cenno agli altri di
accettare; Melanie deglutì rumorosamente.
L'Iraniano più ossequioso si presentò come Zavani Karaman, esponente
clandestino della dissidenza; l'altro si chiamava Kabir Faszamelai e
rappresentava l'ala estrema legata a movimento Pan Islamico, oramai ridotto
ai minimi termini dalla Guardia Nazionale di Rahzi Jasfanei.
I convenevoli furono brevissimi, pressochè nulli. Faszamelai manteneva
un'espressione cupa ed ostile.
"Il Satana d'Occidente è in rotta con il suo compare d'oriente, così decide
di allearsi con noi."Disse con tono sentenzioso.
Cortez sorrise sardonico."A voialtri conviene stare al gioco se non volete
diventare a tutti gli effetti i cittadini dannati della Repubblica di
Belzebù." Rispose seccamente.
L'Iraniano scoppiò inaspettatamente a ridere."C'è una cosa che vi invidio: è
la sfrontatezza del vostro spirito."
Karaman intervenne con tono mellifluo."I vostri bagagli sono arrivati
intatti, siamo pronti a consegnarveli."
"Quand'è fissato il prossimo incontro?" Chiese Briggs.
"Loro si mostrano ogni due settimane, la prossima volta sarà fra due notti."
Rispose Faszamelai.
"Andremo in 4: voi due, il mio amico ed io. Penseremo noi all'automobile."
Disse Cortez. L'Iraniano indurì l'espressione.
"Senza i miei uomini io non vado con i nemici dell'Islam." Disse a denti
stretti.
Cortez si alzò di scatto."Allora non se ne fa niente" Rispose
ironicamente allargando le braccia.
"Va bene così. Noi terremo però i vostri pacchi; prima o poi riusciremo ad
aprirli." Ribattè l'altro impassibile.
Cortez tirò fuori uno sguardo bieco."Entro 24 ore vi avremo consegnato alle
autorità locali." Scandì ferocemente. "Siamo agenti della NATO
incaricati di indagare su di una cellula integralista e l'abbiamo trovata.
Il governo locale perdonerà la nostra intrusione quando gli avremo
consegnato Kabir Faszamelai chiuso in un sacco dell'immondizia.
"Karaman protese le mani in avanti."No..no, signori, vi prego! Dobbiamo
essere uniti, altrimenti questa lotta sarà perduta. Per favore, rimettetevi
a sedere!" Disse quasi implorante.
"Non c'è posto per più di 4 persone; non possiamo portarci appresso tutto
l'esercito di liberazione Islamico, altrimenti ci localizzeranno e sarà
finita prima di incominciare." Continuò Cortez restando all'impiedi.
Faszamelai lo fissò inespressivo.
"Hanno rilevatori di superficie, non ci si può avvicinare. Come pensate di
eluderli?" Chiese con un tono preoccupato.
"Abbiamo un dispositivo adatto, siamo qui apposta, ma la copertura basta
solo per 4 persone, il veicolo e le altre apparecchiature."
L'Iraniano annuì. "Andremo in 4, come dici tu." Disse a voce bassa.
"Bene! Inutile dirvi di mettere abiti neri. Evitate radio o altre
apparecchiature del genere. Portate solo armi leggere ed auguriamoci che
non ci servano."
Briggs intervenne deciso rivolto a Karaman.
"Adesso andiamo a vedere i pacchi." Disse con tono arrogante. Zavani
Karaman si avviò verso la porta facendo cenno ai 4 di seguirlo. Prima di
uscire Cortez salutò l'altro uomo seduto in poltrona il quale gli rispose
con un sorriso tagliente.
Una volta all'aperto l'Iraniano disse velocemente a Briggs di salire
sull'automobile posta appena dietro a quella su cui sarebbe entrato lui e si
avviò a passi veloci lungo il vicolo.
Dopo 5 minuti di cammino il gruppo si ritrovò su di una strada abbastanza
larga. C'erano poche automobili che passavano velocemente, il vento
freddo e sferzante fece ondeggiare i capelli lunghi di Clarissa.
Karaman si infilò in una Volvo bianca che partì all'istante. Dietro c'era
una Citroen Porthos a 8 posti nella quale entrarono i 4 agenti. Al
volante c'era una donna giovane la quale senza dire una parola avviò l'auto
speditamente. Il viaggio durò quasi 20 minuti, attraversando il cuore
della città fino alla periferia , dove stavano sorgendo interi quartieri
moderni destinati ad accogliere la popolazione della zona vecchia.
Le automobili si fermarono in un piazzale pieno di auto e moto
parcheggiate. Vi si affacciava un edificio circolare a tre piani,
privo di finestre e vetrate ma completamente ricoperto di decorazioni in
bassorilievo colorato che riproducevano arcate arabesche e colonnati di
stile Alessandrino, il tutto in un'alternanza fra il rosso, l'azzurro ed il
giallo.
Zavani Karaman si avviò verso l'ingresso dell'edificio che portava
un'insegna luminosa intermittente : "POMPADUR CAFE'".
"La Francia dovrebbe dichiarargli guerra solo per questo."
Commentò Melanie ridendo.
L'interno era un vero e proprio caos; una specie di dancing piano-bar
situato su più livelli, con sale di stile diverso, tutte immerse nell'ombra,
fatta eccezione per il gioco delle luci psichedeliche. Anche le
musiche erano diverse: assordanti e veloci al piano terra, lente di tipo
orientale al primo, da piano bar al secondo. C'era molta gente,
uomini e donne giovani, quasi tutti del posto ma vestiti con abiti di foggia
occidentale. Ballavano, bevevano, alcuni cenavano alla tavernetta del
locale. Cortez osservò numerose coppie che si baciavano avviandosi
abbracciate verso una fila di ascensori.
"Al terzo piano abbiamo un settore riservato, per i più romantici."
Disse compiaciuto Karaman.
"Un bordello." Troncò seccamente l'altro. "E la polizia non vi crea
problemi?"
"Assolutamente no. Sono tutti nostri amici e clienti."
C'era un bar fornitissimo, tutt'altro che automatizzato; a servire erano
delle ragazze che indossavano solo corpetti in laminato. Presero
tutti da bere; Karaman bevve un caffè Turco, poi fece cenno agli altri di
seguirlo e si avviò verso una porta sorvegliata da due uomini il cui
accesso era vietato al pubblico.
Da lì si accedeva in un piccolo ufficio dotato di vari comfort, fra cui una
stanza da bagno piuttosto ampia. L'Iraniano armeggiò goffamente con la
rubinetteria della doccia, finchè una parete sulla quale era montata una
scaffalatura si aprì come una porta a due battenti, mettendo in evidenza un
piccolo corridoio in discesa.
"Questa sarà la vostra base operativa." Disse soddisfatto. "Seguitemi,
per favore."
Il corridoio scendeva ripidamente senza scale, svoltando ad angolo retto
fino a sbucare in una specie di deposito ricavato nella pietra,
completamente climatizzato ed illuminato da due neon. Una rampa laterale
conduceva in alto ad un'altra porta chiusa, situata proprio sotto un angolo
della volta che sovrastava il locale. Sui lati vi erano scaffalature
contenenti file di CD, floppy, lucidi, radiotrasmittenti, torce elettriche,
casacche, stivaloni. Mancavano le armi ma c'era tutto il rimanente per
equipaggiare una piccola spedizione esplorativa. In un angolo c'era una
consolle-computer di ultima generazione.
Al centro del locale stavano tre grosse casse in plastiwood sigillate;
ognuna portava su di un lato una piccola area rettangolare ricoperta da una
membrana porosa che Ronald e Cortez si affrettarono a scostare. Sotto la
copertura c'era un quadrante alfanumerico ed un minuscolo display.
"Sono intatte. E chi avrebbe avuto il coraggio di aprirle?" Disse Karaman
con una risatina isterica.
Cortez ispezionò le casse senza toccarle, poi ripose su una di esse la
membrana, Ronald lo imitò.
"Le apriremo al momento opportuno." Disse.
I contenitori erano la dotazione del gruppo, consegnate da uomini dell'ABI
ai dissidenti Iraniani lungo il confine Turco. Non vi sarebbe stata
possibilità di far passare quel materiale attraverso i controlli doganali,
per questo la spedizione era avvenuta tramite un canale diverso; per
organizzarla Amelan Tarnakadi aveva impiegato 20 giorni , contattando i
dissidenti attraverso una rete di intermediari che copriva un'area estesa da
Gibilterra all'India.
All'interno delle casse si trovavano i componenti di una serie di
apparecchiature sofisticate, appartenenti all'ultima generazione del settore
elettronico, oltre ad armi leggere e ordigni miniaturizzati. L'apertura
avveniva attraverso l'impostazione di una sequenza alfanumerica specifica
composta da 10 caratteri, praticamente impossibile da indovinare. Al
primo errore di digitazione entrava in funzione un meccanismo esplosivo che
in 8 secondi avrebbe disintegrato le casse e ucciso chi si trovasse nel
raggio di 30 metri. Ogni cassa aveva una sigla di riconoscimento ed una
password specifica di apertura.
Poco dopo, all'interno dell'ufficio, Zavani Karaman fece entrare due giovani
donne molto eleganti che presentò agli agenti ; si trattava di elementi
della dissidenza che da quel momento avrebbero accompagnato Briggs ed
Herrera nei loro spostamenti verso il Pompadur cafè, nei panni di
"amusement-girls", un genere di cui l'Iran in quel momento era pieno. Era
indispensabile evitare di creare sospetti, anche all'interno dello staff
dell'Università ed una frequenza eccessiva di uscite in coppia fra
componenti del gruppo di public relations, avrebbe potuto apparire strana
agli occhi degli insegnanti e degli studenti. Molto più credibile sarebbe
stata invece la possibilità che i due uomini del gruppo fossero andati in
cerca di avventure con ragazze del posto. Qualora anche le donne che
formavano il gruppo in missione si fossero dovute spostare frequentemente in
ore serali, Karaman aveva già pronti elementi maschili fidati che avrebbero
fatto la parte dei gigolò. Nessun dettaglio era stato trascurato.
L'ala integralista della dissidenza non aveva partecipato a questo aspetto
dell'operazione; l'ideologia rigorosamente moralista dei suoi componenti
vietava di creare situazioni di promiscuità anche artefatte e questo dava un
minimo di tranquillità agli agenti, consapevoli di non trovarsi a stretto
contatto con personaggi che all'occasione potevano trasformarsi in
pericolosi nemici.
Davanti al bar della sala al primo piano Zavani Karaman sembrava essersi
trasformato. Salutava uomini dall'aspetto facoltoso, senza risparmiare
abbracci ambigui alle le donne che li accompagnavano. Era perfettamente
calato nella parte dell'imprenditore, direttore di uno dei locali più alla
moda della città, ruffiano e marchettaro di marca. Quella era la
copertura di un uomo che in realtà capeggiava l'intero movimento di
dissidenza moderata, un piccolo esercito composto da 3000 elementi
infiltrati in ogni settore , che aspiravano a prendere in mano il controllo
della Nazione e divenire essi stessi i nuovi alleati dell'Occidente.
Tarnakadi era il numero 2 dell'intero movimento; era fuggito consegnandosi
alla NATO proprio affinchè venisse organizzato un nuovo colpo di stato che
avrebbe scalzato Jasfanei ed i suoi soci, creando un nuovo governo di
coalizione nel quale vi sarebbe stato spazio anche per il partito Pan
Islamico. La dissidenza Integralista ovviamente non si fidava affatto
dei moderati in cui vedeva solo dei rivali del Presidente, in gara per
accattivarsi la benevolenza dell'Occidente corrotto. Solo la certezza
di un'interferenza da parte di creature non appartenenti alla Terra, che per
entrambe le fazioni rappresentavano l'emanazione di una specie demoniaca,
aveva costretto giocoforza i Pan Islamici ad allearsi con i loro rivali.
Era chiaro che questo sodalizio sarebbe terminato nel momento in cui Rahzi
Jasfanei fosse stato messo fuori gioco e per questo motivo la CIA, l'ABI e
tutta la "INTELLIGENCE" del blocco NATO avevano mobilitato il meglio dei
loro quadri per dare man forte ai moderati nella conquista rapida del
potere.
Dal loro canto gli integralisti stavano compiendo grossi sforzi per ottenere
l'appoggio militare da parte dei Paesi del Patto di Kabul. Si trattava di
una situazione delicatissima dal momento che l'Iran godeva della protezione
da parte della NATO e qualunque aggressione militare avrebbe scatenato la
reazione su vasta scala del blocco Occidentale. L'unica possibilità
stava in un intervento veloce e mirato nella fase di interregno, cioè dopo
l'eventuale caduta di Jasfanei e prima dell'insediamento di un nuovo
governo. Una simile azione poteva essere compiuta da gruppi scelti di
guerriglieri ma comunque si sarebbe trattato di gareggiare non tanto in
forza quanto in velocità con le unità scelte del blocco NATO che avevano una
grande esperienza in fatto di azioni lampo.
La musica era notevolmente accattivante, con note tipicamente orientali ma
un ritmo di samba da batteria e piano-sintetyzer.
"Make me happy with your scent".
Cantava una voce di donna la cui immagine sul video a tutta parete sembrava
quella di un felino, seduta con le gambe di lato mentre le unghie
lunghissime martoriavano un tappeto rosso .
Cortez osservò attentamente il viso piuttosto triangolare, gli occhi lunghi,
il collo ed il tronco esili ed allungati, con il seno sproporzionatamente
sporgente, le gambe sinuose, magre, nervosissime. Gli sembrò
decisamente un ibrido, un incrocio fra l'umano e quel genere sicuramente
alieno ma del quale in decenni di studi si era capito pochissimo e che
veniva chiamato "Grigio" oppure "ZETA", dal nome del sistema Zeta-Reticuli,
da cui si pensava che quegli alieni provenissero.
"Il look tipico del demonio, così come lo descrivono le leggende religiose."
Pensò per un attimo. "Forse questa gente ha davvero ragione."
Clarissa lo guardò silenziosa, sembrava aver intuito i suoi pensieri. Vuotò
in un paio di sorsi il bicchiere che aveva in mano. Cortez annuì e
mise una sigaretta fra le labbra; Zavani Karaman gli piazzò l'accendisigari
acceso davanti.
"Non credo che sia rimasto colpito solo dalla bellezza ." Disse indicando
l'immagine sul video.
"Cosa sapete voi delle ibridazioni?" Gli chiese Cortez serio.
L'Iraniano accese un sigaro sottile e diede una lunga boccata emettendo il
fumo con un sospiro.
"Quasi nulla fino a poco tempo fa." Rispose. "Ora crediamo che loro
facciano innesti fra la nostra gente. Succedeva già migliaia di anni fa,
prima del Grande diluvio." Concluse con tono grave.
"I Nefilim?" chiese Cortez . L'altro annuì.
"Proprio loro. Avevano incominciato a fondersi con il genere umano. La
genìa impura venne sterminata dal diluvio ma loro non si diedero per vinti.
Sono ritornati tante volte e adesso sono qui, per infettare l'Islam,
l'ultima religione pura del pianeta."
"Eppure alcune leggende dicono che furono proprio i Nefilim ad indurre
l'intelligenza nei primitivi, trasformandoli in uomini e pare che tenessero
molto a proteggere le loro creature." Obiettò Cortez.
Il tono di Karaman si fece duro."Tu parli della stirpe del demonio, non dei
figli di Dio. Ce ne sono tanti al mondo e stanno preparando il trionfo del
loro capo supremo. L'Islam esiste anche per questo: combattere e
sterminare i discendenti di Satana."
Cortez lo fissò senza rispondere; Al di là delle sue convinzioni
religiose, Zavani Karaman poteva aver centrato buona parte della questione.
Una delle ragazze presentategli poco prima gli tese la mano per ballare.
L'uomo accettò dandosi una piccola scrollata di spalle e con un paio di
passi si ritrovò in pista.
"In my love is your heaven"
Continuava la donna sul video, protendendo in avanti la mano unghiata.

Capitolo 5.
Due giorni dopo vi fu il cocktayl per gli studenti dell'università
Americana; tutto si svolse nel pomeriggio sotto la supervisione scrupolosa
di Briggs il quale sembrava effettivamente avere notevoli capacità in fatto
di animazione. Musiche ben selezionate, rinfresco di classe,
rigorosamente analcolico nel rispetto della tradizione locale, video
virtuali sulla conquista del West, opportunamente ripuliti da ogni scena
violenta. Una singolare gara di ballo, articolata con quiz culturali e
premi in CD ROM con i maggiori programmi informativi di World-net, diede un
tocco di agonismo alla festa.
Linda andò a complimentarsi; non aveva mai degnato di un sorriso i due
uomini delle public relations.
Angela Groove era diventata la sua ombra e lei ne era contenta. Era
finalmente riuscita ad aprirsi , incominciando a raccontare la storia della
sua vita. Si sentiva meglio ogni volta che ne parlava, come se si stesse
liberando di un peso.
Gli altri insegnanti sembravano essersi adattati al clima culturale del
posto; i loro angoli andavano smussandosi giorno dopo giorno ed allo stesso
tempo si scioglievano i nodi delle loro inibizioni.
Frank di Majo aveva incominciato a corteggiare Franziska Hoffmann; Debora
Bacalov passeggiava a lungo con un certo Abrhashan, un giovane professore di
Storia Islamica che sembrava essere sulla buona strada per convertirla; una
valletta del posto copriva di attenzioni Bill Potterson, docente appena
ventisettenne di Sociologia, un secchione pieno di complessi che oramai in
pubblico aveva costantemente le guance color rosso acceso. I suoi colleghi
tiravano a scommettere su quanto avrebbe resistito.
Cortez incrociò Linda in mezzo alla sala; la donna indossava un abito lungo
color verde chiaro e piuttosto scollato che si intonava con i suoi occhi.
"Lei è veramente luminosa, dottoressa. Spero che non si infastidisca per
quello che dico." Disse l'uomo effettivamente colpito.
Lei ebbe un attimo di esitazione, forse un po' infastidita lo era davvero ma
quell'uomo aveva parlato con un tono stranamente signorile. Se non stava
recitando anche l'opinione iniziale su di lui andava riveduta.
Lo ringraziò sorridendo, accennò ad un "cin cin" e si avviò oltre.
Intimamente si sentiva lusingata.
Poco dopo le 7 i due uomini uscirono dallo Xerses Imperial, il cocktayl non
era ancora finito ma le ragazze sarebbero abbondantemente bastate a
mantenere viva l'atmosfera.
Le donne presentate da Zavani Karaman li aspettavano davanti all'hotel,
sedute in una Ford Vega.
I 4 giunsero davanti al Pompadur cafè, Briggs scese dall'auto ed andò ad
infilarsi in una Lada Strogov, la grossa fuoristrada che Clarissa aveva
noleggiato quella mattina dando una mancia extra che aveva stravolto
l'impiegato della "PERSICAR". In poche ore tutti i documenti
dell'auto, compresa targa e numero di telaio, erano stati sostituiti con
altrettanti falsi. Gli agenti in missione potevano cambiare identità e
documenti per un numero teoricamente illimitato di volte, riuscendo così ad
eludere ogni controllo sui loro movimenti precedenti.
L'auto venne parcheggiata in un'autorimessa sotterranea al locale,
attraverso la quale si accedeva alla camera segreta situata sotto l'ufficio
di Karaman.
Briggs arrivò nella camera segreta pochi attimi dopo; Cortez era già lì,
pronto ad aprire le casse. Le luci vennero spente nella possibilità che
vi fossero telecamere nascoste ed ai quadranti delle casse vennero applicati
dei manicotti che avrebbero impedito la visuale anche a microspie agli
infrarossi. Non ci si doveva fidare di alcuno, specialmente degli Iraniani.
I due agenti tirarono fuori il materiale che sarebbe stato necessario per
l'operazione di quella notte, alcune armi individuali ed altre
apparecchiature , poi richiusero le casse e si avviarono verso
l'autorimessa.
Zavani Karaman e Kabir Faszamelai li aspettavano davanti all'auto, avevano
portato degli zaini contenenti i loro equipaggiamenti; entrambi sembravano
abbastanza calmi.
Ronald Briggs puntò verso l'auto un piccolo rilevatore di radioattività e si
accorse che l'intera carrozzeria emetteva un segnale debole ma captabile da
una ricevente opportunamente sintonizzata. Era chiaro che tutti gli
autoveicoli che si trovavano in Iran avevano tale caratteristica, grazie
alla quale il loro movimento poteva essere costantemente seguito.
Karaman lo guardò con espressione interrogativa; lui sorrise.
"Noi saremo invisibili grazie a questo." Disse mostrando una minuscola
emittente appiattita e larga la metà del palmo di una mano.
Era un ammortizzatore di traccia, questo era il nome convenzionale che le
era stato dato. Creava un'area dal raggio di 8 metri un campo di copertura
nel quale qualsiasi oggetto, metallico, meccanico o biologico non era
rilevabile da alcun radar o satellite conosciuto. L'auto con i 4 uomini
si sarebbe spostata senza emettere la sua traccia ed allo stesso modo loro
avrebbero potuto avvicinarsi a piedi al luogo dell'incontro con gli alieni
senza essere localizzati, mentre un altro ammortizzatore sarebbe rimasto
all'interno del veicolo.
"Speriamo che funzioni." Sospirò Faszamelai.
"Funzionerà, speriamo piuttosto che riesca ad ingannare i rilevatori
degli…….intrusi." Disse Briggs.
L'auto lasciò Teheran intorno alle 20; il luogo in cui si svolgevano gli
incontri fra alieni ed uomini dello staff di Jasfanei si trovava a circa 200
chilometri dalla città, verso est, nella zona disabitata del Deserto Salato.
L'ubicazione esatta era conosciuta però solo da Faszamelai, i cui
uomini avevano catturato pochi mesi prima un soldato della Guardia Nazionale
dal quale avevano ottenuto una confessione piena ed una descrizione
dettagliata di ciò che avveniva durante gli incontri.
Un oggetto triangolare calava dall'alto silenziosamente; ne uscivano
individui la cui descrizione corrispondeva perfettamente alla tipologia dei
"Grigi", i quali consegnavano ai governativi dei contenitori sigillati,
prendendo in cambio prigionieri dissidenti ed altri contenitori anch'essi
chiusi, portati dai militari. A quel punto l'UFO decollava rapidamente,
mentre gli uomini della Guardia Nazionale rientravano verso la capitale.
Tutto quanto rappresentava merce di scambio fra gli alieni e gli uomini di
Jasfanei veniva da questi ultimi custodito sotto stretta sorveglianza
all'interno di una base militare situata poco fuori Teheran. La base era
del tutto inavvicinabile, protetta da una rete di sorveglianza che
impediva a chiunque di superare la distanza di 500 metri dal recinto
perimetrale. I pochi che avevano tentato di forzare la rete, uomini
dell'ala dissidente Integralista, erano stati catturati e di loro non si
erano avute più notizie. Era anche capitato che alcuni ostaggi venissero
restituiti agli uomini della Guardia Nazionale. Si diceva che avessero
subìto un trattamento rieducativo che li avrebbe resi definitivamente fedeli
al regime; Chiaramente dovevano essere stati sottoposti ad un
condizionamento psichico che fondamentalmente li avrebbe asserviti alla
causa aliena.
Purtroppo gli oltranzisti avevano lasciato morire di overdose da barbiturici
il loro prigioniero più prezioso, rimanendo impossibilitati a raccogliere
altre informazioni.
Amelan Tarnakadi e Zavani Karaman avevano solo visionato le registrazioni di
quell'interrogatorio; così si era reso necessario fare un patto con l'ala
integralista per poter accedere al luogo degli incontri.
Durante il viaggio entrambi i due Iraniani se ne stettero in silenzio;
Briggs aveva avuto come unica indicazione la strada nazionale che da Teheran
portava verso Meshed e poi al confine con il Turkmenistan, lungo il margine
settentrionale del deserto salato, a sud della catena montuosa degli
Elburns; una zona impervia, piatta, semi deserta, i cui pochi insediamenti
erano stati abbandonati dai loro abitanti trasferiti nei nascenti villaggi
del Khusistan e della costa nord sul Mar Caspio. Anche la strada era
dissestata ed appena asfaltata; in quella zona non ci andava quasi nessuno.
Faszamelai sembrava bisbigliare qualcosa, una sorta di nenia ripetitiva;
Cortez intuì che l'uomo stava pregando e lo lasciò in pace. Karaman
fumava nervosamente una sigaretta dietro l'altra, agitandosi sul sedile
posteriore e dando piccole spinte involontarie al suo compagno il quale lo
ignorava del tutto.
"Ora bisogna uscire dalla strada e prendere il prossimo viottolo sulla
destra." Disse Faszamelai rivolto a Ronald con un tono laconico, poco
prima che la strada raggiungesse l'abitato di Semman.
"Ricorda che chiunque abbia superato il raggio di 3 chilometri dal luogo in
cui i maledetti si incontrano è stato intercettato."
"Continua a guidarci; ci avvertirai quando saremo a 4 chilometri dal punto."
Ribattè Cortez.
Il percorso era particolarmente accidentato; la fuoristrada ondeggiava fra
dossi ed asperità di quel sentiero che era praticamente un canale tracciato
in mezzo al deserto, rivolto verso sud in una zona totalmernte disabitata.
L'Iraniano aveva un minuscolo sestante elettronico che Briggs gli aveva
dato, con il quale poteva fare il punto ed orientarsi. Dopo un'ora e mezzo
di cammino poggiò una mano sulla spalla di Cortez.
"Siamo al limite." Disse inarcando le sopracciglia.
"Bene." Rispose l'altro. "Fissiamo il punto e prepariamo l'antenna."
Il metodo escogitato dagli esperti tecnici che avevano organizzato
l'operazione per bypassare l'ostacolo delle intercettazioni era complesso ma
abbastanza affidabile.
Tutto ciò che avveniva durante gli incontri fra Guardia Nazionale ed alieni
sarebbe stato trasmesso in "real time" su di una banda di frequenza usata
dalle radio locali per trasmissioni musicali. Il segnale sarebbe stato
crittato in modo da essere recepito come una musica orientale e poi
opportunamente decodificato alla ricezione, fino ad essere tradotto in
immagini . Per realizzare la cosa era necessario avere a
disposizione un'antenna di emissione che però andava posizionata fuori
dall'area critica indicata dagli Iraniani, nel cui raggio era possibile
essere intercettati. L'antenna era minuscola e facilmente
mimetizzabile ma andava collegata alla trasmittente che gli uomini avrebbero
portato fino al loro luogo di osservazione, situato a poche centinaia di
metri dal meeting-place con gli alieni. Per questo motivo era stato
fornito un cavo a fibra ottica, sottile poco meno di un filo di seta ma
resistentissimo, lungo 5 chilometri ed avvolto in un contenitore a
scorrimento grande quanto la ruota di una bicicletta da bambini.
Una volta posizionata l'antenna accanto all'automobile ed attivato uno dei
due ammortizzatori di traccia, i 4 uomini, coperti dal secondo
ammortizzatore, scivolarono appiedati e ben vicini tra loro in mezzo al
deserto. Kabir Faszamelai li guidava, orientandosi di tanto in tanto.
Tutti avevano indosso tute mimetiche e visori notturni che avrebbero evitato
l'uso di torce elettriche; un rilevatore nelle mani di Cortez li avrebbe
avvisati di qualunque oggetto animato nel raggio di mille metri.
Camminarono nel deserto, sotto il vento freddo, coperti di polvere; durò
quasi due ore, finchè Faszamelai fece cenno di fermarsi.
I 4 si acquattarono dietro un piccolo rilievo; Briggs guardò l'orologio, era
passata da poco mezzanotte. L'Iraniano indicò una spianata ad alcune
centinaia di metri di distanza. Era una vecchia oasi prosciugata, con
alcune palme rinsecchite ed una decina di conteiners fatiscenti. Negli
anni passati era servita ai corpi speciali del regime Integralista ad
allenarsi per missioni suicide. Ronald guardò l'uomo digrignando i
denti.
"I vostri aguzzini imparavano qui a fare strage di innocenti e qui il
diavolo è venuto a ficcarvi la supposta che meritate." Disse
inferocito.
"Se non fossi in missione sarei tentato di regalarti agli alieni e vederti
arrostire nei loro forni a microonde."
Faszamelai non rispose, continuando a guardare avanti a se; Cortez prese
il compagno per un braccio.
"Hai detto una cosa giusta: sei in missione." Gli disse a bassa voce.
L'uomo lo guardò infastidito.
"Non c'è bisogno che me lo ricordi tu." Rispose secco.
Cortez strisciò verso l'Iraniano. "A che ora si svolgono di solito questi
incontri?" Chiese.
"Non c'è un orario; durante la notte. Una volta arrivarono alle 2, un'altra
alle 4 passate. I governativi non lo sanno; arrivano attraverso quella
strada e aspettano. Qualche volta sono rimasti in attesa per ore."
L'uomo aveva indicato un altro sentiero proveniente da ovest situato a poco
più di 300 metri da loro.
Cortez non perse tempo; estrasse dallo zaino una valigetta piatta che aprì
di scatto. C'era una tastiera digitale, uno schermo ed attacchi per varie
periferiche. Collegò una minicamera, ottenendo sullo schermo l'immagine
dell'oasi, poi, dopo aver armeggiato per un minuto, agganciò il cavo a fibre
ottiche. Guardò l'orologio, mancavano 20 minuti alle una del mattino.quel
momento a Washington erano le 2,40 postmeridiane. Il rumore
intermittente del cicalino fece girare di scatto l'operatore della sala
controllo dell'SDB. L'uomo fece una rapida verifica, poi chiamò Arnold
Baugmarten al telefono interno, comunicandogli che il gruppo Soraya-Loom
aveva stabilito il contatto ed aggiungendo le coordinate del luogo di
trasmissione.
In meno di 10 minuti il meglio dell'apparato difensivo aerospaziale venne
allertato. La nave portavelivoli Reagan, che navigava nel Mar Nero, mise
in pista 6 aerei caccia d'alta quota F-333, discendenti di ultima
generazione degli Stealth. Altre 5 unità navali incrocianti nel
Mediterraneo orientale vennero messe in stato di allarme; 4 sommergibili
armati di missili laser guidati vennero avvicinati alle coste meridionali
della Turchia; una squadra di 3 incrociatori e due sommergibili piazzata nel
mar Arabico, approntò i propri missili intercettori.
Il WASD mise in allarme l'intero scudo satellitare, mentre l'USAF fece
decollare da Alaska, Groenlandia e Antartide tre apparecchi X-45
Shadowstar, discendenti dei mitici Darkstar di fine XX secolo, velivoli
capaci di entrare in orbita grazie ai loro motori a propulsione
fluidomagnetica. Sarebbero entrati in azione qualora gli UFO da intercettare
fossero sfuggiti alla prima rete difensiva. L'SDB allertò inoltre
gli equipaggi dei suoi 3 Shuttle in orbita. Si trattava di veicoli
segreti, con equipaggiamento militare, gli unici che montavano cannoni laser
a fasci multipli ed orientabili. Oltre agli Shadowstar erano gli unici
velivoli spaziali che utilizzavano la nuova propulsione
magnetico-antigravitazionale, frutto di uno studio multidecennale sulle
tecnologie carpite agli alieni. Stavolta l'astronave che ogni 15 giorni
calava in territorio Iraniano, per poi andarsene indisturbata, doveva
essere intercettata ad ogni costo.
Piazzati di fronte all'oasi deserta, mentre il vento faceva cigolare con
rumore sinistro i portelli semiscardinati dei containers, i 4 uomini se ne
stavano silenziosi, quasi immobili.
Briggs impugnava un mitrapistola silenziato e di tanto in tanto lanciava
sguardi verso Kabir Faszamelai, il quale si era messo carponi, con il mento
appoggiato sulle nocche delle mani a fissare quel paesaggio piatto; sembrava
fosse andato quasi in catalessi.
Karaman aveva cercato di allentare la tensione avvicinandosi a Cortez il
quale però gli aveva fatto un cenno cortese ma deciso di starsene al suo
posto mentre lui trasmetteva dati in codice. Così l'uomo si era messo al
lato di Briggs che lo ignorava ed aveva ripreso a fumare, coprendosi dietro
quel piccolo rilievo.
Quando Cortez terminò di trasmettere, si appoggiò con la schiena ad un masso
e tirò un sospiro. Si coprì il volto per evitare la polvere mossa dal
vento e cercò di rilassarsi per qualche attimo. In quel momento la sua
vita sembrava così lontana, quasi un sogno. La realtà era solo quel
deserto, quell'oasi, quei volti ieratici degli Iraniani, i Grigi, la loro
astronave, quella guerra ignota al mondo intero, i cui caduti sarebbero
stati fatti passare come vittime di incidenti, suicidi, scomparsi. Una
realtà incredibile, irrivelabile, che manteneva lontani i suoi protagonisti
dal resto del mondo e li inaspriva al tempo stesso, non appena questi
uscivano dalle basi dell'SDB, lasciandovi dentro divise, armi, ruolo e
personalità, ma portandosi appresso quella paura che non doveva avere un
nome per l'altra gente e che alla fine veniva anche disprezzata, incompresa,
vilipesa.
Qual'era poi la sua vita? L'SW-Shuttle su cui aveva svolto 5 missioni in
orbita? Gli Shadowstar della base di Fort Yucon in Alaska, dove lui era
rimasto a congelare i suoi anni migliori? Oppure il comando dell'SDB a
Washington, dove sarebbe arrivato un giorno, quando fosse stato troppo
vecchio per essere mandato in missione? L'unica cosa certa era che
in quel balletto la sua vita privata si era sfasciata come una vecchia
carcassa ed era difficile anche lì, nel deserto, a pochi metri dalla
dependance del diavolo, ricordare qualcosa per cui valesse la pena di avere
rimpianti.
Nulla di tutto quanto era avvenuto, di tutto il brutto che aveva tinto la
sua vita, avrebbe potuto essere evitato, a meno che lui non avesse lasciato
l'SDB e si fosse adattato a vivere il resto dei suoi giorni in una villetta
di qualche posto sperduto, sotto falso nome, con un lavoro di guardaboschi
ed una famiglia che lo avrebbe considerato un burbero frustrato.
Lo aveva fatto; si era sposato due volte, aveva messo al mondo due figli che
lo avrebbero considerato per sempre un fanatico, aveva perduto due mogli che
fino all'ultimo giorno di vita non avrebbero smesso di annotare in una
specie di libro nero tutte le pecche, i difetti, le enormità di Cortez
Herrera, ma soprattutto tutte le innumerevoli cose che Cortez Herrera
faceva mancare a chi avesse la sfortuna di camminargli accanto.
Lì si rischiava la vita in presa diretta; a casa ci si rovinava la vita
tramite la mediazione di qualcuno, Mary o Doroty che si chiamasse, aveva
poca importanza. Per quanto tremenda, quasi invivibile, quella
realtà di paura giorno e notte finiva con l'essere più ravvivante di quello
stillicidio in cui il sogno di un uomo si sminuzzava ogni giorno in pezzi
più piccoli ed irriconoscibili.
Briggs lo riportò alla realtà dandogli una pacca sul braccio; in lontananza
si notavano delle luci in movimento da ovest, fari di veicoli in
avviccinamento; erano gli autocarri della Guardia Nazionale.
I due Iraniani si acquattarono spostandosi al coperto, sembravano
decisamente impauriti; Cortez puntò la telecamera che aveva montato sul suo
visore, permettendo così agli uomini della sala operativa che lo seguivano
da oltreoceano di vedere la scena.
La colonna era composta da due cingolati, armati con razzi di tipo Habasch,
che scortavano tre autocarri ed una Chevrolet Dakota Land voyager. Si
fermarono tutti a poche centinaia di metri dal gruppo, tanto da permettere
di distinguere ogni particolare.
In tutto c'erano 38 militari armati, esclusi i due piloti dei cingolati, un
colonnello, cinque civili fra cui Faszamelai e Karaman riconobbero Ramallah
Ordoshalavi, il capo dell'EKARI, il servizio di sicurezza temuto e odiato
dai dissidenti. L'uomo era scortato da suoi agenti che prontamente
indossarono visori notturni, imitati dagli altri militari.
Briggs si appiattì al suolo, strisciando velocemente dietro un masso.
"Non una mossa o ci vedranno!" Esclamò con voce soffocata.
Cortez si era già riparato ma riusciva ancora a riprendere; i militari
stavano scaricando delle casse sigillate rivestite di veloglass e le
allineavano ai lati del cingolato in testa alla colonna. Vennero poi fatti
scendere 4 individui bendati e con le mani legate, 2 erano donne. I
prigionieri vennero fatti sedere accanto ad un autocarro e tenuti sotto il
tiro di due militari. Il resto degli uomini si schierò in cerchio intorno
alla colonna. Ordoshalavi, sempre placcato dai suoi uomini parlava con
l'ufficiale in comando che impartiva a sua volta ordini a voce alta.
"Stanno preparandosi; i demoni saranno qui tra poco." Disse Faszamelai,
poi fece cenno ai prigionieri.
"Quelli sono i nostri
fratelli………maledetti…maledetti!" Digrignò i denti.
Cortez trasmetteva ininterrottamente, sembrava quasi disinteressato a ciò
che effettivamente stesse accadendo. Fu Ronald a guardare in alto per
alcuni minuti.
"Arrivano!" disse poi al compagno. "Guarda il cielo."
Il cielo era stellato ma si notava un punto luminoso che via via si faceva
più intenso. Tutt'intorno si stava formando una sorta di cappa
completamente opaca che oscurava la visione delle stelle. In pochi secondi
la cappa si allargò fino a coprire l'intera visuale di chi osservasse da
terra; non c'era rumore, solo un lieve brusìo che si confondeva con il
fischiare del vento.
L'oggetto calava lentamente, se ne incominciavano a distinguere i contorni:
un triangolo luminescente di color verde-azzurrognolo che ruotava lentamente
su se stesso. Ai vertici c'erano tre luci rosse, simili a segnalatori di
posizione; lungo i lati si notavano fasce luminose simili a dei neon.
Il vento aumentò, fino a diventare una specie di tormenta che per buoni 10
secondi annullò la visuale; poi improvvisamente cessò ed allora fu possibile
vedere meglio cosa stesse accadendo sulla verticale dell'oasi.
L'UFO era fermo ad un'altezza di 47 metri, Cortez l'aveva calcolata con il
visore di ripresa. L'oggetto sembrava circondato da un sottile alone
jonizzato e dalla superficie inferiore emetteva un fascio di luce bianca che
si allargava a cono fino a coprire l'intera superficie dell'oasi. Era una
luce strana, intensissima, che però creava una sorta di nebbia a terra in
modo che l'oasi fosse invisibile. Non si distingueva altro che la
luminescenza carica di pulviscolo, la quale cessava bruscamente lungo una
linea circolare che ricalcava il margine della spianata.
I militari Iraniani erano immobili sulle loro postazioni; Ramallah
Ordoshalavi osservava la scena all'impiedi, accanto a lui stava sempre
l'ufficiale, mentre gli agenti di scorta sembravano essersi scostati
all'indietro. La scena rimase così, come un fotogramma, per buoni 30
secondi, poi la luminescenza cambiò permettendo di vedere finalmente cosa vi
fosse nell'oasi.
Tre creature allineate stavano immobili, quasi sull'attenti. Erano basse di
statura, non superavano i 150 cm , con teste enormi, collo, tronco e arti
magrissimi, sembravano fatte di cartapesta grigio-rosastra. Alle loro
spalle c'erano 3 uomini, anch'essi immobili all'impiedi ed ancora
all'indietro tre contenitori sigillati di forma cilindrica; si notavano
perché erano abbastanza alti, almeno 180 cm e poco spessi, non più di 50 cm
di diametro. Stavano ritti e rifulgevano grazie ad un rivestimento che
sembrava di metallo speculare.
"Grigi" Pensò Cortez senza rimanere stupìto. "Sono ancora loro. Si
stanno proteggendo con una cappa gassosa; per questo non si vedono stelle."
Trasmise velocemente i dati alla Home-hall dell'SDB, mentre la scena
incominciava a movimentarsi.
Ordoshalavi camminava a passi lenti verso i due alieni, era solo, il resto
del gruppo stava immobile alle sue spalle; i militari avevano tutte le armi
puntate verso la spianata.
L'uomo si fermò ad un paio di metri dalle creature, facendo un cenno di
saluto con la mano destra alzata che ebbe una pronta risposta da uno degli
esseri, poi incominciò a parlare a voce bassa.
"Non possiamo sentire cosa si dicono?" Chiese infastidito Faszamelai.
Cortez scosse il capo; se avesse puntato un microfono amplificato vi sarebbe
stata una minima emissione di onde che sarebbe stata rilevata.
Gli alieni non rispondevano di persona alle parole del capo dell'EKARI ma
trasmettevano qualcosa. L'uomo aveva indossato una piccola cuffia e faceva
di tanto in tanto cenni di assenso.
In quel momento nella home-hall di Washington Arnold Baughmarten ricevette
una conunicazione dal WASD: il satellite "Land Observer" che orbitava sulla
verticale del punto segnalato da Cortez Herrera non rilevava alcuna traccia
al suolo; il telescopio evidenziava solo una fitta nebbia. Sembrava che
laggiù non vi fosse assolutamente nulla.
"Quella cappa gassosa deve essere una schermatura." Disse l'ufficiale
sbuffando incupito. "La seguiremo quando l'oggetto avrà decollato."
Pallotta era seduto accanto a lui; lo fissò preoccupato. "Tarnakadi
ha ragione quando dice che loro ci depistano; con questo metodo potrebbero
atterrare a poche miglia da Fort Knox senza farcene accorgere." Disse.
"Scopriremo anche questo trucco e li ributteremo nello spazio senza
mutande." Ribattè Baughmarten aspro.
Il dialogo fra Ramallah Ordoshalavi e gli alieni durò esattamente 6 minuti,
dopodiche uno di loro gli diede una piccola cartellina, grande poco più di
una busta da lettera; Cortez non riuscì a distinguere da dove il grigio
l'avesse tirata fuori.
L'Iraniano si allontanò a passi veloci ed andò a piazzarsi in mezzo al
gruppo dei militari; un attimo dopo alcuni uomini della Guardia sospinsero i
prigionieri fino a portarli a meno di 20 metri dai due alieni, per poi
ritirarsi in tutta fretta. A quel punto i 3 uomini che si trovavano insieme
agli ospiti si fecero avanti, accompagnarono i nuovi ostaggi in mezzo alla
spianata, poco alle spalle dei due ET i quali rimanevano del tutto immobili,
poi si diressero a passi lenti e cadenzati verso la colonna militare.
Docilmente salirono su un autocarro indicatogli dagli uomini armati;
sembravano effettivamente degli automi.
"Scambio di prigionieri." Mormorò rabbiosamente Zavani Karaman mentre
Faszamelai gli lanciava un'occhiata preoccupata. "Bisogna avvisare i tuoi
superiori di non abbattere l'astronave; i nostri fratelli non devono essere
uccisi." Disse deciso a Cortez. L'uomo lo guardò a stento occupato
com'era a trasmettere. I tre contenitori cilindrici avevano incominciato
a muoversi da soli ed emettevano una luminescenza verdastra. Si
allinearono levitando e scivolarono verso il gruppo dei militari
mantenendosi dritti sull'asse verticale a circa mezzo metro da terra.
Silenziosamente arrivarono davanti ad un autocarro, l'unico che aveva una
corazza blindata, entrandovi dalla parte posteriore. Zavani
Karaman osservava con espressione attonita.
"Se ne vanno." Disse Ronald mentre la luminescenza in mezzo all'oasi
riassumeva l'aspetto nebbioso di prima. In pochi secondi non fu più
possibile distinguere qualcosa; l'UFO aveva aumentato la sua luminescenza,
sembrava vibrare lievemente. Il cono di luce si ritirò ed allora la
spianata apparve per un attimo, deserta; subito dopo tornò il vento
incalzante che oscurò in pochi attimi la visuale.
In quel momento l'UFO prese a salire in verticale ruotando su se stesso; un
attimo dopo si impennò, fino a scomparire in mezzo alla cappa nera che lo
sovrastava. Quest'ultima a sua volta si contrasse, diventando simile ad un
grumo che in meno di due secondi scomparve del tutto.
Cortez era riuscito a riprendere l'intera scena, sottolineando nella
trasmissione che a bordo dell'oggetto vi erano 4 uomini. Faszamelai lo
afferrò letteralmente per un braccio.
"Non devono abbatterlo, non devono!" Esclamò perdendo il controllo della
voce. Ronald Briggs gli poggiò pesantemente una mano sulla bocca,
indicandogli i soldati della Guardia Nazionale ancora fermi a poche
centinaia di metri da loro. Il vento continuava a fischiare e comunque le
loro voci erano del tutto coperte.
"Non lo abbatteranno." Rispose Cortez laconico.
Nella home-hall c'era stato una specie di fremito collettivo quando
l'oggetto aveva decollato. Baugmarten ordinò al videofono che non
venissero messe in atto iniziative offensive; bisognava solo localizzare
l'intruso e seguirlo fino al suo obbiettivo massimamente raggiungibile .
"Si fanno scudo di esseri umani quei bastardi, ma se localizziamo la base di
provenienza giuro che andrò io di persona ad arrostirla con il laser!"
Disse con voce impastata.
In quel momento i satelliti del WASD puntarono i loro rilevatori sulla zona
segnalata da Cortez, gli aerei già in volo si disposero fino a circoscrivere
un reticolo che includeva un'area da Suez ai confini orientali del Pakistan.
In quella zona non vi sarebbe stato un palmo escluso dal sondaggio, da una
quota di 1500 fino a 20000 metri.
Gli Shuttle in orbita e gli Shadowstar incominciarono a scandagliare gli
strati alti dell'atmosfera su tutta l'area fra Asia Occidentale e Australia;
il resto dei satelliti allargò al massimo il cono di scandaglio intorno al
pianeta. A meno che l'UFO non avesse scelto una zona al di fuori del
reticolo per uscire dall'atmosfera, gli strumenti lo avrebbero certamente
rilevato e comunque anche in quell'evenienza avrebbe dovuto attraversare la
rete degli aerei di alta quota.
Nella sala gli uomini erano silenziosi, con gli occhi fissi sui monitor.
Arnold Baugmarten si era seduto alla consolle di comando dove gli
pervenivano i risultati dell'intera operazione.
Pallotta stava al videofono, connesso in contemporanea con la Casa Bianca,
la centrale di Langley ed il comando "Speed-actions" del Pentagono.
C'era la possibilità che venisse localizzato un nuovo punto di atterraggio
dell'UFO in Medio Oriente ed in quel caso erano state approntate squadre di
"Seals" in grado di essere sul posto in un tempo variabile dai 30 minuti
alle 2 ore.
"Nessun rilevamento". Questo era il messaggio avvilente che Arnold
Baugmarten vide pervenire da tutte le postazioni avanzate che l'SDB aveva
piazzato fra orbita, atmosfera e suolo . L'UFO levatosi in volo in Iran
era letteralmente svanito, anzi mai apparso se non sui video inviati da
Cortez Herrera.
I messaggi continuarono a susseguirsi in un ritmo frenetico, anche se
iterativi e monotoni. Quando, dopo un'ora di ricerche, giunsero le varie
conferme satellitari ed il "Nulla da rilevare" degli Shuttle, il comandante
dell'SDB ordinò che si ripassasse allo stato di preallerta rosso e si lasciò
andare sulla poltrona dandosi una spinta all'indietro. Le rotelle
allontanarono il sedile dalla consolle mentre Baugmarten accigliato incrociò
nuovamente lo sguardo di Pallotta.
"Ci aspettano alla Casa Bianca; il Presidente l'ha digerita male."
Disse l'uomo piuttosto ironico.
"C'è poco da digerire." Ribattè l'ufficiale deciso. "Troveremo un modo di
localizzarli; è questione di tempo."
"Già ma intanto loro possono armare eserciti insospettabili. Potremmo
trovarci da un momento all'altro attaccati dal Senegal o dalla Guinea con
armi nucleari."
Baugmarten non rispose, si alzò all'impiedi e si avviò verso la porta
d'uscita; Pallotta lo stava raggiungendo.
"Se il Presidente vuole essere rassicurato io non sono il tipo da farlo.
Siamo in guerra, si sa, è inutile illudersi che tutto debba andare per forza
bene. Faremo tutti l'impossibile per evitare il peggio; intanto dobbiamo
aspettarci di tutto. Forse in questo momento sarebbe più indicata la
presenza di uno psicanalista alla Casa Bianca, piuttosto che la nostra."
Il tono del comandante dell'SDB si era fatto piuttosto aspro; Edward
Pallotta gli prese delicatamente un braccio.
"Ci sarà tutto lo staff, non conviene andarci così maldisposti." Disse
con un sorriso complice.
L'altro sfoderò un riso volutamente idiota."Ci metterò il meglio della mia
stupidità; se abbiamo una mezz'ora di tempo chiederò consigli alla mia prima
moglie; lei ha un archivio delle mie espressioni più inconcludenti."
Concluse sarcastico.

Gli autocarri della Guardia Nazionale si avviarono appena l'oggetto volante
sparì dalla visuale; il vento fischiava ancora intensamente e confuse il
rumore sibilante dei motori. Quando calò il silenzio, pochi minuti dopo,
non si distingueva alcun suono.
Cortez tese l'orecchio , si guardò intorno, poi spense lo schermo del
portatile.
"O si sono fermati, oppure hanno imboccato una galleria. Dovremmo sentirli
ancora con questo silenzio." Disse rivolto a Briggs.
"Non ci sono gallerie in questa zona." Intervenne Karaman.
Lui lo guardò con aria di superiorità. "L'avranno costruita; sono capaci
di ben altro."
Faszamelai abbassò lo sguardo che aveva tenuto fisso verso l'alto fino a
quel momento.
"La cappa scura è sparita insieme alla nave ; loro ci viaggiano dentro."
"E' un rivestimento gassoso, almeno credo. Li rende invisibili e
irrilevabili." Rispose Cortez.
"Ma perché hai interrotto il collegamento con i tuoi capi? Dobbiamo sapere
cosa sta succedendo adesso."
"Mi richiameranno quando avranno dati da comunicare; ora dobbiamo solo
aspettare." Il tono di Cortez si manteneva laconico.
I quattro esplorarono l'oasi , tenendosi l'uno accanto all'altro per non
uscire dal raggio dell'ammortizzatore di segnale. Gli alieni non avevano
lasciato tracce, escludendo una lieve radioattività. Nei punti in cui erano
stati fermi i tre contenitori cilindrici vi erano le impronte circolari
sulla sabbia, determinate dalla pressione del cuscino d'aria creato dagli
oggetti levitanti. I due Grigi invece erano stati all'impiedi su di una
sporgenza dura e non avevano lasciato impronte.
L'ispezione fu del tutto infruttuosa; dopo mezz'ora si decise di rientrare.
A bordo della Lada Strogov giunse il messaggio dalla Home hall
dell'SDB. Tutti e quattro lo lessero senza fiatare.
"NESSUN OGGETTO RILEVATO . COPERTURA MIMETICA DEGLI OSPITI RISULTA
EFFICACE. NECESSARIO STUDIO DELLA NUBE GASSOSA DI CUI L'UFO SI AVVOLGE IN
MANOVRA."
"Me l'aspettavo." Disse Cortez amareggiato chiudendo la comunicazione.
"Hanno trovato un'altra delle loro diavolerie per fregarci."
"Hai detto bene…..diavolerie!" Esclamò Faszamelai con tono di
monito. "Queste creature sono figlie del demonio, è poco importante
se siano loro i diavoli in persona, oppure solo degli inviati. Sul loro
pianeta avranno una religione certamente. Adorano Satana, comunque lo
chiamino e sono venute qui per dare al loro dio un nuovo territorio
nell'infinito!"
"Hanno usato un metodo che si chiama salto nell'iperspazio, o
nell'interfaccia spazio temporale; è un metodo che noi conosciamo solo in
teoria. Si smaterializzano per spostarsi a grandi distanze attraversando
una sorta di dimensione intermedia. Non so se voialtri ne avete sentito
parlare."
Rispose Cortez spazientito.
"Certo. Non siamo dei selvaggi come credete; ciò comunque non esclude le
loro origini; non appartengono ad un genere amico."
"Questo lo avevamo già capito da un pezzo." Intervenne Briggs ad alta voce,
poi si rivolse al compagno.
"In ogni caso quando arrivano qui dovremmo rilevarli. In questo ci hanno
fregati." Disse.
"Quella cappa bruna deve essere il punto chiave della loro schermatura."
Cortez parlava assorto, sembrava stesse sforzandosi di capire
qualcosa.
"Come pensate di procedere adesso?" Chiese Zavani Karaman. Per alcuni
secondi non vi fu risposta.
"Avete un'idea, qualcosa che possa impedirci di restare a guardare impotenti
lo svolgimento di questa storia?" Insistè. Fu Faszamelai a
rispondere inasprito.
"Non hanno alcuna idea, si vede chiaramente. Li abbiamo fatti venire qui
inutilmente, anzi li avete fatti venire voi per assicurarvi che il nostro
gruppo non riprendesse il potere. L'unica soluzione è insorgere, attaccare
il palazzo di governo e non fare prigionieri!"
Briggs si girò di scatto, afferrò l'uomo per il bavero della casacca e gli
avvicinò la testa minacciosamente."E con i Grigi come la metterete? Farete
un esorcismo?" Chiese a denti stretti.
"Forse sarà più efficace delle vostre ridicole armi." Rispose l'uomo fiero.
Lui mollò la presa con un gesto di stizza.
"Dobbiamo entrare nella base dei governativi, dove loro conservano il
materiale che ricevono dagli alieni. Dobbiamo capire qual è la natura dello
scambio. Forse così arriveremo anche a trovare il modo di annullare
l'effetto della copertura."
"Non c'è modo di entrare lì dentro; perderete solo tempo." Ribattè
Faszamelai con tono indisponente.
Briggs fece a Cortez un cenno con lo sguardo, poi bloccò di scatto
l'automobile. Scese, fece un mezzo giro fino allo sportello posteriore,
lo aprì e tirò fuori di forza Kabir Faszamelai puntandogli la pistola
mitragliatrice contro; lo spinse violentemente, facendolo cadere sul
terreno. Cortez teneva la sua arma bassa e controllava Karaman il quale
era sceso a sua volta.
"Adesso teoricamente potremmo anche ucciderti e raccontare che i
responsabili della tua morte sono i militari, visto che non ci servi più.
Da te dovevamo solo sapere qual'era il luogo dell'incontro con quegli altri
bastardi." Disse freddo.
"Non mi stupirei se lo faceste, fa parte dei vostri metodi abituali."
Rispose l'uomo impassibile. "Dopo però non uscireste vivi da questo
paese." Continuò.
"Usciremmo e come!" Ribattè Ronald. "Il tuo gruppo è ridotto ai minimi
termini e noi abbiamo molti più canali di quanti tu ne possa immaginare."
Detto questo alzò il braccio aggiustando la mira, poi si fermò.
"Dobbiamo chiarire una volta per tutte se siamo alleati o se vogliamo
continuare a trattarci come zitelle indispettite, in questo caso davvero non
ci servi." Intervenne Cortez laconico.
L'Iraniano alzò la voce assumendo un tono quasi disperato. "Non so
come aiutarvi ad entrare in quella base, diversamente ci sarei già andato
io! Potete anche torturarmi, io non ho segreti!"
Karaman accennò a dire qualcosa, Cortez gli fece bruscamente cenno di stare
zitto e si rivolse di nuovo all'altro.
"Nessuna tortura." Disse calmo con un mezzo sorriso. "Però
piantiamola con questi continui rimbrotti. Non servono e danneggiano la
nostra efficienza. Non sappiamo cosa farcene di disfattisti." Disse
duro.
Briggs abbassò l'arma, Kabir Faszamelai si alzò sospirando e rientrò in
automobile. Cortez lo fissò con sguardo imperioso.
"Fra quindici giorni i Grigi torneranno a farsi vedere. Per allora dobbiamo
aver messo a punto una contromisura. Come faremo non lo so, ma lo
faremo…ed anche con il vostro aiuto!" Sentenziò.

Capitolo 6.
Persepolis Bazar, più di 2 chilometri di corridoi in perfetto stile
arabesco, percorsi da una piattaforma mobile che girava come un serpente
seguendo fedelmente le curve del tracciato. Dentro era difficile
concentrarsi su qualcosa. Una sorta di bombardamento di musiche, luci,
immagini olografiche cangianti, conunicazioni pubblicitarie, frastornavano i
visitatori i quali erano costretti a girare lungamente prima di riuscire a
scegliere qualcosa da acquistare.
La gamma di abiti, calzature, profumi, gioielli, orologi, telefoni
miniaturizzati, database tascabili ed ogni altro accessorio da portare
addosso era enorme. Ce n'era per tutti i gusti, da un pacchiano "Impero",
con articoli che volevano ricalcare lo stile dell'antica Persia, fino al
classico Inglese "Thirty Century", inframezzato da stili misti che in quegli
ultimi anni avevano sommerso i mercati mondiali.
La piattaforma si muoveva lentamente, così da permettere ai visitatori di
salire e scendervi per soffermarsi davanti alle vetrine. L'acquisto era
facile: ogni articolo aveva un codice ed un prezzo riportati su di uno
schermo digitale. Impostati i dati si introduceva la carta di credito in
un'apposita fenditura. L'intera operazione durava pochi secondi e poteva
essere annullata tre volte in un minuto, qualora il cliente ci ripensasse.
Al terzo acquisto scattava uno sconto che aumentava proporzionalmente
fino a toccare il 55% all'acquisto del decimo articolo, sempre ammesso che i
primi tre avessero avuto un valore superiore ad un minimo prefissato.
La merce acquistata veniva recapitata all'indirizzo desiderato; il cliente
usciva con una ricevuta plastificata che gli dava diritto di rimborso in
caso di mancato recapito entro 24 ore o entro 5 giorni se l'indirizzo
apparteneva ad un paese straniero. Garante di tutto una consociazione
bancaria chiamata Alsacienne-Iran Credìt, frutto del più colossale
investimento della Banca d'Alsazia negli ultimi 50 anni.pubblico era vasto,
per lo più Iraniani, uomini e donne, tutti eleganti, distinti, facoltosi.
C'erano anche turisti, per lo più giapponesi, alcuni Indiani, relativamente
pochi occidentali.
Linda si fermò alla cafeteria del bazar ed ordinò un caffè alla liquirizia;
per un attimo pensò di essere andata un po' oltre con le spese, poi si diede
una scrollata. Non si sentiva così serena da troppo tempo e voleva ad ogni
costo assaporare quella sensazione.
Si sedette, diede un sorso al caffè e chiuse gli occhi; Era tutto così
suggestivo….sembrava una favola.
Un uomo sulla quarantina le passò davanti sorridendo e fece cenno di
fermarsi; lei scrollò la testa senza scomporsi, l'uomo se ne andò con un
mezzo inchino. "Accompagnatori di donne sole". Pensò divertita. "Che
razza di gente!"
Quando ebbe vuotato la tazza la donna prese il cellulare per chiamare un
taxi; in quel momento un altro uomo, più corpulento del precedente, si fermò
davanti a lei e la fissò. Aveva la pelle appena ambrata e gli occhi chiari;
non sembrava del posto.
"Lei è gentile ma io preferisco stare da sola, la ringrazio." Disse Linda
con un sorriso piuttosto annoiato. L'uomo cambiò espressione divenendo
serio.
"Abbia qualche minuto di pazienza, dottoressa Flowerborn, quello che devo
dirle è molto importante; credo sia meglio uscire di qui." La donna si
irrigidì; quello non era un valletto dell'ente turistico. "Chi è lei ?
Come conosce il mio nome?" Gli chiese severa.
"Una sua collega, la dottoressa Bacalov, si è allontanata due ore fa
dall'albergo in cui voi tutti alloggiate, era in compagnia di Aszivat
Abrhashan , un professore dell'università di Teheran. Credo che la donna
non farà rientro stasera."
"Lei è della ….polizia?" Chiese Linda tesa.
"La prego, è meglio uscire, non possiamo parlare qui." Insistè l'uomo.
Linda rispolverò la sua grinta.
"Se non si qualifica all'istante io chiamerò la polizia Iraniana e non so
quanto si divertirà a dare spiegazioni a loro."
Disse con un sorriso gelido.
"In quel caso non rivedrà più la dottoressa Bacalov." Concluse l'altro del
tutto indifferente.
La donna si alzò di scatto e si avviò verso la piattaforma, lui la seguiva a
pochi metri. Quando i due furono fuori un taxi era già fermo davanti al
bazar; Linda si girò nuovamente verso lo sconosciuto.
"Passeggiamo a piedi, se tenta di farmi entrare in auto mi metterò ad
urlare." Disse a denti stretti. L'uomo fece un cenno di assenso; i
due si avviarono lungo il marciapiede affollato di passanti.
"Mi perdoni per il modo, dottoressa, ma credo che lei sia in buona fede in
tutta questa storia. Purtroppo noi siamo costretti a servirci di metodi
discutibili per aprire un dialogo. La sua collega è al sicuro, in mano a
miei collaboratori; io ho bisogno di essere messo in contatto con persone
che lei conosce e non posso fare a meno di chiedere la sua mediazione."
Disse l'uomo con tono mellifluo. La donna lo interruppe afferrandolo per
un braccio "Sequestro di persona? I servizi di sicurezza di mezzo mondo
faranno a fette lei e i suoi complici per aver interferito in un gemellaggio
fra due nazioni alleate."
L'uomo si liberò garbatamente dalla stretta.
"L'EKARI, il servizio segreto Iraniano, non avrà pietà di lei quando saprà
che ha introdotto nel paese un gruppo di elementi scelti della CIA e dei
servizi militari Statunitensi." Rispose mantenendo un tono distaccato.
Linda si bloccò.
"Cosa sta dicendo?" Gli chiese confusa.
"Che i componenti del vostro gruppo di public relations sono in realtà
uomini addestrati per operazioni segrete. Il loro vero mestiere è
organizzare attentati, guerre, colpi di stato, insomma roba che non farebbe
piacere alle autorità locali. Forse lei davvero non lo sa."
Linda si fermò sgranando gli occhi, fissò l'uomo quasi inebetita; lui
sorrise come se volesse canzonarla.
"Me l'aspettavo, l'hanno presa per i fondelli. Si comportano sempre così."
Disse con sufficienza.
"Potrebbe essere anche lei a prendermi in giro. Chi può assicurarmelo?"
Rispose lei .
"C'è un modo per capirlo: vada dal signor Herrera o Aguillar, come si fa
chiamare quì e gli dica che il cugino ARCON desidera parlargli a proposito
del libro di Salomone. Torni con lui domani pomeriggio alle 6, davanti al
Persepolis Bazar. Venite soli e niente scherzi. Se mi succede qualcosa
la dottoressa Bacalov resterà solo un ricordo nella memoria dei suoi cari."
L'uomo aveva parlato con un tono sentenzioso, un attimo dopo scattò
infilandosi in mezzo alla folla , poi salì su di un taxi che lo attendeva
accostato al marciapiede, lo stesso su cui poco prima aveva tentato di far
salire Linda. L'auto partì all'istante; la donna rimase immobile in
mezzo alla calca; era disorientata, incredula, quasi incapace di pensare.
Angela Groove stava seduta nel suo ufficio, parlava al videotelefono con il
sovraintendente alle antichità di Teheran, intenta ad organizzare un giro
turistico nella città vecchia.
Vide Linda immobile all'ingresso, le accennò un sorriso che si spense quando
la donna le mostrò la sua espressione dura, quasi bieca. Chiuse la
comunicazione e si alzò per andarle incontro; lei la troncò.
"Dov'è il signor Cortez?" Chiese laconica.
"Credo sia nella sua stanza o in qualche sala dell'hotel; è rientrato da
poco." Rispose Angela con tono gentile.
"Cos'è che non va?" Aggiunse poi.
Linda la fissò per un attimo, poi sorrise con espressione farisea."Nulla,
tutto benissimo." Rispose, poi si fermò.
"Adesso devo parlare con il signor Aguillar." Concluse con un tono che non
ammetteva repliche.
Cortez era appena uscito dalla doccia, la voce di Angela al telefono era
piuttosto rigida e lasciava presagire qualche rogna, l'ultima cosa di cui
c'era bisogno in un simile momento.
L'uomo si rivestì in fretta e scese nella hall, trovando Linda al bar con un
bicchiere di Martini . Angela si allontanò appena lui fu arrivato.
"Voleva parlarmi?" Chiese lui con tono gentile.
"Non io veramente, devo solo riferirle un'ambasciata."
Detto questo la donna si alzò avviandosi verso un'ala appartata del bar; si
sedette su di un divanetto mantenendo un'espressione impassibile e fece
cenno a lui di avvicinarsi.
"Ho incontrato un uomo al Persepolis Bazar, mi ha detto di riferirle
testualmente che Arcon desidera parlare con il signor Herrera, alias
Aguillar, del libro di Salomone."
Aveva scandito perfettamente la frase, appena ebbe terminato piazzò sul
volto dell'uomo un sonoro ceffone. Cortez ebbe uno scatto che controllò a
stento, si passò una mano sul viso e fissò la donna con uno sguardo
durissimo.
"Hanno rapito Debora Bacalov e se lei non va a trattare, la uccideranno.
Chieda una consulenza a Langley oppure al Pentagono se si trova in
difficoltà." Concluse lei sarcastica.
"Tratteremo e tutto si risolverà per il meglio." Rispose l'uomo che
intanto aveva riacquistato il suo sangue freddo.
"Certo! Subito dopo ci metterete tutti in aereo e ci rispedirete a Boston.
Così avrete modo di organizzarvela da sola la vostra guerra maledetta.
Ho molto da fare in città. Dovrò spaccare le ossa ad Oswald Molinesky, anzi
credo che pagherò un killer per fargli sparare al basso ventre."
Riprese la donna con tono perfido.
"Lui non sa nulla, le responsabilità sono assai più in alto." Il tono di
Cortez si manteneva freddo.scattò.
"Allora andrò alla Casa Bianca a dare il fatto suo al Presidente.
Maledetti bastardi! Perché avete coinvolto degli innocenti nelle vostre
porcherie?"
Si alzò e lanciò il contenuto del bicchiere in faccia all'uomo, poi si avviò
verso l'uscita. Angela era davanti a lei; le afferrò un braccio.
"Giù le mani!" Disse Linda "Sparisci da qui!"
Cortez si era alzato anche lui, la prese per l'altro braccio ed insieme alla
donna la sospinse verso il salone d'ingresso.
"Dobbiamo spiegarle tutto ma se fa chiasso qui sarà peggio per lei. Si
ricordi che la polizia Iraniana non avrà alcuna pietà di lei e di tutti i
suoi colleghi. Perciò stia zitta e venga con noi." Disse a bassa
voce con tono secco.
Davanti all'albergo Franzisca Hoffmann stava all'impiedi al lato del posto
di guida di una Peugeot con il motore acceso. Salutò con aria festosa i tre
che si infilarono a bordo. Linda era sul sedile posteriore, affiancata da
Angela Groove, mentre Cortez stava davanti. L'auto uscì dai giardini dello
Xerses e si incanalò nel traffico di Teheran che verso sera andava via via
aumentando.
"Non voglio conoscere gli obbiettivi della vostra sporca missione." Disse
irrigidita Linda . "Voi non potete permettervi confidenze e morire uccisa
dalla CIA mi sembra veramente fuori luogo. Voglio solo che facciate
liberare Debora e ci rimandiate in patria. Lì poi saremo sorvegliati,
comunque penseremo a come uscire fuori da quest'incubo. Per ora è vitale
che noialtri lasciamo Teheran."
Cortez non rispose; Angela fissò la donna alzando gli occhi . "Non è
così facile." Disse con tono pacato. "La vostra partenza con noi ancora
qui insospettirebbe il governo locale. Tanto varrebbe rinunciare a
tutto."
"E' un problema vostro. Rinunciate, comunicate a Washington che
l'operazione è fallita perché non è più segreta; insomma fate quello che
volete ma tirateci fuori!"
"Sarebbe molto più comodo liberarci di lei e della dottoressa Bacalov
simulando un qualunque incidente. Non se ne rende conto?" Intervenne
Cortez con tono pigro. Linda represse violentemente la paura e rispose.
"Certo che lo so. Dopo però sareste costretti a fare i conti con questo
Arcon che a quanto ho capito non è proprio un boy scout. Vi darebbe in
pasto alla polizia locale e chissà se da Washington si arrischierebbero ad
organizzare un'altra operazione di recupero."
L'uomo si girò e sorrise, stavolta lo fece di cuore.
"Complimenti! Lei ragiona proprio come una di noi. Potrebbe collaborare
invece di fare la gallina isterica."
Lei sentiva di aver poco da perdere, tirò fuori il suo sorriso più bieco ed
arrochì la voce.
"Se tu mi conoscessi meglio, sapresti che una frase del genere potrebbe
costarti una mascella spaccata. Evidentemente sei così vigliacco da
sentirti sicuro circondato da queste due baldracche."
Le due donne rimasero indifferenti; Cortez continuò a sorridere.
"Potremmo smetterla con le offese e parlare di cose serie. Oppure dobbiamo
continuare così? Non credo che le gioverà in ogni caso."
In quel momento Franziska Hoffmann bloccò l'automobile, in un viale e si
girò all'indietro, guardò Linda come se volesse tirarle il collo, poi le
strizzò l'occhio nervosamente.
"Vigliacchi e baldracche stanno rischiando la pelle per permettere a quelle
come lei di poter continuare a sculettare per le strade senza il pericolo di
un missile nucleare che le sorprenda fra la consolle del trucco e la camera
da letto! Se rimorchierà ancora qualcuno nella sua vita dovrà ringraziare
anche noi, quindi la pianti di fare la moralista e cerchi di far funzionare
il cervello!"
Linda aprì appena la bocca per controbattere che l'altra la troncò. "E
non si faccia uscire più frasi da primadonna del Bronx, altrimenti gliela
spacco io la faccia e sul serio!" Urlò mostrando la mano pronta a dare un
colpo di taglio.
Linda ammutolì.
"So che ti senti tradita, ma noi stiamo lavorando per la sicurezza degli
Americani, ci sei coinvolta anche tu, che lo voglia o no." Aggiunse
Angela Groove con voce forzatamente suadente. La donna poggiò il viso
sulle palme delle mani e non rispose; sospirava rumorosamente.
"I dettagli di questa missione non la riguardano." Disse Cortez quasi
indifferente. "Comunque sappia che voi del gruppo docente verrete
rimpatriati prima che si entri in una fase critica e che quindi non correte
rischi. Domani andremo a parlare con Arcon e risolveremo il problema della
dottoressa Bacalov."
Si fermò e fece un cenno con la testa alla Hoffmann che ripartì velocemente.
"Intanto deve accettare la nostra sorveglianza; non possiamo rischiare di
essere uccisi tutti per una sua crisi emotiva. Potrà muoversi liberamente
ma avrà sempre uno di noi a fianco. Si ricordi che adesso, con
l'interferenza di Arcon, nessuno di noi è più al sicuro; siamo tutti esposti
al rischio di essere scoperti e questo in Iran vuol dire morire."
Concluse minacciosamente.
Linda era sconvolta e completamente disorientata. Da un lato pesava la
rabbia dell'inganno subìto, la sensazione di essere stata usata,
strumentalizzata, un senso angosciante di solitudine, il riaffiorare della
disperazione che l'aveva accompagnata fino a qualche giorno prima. D'altro
canto però vi era anche la paura di morire, di essere maltrattata,
torturata, di restare intrappolata in quell'angolo remoto di mondo, lontana
dalla sua città, dalla sua gente, dalle sue cose. Per quel pochissimo che
fosse riuscita a riassaporare il gusto della vita, si era accorta di avere
ancora tante risorse, tante speranze, tante prospettive ed ora non voleva
assolutamente perderle, a nessun costo. Si sorprese quella sera in camera
a non aver alcuna voglia di piangere e disperarsi, ma solo una volontà
implacabile di uscirne fuori, di tornare a casa, di camminare ancheggiando
per le vie di Boston e perché no, come aveva detto Franziska, di rimorchiare
qualcuno ed indugiare fra la doccia ed il trucco. Non aveva fatto caso
fino a quel momento a quanto desiderasse avere un uomo vicino, a sentirne la
voce, l'odore, il calore. Ora incredibilmente, con il rischio di restare
uccisa da un momento all'altro, sentiva risvegliarsi voglie, istinti,
pensieri che apparentemente erano più che mai fuori luogo. Invece
l'insieme di quei pensieri quasi assurdi le dava una sorta di carica
euforica, che aumentava la sua determinazione a salvare la vita. A
mezzanotte passata non aveva voglia di dormire; preparò un Manhattan e si
mise a sedere sul divano del salottino scorrendo i canali della televisione;
quasi mai nella sua vita aveva bevuto in tarda serata. Angela bussò alla
sua porta poco dopo; voleva salutarla e controllare come stesse ma aveva
un'espressione francamente amichevole. Lei la invitò ad entrare, la donna
accettò facendole cenno di non parlare e guardando in alto come per indicare
eventuali telecamere e microfoni nascosti.
Le due donne rimasero fino alle 2 in salotto a parlare del più e del meno.
Linda sembrava aver riacquistato il tono degli ultimi tempi e la cosa stupì
Angela la quale si era aspettata un crollo psicologico da parte di lei.
"Potremmo essere amiche nonostante le divergenze d'opinione." Azzardò la
donna con tono allusivo. Linda la fissò per qualche attimo con espressione
severa.
"Può darsi." Disse poi sospirando. Aveva la sensazione che quelle parole
fossero abbastanza sentite, al di là di quell'incarico di sorveglianza a cui
aveva accennato Cortez poche ore prima.

"Cugino Arcon" era uno dei tanti termini convenzionali usati dai servizi
segreti di Nazioni diverse per entrare in contatto tra loro. Nel caso
specifico si trattava del segnale da parte di agenti della "Korsakov
Association", il nome in codice che le varie "Intelligence" del blocco NATO
davano alla costellazione di agenzie che nel loro insieme formavano la rete
dei servizi segreti Russi.
Il governo di Mosca, nel tentativo di evitare intercettazioni nell'ambito
delle numerosissime attività segrete che promuoveva, aveva infatti diviso
l'antico Servizio di spionaggio e controspionaggio in 14 gruppi diversi,
apparentemente autonomi e sganciati tra loro, tutti discendenti dall'antico
KGB del XX secolo, i cui quadri erano rimasti smembrati dalla caduta del
regime Sovietico.
La Korsakov Association (KA) manteneva un'attività costante di sorveglianza
e controllo in un'area che abbracciava l'intero Globo ed era dotata di una
propria forza di intervento stimata intorno alle 15000 unità. Oltre alla
comune attività di spionaggio nei paesi del blocco NATO, nell'Alleanza
Islamica, in estremo Oriente ed in Australia, facevano parte integrante
delle attività comuni della KA un servizio di sorveglianza aerospaziale
simile all'SDB, uno deputato al controllo specifico dei paesi Balcanici, un
altro impegnato a permanenza nell'area Baltica, un altro ancora che
abbracciava la zona del Corno d'Africa. La diffusione così capillare di
una rete di spionaggio pari se non superiore a quella del blocco CIA-ABI
rendeva praticamente impossibile l'identificazione della fonte da cui fosse
partita la fuga di informazioni che avevano messo in allerta i Russi.
Oltre alla soffiata comune da parte di infiltrati in seno alla NATO stessa,
andava considerata la possibilità che i dissidenti Iraniani avessero pensato
di coinvolgere più Nazioni nell'affare, temendo gli effetti di un monopolio
Occidentale. Andando oltre, si poteva ipotizzare anche che gruppi deviati
dell'SDB, potenzialmente inclini ad un'alleanza con gli alieni, avessero
avuto motivo di provocare interferenze nell'operazione Soraya--Loom.
Certo era comunque il fatto che il livello di informazione dei Russi era
abbastanza basso da indurli ad aprire le trattative con un gesto di forza.
Il rapimento di Debora Bacalov e di un cittadino Iraniano esponeva
notevolmente anche loro e sia Cortez che Ronald Briggs erano sicuri che
Arcon e soci non aspettavano di meglio se non l'occasione per liberarsi di
un simile peso. Se anche Aszivat Abrhashan fosse stato un uomo della KA
ed avesse avvicinato la Bacalov per servirsene, a maggior ragione i suoi
referenti avrebbero avuto interesse a disimpegnarlo in tempi brevi,
considerata l'enorme difficoltà nel piazzare un informatore fidato in Medio
Oriente.
Questi aspetti della questione rendevano Cortez e Ronald abbastanza
ottimisti sugli esiti della trattativa. Più complesso era invece stabilire
una linea di condotta che non mandasse all'aria la missione ma che comunque
includesse la collaborazione imposta e sgradita dei Russi. La questione
aliena rappresentava l'aspetto meno rischioso di una simile alleanza. Già
dagli ultimi anni del 900 Stati Uniti e Russia collaboravano attivamente
nella sorveglianza del pianeta e nelle azioni dissuasive verso i Grigi, ma a
questa concordia si opponeva la condotta nettamente concorrenziale nel campo
politico planetario, dove le due Nazioni competevano apertamente per il
predominio globale. D'altro canto il controllo dell'Iran rappresentava una
posta altissima, considerando che la Russia era anch'essa apertamente nemica
dell'Alleanza Islamica ed ambiva ad estendere la propria influenza sul Golfo
Persico a sud, nonché a stringere in una morsa l'Afghanistan e le ex
repubbliche Sovietiche Islamiche con i quali aveva oramai un conto aperto
quasi secolare. Per tutti questi obbiettivi l'Iran rappresentava
tatticamente la piattaforma di lancio ideale ed era molto difficile che
Mosca si sarebbe lasciata sfuggire una simile occasione. La soluzione del
problema non era ovviamente nelle mani di Cortez Herrera e Ronald Briggs; la
condotta definitiva da adottare sarebbe stata decisa a Washington ma
intanto, considerando che i contatti con la Madrepatria erano ridotti al
minimo per motivi di sicurezza, andava presa una decisione estemporanea
almeno per quanto riguardasse la liberazione di Debora Bacalov e questa
decisione doveva essere soddisfacente anche per i vertici di Washington che
in quel momento non potevano permettersi di riparare errori. In pratica
questo voleva dire che qualora fossero state fatte mosse sbagliate, c'era
anche il rischio di essere letteralmente "mollati" da CIA, ABI ed SDB.
Mollati voleva dire essere sacrificati e fatti passare per agenti deviati;
le possibilità di sopravvivenza in questo caso erano praticamente nulle.
Mancavano due minuti alle 6 quando il pomeriggio del giorno successivo
Cortez e Linda scesero dall'automobile guidata da Franziska, a pochi metri
dall'ingresso del Persepolis Bazar. I due si tenevano sottobraccio come
una coppia di turisti e passeggiavano lentamente davanti alle vetrine .
Il resto del gruppo era stato piazzato tutt'intorno in punti appositamente
studiati nel corso di un sopralluogo effettuato da Ronald Briggs e Melanie
Barchet quella mattina. Solo Angela Groove era rimasta allo Xerses;
da lì avrebbe raccolto eventuali comunicazioni dei suoi compagni,
coordinando le possibili azioni diversive progettate fino a poco prima da
Cortez e Ronald.
Linda si manteneva calma, padrona di se; quell'emozione stava sbaragliando
gli ultimi residui della sua depressione e le dava una determinazione che
aveva stupìto l'intero gruppo.
L'uomo del giorno precedente uscì alle 6,05 dal bazar ed andò a salutare i
due come se li conoscesse da una vita. Era in compagnia di una ragazzetta
bionda che apparentemente non superava i 18 anni, vestita con una tuta
lucida, aderentissima e molto provocante.
Cortez la squadrò, poi scoppiò a ridere. "Ti abbandoni al vizio a
quanto vedo! Sai che non sta bene accompagnarsi a donne troppo giovani
quando si ha la tua età?" Disse all'uomo con tono canzonatorio.
"Più ci considerano dei degenerati, meno si preoccupano di noi." Rispose
l'altro prontamente, poi fece un gesto muovendo il palmo della mano."Se le
signore vogliono avviarsi……noi abbiamo tanto da dirci."
Disse indicando Cortez.
Linda e la ragazza si affiancarono e presero a passeggiare scambiandosi un
paio di sorrisi falsi; i due uomini le seguivano a pochi metri.
"Qualunque cosa stiate facendo qui, dovete farla insieme ai vostri cugini;
questo è il prezzo della liberazione di Debora Bacalov". Disse il Russo
senza preamboli e con tono secco. Cortez fece un cenno di
assenso."D'accordo; liberate la donna e ne parliamo. I dettagli li lasciamo
ai nostri capi." Rispose calmo.
"La dottoressa sta bene, la tratteniamo ancora un po' per essere sicuri che
non ci state fregando."
"E il professore? I suoi familiari si saranno già insospettiti, a meno che
non sia anche lui un cugino naturale."
"Non lo avremmo esposto in questo modo. Ora è in viaggio a Ceylon con una
nostra agente. Crede di aver fatto la più grande conquista della sua vita."
Cortez ridacchiò ironico. "Che costanza! Credevo che gli piacesse la
nostra insegnante."
"Qui la gente non è per la parità fra i sessi. Ha trovato di meglio e se
n'è andato." Rispose il Russo, poi guardò Cortez e tirò fuori
un'espressione complice.
"Bel posto! Che ne dici di trasferirci?" L'uomo non rispose; l'altro
centrò meglio la domanda.
"Cos'ha questo paese che non va? Cosa vuoi che cambi per farti contento?"
"Il governo." Scandì Cortez sfrontatamente. "Si finge nostro amico, tuo
e mio; invece sta solo prendendoci le misure per chiuderci tutti in una
bara."
Il Russo si fermò; in quel momento due poliziotti passavano appena di lato.
Cortez gli diede prontamente una pacca sulla spalla lasciandosi uscire ad
alta voce una battuta volgare. Uno dei poliziotti gli lanciò un'occhiata
fugace, poi continuò a passeggiare noncurante.
"E cosa c'entrano gli uomini della difesa spaziale con questo?" Riprese
il Russo che sembrava aver afferrato il nocciolo della questione.
Cortez rimase muto. L'altro attese qualche secondo.
"I nostri amici….scuri…sono arrivati qui?" Chiese con tono
cadenzato. Cortez lo fissò severo.
" D e b o r a B a c a l o v l i b e r a. " Scandì a voce bassa come se
stesse pronunciando uno slogan. L'altro era incupito, sembrava sorpreso.
"Devo chiedere ai miei superiori. Riparliamone fra tre giorni."
"Sono troppi." Rispose Cortez. "Affidiamo gli accordi sulla
collaborazione ai nostri vertici e lasciamo fuori tutti gli altri. Ne
riparliamo domani alla stessa ora, all'entrata nord del Persepolis Bazar.
Stesse compagnie di oggi."
Salutò il Russo il quale rimase immobile per qualche attimo, per poi
accennare ad un "sì" con la testa. A quel punto accellerò il passo,
prese sottobraccio Linda e la baciò sulla bocca con fare scanzonato.
Due minuti dopo Franziska accostò l'automobile al marciapiede; Cortez e la
donna vi salirono mentre lui salutava il Russo e la ragazza con grandi
bracciate.
"Mi scusi per il bacio." Disse velocemente appena l'auto ripartì. Linda
scosse appena la testa sorridendo nervosamente a labbra serrate.



Capitolo 7.
Spiro Shevadon si incamminò lungo il corridoio lasciandosi alle spalle la
porta a doppio battente che dava nello studio del Presidente degli Stati
Uniti. Era cereo in viso, stanco, con la bocca impastata ed una sensazione
di freddo, come se avesse l'influenza. Edward Pallotta ed Arnold
Baughmarten erano usciti qualche minuto prima, insieme al Ministro della
difesa ed al Segretario di Stato; lui si era trattenuto giusto per il tempo
sufficiente ad ingoiare gli ultimi bocconi amari di quella notte.
Guardò l'orologio: erano quasi le 4 del mattino. Da quando era giunto il
messaggio di Cortez Herrera, poco dopo le 17 del giorno prima, con la
notizia dell'interferenza Russa nell'operazione in Iran, l'intero
estabilishment era andato in fibrillazione.
Quella riunione alla Casa Bianca, con il Presidente, il Segretario di Stato,
i ministri di Difesa e Affari Esteri, il direttore dell'ABI ed il comandante
dell'SDB, era stata forse la più brutta della sua carriera, svoltasi in un
clima cupo, drammatico e conclusasi con l'ammissione di una sonora e
bruciante sconfitta.
I più accesi erano stati proprio quelli che lui riteneva i suoi migliori
alleati, Donald Price, ministro della difesa e Barbara Henzelmann ,
segretario di Stato. Avevano accusato la CIA, l'ABI e l'SDB di
imprudenza ed incuria nell'organizzare l'operazione, affermando chiaramente
che la fuga di informazioni verso i servizi Russi era solo l'effetto di
un'organizzazione frettolosa e quasi priva di coperture e diversivi .
Inutilmente Edward Pallotta aveva più volte spiegato che il rischio di
un'operazione OPL in un paese potenzialmente ostile includeva di prassi la
perdita di una parte della copertura ed ancora più inutilmente Arnold
Baughmarten aveva sottolineato l'urgenza dell'attuazione del piano,
considerando la potenziale imminenza di una massiccia infiltrazione aliena
in tutto lo scacchiere Medio orientale.
Le argomentazioni dei politici avevano avuto la meglio su quelle tecniche ed
il Presidente si era convinto che SORAYA LOOM era un'operazione ad
altissimo rischio di fallimento, una minaccia per la credibilità dell'intero
staff governativo a meno di sei mesi dalle elezioni del Congresso.
Per due ore c'era stata una vera e propria lotta fra Shevadon, Baughmarten e
Pallotta, contro Price e la Henzelmann i quali chiedevano che l'intero
programma venisse annullato, con un rientro immediato del gruppo di azione e
di quello di copertura, affidando poi il recupero di Debora Bacalov ad una
trattativa separata con i Russi.
In questa contesa che aveva visto il Presidente apparentemente neutrale ma
fondamentalmente combattuto, Baughmarten era andato più volte su tutte le
furie, guadagnandosi apprezzamenti francamente offensivi. Pallotta si era
irrigidito minacciando di mandare all'aria l'intero Governo se fosse stato
deciso di gettare la spugna, lasciando campo libero ai Russi. Lui,
Shevadon, si era aggrappato disperatamente ad ogni possibile argomentazione
che lasciasse uno spiraglio sulla continuazione dell'operazione.
Alla fine aveva prevalso la tesi del "male minore". Piuttosto che
rischiare il linciaggio dell'opinione pubblica informata dalla rete della
CIA della debolezza del Governo, era stato considerato meno deleterio
correre il rischio di far fallire la missione. La condizione nuova però
era ben diversa da quella di una operazione in Nero del blocco NATO. Ora
si sarebbe trattato di condividere meriti improbabili con i Russi ed
accollarsi da soli i rischi del fallimento. Mosca avrebbe impiegato
poche ore a far sparire le tracce dei suoi se le cose fossero andate male,
ma far sparire da Teheran una sede della Massachussets University era ben
altra cosa.
Cortez Herrera attendeva una risposta sulla condotta da assumere e del resto
aveva già detto abbastanza al suo interlocutore. Non aveva avuto scelta;
era chiaro che Arcon si era fatto già un'idea precisa dell'affare dal
momento in cui aveva identificato gli uomini che vi erano coinvolti; su
questo nemmeno i due politici avevano potuto contrapporre argomenti validi.
Così SORAYA LOOM era rimasta operativa, fra i volti indignati di Price e
della Henzelmann e quello rammaricato del Presidente che ora vedeva in
Shevadon, Pallotta e Baughmarten tre pericolosi avventurieri, da mettere da
parte alla prima occasione.
Quello per loro era il preavviso di una carriera finita. Appena la missione
fosse terminata, in qualsiasi modo fosse andata, i tre sarebbero stati
pensionati con "tanti ringraziamenti," a meno che non vi fosse stato
qualcosa di inaspettatamente positivo e clamoroso, tanto da ridare al
Presidente quella fiducia che alla Casa Bianca si misurava in quintali di
prestigio. Cosa potesse essere questo sviluppo inaspettato, Spiro
Shevadon non riusciva ad immaginarlo e come lui nemmeno Pallotta e
Baughmarten. Un'ora dopo, alle 5 del mattino di Washington D.C.,
corrispondenti alle 13 di Teheran, venne trasmesso il messaggio di risposta
a Cortez Herrera che per l'occasione aveva trascorso la notte nello
scantinato del Pompadur Cafè, accanto alla sua ricetrasmittente schermata,
ospite dei dissidenti di Zavani Karaman, i quali fortunatamente erano ancora
all'oscuro di tutta la questione. C'era anche il rischio che quando
questi avessero saputo che nell'operazione sarebbero stati coinvolti i
Russi, loro nemici giurati, avrebbero negato il loro appoggio e magari
preferito slittare verso l'Alleanza Islamica insieme agli oltranzisti che
non aspettavano di meglio. Per questo motivo era stata posta come
"conditio sine qua non" che la presenza Russa nell'operazione venisse tenuta
celata agli Iraniani fino ad espletamento completo della stessa. Se
tutto fosse andato per il meglio, una volta abbattuto il regime di Rahzi
Jasfanei ed allontanati gli alieni dalla zona, Mosca avrebbe avuto la
possibilità di dettare le sue condizioni al neonato regime moderato. In
poche parole veniva chiesto al gruppo di azione di tradire i propri
collaboratori locali e venderli per metà al governo Russo che li avrebbe
spremuti come limoni.
Cortez decifrò il messaggio in automobile, mentre tornava allo Xerses in
compagnia di Clarissa Wilbirth, fingendo di aver passato la solita notte da
debosciato in vacanza. Nel leggere il testo fece una smorfia di disgusto;
era tutto tremendamente fragile, un castello che poteva crollare sotto un
soffio, ma non sembrava ci fossero altre possibilità. La politica non
era la sua passione, sebbene ne capisse abbastanza da intuire che nella
migliore delle ipotesi l'Iran sarebbe stato definitivamente perduto come
alleato. Piuttosto che sottostare alle vessazioni vendicative del
governo Russo anche i moderati avrebbero optato per un rientro nel Patto di
Kabul. Lo avrebbero fatto spontaneamente e così si sarebbero guadagnati la
stima ed il perdono degli Integralisti. Uomini come Karaman avrebbero
continuato a mantenere all'impiedi i loro giri di affari, mascherandoli
opportunamente agli occhi della censura Islamica e forse altri come Kabir
Faszamelai non avrebbero vissuto abbastanza per vedere tutto ciò, uccisi e
fatti opportunamente passare per eroi Nazionali prima che quell'impasto
fetido si fosse raffermato.
Con molta amarezza Cortez dovette ammettere di fronte alla propria
cosciernza che molti di quelli che considerava nemici erano in fondo più
puliti di lui, dei suoi amici e del mondo che gli stava alle spalle. La
forza dei Grigi stava proprio in questo, nella sconfinata corruttibilità
degli uomini aggrappati al potere , pronti a vendere i loro fratelli e
magari anche i loro figli pur di conservare la propria posizione
privilegiata.
"Avremo tempo per crescere dopo". Pensò dandosi una scrollata. "Ora
dobbiamo pensare a buttare fuori questi bastardi."
Quel pomeriggio, davanti all'ingresso nord del Persepolis Bazar, sia Cortez
che Linda facevano fatica a recitare la parte dei turisti; il peso di quanto
stava accadendo gravava sulle loro menti, anche su quella della donna, la
quale sebbene non fosse a conoscenza di alcun particolare della questione,
aveva percepito dalle espressioni di quegli individui che la circondavano
qualcosa di estremamente grave e paradossalmente viveva in empatia con loro.
Arcon e la ragazza furono puntuali come al solito; stavolta però la
passeggiata fu lunga, quasi due ore, con soste fugaci ai bar per mandare giù
i bocconi amari che i due si stavano scambiando con qualcosa da bere.
Quando si salutarono il più era stato fissato. Debora Bacalov sarebbe
stata liberata entro le 48 ore successive; in quello stesso periodo di tempo
Arcon sarebbe stato informato sui dettagli dell'operazione e le modalità di
partecipazione da parte dei Russi. L'idea di non informare gli Iraniani
venne accolta di buon grado dall'uomo della KA, anch'egli consapevole del
fatto che i locali non avrebbero ammesso la partecipazione dei suoi alle
operazioni. Da quel momento la SORAYA LOOM avrebbe avuto una nuova base
operativa oltre a quella del Pompadur Cafè; questa sarebbe stata ubicata nel
luogo che i Russi utilizzavano come loro punto d'appoggio, un posto sicuro,
bonificato da microspie e mimetizzato dai rilevamenti radio, situato nella
casa di un insospettabile libraio, nel centro di Teheran.
Quella sera Linda ebbe il suo da fare per tenere a bada Frank di Majo il
quale sosteneva che la scomparsa da due giorni di Debora Bacalov era un
fatto sconveniente da punire con una sanzione disciplinare, considerando che
la donna si era sicuramente allontanata con Aszivat Abrhasham e che troppa
promiscuità in quell'ambiente era decisamente svantaggiosa.
L'uomo era inasprito dal fatto che Franziska Hoffmann avesse risposto picche
alle sue "advances" ed ora stava tirando fuori il meglio del suo falso
moralismo.
Lei lo lasciò parlare, poi gli assicurò che avrebbe provveduto di persona a
chiarire le cose con la Bacalov; non le conveniva essere sbrigativa coni
suoi colleghi che si trovavano esposti al rischio di fare una brutta fine
senza saperlo. Le loro iniziative dovevano essere assecondate e doveva
essere proprio Linda a farsi carico di metterle in atto, cercando di evitare
al massimo che quegli individui si mettessero eccessivamente in mostra.
Vi fu una cena con alcuni professori del senato Accademico, una cosa in quel
momento noiosissima a cui parteciparono anche Ronald Briggs , Melanie
Barchet e Clarissa Wilbirth. Fu quest'ultima ad accompagnare poi Linda
fino all'ingresso del suo appartamento. Erano passate da poco le 23 e la
donna non aveva assolutamente sonno. La Wilbirth le fece capire che non
era il caso di trattenersi giù in quel momento; evidentemente il gruppo
aveva il suo da fare e non sapeva che farsene di lei. Si sentì esclusa,
quasi offesa per la scarsa fiducia che quella gente le dava. Stava quasi
incominciando a prendere gusto nel collaborare con loro e provava una
sensazione puerile di isolamento quando veniva tenuta fuori.
Ebbe un momento di avvilimento e scoppiò in lacrime. Le sembrava che la
vita avesse perduto colore e che lei andasse in giro ad aggrapparsi agli
specchi per darsi una carica che comunque non le veniva da dentro.
L'entusiasmo dell'Università a Teheran, la lusinga di essere al centro
dell'attenzione, la sferzata emotiva di trovarsi coinvolta in una trama di
spionaggio; nulla di tutto questo le apparteneva davvero.
Non era un'insegnante giovane a caccia di titoli, non era un agente della
CIA ed invece si comportava come se fosse entrambe le cose solo per
mantenersi viva. La sua vera vita, quella con Fred, nella sua città, a
contatto con le sue cose, senza bisogno di surrogati euforizzanti, non
esisteva più e di tutto quanto era accaduto fino a quel giorno, nulla poteva
rappresentare l'apertura verso un qualcosa di vero, su cui contare, da
considerare suo.
Si addormentò dopo più di un'ora fra pensieri cupi per risvegliarsi alle 7
del mattino successivo. Angela Groove la chiamò dicendole di attivare il
video con il notiziario della CNN ed aprire la pagina delle Eastern news.
Poco dopo la donna lesse che nei pressi di Providence vi era stato un
incidente stradale nel quale erano rimasti gravemente feriti David Bacalov e
sua moglie Margaret. Si trattava dei genitori di Debora. Linda ebbe un
fremito, quasi una sensazione di panico; era orripilata dagli incidenti
stradali da quando Fred era morto alla stessa maniera, alla guida di
un'automobile investita da un autocarro.
"Credo che la dottoressa debba rientrare negli Stati Uniti." Continuò
Angela che era rimasta in linea. "Mi avvisi appena rientra; noi non siamo
riusciti a rintracciarla sul telefono personale.
"Linda fece una doccia e si rivestì in fretta; non era sicura di quello che
stava immaginando ma si tranquillizzò poco dopo a colazione quando Angela le
spiegò come realmente stessero le cose.
A Washington erano riusciti a creare in tempo record un motivo che
giustificasse il rientro della Bacalov. L'incidente era un artefatto che
aveva tratto in inganno anche i giornalisti; in realtà i coniugi Bacalov
erano stati prelevati e messi sotto sorveglianza. Fortunatamente la
CNN aveva un filo diretto con tutto il globo e trasmetteva una serie di
notizie di cronaca Americana che servivano a mantenere informati
dettagliatamente tutti i cittadini Statunitensi in viaggio per il Mondo.
Linda provò un senso di sollievo, come se si fosse liberata da un incubo;
per un attimo si lasciò andare alla fantasia assurda che nemmeno Fred fosse
morto, che avessero prelevato anche lui e che un giorno l'uomo sarebbe
tornato all'improvviso. La voce di Angela la riportò alla realtà.
"La liberazione della dottoressa Bacalov è imminente; Cortez e Ronald se ne
stanno occupando. Devi tenerti pronta; da un momento all'altro ce la
restituiranno e dovrai esserci anche tu." Il tono della donna era
amichevole ma fermo; Linda oramai aveva capito che nei giorni successivi
sarebbe stata sempre più coinvolta ; il suo risentimento da bambina esclusa
stava velocemente scemando di fronte all'incalzare degli avvenimenti.
All 'università venne interrotta durante il pranzo con i colleghi; Angela
le disse sbrigativamente di raggiungerla in albergo poiché Debora stava per
rientrare.
"Certo che gli è andata proprio male…..la bella fuga romantica
troncata da una simile doccia fredda. Forse è meglio non cercarsele certe
occasioni; in un modo o nell'altro finiscono col portarti scalogna."
Commentò sadicamente Frank Di Majo. Linda lo guardò con disprezzo.
"Tu non corri rischi; se dipendesse dalle avventure che riesci ad
organizzarti , i tuoi cari potrebbero ambire all'immortalità." Gli
rispose sarcastica.
L'uomo fece una smorfia per contenere la reazione, mentre lei lo fissò
pronta a ribattere. Nessuno degli altri insegnanti seduti a tavola fiatò.
Un'ora dopo Linda arrivò davanti all'ingresso principale della IRANIAN EXPO,
la fiera di arte e cultura che di lì a pochi giorni sarebbe stata aperta ai
visitatori di tutto il mondo, un enorme edificio a gradoni che ricalcava la
pianta di uno Ziggurat, percorso da giardini pensili e ruscelli artificiali;
un'altra opera faraonica di Jasfanei. Al volante dell'auto c'era Angela;
in un'altra automobile poco più in là nel piazzale stavano Melanie e
Franziska. L'attesa durò un paio di minuti, poi un taxi si fermò all'altro
capo del piazzale e fece scendere Debora, ancora in abito da sera, pallida
come un cencio, con lo sguardo stravolto.
Linda le andò incontro, la prese sottobraccio e la infilò nell'auto che
partì a razzo; la donna era muta, guardava nel vuoto, sembrava drogata."Ti
hanno fatto violenza?" Le chiese lei con tono materno aggiustandole i
capelli arruffati. Debora la fissò con gli occhi impastati."No…credo
di no. Mi sono svegliata da poco."
Il racconto della donna era povero di particolari. Ad un appuntamento con
Aszivat Abrhashan si era presentata una donna bionda che aveva detto di
essere un'amica di lui e le aveva chiesto di non vederlo più poiché anche
lei ne era innamorata. Le due donne si erano sedute in una cafeteria per
discutere. La bionda sembrava addolorata e così Debora le aveva promesso di
lasciare in pace l'uomo. All'improvviso aveva avvertito una specie di
puntura al collo e da quel momento i suoi ricordi si facevano confusi.
Due persone l'avevano accompagnata verso l'uscita, una era la ragazza,
l'altro un uomo di cui però non ricordava la fisionomia. Era come
ipnotizzata, senza volontà. L'avevano fatta salire su di un'auto e dopo
pochi attimi aveva perduto i sensi. Si era risvegliata pochi minuti prima
di essere liberata, all'interno del taxi che l'aveva portata davanti
all'Iranian Expò. Aveva fatto si e no in tempo a riprendere coscienza
che l'uomo al volante l'aveva fatta scendere. L'unico particolare che venne
fuori dal brevissimo colloquio che successivamente Debora ebbe con Angela e
Melanie al bar dello Xerses, fu la perfetta coincidenza fra la descrizione
della ragazza bionda e l'accompagnatrice di Arcon; un fatto scontato, senza
alcun peso.
A Debora venne spiegato che il suo rapimento era stato messo in atto da un
gruppo di Integralisti antigovernativi e che la sua liberazione era stata
frutto di una trattativa diplomatica coperta dal più assoluto segreto. Le
venne anche detto del falso incidente ai genitori che avrebbe giustificato
il suo immediato rientro a casa, senza insospettire gli ambienti locali, i
quali momentaneamente non erano informati sui fatti. La
donna accettò tutto passivamente, con poche parole; il suo fare
ossessivamente analitico, quasi causidico era sparito, lasciando posto ad
una sorta di torpore procuratole dai narcotici.
Alle 19 di quello stesso giorno venne messa su di un volo che l'avrebbe
riportata negli Stati Uniti, accompagnata da un addetto dell'Ambasciata.
All'aeroporto giunse persino un funzionario del ministero della Cultura, il
quale le fece gli auguri per i suoi genitori feriti durante l'incidente.
Il trucco aveva funzionato alla perfezione. Un'ora dopo la partenza di
Debora Bacalov, Cortez e Ronald vennero accolti nella casa di Benali
Kamenial, il libraio che ospitava la cellula Russa di Teheran.
L'appartamento era un villino ristrutturato circondato da un ampio giardino
e posto nella vecchia zona residenziale oramai nel cuore della città, lo
stesso quartiere che durante la prima metà del XX secolo aveva ospitato i
funzionari governativi degli Scià.
Kamenial era un uomo piccolo, insignificante, silenzioso; la sua famiglia,
se ne aveva una, non comparve. Cortez e Ronald vennero introdotti in un
salotto arredato in stile classico; ad attenderli c'erano l'uomo che si
faceva chiamare Arcon, la ragazza bionda ed altri due uomini, uno sui 30,
dai tratti tipicamente locali; l'altro, appena più maturo, sembrava un
Europeo, forse Greco oppure originario dell'Italia meridionale.
Le presentazioni erano una farsa; nessuno in quel lavoro usava il suo nome.
La ragazza si fece chiamare Egle, l'Europeo Demetrios e l'altro Mustafà.
Arcon mantenne il suo nome di battaglia.
I due Americani mantennero un tono cordialmente distaccato; la missione
doveva essere portata a termine senza intoppi e per questo fu abbastanza
facile decidere come regolarsi. Demetrios sarebbe praticamente entrato
nel gruppo nei panni di un nuovo elemento mandato dall'ABI su richiesta di
Cortez, un esperto in azioni infiltrative che avrebbe dovuto organizzare il
sopralluogo all'interno della base militare in cui la Guardia Nazionale
custodiva i materiali ricevuti dagli alieni. Il resto del gruppo Russo
sarebbe rimasto fuori dalle attività, ma avrebbe organizzato l'intervento di
una squadra speciale durante il blitz contro Jasfanei. Di interventi
specifici da parte del gruppo "Soiutzkaja", la forza di sicurezza spaziale,
equivalente dell'SDB, non se ne parlò. La cosa stupì Cortez il quale pensò
che i suoi nuovi soci fossero stati presi alla sprovvista e non avessero
avuto ancora il tempo di far venire a Teheran degli specialisti in
contromisure anti-aliene. C'era da aspettarsi che entro una settimana vi
sarebbe stato un nuovo ospite ma ovviamente Arcon si guardava dal parlarne
per evitare di calcare troppo la mano.
Poche ore dopo, intorno alle 22, Zavani Karaman e Kabir Faszamelai conobbero
Demetrios; per loro era il nome in codice di un agente venuto dall'Europa
per aiutare il gruppo ad introdursi nella base dei governativi. L'incontro
si svolse nell'ufficio di Karaman , all'interno del Pompadur cafè.
A parte un prevedibile scetticismo ed i borbottìi di Faszamelai, il nuovo
arrivato venne accettato dagli Iraniani che in quel momento erano
praticamente privi di scelta.
Si incominciò a parlare del prossimo obbiettivo; vennero studiate mappe
topografiche, copie di vecchi tracciati della base risalenti al vecchio
regime che Faszamelai era riuscito a procurarsi, frammenti di schemi dei
nuovi sistemi di allarme, materiale nell'insieme scarsamente affidabile ed
estremamente frammentario.
Cortez si stava convincendo che la penetrazione in quell'istallazione era
un'utopìa ma nell'insieme a quel punto la cosa non gli dispiaceva. Sarebbe
stato un buon diversivo pere mantenere occupato Demetrios, almeno per
qualche giorno; il resto sarebbe stato deciso in estemporanea, a quel punto
non si poteva più seguire una tabella prefissata.
Karaman tirò fuori un'altra ragazza, una certa Zasima, la quale avrebbe
fatto da accompagnatrice al nuovo venuto; era castana, piuttosto chiara di
pelle, con uno sguardo acuto e penetrante, assai diversa dalle due che
facevano da facciata per Cortez e Ronald.
Alle 2 la riunione terminò, ovviamente in un nulla di fatto. Demetrios
sembrava ottimista sulla possibilità di attuare un controllo induttivo su
qualcuno degli addetti alla base, quando Ronald gli obbiettò che
probabilmente quelli che lavoravano nell'istallazione erano già sottoposti
ad un controllo da parte degli alieni, lui non si scompose.
"Non sono invincibili questi esseri; lo abbiamo già sperimentato negli anni
passati." Rispose con tono saccente."Dovremmo fare un altro sopralluogo
nel punto dell'atterraggio; forse ricaveremo qualcosa." Continuò. Cortez
lo troncò con falsa gentilezza.
"Dì pure che tu ricaveresti l'ubicazione del posto, magari tornandoci al
prossimo meeting con i tuoi soci, dopo averci fatti finire in qualche modo
in un inceneritore."
"Che sfiducia! Non sta bene fra colleghi." Sorrise Demetrios ironico.
"Già, tantopiù che voi avete sempre la possibilità di portare a passeggio
per qualche giorno i nostri amici insegnanti." Intervenne Ronald.
L'altro lo guardò senza rispondere.
"Noi però adesso abbiamo te." Concluse con un sorriso cattivo.
"Siamo pari allora." Sospirò Demetrios allargando le braccia.



Capitolo 8.
Arnold Baughmarten stava cercando di insegnare a Timmy, il nipotino di 5
anni, come usare il simulatore di volo al computer mentre Sharon , sua
figlia osservava la scena con uno sguardo fra il perplesso ed il severo. A
lei non andava giù che il bambino venisse addestrato a simili cose a
quell'età. Sua moglie Doroty arrivò dalla cucina con il telefonino in
mano.
"E' per te". Disse. "Dalla Centrale."
L'uomo depose il bimbo dalle ginocchia e si avviò verso la veranda; ascoltò
in silenzio, poi disse qualcosa che le due donne non riuscirono a sentire.
Tornò un attimo dopo; sembrava appena morso da una tarantola."Devo
rientrare; ci sono problemi." Disse frettoloso dando una carezza a Timmy
che voleva a tutti i costi mostrargli i suoi progressi al computer.
Doroty sospirò senza parlare; era abituata alle fughe del marito. Sharon
approfittò per andare a cambiare il programma al bambino che scoppiò a
piangere all'istante. Un'ora dopo l'uomo era nella Home-hall dell'SDB;
l'ufficiale addetto gli porse un CD.
"E' arrivato esattamente 5 minuti prima che la chiamassi." Disse
mettendosi sull'attenti.
"Siete riusciti a stabilire la provenienza?"
"Non esattamente , signore. Approssimativamente sembra provenire dalla
Turchia, forse dalla Georgia. Ha fatto carambola su tre satelliti."
L'uomo si avviò verso il suo ufficio ed appena fu dentro aprì il messaggio
al computer.
Era una sequenza di impulsi in codice LARA, quello abitualmente usato dalle
emittenti della KA per comunicare informazioni top secret. La decodifica
fu abbastanza rapida; i computer dell'SDB conoscevano la chiave di lettura
di 369 codici, fra cui il LARA stesso. Baughmarten incredulo fece due
verifiche, poi si appoggiò allo schienale della poltrona ed accese un sigaro
rileggendo quello che meno si aspettava di sapere.
"AGENTE ARCON DI TEHERAN NON PIU' ACCREDITATO. CONTATTI CON CENTRALE
INTERROTTI IL 4 FEBBRAIO. RAPPORTI OPERATIVI NON PERVENUTI DALLA DATA
INDICATA. SOSPETTA DEVIAZIONE . NEGATIVA VERIFICA EKARY .
NEGATIVA MOSSAD. NEGATIVA PER SERVIZI DEL PATTO DI KABUL. ARCON
SOSPETTATO ESSERE TUTTORA INDIPENDENTE."
Arnold chiamò Spiro Shevadon e Edward Pallotta, chiedendo un incontro
immediato. Un'ora dopo li raggiunse entrambi nell'ufficio del primo a
Langley.
Dopo aver letto il testo del messaggio il direttore della CIA allargò
lentamente la bocca in un sorriso compiaciuto.
"Questa è la migliore notizia dell'anno." Mormorò. "Possiamo eliminarli
senza problemi. Dobbiamo contattare subito il nostro gruppo a Teheran."
Pallotta arricciò il naso in una smorfia di scetticismo.
"C'è poco da stare allegri; a Mosca sanno già cosa stiamo facendo e ci hanno
messo in allerta. Solo così si spiega il fatto."
"Già, ma perché allora non li mettono fuori gioco? Se tengono d'occhio i
nostri non dovrebbero avere difficoltà a localizzarli." Ribattè Arnold.
Vi furono un paio di secondi di silenzio; i tre si guardarono come se
avessero intuito la stessa cosa.
"L'infiltrato è uno dei nostri, non c'è altra possibilità. Ha chiesto ai
suoi superiori e ci ha mandato un messaggio camuffato. Non ci sono gruppi
attivi Russi a Teheran e se ci sono non vogliono venire allo scoperto
adesso. Gli fa più comodo servirsi dei nostri per un simile lavoro."
Sentenziò Arnold.
"Bene!" Esclamò Pallotta battendo il pugno sulla scrivania di Spiro
Shevadon.
"Abbiamo una cimice nel gruppo di azione che si tiene in contatto con la KA
. Se lo vengono a sapere i nostri amici del governo, la missione è
veramente andata a farsi benedire!"
"E chi glielo dice?" Rispose Shevadon sornione.
Vi furono altri secondi di silenzio.
"Al momento culminante l'infiltrato potrebbe creare problemi maggiori di
quelli che ci ha dato Arcon." Disse Pallotta a bassa voce.
"Per quel momento invieremo altri gruppi BLACK; oramai sappiamo di non
poterlo più evitare." Disse Shevadon con tono cadenzato.
"Nel frattempo diamoci da fare; comunichiamo ad Herrera e Briggs come stanno
le cose e diamogli libertà di agire. Sono elementi abituati a decidere in
estemporanea, sono sicuro che sapranno vedersela da soli. Manterremo il
contatto con loro; è già molto rispetto all'idea di essere ricattati dai
Russi." Concluse guardando Arnold che in quel momento sorrideva
compiaciuto.
Cortez ricevette il messaggio da Washington alle 22,30 della sera successiva
durante il contatto radio prestabilito. Ne parlò con Ronald all'interno del
pompadur cafè, evitando di far trapelare la notizia agli uomini di Zavani
Karaman. I due rimasero a discutere il da farsi fino a notte
inoltrata, dopo aver salutato Demetrios che li accompagnava per buona parte
della giornata.
L'operazione stava andando avanti; Karaman e Faszamelai stavano contattando
alcuni ufficiali di esercito e Aviazione Iraniana, uomini legati al mondo
della dissidenza, scelti per guidare il colpo di stato che da lì a poco
avrebbe rovesciato il regime di Rahzi Jasfanei. Un primo incontro con i
militari era fissato per due giorni dopo ma intanto era prioritario
risolvere l'affare Arcon.
Il giorno dopo i due incontrarono lo stesso Arcon al Sakkarj, un locale
ricavato da un antico edificio imperiale ristrutturato. L'uomo era in
compagnia di Demetrios, mentre Mustafà era rimasto fuori ad aspettare. A
Parte Egle, l'intera cellula si trovava nel raggio di 200 metri.
Alle 12,45, mentre i tre stavano pranzando, Melanie Barchet e Franziska
Hoffmann arrivarono davanti al Sakkarj, cogliendo Mustafà alla sprovvista e
costringendolo a seguirle. In quello stesso momento Clarissa Wilbirth si
presentò a casa di Benali Kamenial dove Egle si trovava da sola, dicendo di
doversi trattenere lì per attendere nuove istruzioni che Cortez e Ronald le
avrebbero dato in base al colloquio con Arcon e Demetrios.
Al ristorante l'atmosfera sembrava abbastanza distesa; i due uomini della
falsa cellula russa mangiavano di gusto, senza lesinare bevande. Cortez e
Ronald stavano al gioco, lasciandosi andare a battute di spirito piuttosto
pesanti.
A fine pranzo Arcon rilanciò la proposta di un sopralluogo sul punto in cui
gli uomini del Presidente incontravano i visitatori extraterrestri; lo fece
in maniera gentile, diplomatica, lasciando ad intendere che la sua era una
semplice richiesta e che la collaborazione fra i due gruppi ne avrebbe
ricavato maggiori garanzie di lealtà reciproca.
Cortez lo guardò sorridendo con aria sorniona."Si potrebbe anche fare."
Disse interrompendosi per accendere una sigaretta."Peccato che fra noi ci
siano ancora alcuni punti da chiarire." Concluse.
Arcon allargò le braccia mostrando i palmi delle mani."Noi siamo a vostra
disposizione per ogni chiarimento." Rispose con tono cordiale.
Cortez si diede una pausa per lasciare uscire il fumo dalla bocca."Il
servizio segreto Russo ha comunicato ai nostri superiori che voi quattro vi
siete messi in proprio. Se almeno sapessimo per chi state lavorando,
potremmo decidere come considerarvi." Disse calmo. Arcon divenne
serio, mentre Demetrios si irrigidì sulla sedia. Ronald era all'impiedi,
fingeva di osservare il panorama dalla vetrata, in realtà era pronto a
scattare.
"A questo punto la vostra vita vale niente. Potremmo vendervi ai vostri ex
amici e poi trattare con loro, a meno che non ci diate un ottimo motivo per
non farlo." Continuò.
Arcon allungò il collo come per osservare il piazzale; Ronald gli fece un
sorriso beffardo."Mustafà è trattenuto, se è lui che stai cercando e fra
poco anche Egle sarà nostra ospite. Credo che gli integralisti Islamici
gradiranno molto il nostro regalo. I vostri amici saranno letteralmente
fatti a fettine." Disse accigliando lo sguardo.
"Per carità, non fate sciocchezze. Parliamone." Rispose Arcon con voce
grave.
"Chi vi paga?" Chiese bruscamente Cortez. "Oramai il vostro gioco è
finito; se parlate avrete l'unica possibilità di sopravvivere che vi è
rimasta."
L'altro sospirò, si passò una mano sulla fronte, poi appoggiò i gomiti al
tavolo e si protese in avanti."Siamo più vicini a voi di quanto crediate.
Alle nostre spalle c'è un gruppo monarchico, nemico degli Integralisti. Se
il potere torna in mano agli Scià salveremo capra e cavoli." Disse a
bassa voce.
"Quella fazione è un fantasma; gli Islamici li hanno uccisi quasi tutti ed
il regime attuale ha dato il colpo di grazia agli ultimi sopravvissuti."
Sentenziò Cortez.
"Ne sono rimasti pochissimi, è vero, ma hanno ancora buone possibilità. A
guidarli è un uomo molto importante." Insistè Arkon; oramai si vedeva che
si stava aggrappando disperatamente a quell'argomento.
"Chi è quest'uomo?" Chiese Cortez.
"Posso anche dirvelo, ma ho bisogno di garanzie." Rispose l'altro.
"Forse ci siamo capiti male." Intervenne Ronald che si era rimesso a
sedere. "Per voi non ci sono più garanzie e nemmeno possibilità di
trattative, ma solo vie di scampo, una per essere precisi: ci dite tutto,
passate con noi e lavorate per noi. Alla fine forse i nostri superiori
accetteranno di accogliervi nel gruppo. Prima però dovrete dargli
informazioni sufficienti a mettere la rete della Korsakov Association sulla
prima pagina del New York Times."
Cortez fece un gesto esplicativo con la mano, confermando le parole di
Briggs, poi invitò Arcon a telefonare prima a Mustafà, poi ad Egle.
L'uomo esitò per un attimo, poi compose il primo numero. Ascoltò senza
parlare, cereo in viso, poi compose il secondo. A rispondergli fu Clarissa
Wilbirth; lui riattaccò e fissò Cortez e Ronald con occhi vitrei.
"Il vostro libraio potrebbe trovarsi in guai seri se i dissidenti lo
prendessero. Non esiterebbe a raccontare tutto ed allora ai vostri
referenti ci arriveremmo lo stesso. Voi però diventereste dei pesi morti ed
in questo paese ci vuole poco a sbarazzarsi di qualcuno." Disse Ronald
cinico.
Demetrios ebbe uno scatto; Arcon lo bloccò stringendogli un braccio.
"Omar Kamarenai, governatore di Shiraz; è lui che dirige il gruppo
monarchico." Disse velocemente.
"Il Principe Dario è in esilio ad Amsterdam. Quali sono i suoi appoggi?"
Lo incalzò Ronald.
"Nulla di definito; dopo il golpe di Jasafanei gli occidentali gli hanno
voltato le spalle. Lui sta cercando di agganciarsi ai gruppi Scandinavi."
"Gli rideranno in faccia; sono tutti nostri alleati." Ribattè sprezzante
Ronald.
"Non ci giurerei. Nel nord Europa non siete popolari; fate fare agli
Inglesi la parte del leone e lasciate agli altri le briciole."
Cortez intervenne duramente."Finirete voi in briciole fra poco. Il nord
Europa è lontano e qui avete solo nemici."
Si alzò ed insieme a Ronald si incamminò verso l'uscita ignorando gli altri
due. Davanti all'ingresso del Sakkarj Arcon e Demetrios li raggiunsero.
"Accettiamo le vostre condizioni." Disse il primo. "Diteci cosa dobbiamo
fare."
"Ci penseremo su, poi vi faremo sapere." Rispose Cortez con sufficienza
entrando in automobile. In quel momento entrava nel piazzale l'auto prima
guidata da Mustafa; stavolta però c'era Franziska Hoffmann seduta dentro.
"Non vi conviene lasciarci così, vi esporreste . Se ci prendono e ci fanno
parlare, anche la vostra missione verrà scoperta." Incalzò Arcon.
Cortez lo guardò scuotendo la testa, gli fece cenno di salire e lasciare
Demetrios.
L'auto partì con Ronald alla guida, Cortez assestò un colpo sul basso ventre
di Arcon. L'uomo si piegò per il dolore.
"Hai capito solo in parte, idiota che sei!" Disse a denti stretti.
"I tuoi amici Russi non hanno bisogno di farvi parlare perché sanno già
che noi siamo qui; altrimenti non ci avrebbero comunicato che voi avete
lasciato la famiglia. Se vi prendono vi ammazzeranno e basta, magari si
faranno dire qualcosa sui monarchici ma non su di noi. Loro conoscono le
nostre mosse da prima che tu e i tuoi soci vi accorgeste che eravamo
atterrati!"
"Allora c'è un infiltrato in mezzo a voi!" Esclamò l'altro.
"Bravo, complimenti! Ora, visto che non possiamo evitare la sorveglianza
dei Russi, potremmo almeno tenerli buoni proprio assumendovi. Vi faremmo
proteggere e voi ci passerete informazioni. Loro vi cercheranno per
uccidervi ma noi vi proteggeremo, sempre ammettendo che il nostro infiltrato
non arrivi prima."
Arcon fece cenno con lo sguardo verso il posto di guida. Cortez sorrise."Se
lui è l'infiltrato, la CIA può anche svendere la sede di Langley alla Disney
Corporation." Disse indicando Ronald il quale scoppiò in una sonora
risata.annuì.
"Qual è il tuo programma?" Chiese il Russo con un tono finalmente umile.
"Farvi lavorare con noi e poi spedirvi in America prima che la nostra cimice
vi mandi i suoi amici della KA. Non credo che abbiano granchè qui a
Teheran, altrimenti voi sareste già morti, ma sicuramente ci saranno nuovi
elementi in arrivo. Prima di allora dovremo aver raggiunto un obbiettivo
concreto."
"E con Karamenai, come la mettiamo?"sorrise.
"E' lui l'obiettivo. Lo tireremo dalla nostra parte. Abbiamo gli argomenti
giusti."
Quella sera stessa Cortez organizzò un cocktayl per l'intero staff
universitario al "Symphonikon Jardìn", una specie di piano bar in cui
venivano riprodotte in video-virtuale le maggiori opere musicali scritte dal
XVIII secolo in poi. Il locale era grande quanto un campo di base ball e
rappresentava un ottimo posto per discutere sotto la copertura assordante
della musica.
Il posto era discretamente affollato; l'opera in programma era l'Otello di
Verdi, una versione del secolo precedente, restaurata e convertita in
"Virtual", con cantanti d'epoca accompagnati dalla famosa Berliner
Philarmonica Orchestra. Ospiti del gruppo erano alcuni docenti
dell'università di Teheran che si erano seduti in mezzo ai loro colleghi
Americani, lasciando al gruppo delle public relations ampia libertà .
Linda era l'unica ad essere informata del significato reale di quella
serata. Angela le aveva spiegato che il gruppo Arcon era in realtà legato
ad una fazione dissidente locale e che quindi era necessario stabilire delle
contromisure. Lei non aveva fatto obbiezioni; sembrava aver acquisito un
atteggiamento abbastanza genuino, come se provasse un gusto particolare nel
collaborare con gli uomini dei servizi segreti ed una volta giunta al
Simphonikon, recitò egregiamente la sua parte, pavoneggiandosi fra i
cattedratici locali fino a catalizzare completamente l'attenzione su di se.
Cortez ed i suoi ebbero modo di fare il punto della situazione ed alla fine
furono concordi nel decidere di avvicinare Omar Kamarenai e metterlo di
fronte alla scelta obbligata di passare dalla loro parte. Di fronte agli
argomenti che gli sarebbero stati posti l'uomo non avrebbe avuto possibilità
di rifiutare. Il pericolo di essere denunciato al governo di
Jasfanei, di essere screditato dai suoi stessi referenti Europei, di essere
messo nel mirino degli oltranzisti Islamici e della Korsakov Association a
cui aveva praticamente sottratto 4 agenti, lo avrebbero indotto giocoforza a
mettere le sue forze al servizio del SORAYA TEAM. Anche ammettendo che
l'uomo avesse denunciato ai suoi capi la presenza di agenti della NATO in
Iran, non sarebbe comunque sopravvissuto al tiro incrociato di quelli che lo
volevano morto.
Arcon si era completamente sbottonato quel pomeriggio, raccontando a Cortez
e Ronald i particolari del suo contatto con il gruppo neo-monarchico.
Kamarenai aveva avvicinato la cellula della KA nel dicembre dell'anno
precedente, offrendo ai suoi componenti ingenti somme di danaro in cambio
di informazioni sulla rete spionistica Russa nell'area compresa fra il Medio
Oriente e i Balcani. Il tutto era stato accreditato su conti riservati di
una banca Danese. L'obbiettivo strategico dei neo-realisti era di aprire
una sorta di corridoio attraverso i paesi dell'est Europeo e la Turchia e da
lì reclutare manovalanza per l'apertura di un fronte guerrigliero
all'interno dell'Iran. Sponsor dell'intera operazione era un gruppo
industriale Svedese, legato ad un movimento politico Scandinavo di estrema
Destra. Quest'ultimo avrebbe fornito armi, copertura e tecnologie,
ricavandone in cambio danaro che i Monarchici Iraniani avrebbero sottratto
nei paesi del corridoio.
La collaborazione con la cellula Russa era incominciata a Gennaio; l'idea
iniziale di Arcon era stata di mantenere una posizione di doppio gioco, ma
questo si era rivelato un programma insostenibile per i controlli pressanti
che la Madrepatria effettuava su tutti i suoi gruppi decentrati. Così nel
mese di Febbraio il gruppo aveva interrotto i contatti con la KA, entrando
in clandestinità.
Al momento Omar Kamarenai era informato solo del fatto che a Teheran vi era
un gruppo di agenti della NATO, ma non conosceva nomi, qualifiche specifiche
ed obbiettivi. Arcon stesso gli passava informazioni con il contagocce,
proprio per mantenere i neo-realisti in quella tensione che per la ex
cellula Russa rappresentava una garanzia di protezione.
A questo punto si trattava di confezionare un'iniziativa che facesse da
copertura all'escursione di Cortez e Ronald nella città di Shiraz. L'unica
possibilità era organizzare una visita turistica dello staff Universitario
nel più breve tempo possibile. Angela Groove avrebbe curato la parte
culturale insieme a Clarissa Wilbirth, mentre Ronald e Cortez si sarebbero
occupati del resto.
Anche stavolta era necessaria la collaborazione di Linda, sulla quale il
gruppo oramai faceva sempre più affidamento. Cortez la avvicinò
in albergo, alla fine della serata. La trovò davanti all'ingresso del
suo appartamento e le chiese con tono volutamente galante di parlarle un
attimo. La donna decifrò al volo il significato della scena e lo lasciò
entrare nel salottino della "suite". Si rese conto un attimo dopo di aver
commesso un errore; se Cortez voleva dirle qualcosa di riservato non avrebbe
potuto farlo lì, dove c'erano sicuramente dei sistemi di intercettazione,
così gli disse che per lei andava bene parlare anche nel bar della hall.
L'uomo le strizzò un occhio lanciando un'occhiata fugace verso il soffitto.
"Sta scherzando? Rifiutare un suo invito mi sembra una vera sciocchezza!
Qui le fanno tutti il filo; mi consenta di giocare al corteggiatore!"
Rispose lui scoppiando a ridere.
Linda annuì con un certo imbarazzo; recitare era divertente ma in quel
momento la metteva a disagio. L'uomo riacquistò prontamente un fare
compìto e si mise a sedere su di una poltrona, accendendo una sigaretta con
aria professionale. Le illustrò rapidamente il programma
dell'escursione turistica a Shiraz mostrandosi al tempo stesso rammaricato
per la carenza di iniziative da parte dello staff addetto alle public
relations. In modo velato ammise di essersi distratto eccessivamente
insieme a Ronald Briggs negli ultimi giorni alludendo alle serate passate in
compagnia di donne locali e non nascose il timore che la Massachussets
University potesse considerare insufficiente l'attività del gruppo. In
pratica chiese implicitamente alla donna di chiudere un occhio sulle
continue scappatelle serali che i due si stavano concedendo.
Linda era nuovamente a suo agio, immersa nel ruolo della direttrice severa e
stette al gioco, rilanciando l'argomento senza nascondere il suo disappunto
verso il comportamento da "turisti balneari" che Cortez e Ronald stavano
assumendo. Ne venne fuori una piccola polemica artefatta, messa in
scena da entrambi con notevole abilità. Chiunque li stesse spiando in quel
momento avrebbe giurato di trovarsi di fronte ad uno scambio di frecciate
fra i due.
Quando Cortez fu davanti alla porta che dava nel corridoio dell'hotel, fissò
la donna con sguardo profondo; un attimo dopo le diede un bacio veloce sulle
labbra. Linda fu presa alla sprovvista, rimase immobile, incapace di
reagire. Avrebbe voluto dare il fatto suo a quell'uomo che stava
approfittando delle circostanze per divertirsi con lei, ma qualcosa la
bloccava. Gli toccò la mano scostandosi rapidamente quando si rese conto
di tremare. L'uomo gliela riprese, stringendola.
"Che cosa sta facendo?" mormorò lei con voce afona.
Lui non rispose; la baciò di nuovo, mantenendo la bocca a contatto con le
sue labbra. Linda gli mise le braccia intorno al collo mentre lui le
cingeva la vita.



Capitolo 9
Inventarsi una storia a Teheran, durante una missione dalla quale c'era si e
no il 40% di possibilità di uscire vivi; piazzare un sentimento da cadetto
di Accademia a fianco a quel misto di tensione, determinazione, paura,
istinto di sopravvivenza e illusione paranoica di onnipotenza che manteneva
in piedi quelli come lui impegnati a giocare una partita continua con la
morte. Che senso aveva? Come poteva essere collocato? Cosa
esorcizzava quella sensazione di tenerezza e desiderio in un contesto che
vedeva come unica prospettiva la violenza?
Come avrebbe potuto il pensiero di Linda modificare il colore di una scena
in cui l'incubo, l'assurdo, il pericolo continuo di cessare di esistere
dominavano incontrastati e incontrastabili?
Cortez non era riuscito a liberarsi dei suoi pensieri per quelle poche ore
della notte che aveva passato da solo dopo aver lasciato Linda. Lei gli
era rimasta impressa, stampata nella memoria, mentre lo salutava con il viso
impastato dal sonno baciandolo ripetutamente sulle guance. Erano anni
che una donna non gli dava un bacio sulla guancia, una sensazione antica,
puerile, quasi dimenticata.
La giornata era densa di impegni: incontro con Arcon, rilievi alla periferia
della città intorno alla famigerata base "Kiros", in cui la Guardia
Nazionale custodiva i segreti della collaborazione con gli alieni, un
incontro serale organizzato da Karaman con alcuni ufficiali dell'esercito.
I piani del colpo di stato andavano avanti senza intoppi, mentre le
incertezze si concentravano sulle possibilità di intercettare e
neutralizzare gli alieni. Quello era un problema che andava
assolutamente risolto; nessun angolo del pianeta poteva essere sicuro dal
momento che i Grigi avevano ritrovato il modo di atterrare e ripartire
indisturbati ed ogni iniziativa di tipo militare aveva in quel momento solo
il valore di una toppa messa su di uno scafo sfasciato.
Anche dopo la caduta di Jasfanei gli alieni avrebbero potuto continuare il
loro programma plagiando le menti dei nuovi governanti. La questione
politica era solo la punta dell'iceberg che si approfondiva in un'area
vastissima ed al momento inaccessibile.
Arcon aveva recuperato i suoi elementi che il Soraya team aveva sequestrato
il giorno prima; oramai quei quattro erano letteralmente bruciati,
difficilmente avrebbero messo in atto altre azioni di disturbo.
L'incontro con gli ufficiali, un colonnello dell'esercito ed un maggiore
dell'aviazione, avvenne di sera, in uno scantinato diroccato della città
vecchia. Cortez e Ronald vi arrivarono da soli dopo una girandola di
diversivi che li portò fino all'interno di una casa d'appuntamento di
terz'ordine.
I due militari sembravano abbastanza ottimisti; chiesero senza mezzi termini
sostegni concreti da parte dei gruppi speciali della NATO, incluso un
programma di disimpegno rapido qualora l'operazione fosse andata male.
Rassicurati su questo, punto tirarono in ballo le loro pretese di carriera a
cose fatte e qui fu Karaman a promettergli solennemente le promozioni e le
onoreficenze dovute. Se il "Golpe" fosse andato in porto, l'Iran si
sarebbe ritrovato con un esercito pieno di alti ufficiali, dignitari,
imprenditori ed eroi di guerra.
Faszamelai che assisteva all'incontro fu costretto ad ingoiare bocconi
amarissimi, ma in quel momento piazzare veti era il modo migliore per
mandare tutto all'aria. Lui lo aveva capito molto bene e faceva buon viso a
cattivo gioco. Era palese che si riservava di giocare le sue carte proprio
durante lo svolgimento dell'azione finale.
Questo rischio era in bilancio per gli Americani ed anche qui c'era poco da
prevenire e più da fare al momento della necessità.
Una cosa era certa: al momento della presa di potere si sarebbe scatenata
una successione di azioni che avrebbero visto tutti contro tutti; il bagno
di sangue era praticamente inevitabile.
Quando Cortez rientrò era notte inoltrata. Angela era l'unica del gruppo
rimasta all'impiedi. I due si scambiarono qualche parola sulla giornata;
la donna sosteneva che la notizia dell'escursione a Shiraz dovesse essere
comunicata a tutti pochissimo tempo prima della partenza. Se Omar
Kamarenai avesse avuto il tempo di prepararsi, sarebbe potuto risultare
difficile per loro avvicinarlo prendendolo alla sprovvista. Lui fu
d'accordo e lasciò ad Angela il compito di occuparsi interamente
dell'affare.
"Non è proprio il mio lavoro. Credo che tu lo ricordi." Disse lei
sorridendo.
"Ti capisco. Negli ultimi tempi siamo diventati dei politicanti. Cosa vuoi
che ti dica? Necessità di copione." Rispose l'uomo sbadigliando.
In ascensore esitò per un attimo. Il suo appartamento era al 21-esimo
piano, mentre quello di Linda si trovava al 24-esimo. Aveva desiderio di
vederla, un desiderio dolce, quasi il bisogno di ritirarsi a casa dopo una
giornata di lavoro.
Poggiò il polpastrello sul numero 21; la sua vita non era come quella degli
altri, lui non aveva una casa e non l'avrebbe avuta nemmeno allora.
Linda si attardò all'interno del ristorante dell'università, intenta a
rileggere gli appunti sul seminario che avrebbe tenuto nel pomeriggio.
Assaporò il caffè con una smorfia compiaciuta; si sentiva leggera, un po' in
colpa, le sembrava di vivere uno strano sogno in cui l'irreale assume
caratteri sfumati, a volta idilliaci, a volta spaventosi.
Non sapeva bene cosa le stesse succedendo ma sentiva forte la voglia di
rivedere Cortez, l'ultimo uomo con il quale avrebbe pensato di avere una
storia. Forse si stava solo illudendo; forse quell'uomo si era solo
concesso uno svago momentaneo con lei. Quello che più la turbava era la
sensazione irrazionale di aver voltato le spalle a Fred; era un pensiero
assurdo, forse solo un appiglio per difendersi dal pericolo di una delusione
che sentiva imminente.
Uscì dal ristorante e si incamminò lentamente lungo il viale che conduceva
all'edificio della Iranian Massachussets University. Cortez le si parò
davanti come se fosse sbucato dal nulla; sorrideva con espressione
accattivante. La salutò con un bacio veloce sulle labbra, lei gli prese
fugacemente la mano, poi riprese a camminare.
"Credo che dobbiamo parlare un po'." Gli disse sospirando. "Quello
che è successo l'altra sera è stato molto bello ma io non posso permettermi
di soffrire ancora, per questo vorrei che tu mi facessi un favore, se vuoi
chiamarlo così……" Si fermò fissandolo intensamente."Non
voglio essere la tua avventura di Teheran…..preferirei che non
succedesse più."
L'uomo le strinse un braccio. "Che tu lo creda o no, io non ti
considero un'avventura, se vuoi che non ci incontriamo più qui, d'accordo,
ma sappi che quando torneremo a casa io ti cercherò." Rispose accorato.
Linda sorrise con aria sapiente. "A te adesso sembra così, quando saremo
di nuovo in America la vedrai diversamente. Io sono una donna non più
giovane, la mia vita è cadenzata dai ritmi del lavoro, piena di tristezza
per l'uomo che ho perduto. Non verresti a cercarmi e se anche lo facessi,
ti annoieresti dopo la prima volta. Sei giovane, dinamico, non stai fermo
un attimo. Io sono quasi statica: l'università, la casa, il
club……."
Cortez non si scompose, tirò fuori un sorriso paziente ed appoggiò le mani
sulle spalle di Linda."Io aspetterò, fermo sulla tua strada."
La donna ebbe uno scatto. "No! Non devi dire così, non è giusto, non
puoi farlo!" Incominciò a camminare a passi veloci mentre l'uomo le si
teneva a fianco.
"Le ho già sentite queste parole, ci ho creduto, poi tutto è finito per
fatalità e mi sono trovata sola, sola come non lo ero mai stata. Adesso
anche tu vuoi fermarti lungo la strada, magari facendomi dei regali,
offrendomi il tuo braccio, la tua compagnia, i tuoi sentimenti! E quando
avessi accettato, quando mi fossi affezionata ? Tu cosa faresti?
Accetteresti una storia che io vorrei far durare una vita?"
Si fermò guardando l'uomo severa."Io ho bisogno di un compagno, uno con cui
condividere la giornata, trascorrere le sere davanti al video, passeggiare
nel parco la domenica mattina, andare nel cottage durante il week end. Tu
non vuoi questo, non lo reggeresti! La tua vita è caotica, piena di
imprevisti, proiettata in un futuro di carriera che non può sobbarcarsi pesi
morti ed io diventerei solo la tua palla al piede! Non voglio, non voglio
sentirmi dire che devo farmi da parte, non voglio rinunciare a sentirti la
mattina mentre canti radendoti o anche mentre esci dal bagno lamentandoti
per la cena indigesta della sera precedente!" Urlò stringendo i
pugni come una bambina.
"Io non ti abbandonerei; le cose possono essere compatibili tra loro."
Accennò a dire Cortez, ma Linda gli troncò le parole.
"Questa è solo un'illusione, a cui forse vuoi credere solo perché adesso qui
ti senti solo. Non reggerebbe, ne sono convinta e voglio che tu rispetti
la mia decisione!"
Fece due passi in avanti, poi si girò con le lacrime agli occhi.
"E' stato così bello…così dolce. Non avrei voluto provarlo più e
adesso devo rinunciarci di nuovo!"
Lui l'abbracciò stringendola, lei si liberò dopo pochi attimi.
"Lasciami stare, te ne prego, se davvero tieni a me lasciami. Non farmi
soffrire." Disse tirando con il naso.
Due studenti di passaggio avevano osservato la scena incuriositi; Linda si
mise con le spalle ritte e cambiò espressione, divenendo di nuovo severa.
"Devo salutarti; fra poco ho lezione. Pensa a quello che ti ho detto."
Aveva riacquistato il suo tono fermo. Si avviò senza voltarsi mentre
l'uomo rimase immobile ad osservarla.

La base Kiros era un quadrato perfetto il cui lato misurava 400 metri, per
un'area di 1600 metri quadri in cui era inserito un unico edificio anch'esso
quadrato esteso per 1000 metri quadri, con un livello in superficie e ben 6
livelli sotterranei.
Lo spazio che separava il muro perimetrale dall'edificio era praticamente un
campo minato, completamente ricoperta di sensori che rilevavano ogni
variazione fisica che potesse ricollegarsi alla presenza ed
all'avvicinamento di intrusi. Non era possibile arrivare all'istallazione
per quella via, anche considerando il sofisticato sistema protettivo che
cingeva il muro perimetrale, sensibile a tutto ciò che si muovesse nel
raggio di centinaia di metri.
L'accesso alla base era unico, situato sul lato ovest, presidiato da
militari coadiuvati da apparecchiature di rilevamento di ultima generazione.
Attraverso quel varco passavano uomini e automezzi, filtrati dalla rete
protettiva, mentre i velivoli atterravano su di una piattaforma situata sul
tetto dell'edificio centrale. Doveva esserci sicuramente anche un accesso
sotterraneo, considerando il fatto che gli osservatori piazzati intorno alla
base non avevano rilevato il passaggio dei veicoli durante la notte
dell'ultimo contatto con gli alieni. Era chiara l'esistenza di un sistema
di tunnel che collegavano la KIROS ai palazzi governativi ed alla zona in
cui atterravano periodicamente gli alieni. Oltretutto solo questo spiegava
il motivo per cui i militari si presentassero agli appuntamenti con i Grigi
a bordo di semplici autocarri e non vi arrivassero più comodamente con gli
elicotteri.
Il sistema, elettrico, idrico, termico, climatico, era indipendente,
sganciato dalla rete esterna; quindi non esistevano accessi sotterranei .
Fogne e gallerie sotterranee erano state chiuse da quando Rahzi Jasfanei
aveva preso il potere. Oltre a ciò andava considerato che l'intero settore
ipogeo era circondato da un rivestimento blindato e da una rete di
rilevatori sismici sensibili alla minima vibrazione, il chè faceva scartare
a priori l'ipotesi di scavare un cunicolo sotterraneo.
Quanto al personale addetto, veniva stimato un numero approssimativo di 300
uomini i quali vivevano all'interno della base, alternandosi in turni di
servizio che concedevano ad ognuno 24 ore di libera uscita ogni 6 giorni.
Quasi tutti i nominativi erano conosciuti sia dai dissidenti moderati che
dagli Integralisti; si trattava di elementi scelti della guardia Nazionale,
considerati fedelissimi ed incorruttibili. Qualunque ipotesi intimidatoria
indiretta era impensabile dal momento che nessuno di quegli uomini aveva
moglie e figli. Erano tutti soli ; non si aveva notizia di altri
congiunti, genitori, fratelli, cugini. Tutti spariti, sicuramente spostati
in altre parti del territorio sotto falsi nominativi. Il 70% dei
militari frequentava durante le libere uscite locali pubblici e case di
intrattenimento; nessuno aveva una relazione sentimentale stabile.
Al comando della base vi era un uomo considerato un irriducibile: il
colonnello Isham Aszvenavi. Era anch'egli solo, senza famiglia; usciva solo
di rado dalla base e per poche ore, durante le quali non si concedeva alcuno
svago. Ciononostante sia Karaman che Faszamelai erano a
conoscenza del fatto che l'uomo aveva avuto una moglie ed un figlio durante
il precedente regime.
Era stato capitano dell'esercito durante la Repubblica Islamica, poi aveva
partecipato al Golpe di Jasfanei e da allora la sua famiglia era
letteralmente scomparsa. Della moglie e del figlio però i dissidenti
conoscevano nomi e fisionomie. La rete di infiltrati antigovernativi,
sparsa in tutto il territorio nazionale, non era riuscita fino ad allora a
localizzare nessuno dei due.
L'insieme di questi dati, ossessivamente riesaminati da Karaman , Faszamelai
e da Demetrios, oramai aveva definitivamente convinto sia Cortez che Ronald
che l'accesso indisturbato alla base era un'utopìa e che l'operazione
dovesse svolgersi contemporaneamente all'attuazione finale della SORAYA
LOOM. Anche Demetrios incominciava a pensarla così, nonostante Kabir
Faszamelai favoleggiasse ancora l'idea di localizzare la famiglia di
Aszenavi, sequestrarla e ricattare l'uomo. Anche ammesso che ciò fosse
avvenuto, sarebbe stato solo un modo per esporsi. Sicuramente
quell'ufficiale, come forse la maggior parte se non tutti i membri della
Guardia Nazionale, era psichicamente asservito alla causa aliena e tutta la
scala dei suoi affetti aveva subito un rimodellamento che vedeva al primo
posto le finalità dei Grigi.
Quella sera Cortez aveva avuto un breve contatto radio con la Centrale di
Washington, poi si era messo a riesaminare nell'interrato del Pompadur Cafè
l'intero filmato dell'atterraggio alieno. La risoluzione delle
immagini era piuttosto scadente ma sufficiente a permetterne delle scansioni
al computer.
In particolare Cortez cercava di capirne di più su quella cappa gassosa che
aveva praticamente avvolto a mò di cupola la zona del contatto. Per
quello che si poteva ottenere la risposta dello Spectrum-analyzer fu
abbastanza chiara: non si trattava di un'immagine proiettata, di un
ologramma, come Cortez aveva sospettato subito dopo la ripresa del video.
La densità della cappa gassosa corrispondeva a quella di una miscela appena
più pesante dell'aria respirabile; la temperatura poteva oscillare intorno
ai 50-55 gradi Celsius, ciò alleggeriva il gas, permettendogli di mantenersi
in alto. Quanto all'UFO, non era possibile analizzarne densità e
caratteristiche per via dell'oramai noto alone rarefatto che lo circondava
isolandolo dal campo gravitazionale.
Più denso di pulviscolo era invece il fascio luminoso conico che l'oggetto
aveva emesso prima della comparsa dei Grigi. Questi ultimi poi
risultavano essere strutture compatte, con una temperatura esterna intorno
ai 35 gradi ed un peso stimato dai 28 ai 35 kg. Anche questo rientrava
perfettamente nella casistica conosciuta.
Solidi erano i cilindri donati ai militari Iraniani, circondati da un
alone rarefatto ma comunque spesso non più di 4 millimetri, attraverso il
quale era possibile penetrare con la sonda analizzatrice. Da questa
ultima analisi emergeva che gli oggetti erano metallici, compatti e
lievemente radioattivi, con una bassa emissione di radiazioni
elettromagnetiche.
Si trattava di dati che oramai venivano rianalizzati fino alla nausea, sia
in America che lì a Teheran. Cortez non si aspettava granchè dalle sue
osservazioni, considerando che i computer di Washington stavano facendo la
stessa cosa 24 ore su 24 senza ottenere risultati; eppure riesaminava quel
video ogni volta che poteva. C'era qualcosa che fondamentalmente lo
lasciava perplesso, neanche lui riusciva a capire di cosa si trattasse; una
sensazione vaga, sfumata, quasi evanescente come tutto ciò che aveva visto.
Nel corso della sua carriera aveva avvistato degli UFO molte volte; aveva
anche visto dei Grigi muoversi indisturbati al suolo; li aveva affrontati,
inseguiti, colpiti, senza avere mai la soddisfazione di catturarne uno.
Per gli uomini dell'SDB l' alieno erano un incubo che aveva come unica prova
di fenomeno reale la concretezza dei danni che provocava. Per il resto
ogni manifestazione di UFO e di relativi piloti era costantemente sfuggente,
praticamente inafferrabile. Escludendo i reperti di una casistica che
contava più di 50 anni e che globalmente erano insufficienti a chiarire
buona parte delle caratteristiche dei Grigi, tutto il resto rimaneva a
cavallo fra l'assurdo ed il paranormale.
I Governi Mondiali erano in possesso di 21 corpi di grigi uccisi e dei
rottami di 9 dei loro velivoli. I dati che ne erano stati ricavati si
erano rivelati preziosi per la costruzione di aeromobili capaci di spostarsi
ad altissime velocità, di armi dal potenziale distruttivo imparagonabile a
quello conosciuto dalla seconda metà del XX secolo, di sistemi di
rilevamento ed occultamento radio degni di una favola.
Dei grigi era stata abbondantemente studiata la struttura organica, il
codice genetico, la funzione cerebrale. Oramai si sapeva abbastanza da
delineare lo stile biologico di quella specie che aveva tutta l'aria di un
artefatto, di una sorta di esperimento genetico.
Ciò che sfuggiva era l'essenza di quella assurda civiltà, composta da
creature asessuate, prive di emotività, strutturate in maniera da non poter
conoscere sensazioni di piacere e di dolore, incredibilmente motivate ad
infiltrare un pianeta come la Terra, ricchissimo di substrati che al sistema
biologico dei Grigi risultavano essere totalmente inutili.
Una delle opinioni più accreditate negli ambienti dei servizi di sicurezza
era quella che l'intero complesso di UFO e relativi piloti fosse una
struttura robotica autosufficiente, che mettesse in atto piani prestabiliti
da una specie aliena le cui caratteristiche e le cui origini erano del tutto
sconosciute. Era anche l'opinione di Cortez, confermata del resto dalla
casistica ufologica che i pionieri del XX secolo avevano raccolto.
Chissà cosa avrebbe pensato Linda di tutta la questione se lui gliel'avesse
confidata. L'uomo si sorprese con quel pensiero mentre risaliva
nell'ufficio di Karaman. Un attimo dopo il suo cellulare trillò. Angela
Groove aveva un tono allusivo.
"Te ne vai in giro a fare il ganzo e lasci le amiche a casa. Perché non
passi un po' di tempo tranquillo? Ci sono un sacco di bei programmi in
televisione!"
Cortez intuì, liquidò la donna con un paio di battute ed attivò il video che
si trovava proprio davanti a lui, ad un paio di metri dalla scrivania di
Karaman. Gli ci volle poco per rendersi conto di cosa fosse accaduto; fra
le ultime notizie c'era quella di un attentato che veniva definito di sicura
marca Integralista Islamica. Omar Kamarenai, governatore di Shiraz, era
rimasto vittima di un atto terroristico. Due uomini che successivamente
si erano tolti la vita per non cadere nelle mani della polizia, l'avevano
centrato con un razzo laser-guidato in una piazza della città poco dopo le
18 , durante la cerimonia d'inaugurazione di un museo d'arte classica.
Kamarenai era morto sul colpo; degli attentatori non si conosceva ancora
l'identità.
Cortez chiamò Ronald e gli raccontò i fatti. Pochi minuti dopo i due si
allontanarono dal Pompadur Cafè insieme a Demetrios. Raggiunsero Arcon,
Egle e Mustafà nella casa del libraio. I tre, già informati dell'attentato
attraverso il notiziario, erano notevolmente preoccupati.
"Oramai non potete più restare qui; l'unica vostra possibilità di salvezza
si trova negli Stati Uniti. Chi ha ucciso Kamarenai vuole fare terra
bruciata intorno a voi, per poi colpirvi prima che possiate rivelare
informazioni sui vostri ex datori di lavoro."
Disse Ronald severo.
Arcon si lasciò andare su di una poltrona; per la prima volta da quando i
due Americani lo avevano conosciuto, sembrava avvilito.
"Come farete a farci uscire?" chiese poi a bassa voce.
"Abbiamo il modo." Rispose l'altro. "Voi però stavolta dovete seguire
alla lettera le nostre istruzioni, altrimenti non potremo garantirvi nulla."
"Ehi, un momento!" Intervenne Egle con voce acuta. "L'infiltrato è uno
di voi. Quando saprà che ci state mettendo all'asciutto interverrà di
sicuro! Come pensate di evitarlo?"
"Muovendoci subito." Scandì Cortez con freddezza. Poi si girò verso
Ronald. "Attiviamo l'opzione DANNY MOUSE; disimpegno immediato. Non
abbiamo scelta."
Guardò Arcon , poi gli altri tre. "Prendete la vostra roba; fra poco
si parte." Disse secco. Egle lo fissò con una specie di ghigno
sinistro."E di Kamenial, la moglie, il figlio, che ne facciamo? Non
possiamo lasciarci alle spalle dei testimoni."
"Per loro non c'è posto." Rispose Ronald cupo.
Arcon lanciò un'occhiata a Mustafa il quale battè le mani accigliando lo
sguardo.
"Diamoci da fare subito." Disse. "Non è il momento di esitare."
Mentre Cortez si recava al Pompadur Cafè per chiamare la sua centrale e
chiedere l'immediata copertura dell'opzione DANNY MOUSE, Benali Kamenial e
la sua famiglia vennero immobilizzati e sottoposti all'iniezione di una dose
concentrata di MEMOSYNTAL, un farmaco usato per cancellare i ricordi di
copertura degli individui contattati dai Grigi che comunque indiceva a
quelle dosi un'amnesia perdurante mediamente 2 o 3 mesi; un tempo più che
sufficiente.
All 'interno della casa venne simulato un vero e proprio saccheggio che
facesse pensare ad una visita notturna di ladri. Vennero fatte sparire
statuette di epoca classica, gioielli, libri antichi, vasi Alessandrini ed
una cassetta di monete d'oro dell'Impero Ottomano; l'intera collezione di
antichità che Kamenial aveva accumulato nel corso di una vita di lavoro.
Cortez ritornò dopo un'ora esatta; era riuscito a comunicare con la
centrale, ottenendo la messa in atto immediata dell'opzione DANNY MOUSE.
Il gruppo Arcon sarebbe stato prelevato da una squadra piazzata lungo il
confine Turco, ad est della cittadina di Gurpinar. La procedura sarebbe
stata identica a quella già usata per mettere in salvo Amelan Tarnakadi.
Ora il problema stava solo nel fare in modo che i 4 ex agenti Russi
raggiungessero il confine. Tutto doveva svolgersi nelle ore della notte,
per evitare l'intercettazione sia da parte della Guardia di frontiera
Iraniana che dei militari Turchi. La schermatura dai rilevatori satellitari
sarebbe stata assicurata da un ammortizzatore di traccia di cui Arcon ed i
suoi uomini sarebbero stati dotati ma non vi erano mezzi disponibili per
garantire un'adeguata mimetizzazione visiva.
Erano passate da pochi minuti le 23 ed il tempo a disposizione comprendeva
6 ore e mezza circa. Tutto il lavoro doveva essere svolto da Cortez e
Ronald, considerando che probabilmente una delle donne del gruppo
apparteneva alla Korsakov Association ed avrebbe sicuramente fatto di tutto
per evitare la fuga di quegli uomini che stava cercando di stringere in una
morsa senza uscita. Per questo motivo lo stesso Cortez si
era procurato un veicolo appartenente alla dotazione che i dissidenti
avevano reso disponibile. Si trattava di una FORD SARAWAK che avrebbe
portato i quattro fino al confine con la Turchia, in una zona
prestabilita, a sud di Qutur. Lì i fuggiaschi avrebbero proseguito a
piedi per pochi chilometri, protetti dall'ammortizzatore di traccia, mentre
l'auto sarebbe rientrata a Teheran. Lui stesso sarebbe stato alla guida e
stavolta da solo; non c'era modo di creare un diversivo che potesse
ingannare la polizia Iraniana dal momento che gli Karaman non era stato
ancora informato dell'operazione e quindi la presenza di una delle sue
ragazze non sarebbe stata motivata.
Prima della partenza vennero somministrate ai Russi capsule di RETAMORF; si
trattava di un potente ipnotico ad azione ritardata il cui antidoto era
nelle mani degli uomini che avrebbero prelevato i 4 oltre il confine Turco.
Il tempo di latenza prima che la sostanza manifestasse i suoi effetti era di
8 ore. La specificità chimica del farmaco era tale da impedire l'efficacia
di ogni altro antagonista. L'ultima modifica della molecola risaliva a
pochi giorni prima dell'inizio dell'operazione SORAYA LOOM e ciò significava
che in quel momento nessuno al Mondo tranne gli uomini del gruppo
CIA-ABI-SDB poteva essere in possesso dell'antidoto. Qualora Arcon e
soci avessero messo in atto qualsiasi iniziativa diversa da quella
programmata per il loro recupero, sarebbero stati irrimediabilmente colti
dal sonno alle 8 del mattino successivo, rimanendo in quello stato per circa
10 ore, senza possibilità di risveglio. In quel periodo sarebbero stati
irrimediabilmente inermi e questo era l'unico argomento che desse a Ronald e
Cortez la certezza di potersi fidare.
Alle 23,45 la FORD SARAWAK imboccò la grande autostrada che da Teheran
portava verso nord ovest, dividendosi all'altezza di Maraghegh in un tronco
diretto a nord, verso Tabriz, il confine Russo, l'Armenia e la Georgia.
L'altro snodo dirigeva ad ovest, lungo le sponde del Lago Urmia, verso la
cittadina di Rizavieh e poi verso la Turchia; quello sarebbe stato il
percorso seguito dal gruppo. il governo Jasfanei aveva creato regole
estremamente permissive, nell'ottica di un presunto allineamento con la
tolleranza tipica delle nazioni Occidentali; così il limite di velocità
sulle autostrade era fissato a 210 km orari al di sopra dei quali scattava
un meccanismo di intercettazione da parte della polizia. A velocità
inferiori o pari, i rilevatori piazzati lungo i margini delle corsie non si
attivavano e ciò permetteva di guidare praticamente indisturbati.
L'auto mantenne costantemente i 200 orari, arrivando all'altezza di Rizavieh
alle 4,15 del mattino, per poi uscire 20 minuti dopo a Shapur, poco a sud
del punto convenuto. La zona era praticamente deserta; quei pochi che
abitavano ancora i villaggi di frontiera, dimenticati dall'ondata
modernizzatrice del nuovo regime, erano per lo più vecchi pastori che fino
all'alba sarebbero rimasti immersi nel sonno. Arcon , Egle, Demetrios e
Mustafa scesero dall'auto alle 4,45, incamminandosi velocemente lungo un
sentiero che li avrebbe portati in territorio Turco. La distanza da coprire
era di 5 chilometri, da percorrere in un tempo limite di 45 minuti, cioè ad
una velocità di 8-10 km orari, praticamente di corsa, al buio, con l'ausilio
degli occhiali notturni e tutti vicini per evitare di uscire dal campo
dell'ammortizzatore di traccia.
Prima di avviarsi Arcon guardò Cortez con espressione tesa e fece per dirgli
qualcosa ma lui lo bloccò.
"Non c'è tempo per fare commenti." Disse aspro, indicandogli la campagna
circostante."Avete poco più di mezz'ora, dopodichè vi troverete in mutande.
Andatevene subito!"
I quattro sparirono nel buio mentre Cortez ripartiva velocemente, diretto
verso l'autostrada. In quella zona vi era la sorveglianza di frontiera, un
sistema di sensori sparsi nella fascia territoriale, proprio entro 5
chilometri dalla linea di confine. Il suo ammortizzatore di traccia era
attivo ma ciò non bastava a garantire la sicurezza. I controlli
estemporanei erano rari ma non impossibili.
Rientrò a Teheran poco prima delle 10 del mattino, parcheggiò l'automobile
nella rimessa del Pompadur Cafè e si avviò verso un'altra auto in cui
Ronald lo stava aspettando. L'uomo era rimasto tutta la notte nello
scantinato del locale, aspettando la comunicazione radio circa l'esito
dell'operazione.
"E' andata." Gli disse lui accennando un sorriso. "Li hanno tirati in
secco poco prima delle 6. Non ci sono stati intoppi."
Cortez tirò un lungo sospiro, passandosi una mano tra i capelli sopra la
fronte.
"E i nostri amici hanno capito qualcosa?" Chiese ancora preoccupato.
"Sembra di no. Karaman se n'è andato alle 4, lasciandomi con la ragazza.
Gli ho detto che stavamo mettendo al sicuro Demetrios dopo che la centrale
ci aveva comunicato il rischio che lui venisse riconosciuto per via di certi
suoi precedenti durante un'operazione in Afghanistan. Credo che l'abbia
bevuta."
"E la ragazza?"
"Se n'è andata mezz'ora dopo. Si è anche scusata dicendo di non sentirsi
troppo bene."
Cortez tirò fuori un sorriso ironico. "Insomma ti ha fatto un bidone?
Stai invecchiando se le donne non ti crollano più tutte davanti ai piedi."
L'altro gli diede una pacca sulla spalla. "Sarai stanco; ti accompagno
in albergo. Sta attento a non sbagliare appartamento però." Gli rispose
canzonandolo.



Capitolo10.
L'Iranian Expo rappresentava una delle più eclatanti iniziative
promozionali di apertura che il governo di Rahzi Jasfanei avesse preso dai
tempi del suo insediamento.
Quasi tutte le nazioni del Globo partecipavano ad una sorta di esposizione
di oggetti d'arte antica e moderna, proponendo i loro prodotti in un insieme
di stands disseminati all'interno di un gigantesco ziggurat. Unici assenti
erano ovviamente i Paesi del Patto di Kabul, la Cina, il Vietnam, la
Cambogia e Israele che aveva gentilmente declinato l'invito.
L'interno della struttura ospitante la fiera era una vera e propria città,
dotata di ristoranti, sale di riunione, locali di spettacolo e di soggiorno,
in una cornice idilliaca di giardini climatizzati, con fontane, giochi
d'acqua, piscine, bagni termali e tutti i comfort immaginabili.
In questo Eden in miniatura ben 4000 fra espositori, antiquari, inviati
delle reti televisive mondiali, personaggi del mondo dell'arte e
dell'archeologia venuti da tutto il Mondo, avrebbero trascorso i 20 giorni
previsti per lo svolgimento della fiera, sotto la protezione di un corpo si
sorveglianza composto da elementi scelti della polizia e dei servizi di
sicurezza Iraniani.
La cerimonia di apertura fu grandiosa; una giornata intera di festeggiamenti
a cui partecipò Jasfanei in persona, accompagnato da alcuni membri del
governo, autorità religiose locali e membri del mondo Accademico.
Ovviamente lo staff della Massachussets University apparteneva al gruppo
degli ospiti d'onore ed il team delle public relations quel giorno dovette
fare la parte del leone.e Ronald, coadiuvati dalle 4 donne del gruppo,
avevano messo su uno stand in cui erano esposte riproduzioni di documenti
storici dell'università, libri , CD video, un plastico della sede
Universitaria di Boston, computer didattici con programmi simulati di
apprendimento rapido ed un archivio telematico contenente il meglio della
Massachussets Library, la grande biblioteca dell'Università. L'intero
stand era autonomo, totalmente automatizzato e non richiedeva personale
addetto; Rahzi Jasfanei lo aveva visitato con grande interesse ed in quella
occasione aveva personalmente conosciuto Linda, gli altri docenti, nonché i
sei che stavano preparando la sua caduta. Era un uomo minuto, scuro di
carnagione, piuttosto grassoccio, con occhi vivaci ed un fare estremamente
cordiale. Nel salutarlo Cortez ebbe un attimo di rammarico per tutto
quanto stava accadendo ed a cogliere questo turbamento fu proprio Linda che,
nonostante le distanza prese, non riusciva a staccargli gli occhi da dosso.
Quello che però gli uomini del gruppo ABI-SDB erano più interessati a
rilevare era la presenza fra gli ospiti degli elementi formanti gli SDAG
(SPEED ACTION DARK GROUPS), le unità speciali allestite con il meglio dei
potenziale umano dei servizi segreti NATO, destinate a fare da supporto al
Colpo di stato in preparazione.
Nel corso della giornata Ronald e Cortez riuscirono ad identificare i 45
uomini che avrebbero formato le 3 squadre di supporto, i cui ruoli erano già
in parte stabiliti ma che comunque sarebbero stati riaggiornati nel corso di
una serie di incontri previsti per i giorni successivi.
Con l'arrivo degli SDAG, l'operazione SORAYA LOOM poteva considerarsi
avviata verso la sua fase cruciale: il colpo di mano che avrebbe dovuto
portare al potere un Governo composto da militari appoggiati dai gruppi
dissidenti ed al tempo stesso avrebbe identificato ed auspicabilmente
neutralizzato gli alieni che stavano pilotando le mosse del regime di
Jasfanei.
L'inaugurazione dell'Expo si protrasse fino a sera inoltrata senza che
Ronald e Cortez scambiassero una parola con gli uomini degli SDAG; benchè si
fossero tutti riconosciuti tutti fra loro era già deciso che i contatti
sarebbero avvenuti in altre sedi, lontano da occhi indiscreti. Così,
passate le 22 l'intero gruppo della Massachussets university si avviò verso
lo Xerses Imperial. Per quella sera non erano previsti incontri con i
disidenti Iraniani, ne contatti con la centrale di oltreoceano.
Un'ora dopo Cortez era solo, seduto in poltrona nella hall dell'albergo,
intento a sorseggiare un Bourbon; Linda arrivò con passo cadenzato e gli si
sedette a fianco con un sorriso piuttosto triste.
"Disturbo?" Gli chiese con tono stanco. L'uomo sorrise scrollando la
testa.
"E' fresco fuori, ma si sta bene. Facciamo due passi?" Continuò lei.
Cortez annuì, vuotò il bicchiere e si avviò verso i giardini illuminati a
giorno.
"So che sarebbe molto meglio se mi impicciassi dei miei affari, ma a questo
punto delle cose non posso fare a meno di chiederti qual è il vero
obbiettivo della vostra presenza." Disse la donna appena i due si
trovarono in mezzo ad un prato aperto.
Lui fece una smorfia che poteva sembrare un sorriso e con la mano le fece
cenno di tenere più basso possibile il tono della voce. Linda si portò una
mano davanti alla bocca scusandosi.
"Credevo di aver capito che la cosa non t'interessasse." Rispose. "E a
dire il vero, ne ero contento. Ora è davvero imbarazzante per me continuare
il discorso." Concluse.
L'espressione di Linda si fece dura. "Come non detto." Disse fermandosi
di scatto. "Possiamo anche parlare delle stelle."
L'uomo alzò gli occhi verso il cielo; era una serata limpida e di stelle se
ne vedevano a migliaia.
"Già…..le stelle." Disse pensoso. "molti problemi ci vengono
proprio da lì."
"Non ti seguo." Rispose la donna irrigidita. "Non sei tenuto ad
inventarti argomenti se non hai voglia di parlare."
Cortez era davvero imbarazzato; voleva mantenere Linda fuori da quella
questione ad ogni costo ma sapeva che lei stava incominciando ad intuire
qualcosa.
"Questo regime non ci è amico; è solo una facciata che nasconde intenzioni
tutt'altro che benevole." Scandì.
"E voi volete sabotarlo. Spero che almeno ci terrete al sicuro dalle
ritorsioni." Il tono della donna era bassissimo, quasi un sussurro.
"Puoi contarci." Rispose l'uomo sfiorandole la mano.
"Le stelle, hai detto? State pensando a qualche azione aerea?" Si
portò di nuovo la mano davanti alla bocca. "Scusami." Disse ridendo.
"E' meglio che non insista."
"Tu sarai in salvo prima che la cosa diventi pericolosa. Te lo prometto."
La voce di Cortez si era fatta calda, quasi commossa. La donna lo
fissò con gli occhi lucidi.
"Andiamo da me?" Chiese con voce flebile.
L'uomo si sentì avvampare, non gli capitava da un pezzo di provare una
sensazione così forte. Le prese la mano ed incominciò a camminare verso
l'ingresso della hall.

Faceva un freddo cane nel deserto ed il vento fischiava in maniera
insopportabile, sollevando nubi di polvere che impedivano la visuale.
L'oasi di Semman era illuminata, tutta di azzurro, come lo scenario di un
varietà. I due Grigi se ne stavano immobili, con le braccia allargate in
un atteggiamento ieratico di chi fa cenno ad accogliere ospiti. L'UFO era
lì, immobile, a mezz'aria; quasi sfumato, come fosse fatto di aria.
Cortez stava filmando la scena, mentre Ronald teneva a bada Kabir
Faszamelai, il quale voleva ad ogni costo scagliarsi contro gli alieni.
Zavani Karaman fumava indifferente, come se la cosa non lo riguardasse.
Linda camminava a passi lenti, sola, senza scorta, verso i due alieni che
sembravano sorriderle; andava avanti come rassegnata, quasi una condannata
che si avvia al patibolo.
Cortez ebbe un sussulto, poi tentò di muoversi ma si accorse di essere come
paralizzato, intorpidito, appesantito come un sacco.
Si girò verso Ronald che manteneva bloccato Faszamelai il quale parlava con
la bava alla bocca.
"Non lasciarla partire; non abbandonarla. Lei non c'entra; lei non
c'entra!" Diceva con voce impastata.
Ronald gli premette una mano sulla bocca fino quasi a soffocarlo; Karaman
si girò distrattamente e lasciò cadere la sigaretta, poi guardò Cortez con
un sorriso ebete.
"Fa parte del lavoro; ne perdiamo tante di persone care." Mormorò
inespressivo.
Cortez non sentiva più il freddo, era sudato e stava tentando con tutte le
forze di vincere quella specie di torpore che lo bloccava.
Linda era a pochi metri dagli alieni, il vento stava incalzando ed anche la
visuale dell'oasi si faceva nebbiosa.
L'uomo sentì una mano poggiarglisi sulla spalla; si girò di scatto e sgranò
gli occhi per lo stupore. Mary, la sua prima moglie. Lo fissava severa,
imbacuccata in una goffa tuta mimetica.
"Ma che fai tu qui?" Le chiese l'uomo stravolto.
"Lavoro, come te. Non c'è nulla di strano." Rispose lei fredda.
Lui intuì in un attimo che la donna aveva sempre fatto parte dell'SDB, capì
che lo aveva sposato solo per controllarlo. Era solo un agente, una
maledetta spia. Tutta la loro storia era un artefatto, un ridicolo e
pazzesco artefatto.
"Non dovevi ingannarla." Sentenziò Mary facendo cenno con lo sguardo a
Linda. "Se gliel'avessi detto, lei non si sarebbe fatta attirare qui.
E' venuta per salvarti, credendo che tu fossi in pericolo e invece l'hanno
fatta schiava."
Si fermò allargando la bocca in un sorriso triste.
"Hai perduto anche lei." Concluse a voce bassa.
Cortez era esausto; non riusciva a muoversi, nemmeno ad urlare. Gli
mancava il fiato, l'aria, si sentiva quasi soffocare.
Si girò verso l'oasi. Linda era ferma, i due grigi le stavano ai lati e
l'avevano presa per mano. L'UFO si era abbassato minacciosamente.
Lui riuscì a divincolarsi da quella specie di morsa che lo aveva
attanagliato e scattò di corsa verso la donna. Impugnò la pistola e sparò
contro i due grigi, lo fece ripetutamente fino a svuotare il caricatore.
Quando arrivò accanto a Linda gli alieni erano distesi al suolo, composti,
immobili, come se stessero dormendo. L'UFO era a pochi metri di altezza;
c'era un odore strano, penetrante, indefinibile.
Afferrò la donna per un braccio ma lei si afflosciò cadendogli addosso.
Senza perdersi d'animo Cortez fece per prenderla in braccio ed in quel
momento si accorse di essere nuovamente paralizzato.
Strisciò in mezzo alla sabbia abbracciato alla donna che lo fissava inerme,
indifferente, quasi inespressiva.
"Linda, Linda!" Tentò di urlare, ma si accorse che anche la voce gli si
era bloccata. riusciva a respirare, a muoversi. Tutto gli girava
velocemente intorno.
Si svegliò balzando seduto in mezzo al letto. Inspirò profondamente nel
rendersi conto che si era trattato solo di un incubo, poi si poggiò la testa
fra le mani e la scosse ripetutamente.
Linda era lì, accanto a lui, immersa nel sonno. Aveva avuto un lieve
sussulto ma non si era svegliata.
l'uomo guardò l'orologio; erano passate da poco le 5.
Si alzò ed andò nella stanza da bagno, rimanendo per quasi 10 minuti sotto
il getto caldo della doccia; aveva una specie di mulinello nella mente.
Quando rientrò in camera da letto Linda era sveglia, lo osservava distesa
sotto le lenzuola sbadigliando.
Lui le si sedette accanto e la baciò, poi le acarezzò i capelli.
"Cos'è che vuoi dirmi?" Chiese la donna con un sorriso tiepido.
"Nulla; volevo salutarti. Ci vediamo a colazione?" Rispose Cortez con
voce suadente.
Linda si stiracchiò sospirando. "Ma si…a questo punto non serve
nascondersi le cose. Ordina anche per me, visto che io arriverò sicuramente
in ritardo."
"Certo. Cosa vuoi?"
"Colazione all'Italiana: caffè, latte, brioches e marmellata." Il tono
della voce le si era fatto vezzoso, come quello di una bambina. Cortez
fece un cenno di saluto militare, la baciò di nuovo e si avviò verso la
porta.
Alle 12 di quella mattina Cortez e Ronald ritornarono all'Iranian Expo in
compagnia delle due ragazze di Karaman. Passeggiarono per un'ora fra gli
stands, poi si fermarono per uno spuntino in uno dei ristoranti della fiera.
Era il segnale prestabilito per entrare in contatto con l'uomo che guidava
gli SDAG, Colin Zecharias, un personaggio pressochè ignoto negli ambienti
ufficiali ma che negli ultimi anni aveva firmato le maggiori Dark Actions
del blocco NATO.
Zecharias era un ex ufficiale dei Seals, un corpo di Marines scelti; da 9
anni era in congedo e viveva cambiando nome ed indirizzo in media ogni tre
mesi per sfuggire ad ogni controllo. Aveva guidato operazioni in
Medio oriente, in India, Birmania, nelle Filippine ed in America Latina.
Tre colpi di stato erano stati portati a compimento con il suo aiuto; il
resto della casistica comprendeva attentati, sabotaggi, blitz di ogni
genere, tutti contro i blocchi politici avversari della NATO.
L'aspetto innocuo di un impiegato medio, lo stesso con il quale in quei
giorni se ne andava in giro per Teheran, nascondeva in realtà un individuo
che aveva fatto della guerra il suo unico motivo di vita. Aveva una
figlia, nascosta da qualche parte sotto falso nome; a lei sarebbe andata
l'enorme mole di danaro accumulato in quegli anni se lui avesse perduto la
vita per qualunque motivo.
L'uomo andò incontro a Cortez e Ronald starnutiva soffiandosi il naso con
aria impacciata. La recitazione era la sua seconda dote di spicco.
Le due ragazze si sedettero ad un caffè ed i tre uomini presero a
passeggiare lungo il viale del giardino coperto.
Zecharias entrò bruscamente in argomento, senza preamboli e con un tono
secco.
"Abbiamo poco tempo." Disse continuando a soffiarsi il naso. "Mi hanno
informato dell'infiltrazione da parte dei Korsakov; entro 10 al massimo 15
giorni, la nostra copertura potrebbe andare all'aria. Se avete già preso
contatti con i locali, direi di chiudere l'affare entro una settimana."
Ronald fece una smorfia di disappunto. "Ci sono ancora da definire
molti dettagli tecnici. Non ti sembra un tempo troppo limitato?"
"Per niente." Ribattè l'altro convinto. "Fatemi incontrare gli ufficiali
coinvolti ed in una o due serate stendiamo il programma nei dettagli. Meno
restiamo qui, meglio è."
Cortez intervenne con tono severo; non gli andava che quell'uomo facesse le
cose così facili.
"C'è l'altro aspetto della questione, quello dei visitatori. Non lo
risolviamo in così poco tempo." Disse.
"Hai ragione, ma per quello non c'è problema. Al momento dell'entrata in
azione voi della difesa spaziale attuerete il vostro programma in maniera
autonoma. Avrete una nostra unità a disposizione, comunque le due fasi
dovranno essere indipendenti. Questi sono gli ordini che ho ricevuto."
"E se la nostra parte non va in porto? Se non riuscissimo a localizzare gli
intrusi? Qual è la procedura che ti hanno suggerito?" Cortez era quasi
sul punto di spazientirsi.
"Noialtri agiremo lo stesso. Jasfanei cadrà in ogni caso; poi penseremo al
resto."
"E' una stronzata." Rispose Cortez aspro. Colin Zecharias lo fissò
stupìto, ma lui non si smosse.
"Chiunque governi questo paese sarà esposto al plagio degli alieni; non ci
servirà a nulla cambiare i suonatori se la musica resterà la stessa."
"Non c'è tempo di fare ricerche su presenze occulte; questo governo sta
approntando una forza aerospaziale con armi nucleari che fra pochi mesi
potrebbe trovarsi sulle nostre teste. Credo che ti sia chiaro questo
concetto."
"Certo che mi è chiaro." Il tono di Cortez era diventato gelido. "Mi è
ancora più chiaro che quando qui si reinsedierà un governo Islamico, allora
saremo sicuri al 100% di doverci preparare ad una guerra. Gli alieni
stanno potenziando il Paese e gli oltranzisti erediteranno una tecnologia
d'avanguardia che ci farà ballare come pupazzi."
"Gli oltranzisti non prenderanno il potere; siamo qui per questo."
Rispose Zecharias con tono saccente.
"Auguratelo vivamente, altrimenti le tue squadre serviranno al massimo per
ripulire New York da 16 milioni di cadaveri." Intervenne Ronald
sgraziato.
L'altro ebbe un momento di esitazione, poi si rivolse ai due cambiando tono.
"Insomma è inutile fare storie tra noi. Io ho ricevuto degli ordini. La
missione è a rischio maggiore da quando c'è stata l'intrusione Russa.
Dobbiamo stringere i tempi e salvare il salvabile." Disse fingendo di
starnutire.
Ronald annuì ripetutamente, poi gli poggiò una mano sulla spalla.
"Entro due o tre giorni al massimo ti faremo incontrare gli ufficiali
dissidenti. Sta tranquillo." Gli disse calmo.
"Okay. A che punto siete con gli alieni?"
Cortez non rispose, fece una specie di smorfia mostrando i palmi delle mani.
"E' tutto ancora da vedere." Rispose velocemente.
Ronald si stava allontanando verso le ragazze sedute al caffè e gli faceva
cenno di seguirlo, salutando contemporaneamente Zecharia con ampie
bracciate.




Capitolo 11
Arnold Baughmarten arricciò le labbra in una smorfia cupa mentre Joseph
Browasky, capo tecnico del DAA (Data Analysis Area) gli illustrava
attraverso il video i risultati degli ultimi esami relativi al filmato
trasmesso da Cortez Herrera dal deserto salato.
Le immagini scomposte in linee e punti si succedevano velocemente, insieme a
bande colorate e formule scritte in riquadro, tutte commentate in maniera
fastidiosamente tecnica dall'addetto. Il senso di tutto quel rapporto
era semplice ed allo stesso tempo quasi incredibile.
I cilindri consegnati agli uomini della guardia Nazionale Iraniana, così
come gli ostaggi scambiati, erano veri, tutto il resto, l'UFO, i due alieni,
la cappa gassosa, non erano reali, almeno nel senso classico
dell'espressione.
Non si trattava di un ologramma poichè la densità colorimetrica delle
immagini lo faceva escludere, piuttosto sembrava di trovarsi di fronte ad
una sorta di materia ipodensa, rarefatta, con una sua temperatura ed una sua
opacità effettiva.
"un ectoplasma?" Azzardò Baughmarten ridacchiando amaramente. Browasky lo
guardò con espressione soddisfatta.
"Una specie...direi un'aggregazione di materiale gassoso; azoto, neon, misto
ad anidride carbonica. Non credo che riusciremo a capirne di più." Rispose
compìto.
L'uomo rimase in silenzio, mentre l'esposizione dei dati continuava. Le
aggregazioni gassose potevano essere proiezioni di oggetti reali trasmesse
attraverso un raggio convogliante, una sorta di teletrasporto di cui però
non
era chiara l'emittente. Lo stesso raggio conteneva ipoteticamente messaggi a
fotofrequenze variabili, il chè permetteva di trasportare sia gli oggetti
reali che le immagini virtuali in un volume definito e delimitato in quel
caso dalla cortina opaca che faceva da cappa sullo scenario.
In altre parole, tutto ciò che si vedeva e che di fatto non c'era, si
trovava altrove, oppure era stato ricavato da semplici costruzioni grafiche
tridimensionali, anche da un montaggio, concluse Browasky pavoneggiandosi.
"Ecco perchè non abbiamo rilevato l'oggetto." Commentò Baughmarten
sospirando.
"Esattamente!" Esclamò l'altro eccitato. "Tutti i nostri apparecchi di
rilevamento decodificano tracce radio, convertendole in suoni e forme. Quì
si sono trovati di fronte a semplici addensamenti gassosi compatibili con
fenomeni atmosferici banali...una nuvola, un ammasso di pulviscolo, un
addensamento di anidride carbonica."
"Ma il raggio induttore, per chiamarlo così, quello che trasportava il
messaggio che conteneva anche i cilindri, avrà avuto una sua frequenza.
Perchè non lo abbiamo identificato?"
Joseph Browasky sorrise compiaciuto; si divertiva decisamente ad esporre
quella roba che invece a Baughmarten faceva l'effetto di un masso sullo
stomaco.
"Credo che parlare di raggio sia inesatto. Potremmo trovarci di fronte ad un
fascio di...fotoni rallentati." Scandì. L'altro lo fissò severo.
"Fotoni rallentati? Non mi sembra un argomento credibile." Commentò
freddamente.
Browasky affannò lievemente. "Lo so, signore, ma sarebbe l'unica
soluzione. Un fascio di fotoni filtrati attraverso...Dio solo sa cosa, che
si siano riaggregati in particelle più dense, magari proprio nella cappa
posta in alto. In questo caso la fonte di emissione poteva essere proprio
la terra, il punto stesso in cui si trovavano i cilindri o gli alieni."
"Il sottosuolo?" Incalzò Baughmarten. L'uomo esitò per un attimo.
"Anche, purchè vi fosse un tramite che portasse il fascio fotonico
all'aperto, anche una microantenna. La struttura della crosta terrestre non
lascia passare le onde luminose."
Il comandante dell'SDP annuì velocemente; non sopportava più quella specie
di lezione di fisica teorica.
"Grazie, signor Browasky. Mi invìi un rapporto chiaro da poter illustrare
al Presidente ed ai membri del suo staff. Quanto tempo le occorre?"
"Per renderlo...chiaro a tutti, almeno 3 o 4 ore."
"Tre ore, se le faccia bastare. Ora sono le 11 del mattino; per le 2
postmeridiane voglio essere in grado di organizzare una riunione."
Concluse Baughmarten seccamente.

Poco prima delle 3 vi fu un incontro con Spiro Shevadon ed Edward Pallotta
nella sede del comando dell'SDP. Dopo mezz'ora Shevadon chiamò la Casa
Bianca e chiese un incontro urgente con il Presidente che gli venne fissato
per le 18. I tre uomini lasciarono lo studio ovale dopo le 22. Quando
furono nell'automobile che li riportava al Pentagono, il direttore della CIA
ebbe uno scatto.
"Se tutta la storia non è una fantasticheria di questo Browasky, la
soluzione del problema è semplicissima: c'è una base aliena sottoterra nella
zona di quella dannata oasi. E' inutile allertare il WASD e tutta
l'interforza aerospaziale dell'Alleanza, facendo sapere i fatti nostri agli
Europei; basta un'azione mirata lì, nel sottosuolo. Intanto buttiamo giù
Jasfanei!"
"Lei sta parlando di un bombardamento?" Chiese Baughmarten prudente.
"Non necessariamente! Se i suoi uomini laggiù riescono a portare a
compimento un'azione mirata, ci possiamo anche risparmiare un intervento
aereo. Altrimenti mandiamo uno Space--Stealth, lanciamo un ecomissile e
chiudiamo la partita. Dipende solo da loro!" Concluse l'altro aspramente.
"Intanto comunichiamo al gruppo di affrettare i tempi; meno restano laggiù,
meglio è per tutti." Aggiunse Pallotta. Baughmarten sospirò
rumorosamente.
"Ci vorranno 16 ore per un nuovo contatto; a quest'ora a Teheran è l'alba e
prima di sera il maggiore Herrera non ci chiama."
"Aspetteremo; intanto prepariamo il recupero della copertura; non voglio che
i docenti della Massachussets si trovino lì quando i nostri entreranno in
azione. Per quello che ne sappiamo potrebbero esserci anche i Russi sotto
l'oasi, mentre noi ci stiamo baloccando nel dare la caccia agli alieni."
Baughmarten perse la pazienza. "Se vogliamo giocare a chi la dice più
grossa, ditemelo e vi racconto la versione integrale dell'invasione
Venusiana...Ma che interesse avrebbero avuto i Russi nel montare tutta la
faccenda?"
"Farsi un alleato in mezzo al Blocco Islamico!" Gracchiò Shevadon.
"Quelli del gruppo Arcon non lo sapevano, ma l'iniltrato nel nostro gruppo
si. Se le cose stessero davvero così, potremmo trovarci fra pochi giorni nel
mezzo di una crisi internazionale. La Korsakov manda all'aria l'operazione
SORAYA LOOM, il Patto di Kabul viene a sapere che abbiamo tentato di mettere
un altro gruppo al potere in Iran; noi veniamo screditati, Russi e Islamici
si accordano e si dividono le aree di infuenza nel golfo Persico e noi
saremo costretti a mettere in preaalarme rosso tutta l'area del
Mediterraneo!"
"Questa si che è fantascienza!" Esclamò Baughmarten a denti stretti.
Shevadon lo guardò vitreo.
"Lo spero veramente; per questo sarebbe opportuno che i suoi si
affrettassero a localizzare la fonte di quella sceneggiatura; altrimenti
potremmo trovarci tutti con il sedere bagnato, senza sapere dove ci siamo
seduti." Concluse quasi minacciosamente.

Cortez era di pessimo umore; sebbene fosse riuscito insieme a Ronald ad
organizzare a tempo di record un incontro con gli ufficiali Iraniani che
avrebbero partecipato al Golpe, non gli andava giù quella specie di fretta
di Colin Zecharias. Dentro di se aveva il passimo sentore che il vero
obbiettivo degli SDAG fosse quello di concludere le cose in fretta, senza
curarsi troppo della tutela del suo gruppo e dello staff docente
dell'Università. Ne aveva parlato con Briggs il quale aveva nicchiato,
concludendo poi che se anche Zecharias fosse stato preso solo dall'interesse
per l'integrità della sua squadra, loro del SORAYA TEAM avrebbero avuto
comunque più di un modo per uscire dal territorio Iraniano.
L'unico punto dubbio restava la sicurezza dei docenti e lì Cortez sentiva
forte il peso della sua relazione con Linda e dei rischi che essa
comportava. Non gli era mai capitato in missione e la cosa lo faceva
sentire impedito, appesantito, quasi invecchiato.
L'incontro era fissato per quella notte in una casa della città vecchia, una
delle basi operative di Faszamelai. Ancora una volta gli Integralisti
avevano un ruolo di primo piano, nonostante i numerosi agganci di Zavani
Karaman il quale però non poteva ne voleva rischiare di far entrare
ufficiali in uno dei suoi locali di copertura.
Alle 22 Cortez arrivò al Pompadur Cafè, scese nel sotterraneo e si collegò
con la centrale di Washington.
Ronald lo vide uscire dall'ufficio di Karaman un'ora dopo con l'espressione
di chi ha appena ricevuto la notizia di un lutto in famiglia. Gli chiese
cosa fosse accaduto; lui non rispose, invitandolo ad uscire all'aperto.
"Una cavità sotterranea? Com'è possibile che i locali non ne sappiano
nulla?" Chiese Ronald indignato,
"Lo sapremo presto, dopo la riunione di stasera. Voglio che Zecharias ne
rimanga fuori." Rispose Cortez con aria minacciosa.
"Stai pensando che Faszamelai si sia tenuta in tasca qualche informazione?"
"Proprio così. Lui è convinto che i nostri amici vengano dal cielo e non ha
pensato di dirci che lì sotto c'è una cavità. Forse vuole piazzarci un
gruppo dei suoi da far intervenire l momento opportuno."
Ronald scoppiò in una risata. "Pensa un po'...i guerriglieri vanno lì per
appostarsi e trovano una base aliena. Bell'affare!"
"Già" Mormorò l'altro. "Bell'affare davvero."
La riunione incominciata pochi minuti prima di mezzanotte, terminò alle 4
passate. Colin Zecharias riuscì a fissare i punti principali
dell'operazione mantenendo un ritmo che stremò gli ufficciali. Sarebbero
bastati altri due incontri per mettere a punto i dettagli di un'operazione
la cui data venne fissata approssimativamente intorno al 28 Aprile, cioè
nell'arco dei dodici giorni successivi. Era quasi l'alba quando Cortez,
Ronald e lo stesso Zecharias lasciarono la casa situata nel cuore di un
dedalo di viuzze semideserte. Uscirono da porte diverse, attraversando
cunicoli sotterranei che li smistavano verso palazzine distanti tra loro.
Alla fine i due sbucarono in una specie di localino tipico in cui c'erano
immancabilmente ad attenderli le ragazze di Karaman, sorridenti,
impeccabili, rigorosamente professionali.
Quello che appariva chiaro era il fatto che gli oltranzisti fossero in grado
di mantenere un controllo capillare sull'agglomerato urbano della città. Se
durante l'operazione fossero sorti problemi con quella fazione, SORAYA LOOM
avrebbe rappresentato l'inizio di una guerra civile dall'esito assai dubbio.
Forse Zecharias non aveva poi tutti i torti nel voler stringere al massimo
i tempi di latenza. Ogni giorno che passava era tempo regalato alla
fazione Oltranzista per organizzare i suoi quadri ed eventuali contatti con
i paesi del Patto di Kabul.
La sera successiva finalmente vi fu l'incontro con Faszamelai per il nuovo
sopralluogo all'oasi di Semman in occasione del prossimo contatto alieno.
L'Iraniano si presentò nella stessa casa del primo apuntamento con i due
Americani. C'era anche Zavani Karaman il quale era stato già messo al
corrente dei nuovi dati emersi a Washington.
"Credo che lei continui ad essere poco sincero con noi, signor Faszamelai."
Esordì Ronald serio.
L'altro lo guardò meravigliato. "Non direi; vi sto dando piena fiducia ed
anche una certa simpatia." Rispose sereno.
"Ah si?" Intervenne Cortez con riso ironico. "Però non ci ha detto che
sotto l'oasi c'è una bella cavità, in cui potrebbero essere nascoste tante
cose."
"Mi pare ovvio che sotto un'oasi ci sia un fiume sotterraneo; se questo si
prosciuga resta una caverna. Dove volete arrivare?"
"Molto lontano." Rispose Ronald cupo. "I vostri uomini del vecchio
regime si allenavano lì quando l'oasi era già secca. Evidentemente avevano
dei depositi ipogei, o qualcosa di più. Stavolta lei deve dirci tutto o
saranno guai."
"Tutto di che?" Chiese l'Iraniano indispettito.
"Tutto." Scandì minaccioamente Cortez. Profondità, vie di accesso,
dimensioni, contenuto, eventuali diramazioni verso altri luoghi sotterranei.
Si da il caso che probabilmente i vostri demoni vengano proprio da lì
sotto e non dal cielo come vi hanno fatto credere."
Kabir Faszamelai ebbe un attimo di disorientamento.
"Ma voi avete visto insieme a me la loro astronave che scendeva. Come siete
arrivati adesso a pensare che..."
Cortez gli troncò il discorso con tono durissimo.
"I nostri tecnici hanno dimostrato che l'UFO e gli alieni sono immagini
gassose, proiettate quasi sicuramente dal sottosuolo. I cilindri sono veri
e anche i vostri fratelli tenuti in ostaggio. Gli alieni usano un metodo
chiamato fototrasporto per spostarli da un luogo all'altro. Buona parte di
quello che abbiamo visto insieme è solo gas."
Faszamelai rimase a bocca aperta; si lasciò cadere su di una poltroncina e
stette in silenzio, con lo sguardo nel vuoto. Ronald lo scosse prendendolo
per un braccio.
"Niente commedie, amico! Dicci cosa c'è lì sotto, se non vuoi che ti
mettiamo davvero sotto induzione chimica. Al diavolo i tuoi seguaci e le
loro vendette! Voi state compromettendo la riuscita della missione con il
vostro atteggiamento!"
L'uomo assunse un'espressione avvilita, scorata, sembrava fosse quasi sul
punto di scoppiare in lacrime; poi incominciò a parlare.
Raccontò che l'oasi di Semman aveva un'ampia cavità sotterranea in cui i
soldati della ex Repubblica Islamica nascondevano armi, da quelle semplici
individuali a quelle più sofisticate che scambiavano con altri paesi del
Patto di Kabul. C'era un sistema di caverne che immetteva in un condotto,
quello che un tempo era stato attraversato dal fiume sotterraneo. Il canale
era prosciugato; da un lato portava verso sud, approfondendosi dopo pochi
chilometri in un precipizio in cui l'acqua del fiume si perdeva; dall'altro
portava verso nord. Lì i servizi segreti del vecchio regime avevano
costruito un sistema di trasporto su monorotaia che collegasse l'oasi al
territorio del Turkmenistan, fino ad una base situata al confine con l'Iran,
nei pressi di Kizyl Atreh.
Il condotto continuava fino alle viscere del rilievo montuoso del Kopet; era
lì che si trovava la sorgente del fiume. La ferrovia sotterranea aveva
funzionato per alcuni anni, poi un terremoto aveva fatto franare la
galleria, bloccando il passaggio per buoni 200 metri. era successo tre anni
prima. Al momento del sisma i vagoni erano fermi proprio sotto l'oasi per
cui non vi erano state perdite umane, tuttavia la tratta era divenuta
inservibile. Oramai i mezzi di elusione satellitare si erano perfezionati
in seno ai paesi del Patto di Kabul ed i governi Iraniano e
Sovieto-Islasmico avevano ritenuto inutile il ripristino della condotta
ipogea.
"Che armi c'erano quando Jasfanei prese il potere?" Chiese Ronald con tono
imperioso.
"Nessuna più. Il posto era abbandonato già da molto tempo. Vennero lasciati
solo i vagoni vuoti." Rispose Faszamelai calmo.
"Ma voi avrete pensato di far arrivare in Iran i vostri amici del
Turkmenistan attraverso il canale. Dov'è finito questo progetto?" Incalzò
Cortez.
"C'è stata una voragine e la galleria è bloccata. Non si può passare."
Insistè l'Iraniano.
Ronald gli era praticamente addosso.
"Come si accedeva al sotterraneo?"
"C'era un condotto con un ascensore, nascosto in uno dei conteiners. Venne
chiuso e cementato dopo la frana."
In quel momento inaspettatamente Zavani Karaman si scagliò violentemente
contro Faszamelai. Lo apostrofò ad alta voce, accusandolo di essere un
traditore, un aguzzino, un nemico del popolo ed alla fine gli saltò addosso
mettendogli le mani alla gola. Fu necessario l'intervento di Ronald per
allontanarlo, ma lui continuò ad inveire violentemente.
L'altro lo guardò con odio riaggiustandosi il bavero del pastrano.
"Tu credi di poter chiamare me traditore? Tu che stai vendendo la nostra
terra a questi corruttori? Non ci sarà perdono per te e se anche eviterai
il castigo in terra, non la scamperai dopo morto. Quei demoni che tu oggi
cacci con l'aiuto dei nostri nemici, ti arrostiranno quando gli arriverai a
tiro, dopo la tua lurida vita!" Urlò con il tono di una maledizione.
Karaman ebbe un nuovo scatto ma stavolta Ronald lo sbattè sul pavimento
senza complimenti. poi guardò entrambi duramente.
"Alla prossima mossa sospetta, chiunque sia a farla, regoleremo i conti a
modo nostro. Poco importa se qualcuno ci rimette la pelle. morto un capo
se ne fa un altro. Questo vale anche per i gruppi dissidenti."
Si girò verso Faszamelai. "Sicuramente anche fra gli Oltranzisti ci sarà
gente che aspira al comando. Non vorremmo essere costretti ad
accontentarli."
L'uomo non rispose, giunse le mani e rimase a fissare inespressivamente il
vuoto.
"Domani notte dovrebbe esserci il prossimo contatto. Tenetevi pronti tutti e
due." Concluse Cortez secco.

Un'ora dopo dallo scantinato del Pompadur Cafè venne trasmesso a Washington
il nuovo messaggio, con l'indicazione della cavità posta sotto l'oasi di
Semman e della ferrovia che da lì portava fino al territorio Turkmeno.
Arnold Baughmarten venne avvertito immediatamente e dopo meno di mezz'ora
venne trovato nell'archivio dell'SDB il rapporto relativo a quello che forse
era stato l'avvistamento UFO che aveva portato sulla Terra gli esseri che in
quel momento stavano servendosi della Repubblica Iraniana come trampolino di
lancio per la loro infiltrazione sul pianeta.
Esattamente tre anni e quattro mesi prima, il WASD aveva identificato la
traccia di tre UFO provenienti dallo spazio che erano entrati nell'atmosfera
terrestre sulla verticale del Pakistan occidentale, riuscendo ad evitare i
tentativi di intercettazione.
Inutile era stato l'intervento degli Shadowstar inviati dall'SDP; i tre
oggetti avevano fatto perdere le loro tracce per poi ricomparire nel
Turkmenistan meridionale. Questa volta però il passaggio era stato
rapidissimo e confuso. Gli UFO, due sole tracce chiare, si erano come fusi
tra loro, accellerando ad una velocità stimata sui 38000 km/orari ed erano
usciti dall'atmosfera prima che le armi dei velivoli potessero agganciarli.
A quota satellitare poi vi era stata un'ulteriore accellerazione in 2,5
secondi, fino a 92--mila orari, dopodichè gli oggetti erano scomparsi dal
campo radio.
Il terzo oggetto, non rilevato in uscita, venne dichiarato disperso.
L'indagine sul caso fu archiviata un mese dopo, quando l'esame delle tracce
in entrata mostrò poca chiarezza nel numero reale delle stesse. L'SDP,
allora comandato dal generale Michael Forbest, ne dedusse che gli UFO erano
stati due e non tre; pertanto non vi erano oggetti alieni dispersi sulla
Terra.
Forbest a sua volta morì tre mesi dopo, colto da un'improvvisa crisi
cardiaca ed in quella occasione lo stesso Baughmarten divenne il comandante
dell'SDB.

"Abbiamo preso una cantonata tutti quanti." Ridacchiò sarcasticamente
Edward Pallotta dopo aver visionato il rapporto.
Arnold gli fece un cenno brusco con la mano.
"Stavolta l'errore è stato solo nostro e probabilmente Forbest non è morto
di infarto. Qualcuno gli ha chiuso la bocca dopo averlo indotto a chiudere
l'inchiesta. Potrebe essere stato facilmente uno dei nostri che non voleva
far nascere un clima di panico."
"Oppure uno di loro che voleva nascondere la realtà delle cose." Aggiunse
Pallotta.
"Direi di no; Forbest era un patriota nel vero senso della parola. Lo
avranno convinto con altre argomentazioni. Del resto sono tanti gli UFO che
ci sfuggono. Ne avremo sicuramente almeno una diecina sulla Terra e Dio
solo sa cosa stanno facendo."
Edward Pallotta si lasciò andare sullo schienale della poltrona, sembrava
stesse quasi per scivolare.
"La dottoressa Flowerborn è stata sposata con un certo Fredrick Gilman, un
ingegnere elettronico della Clark-Soft, uno dei nostri; ci manteneva
informati sulle attività di pirateria informatica."
Baughmarten annuì.
"Lo so già. Anche per questo abbiamo scelto la sua vedova, è una persona
affidabile, anche se non era a conoscenza delle attività segrete del
marito."
"Già....Però Gilman negli ultimi tempi stava lavorando ad un indagine sulla
falsificazione computerizzata delle tracce radio. Morì senza aver avuto il
tempo di inviarci un rapporto."
"E' molto vaga come traccia. Sono in migliaia ad occuparsi di questa roba."
Pallotta smise di colpo di sorridere.
"Però Gilman era fratello naturale del generale Forbest e lo sapeva. Nathan
Forbest, il padre, aveva avuto una relazione con Kathleen Gilman e lui era
nato. Nessun problema, nessuno scandalo. La donna era una persona a modo e
del resto il vecchio Forbest l'aveva riempita di alimenti. Fred Gilman e
suo fratello si conoscevano; solo il primo però sapeva la verità."
Arnold Baughmarten indurì il tono.
"E ve lo fate uscire adesso? C'è stata un'inchiesta sulla morte di Gilman?"
"Incidente stradale dovuto a malore del guidatore; attacco cardiaco. Non
siamo riusciti ad arrivare ad altro."
"A parte il fatto che adesso dovrebbe venir fuori una crisi fra noi e voi
che vi ostinate a nasconderci le cose, c'è un modo per risalire ai contatti
sospetti di Forbest e di Gilman?" chiese Baughmarten sforzandosi di non
perdere la pazienza.
"Ci vorrebbero dei mesi, intanto l'operazione SORAYA-LOOM sarebbe diventata
già un ricordo. Credo sia meglio agire prima sugli effetti, poi penseremo
alle cause." Rispose l'altro serio.
"Non possiamo mandare gente in Turkmenistan; al massimo possiamo ordinare ad
Herrera e la sua squadra di scendere sotto l'oasi, seguire la ferrovia
sotterranea e crecare di localizzare la base aliena. Manterremo una
squadriglia ai limiti dell'atmosfera, pronta a fare un blitz sulla zona, ma
solo se avreno la certezza che lì si trova l'istallazione dei grigi."
Rispose Baughmarten.
"Intanto potremmo servirci dei satelliti per setacciare la zona."
"Lo fanno continuamente; se fosse emerso qualcosa lo avremmo saputo.
Comunque farò una verifica." Baughmarten guardò l'orologio.
"A quest'ora e sera a Teheran; fra poco Cortez si riconnetterà con noi
dall'oasi per trasmetterci le immagini dell'atterraggio alieno. Allerterò
di nuovo le nostre squadre ed il WASD, non si sa mai. Domani gli invierò
gli ordini relativi alla nuova procedura."
"Gli dirai anche di Gilman?"
"No. Non voglio confondere le cose. L'affare lo gestiamo noi quì, con
calma. E' meglio che loro si preparino ad un'azione complessa senza altre
informazioni che potrebbero distrarli. Hanno già un bel da fare per
guardarsi dalla talpa della Korsakov." Concluse Baughmarten.

"Li abbiamo beccati, escono da un'apertura della collina." La voce di
Ronald era ferma ma tratteneva a stento l'emozione. I veicoli della Guardia
Nazionale Iraniana stavano venendo allo scoperto attraverso una porta
mimetizzata dalla roccia che si era aperta nel fianco di una piccola altura,
a meno di un chilometro dall'oasi.
Questa volta lo spiegamento di osservazione era stato organizzato in maniera
più organica: Cortez e Faszamelai si trovavano nello stesso punto della
volta precedente; Ronald Briggs e Zavani Karaman si erano piazzati più ad
ovest, lungo la traiettoria ideale seguita dagli autocarri militari e
proprio da lì erano riusciti a localizzarne la provenienza.
I veicoli, due fuoristrada, due camion e due cingolati, puntarono verso
l'oasi mentre l'apertura si chiudeva silenziosamente alle loro spalle; anche
questa sequenza venne trasmessa alla Home-hall dell'SDP a Washington.
"C'è un'altra galleria?" Chiese Cortez a Faszamelai a denti stretti.
L'uomo scrollò la testa.
"Se c'è non l'hanno costruita gli uomini dell'antico regime." Rispose
deciso.
La colonna arrivò a fermarsi a circa 150 metri dall'oasi; quella notte non
c'era vento e l'aria era leggermente più tiepida. Ramallah Ordoshallavi si
mise a passeggiare fra i veicoli fermi in compagnia dei suoi uomini di
scorta. Sembrava rilassato, fumava e chiacchierava con l'ufficiale alla
guida della colonna.
Passarono ben tre ore, durante le quali la tensione dell'attesa aumentò sia
fra i militrari che fra gli osservatori clandestini appostati poco oltre.
Alle 2 precise, preceduto dalla solita cappa bruna che osurò il cielo, l'UFO
discese ronzando appena. Dopo l'emissione del fascio di luce conica
comparvero im mezzo all'oasi due grigi identici a quelli della volta
precedente. Alle loro spalle c'erano tre uomini all'impiedi, indifferenti,
come inebetiti e poco di lato una sfera bianco-grigiastra, del diametro
approssimativo di due metri che levitava a pochi centimetri da terra.
"Un nuovo regalo." Commentò Cortez a voce bassa mentre Ordoshallavi si
avvicinava agli alieni.
L'incontro fu breve, secondo il solito rituale. L'Iraniano ricevette dagli
alieni una piccola cartellina, fece consegnare tre ostaggi, stavolta tutte
donne e prese i tre uomini che gli ospiti gli avevano portato. La sfera si
mosse da sola fino al camion che l'aspettava con il portellone posteriore
aperto.
quando la colonna si mise in moto, l'UFO prese a muoversi, per sparire
velocemente insieme alla cappa gassosa che sovrastava lo scenario.
"Com'è possibile che delle forme gassose abbiano dato a quell'uomo un
oggetto solido?" Chiese Faszamelai a Cortez alludendo alla cartellina. lui
gli lanciò un'occhiata veloce.
"Gli oggetti solidi come la sfera , la cartella e gli ostaggi sono
teleguidati; non ci vuole molto a farlo." Rispose sbrigativo.
Poco dopo Ronald segnalò che i veicoli erano rientrati nella galleria, la
cui apertura si stava richiudendo. Tutti i dati video e audio vennero
immediatamente trasmessi alla centrale. Cortez si mise comodo ad attendere
la risposta circa l'esito dei rilevamenti; Ronald e Karaman lo raggiunsero
pochi minuti dopo.
L'attesa fu breve, dopo soli 20 minuti arrivò il messaggio che oramai tutti
si aspettavano:"NESSUN OGGETTO RILEVATO". C'erano delle altre istruzioni
in codice che vennero tradotte rapidamente. "PROBABILE CAVITA' SOTTERRANEA
CONNESSA CON AREA TURKMENA INDICATA IN ARCHIVIO COME ZONA DI ATTERRAGGIO UFO
NON INTERCETTATO. DATO RIGUARDANTE PERIODO COINCIDENTE CON PROBABILE INIZIO
PREPARATIVI INSEDIAMENTO ATTUALE GOVERNO PERSIA. ESPLORARE OASI E
LOCALIZZARE EVENTUALE FONTE RADIO DI IMMAGINI GASSOSE. CRECARE CENTRO
GEOMETRICO CORRISPONDENTE CENTRO FASCIO LUCE CONICA EMESSA DA UFO."
Stavolta Cortez si mosse da solo, lasciando Ronald a sorvergliare i due
Iraniani. Espolrò lentamente la spianata, arrivando a segnare il punto
richiestogli e proprio lì notò una pietra sporgente, con una punta aguzza
rivolta verso l'alto. Il rad-search indicò una lieve presenza di onde
elettromagnetiche a bassa frequenza ed una temperatura appena più alta in
corrispondenza dell'apice roccioso.
Con un geoscanner l'uomo tentò uno scandaglio del sottosuolo ma l'esito fu
negativo e questo segno fu la riprova che lì sotto c'era un nuovo strato
protettivo. La tecnologia del Patto di Kabul non avrebbe potuto creare un
rivestimento resistente all'apparecchio rilevatore.
Il container in cui Faszamelai aveva indicato come accesso all cavità ipogea
conteneva una lastra di cemento che copriva l'intera pavimentazione. La
struttura era intatta; nessuno l'aveva forzata dai tempi in cui il condotto
era stato chiuso.
Dopo circa 30 minuti di esplorazione Cortez lasciò l'oasi e con Ronald,
Karaman e Faszamelai, rientrò a Teheran . Era pensoso, piuttosto
preoccupato. Il prossimo contatto sarebbe avvenuto dopo 15 giorni ma la
data della messa in atto dell'operazione SORAYA LOOM era oramai fissata da
lì a 10--12 giorni al massimo. Si sarebbe trattato per lui e per gli uomini
di Colin Zecharias di penetrare nella cavità forzandone le difese e quindi
mettendo in allarme gli alieni.
Nella casistica storica dell'SDP e dei gruppi che lo avevano preceduto vi
era un solo caso di penetrazione all'interno di un'istallazione
extraterrestre. In quell'occasione però non vi era stato scontro diretto
poichè i Grigi avevano spontaneamente abbandonato il posto una volta
scoperti. Chissà se stavolta le cose sarebbero andate alla stessa maniera,
considerando che oramai gli alieni sapevano di poter essere intercettati in
volo. Avrebbero giocato tutte le loro carte per sfuggire ai Terrestri, sia
lì, nel sottosuolo, che allo scoperto. Fra le due possibilità appariva
assai più facile quella di respingere l'attacco umano nelle viscere della
Terra, scavare un altro condotto e creare un diversivo di fuga in attesa di
tentare un decollo che avrebbe sicuramente fatto convergere il meglio della
forza aerospaziale della NATO e forse anche della Federazione Russa.
Al suo rientro nell'appartamento dello Xerses, Cortez trovò un messaggio di
Linda in segreteria telefonica; era della sera precedente e gli chiedeva di
raggiungerela in camera. Era quasi l'alba; l'uomo provò una sensazione di
rammarico impotente, mista ad una specie di fastidio. Era sempre stato
schiavo dei suoi impegni, fino a dover rininciare anche a momenti semplici
di evasione come quello. Anche stavolta sarebbe stato impossibile
raccontare la verità, quella assurda verità che non poteva essere rivelata a
nessun costo e che gli scavava intorno un fossato sempre più profondo.
Rispose al messaggio scusandosi per non averlo potuto fare prima e
promettendo che si sarebbe fatto vivo quella stessa mattina. Rimase fino
alle prime luci dell'alba ad osservare il panorama della città. Gli
sembrava di essere senza pensieri, svuotato, stanco ma privo di sonno.
Gli capitava spesso quando era in missione.




Capitolo 12
15 Aprile.
Linda si lasciò andare sorridendo su una delle poltrone della hall dello
Xerses Imperial mentre Cortez la raggiungeva tenendo in mano due "Martini
dry". Le si sedette accanto osservandola mentre lei dava il primo sorso, poi
prese lo stecchino con l'oliva dal suo bicchiere e gliela avvicinò alle
labbra. La donna staccò l'oliva con uno scatto malizioso e fece altrettanto
con lui. I due rimasero immobili a guardarsi per qualche attimo, poi si
baciarono.
"Ceniamo quì?" Chiese Linda stiracchiandosi. "No, affatto. Quì è troppo
classico. Ho fissato un tavolo in un locale tipico nella città vecchia."
Rispose lui.
"Ma ci siamo appena tornati!"
"Certo, ma quella era un'escursione culturale. Ora incomincia la notte; è
tutto diverso." Ribattè Cortez con un sorriso sapiente.
Il locale in questione si chiamava Mashaly-Adar, era situato nel quartiere
vecchio e rappresentava uno dei ritrovi frequentati dalla gente più
eccentrica della città. Si trattava di un ristorante in stile misto fra
l'Ottomano ed il classico, in cui arcate arabesche e mosaici si alternavano
a bassorilievi identici a quelli dell'antica Persepoli.
La cucina era rigorosamente locale e l'atmosfera carica di vapori di spezie
bruciate. Costante era la musica, orientale ma arrangiata fino a poter
essere ballata in coppia.
Gli avventori del Maashaly-Adar erano tutti personaggi facoltosi provenienti
dalla neonata classe dirigente Iraniana, per lo più imprenditori legati agli
ambienti governativi, danarosi e piuttosto tracotanti nell'ostentare il loro
ruolo; per questo la sorveglianza da parte della polizia era strettissima.
Cortez e Linda vi arrivarono intorno alle 21, sedettero ad un tavolo
piuttosto appartato ed ordinarono la cena, scegliendo il meglio delle
specialità locali. L'uomo era teso, inquieto; da un lato l'emozione per
l'imminente entrata in azione, dall'altro per la preoccupazione riguardo
l'incolumità di Linda.
L'operazione Soraya--Loom includeva la messa in salvo dei docenti della
Massachussets University. Un aereo privato appartenente ad un
insospettabile imprenditore Greco sarebbe arrivato a Teheran il giorno prima
dell'azione. L'uomo era ovviamente legato ai servizi di sicurezza NATO e
sarebbe ripartito la notte successiva portandosi gli insegnanti a bordo
verso gli Stati Uniti. Era necessario che l'intero staff docente si
trovasse allo Xerses Imperial per quel momento ed a questo proposito Cortez
aveva convinto Linda ad organizzare una riunione tecnica per quella sera, in
una sala dell'albergo. Era stato inevitabile comunicare alla donna il vero
significato di quel'incontro e conseguentemente la data dell'entrata in
azione.
Linda avevca accettato senza battere ciglio, ma si vedeva che era
rammaricata. Anche lei era preoccupata, per se stessa e per Cortez, del
quale non si nascondeva più di essere innamorata.
La cena fu ottima, sebbene i cibi fossero eccessivamente aromatici. Una
bottiglia di Champagne servì ai due a ricordare il sapore di casa e fino a
mezzanotte entrambi rimasero immersi nell'atmosfera surreale di quel posto,
ballando a lungo come una coppia in vacanza.
Rientrarono in albergo passate le 2, dopo aver girato per la città immersa
nella vita notturna. Sarebbe stato tutto bellissimo, quasi un sogno se
entrambi non avessero avuto quella specie di assillo che oramai li
accompagnava costantemente.
Linda sprofondò nel sonno poco dopo le 3, mentre Cortez rimase
irrimediabilmente sveglio. Stette per l'intera notte sul terrazzo,
osservando il panorana della città, di quella città in cui lui si apprestava
a seminare nuovamente violenza. Per un attimo si chiese se fosse poi
giusto. Chi aveva ragione in quel gioco fra l'assurdo ed il grottesco?
Era poi vero che quegli alieni che lui conoseva come grigi volevano la
distruzione del genere umano, oppure stavano solo cerando di pilotare la
nascita di una nuova era?
I pochi contatti diretti fra uomini e alieni non avevano dato una risposta
esauriente. I grigi avevano sostenuto di voler portare il progresso,
l'evoluzione, l'affrancamento dell'uomo dai suoi limiti etici e biologici,
ma contemporaneamente avevano fomentato guerre, attentati, sovvertimenti
politici. Gruppi umani che agivano nell'ombra, affiliati a grandi società
segrete a livello internazionale avevano appoggiato la causa alierna nel
corso di quegli ultimi decenni. Una guerra infame, in cui uomini
combattevano altri uomini alleati di una specie dagli obbiettivi ambigui.
Qual'era il vero fine? Non certo la pace. Se vi era una cosa che
caratterizzava tutte le fazioni in lotta per il possesso della Terra quella
era la tendenza allo scontro.
Grigi e umani loro alleati si servivano della guerra per portare avanti il
loro programma di evoluzione, come lo definivano. Le nazioni del pianeta si
servivano dell guerra per combattere l'infiltrazione aliena e per
contendersi tra loro il controllo globale dell'assetto politico-economico
Terrestre. Non vi era concordia ad alcun livello; tutti erano contro tutti
e Cortez si chiedeva se l'umanità meritasse davvero quell'autodeterminazione
per la quale lottava, considerando i mezzi con cui la perseguiva.
Una delle più antiche indiscrezioni sulle intenzioni aliene a lungo termine
perlava della nascita di una elìte planetaria formata dalle nazioni
tenologicamente evolute a scapito di quelle cosiddette in via di sviluppo.
Questa elìte avrebbe dovuto formare un governo planetario che avrebbe
intrattenuto rapporti diplomatici con gli alieni i quali a loro volta
avrebbero promosso la nascita graduale di una nuova specie ibrida che con
loro avrebbe condiviso il predominio degli spazi siderali. Tutto ciò era
suonato alle orecchie dei massimni vertici Mondiali, NATO, Russia, Cina,
Giappone, con un solo nome: genocidio. Contro questo programma che
ricalcava antiche mire delle dittature del XX secolo, era stata creata una
forza globale di difesa, a tutela dell'uomo, della sua libertà etica e
biologica.
Eppure le stesse nazioni che si erano fatte carico di questa gravosa
iniziativa perseguivano quotidianamente obbiettivi paralleli a quelli degli
alieni. La NATO ed il Patto di Kabul combattevano quotidianamente una
guerra fredda destinata a vedere un solo vincitore ed un gruppo di etnie
perdenti destinate di fatto all'estinzione.
La Russia ambiva apertamente alla cancellazione dal globo dei suoi maggiori
avversari dell'Unione Sovieto-Islamica.
Israele stava combattendo una guerra permanente per distruggere le
popolazioni Arabe che la circondavano. Cina e Giappone si contendevano il
controllo del sud est Asiatico i cui abitanti sarebbero stati chiaramente
ridotti in schiavitù.
Erano questi i buoni, i difensori della Terra, quelli che avrebbero dovuto
garantire al genere umano un futuro di libertà?
Cortez aveva pensato spesso a quelle cose ma si era sempre dato una risposta
diplomatica, una sorta di contentino per la sua coscienza: se la guerra e
la sopraffazione erano inevitabili perchè conseguenza di un'evoluzione etica
ancora di basso livello in seno al genere umano, che almeno fossero stati
gli uomini a gestire quel confronto e non esseri intrusi.
Aveva retto fino ad allora ma a quel punto la tesi incominciava a vacillare.
Per quanto l'uomo si sforzasse di pensare non gli riusciva di identificare
una sola azione politica o militare attuata veramente nell'interesse della
specie e non di una minoranza.
La forza degli alieni stava solo nella predisposizione degli uomini a
prevaricare sui loro simili. Anche se sconfitti mille volte i Grigi
sarebbero tornati a proporre all'infinito il loro programma, certi di
trovare sempre uomini pronti ad appoggiarli per avvantaggiarsi rispetto ai
loro simili.
Forse Faszamelai aveva davvero ragione quando parlava di demoni a proposito
degli alieni. Forse la stessa Bibbia aveva solo voluto mettere in guardia
l'umanità contro il rischio che creature finalizzate a soggiogarla ne
sfruttassero le prerogative fratricide. poco importava se quegli esseri
fossero dei semplici viventi o discendenti di una stirpe ultraterrena dai
poteri inimmaginabili.
Guardò Linda che si rigirava nel letto cercando una posizione più comoda.
L'amava davvero? Aveva mai amato qualcuno lui?
Le sue due ex mogli se n'erano andate via indignate, deluse, incattivite;
forse era stato proprio lui ad infondere loro quei sentimenti, con quel suo
fare duro, aggressivo, saccente, falsamente onnipotente.
Aveva vissuto anni da marito e padre, ostentando costantemente quella
facciata onnisciente, senza confidare una volta le paure che lo
accompagnavano da quando era bambino e che ritornavano a galla ogni volta
che lui rischiava la vita, per poi scomparire a pericolo scampato,
regalandogli un atteggiamento sioccamente beffardo.
Anche quella volta aveva vinto l'egoismo. Cortez non aveva voluto
rinunciare al piacere di un'avventura, senza tener conto delle esigenze di
quella donna. Si era perdonato in anticipo, giustificandosi con la solita
esigenza straordinaria dettata dalla vita rischiosa che conduceva, senza
chiedersi quale futuro avrebbe avuto quella storia quando tutti e due si
fossero ritrovati a casa, al sicuro, lontani da quell'incubo.
Per la prima volta da quando l'aveva conosciuta, l'uomo si interrogò sui
suoi veri sentimenti e come c'era da immaginare, non seppe dare risposta
alle domande che si poneva.
C'era un solo motivo per questo: lui Linda non la conosceva, non l'aveva
mai conosciuta. Nella sua mante c'era un volto, un sorriso, una voce, un
corpo, un odore, un'insieme di frammenti che non servivano a delineare una
persona ma al massimo la copia di un personaggio idealizzato nella sua
mente.
Quella preoccupazione, quel timore per la vita di lei erano solo tracce
elementari di un'umanità appena abbozzata nel suo spirito beluino, mescolate
peraltro ad un'esigenza totalmente egoistica di venirne fuori pulito, con la
coscienza risciacquata dalla consapevolezza di non aver messo a rischio la
vita della donna con le sue imprese da cavaliere intraprendente. In altre
parole erano la premessa per poterci riprovare un domani, con lei o con
un'altra, confortato dall'idea di non arrecare danni che avrebbero turbato
il sonno della sua coscienza.
Linda si svegliò poco dopo le 9, trovando la colazione che Cortez le aveva
fatto portare in camera. L'uomo non aveva chiuso occhio fino all'alba, per
poi risvegliarsi poco prima dopo un sonno che era servito solo a farlo
sentire orrendamente impastato. Ciononostante ostentava un buon umore che
si era imposto. Lei però impiegò pochi attimi a capire come stessero
veramente le cose.
"Volevo dirti che non devi sentirti obbligato con me quando torneremo in
America." Gli sussurrò in un orecchio abbracciandolo. "Le nostre vite
sono diverse, lo so bene. Non posso chiederti nulla"
Cortez fece per rispondere ma Linda gli mise un dito dulle labbra facendogli
cenno con un sorriso di zittire.
"Non parlare, non ne hai bisogno. Tutto quello che ci sta succedendo quì è
bellissimo ed io non posso che essertene riconosente. Mi hai ridato la vita
ma non devi pensare di farmi da balia per sempre."
L'uomo la fissò ed in quel momento si accorse di avere una specie di groppo
allo stomaco. Stava per commuoversi.
"Io non ti lascerò sola, mai più." Le ripetè per due volte abbraciandola
stretta.





Capitolo 13
RAPPORTO OPERATIVO DEL WASD, CONSEGNATO ALLA DIREZIONE DELL'SDP IN DATA 18
APRILE 20...
RILEVAMENTI SATELLITARI CLASSE EARTH SENTRY WL 12.
"Rilevato addensamento forze militari lungo confine Turkmeno--Iraniano
(meridiani 55-58).
Consistenza stimata al 91%: mezzi semoventi corazzati 40. Mezzi semoventi
da trasporto 170. elicotteri classe PUL53 numero 15. Uomini circa 9000.
Rilevato aumento attività nelle basi aeree Turkmene di Mary e Ashabad.
Addensamento truppe su confine Afghano-Iraniano (paralleli 33-31).
Stima approssimata al 91%. Semoventi corazzati 35; semoventi da trasporto
155; elicotteri classe KAD-9, numero 18. Uomini circa 6000.
Rilevato aumento attività base aerea di Herat.
Rilevato addensamento forze militari su confine Iraq-Iran (paralleli 33-36)
Stima approssimata al 91%. Semoventi corazzati 60. Semoventi da trasporto
200. Elicotteri classe AHMED-I 40. Uomini circa 12000.
Rilevato aumento attività basi aeree di Kifri, Sulaymania, Aqra.
Rilevata formazione navale Mare Arabico. Gradi 5 sud 25mo parallelo, gradi 3
ovest 65mo meridiano. Formazione in rotta WNW. Obbiettivo lineare costa
Iraniana ad est di Giask.
Stima della formazione approssimata al 96%. Nave portavelivoli classe Kator;
2 navi appoggio semisommergibili classe Rubyat; 4 sommergibili incursori
classe Aral.
Nessun rilevamento UFO."

19 Aprile; ore 23,30 CENTRALE CONTROLLO SATELLITARE DI FASHAND, A NORD DI
TEHERAN.
Il capo-picchetto osservò perplesso lo schermo davanti a sè, facendo cenno
ad uno dei suoi di chiamare il maggiore Akevadah, l'ufficiale al comando
dell'istallazione. Quattro mezzi incolonnati erano fermi davanti
all'ingresso principale.
"Allora? Vuole farci entrare o devo riferire che avete negato l'accesso ad
un colonnello del genio aeronautico?" Chiese dall'altra parte Aman Badaley
con un tono spazientito.
"Solo pochi attimi, signore; ho chiamato il comandante." Rispose
timidamente l'uomo.
"Sergente: voglio ricordarle che è in corso un'emergenza! C'è un guasto alla
rete di comunicazioni satellitari. Ogni attimo è prezioso." Ribattè aspro
Badaley.
In quel momento comparve su di un altro schermo Mossani Akevadah, prima che
avesse il tempo di chiedere chiarimenti ai suoi uomini, venne connesso con
il comandante della colonna.
"Non posso farvi entrare, mi dispiace. Ho bisogno di un permesso dal mio
comando supremo. E' solo questione di qualche minuto." Disse con tono
paziente ad Amman Badelay.
"D'accordo, maggiore, ma cerchi di far presto." Rispose l'altro
imbronciato.
La voce interdetta del capopicchetto si inserì qualche attimo dopo. "Le
comunicazioni sono disturbate, non riusciamo a trasmettere, forse hanno
ragione loro."
"Usiamo i canali di emergenza; quelle frequenze non hanno ripetitori
satellitari." Rispose Akevadah calmo.
"Le dico che c'è un black out radio, i satelliti non sono i soli ad essere
disturbati! Qualcuno sta emettendo un segnale di disturbo a terra! Maggiore:
vuole farmi entrare o devo ritenerla complice di un attentato alla sicurezza
nazionale?" Chiese Aman Badaley con tono minaccioso.
Qualche attimo dopo venne impartito l'ordine di lasciar passare la colonna.
I mezzi entrarono nel garage della base lentamente, fermandosi accanto alla
parete di fondo su cui si affacciava una fila di ascensori.
In quel momento anche il sistema televisivo interno cessò di funzionare; gli
ammortizzatori di traccia nascosti all'interno degli autocarri erano stati
portati al massimo della potenza.
Mossani Akevadah ebbe un fremito e chiese spiegazioni al colonnello Badelay,
mentre i suoi dalla sala radio gli elencavano la serie delle avarie.
"Glielo avevo detto! Stia tranquillo comunque. In meno di mezz'ora
metteremo tutto a posto." Rispose sbrigativamente Badelay. L'altro si
rilassò appoggiandosi al bordo del suo letto. Forse sarebbe andato tutto
bene; in fin dei conti si sentiva rincuorato dalla presenza del genio in
quel momento.
La radio interna cessò di funzionare; si sentiva solo un racchiare confuso.
L'ufficiale ebbe un sussulto; si rivestì in fretta, prese la pistola
mitragliatrice ed aprì la porta del suo alloggio e si affacciò nel
corridoio. C'era silenzio totale.
Arrivò velocemente fino all'ascensore ferma al suo livello, vi entrò e
digitò per scendere nel comparto radio. Quando la porta si aprì fece appena
in tempo a vedere la granata autoguidata che si infilava nella cabina.
riuscì ad articolare il pensiero di lanciarsi fuori ma prima di muoversi, la
vista gli si appannò. L'ordigno era esploso.
In sala radio tutti gli addetti erano morti; il capopicchetto stava seduto
con la testa riversa in avanti sulla consolle del quadro principale; era
stato colpito da pochi secondi.
Un uomo interamente vestito di nero, con il volto coperto da una maschera lo
scostò brutalmente, poi si girò verso Aman Badelay che stava all'impiedi a
pochi passi con una mitraglietta in braccio.
"E' andata. Comunichiamo che la prima tappa della caccia al tesoro è stata
superata." Disse duro, rivolto all'ufficiale Iraniano. L'altro annuì.

Ore 23,45. BASE KIROS.
Isham Aszenavi versò lentamente lo Champagne, guardando compiaciuto la
giovane donna che se ne stava seduta sul divano del suo alloggio con le
gambe maliziosamente accavallate. Era la prima volta che compiva una
trasgressione al regolamento portando all'interno della base una persona
estranea, ma si sentiva perfettamente tranquillo. Aveva usato ogni
possibile precauzione facendo introdurre la ragazza bendata, con le orecchie
tappate ed accompagnata dai suoi due fedelissimi. loro certamente non
avrebbero parlato, a meno di non voler perdere i privilegi di cui godevano;
quanto poi a Zima, la donna, lei avrebbe accettato qualunque cosa pur di
evitare che i suoi fratelli venissero avviati verso una "Comunità di
rieducazione".
Aszenavi aveva buoni agganci negli ambienti della polizia politica; i due
prigionieri sarebbero rimasti a marcire nelle patrie galere per buoni 10
anni, senza essere destinati al trattamento speciale ed intanto lui avrebbe
avuto campo libero con quella donna la cui sola vista lo faceva avvampare di
passione.
Porse la coppa piena alla ragazza e le si sedette accanto con gli occhi
spiritati. Aveva le mani sudate e goffamente strofinò la destra sulla
tapezzeria del divano, cercando di asciugarsi l'altra stringendo il
cristallo freddo del bicchiere.
L'ufficiale di turno lo chiamò sulla linea interna in quell'attimo facendolo
montare in bestia. L'uomo imprecò, minacciando il subalterno in maniera
convulsa. L'altro rimase impassibile.
"Sono spiacente, comandante, ma abbiamo un'emergenza. C'è un black out
radio." Disse con tono quasi severo. Aszenavi diede un sorso veloce allo
Champagne, poi si umettò le labbra.
"Da quanto tempo?" "Quasi due minuti; ho tentato anche con i canali UHF
prima di avvisarla. Silenzio totale."
"Attivi lo stato di allarme; la raggiungo subito." Rispose lui oramai
rientrato in se.
Zima si alzò andandogli incontro preoccupata ma l'uomo la spinse di lato e
si avviò velocemente verso la porta.
"Non ti riguarda." Disse sprezzante. "Aspetterai quì e augurati che non
sia un sabotggio dei dissidenti; a quel punto mi sarà molto difficile
salvare la vita dei tuoi fratelli."
Uscì sigillando con la sequenza vocale la porta del suo alloggio; gli uomini
armati erano già in giro; i sottufficiali impartivano ordini ad alta voce;
la base era oramai in pieno fermento.
Aszenavi fermò un sergente e gli ordinò di raggiungerlo nel deposito del
terzo livello sotterraneo con 30 uomini, poi si avviò rapidamente lungo la
scala di emergenza.
All'altezza del primo livello ipogeo le sirene incominciarono ad ululare, la
luce si abbassò ed i lampeggiatori di emergenza iniziarono ad emettere
bagliori rossi. Aszenavi si sentì come spostato di lato. C'erano delle
esplosioni da qualche parte; la struttura vibrava. Chiamò con il telefono
tascabile l'ufficiale di picchetto; la comunicazione era disturbatissima.
"Siamo attacati!" Rispose l'uomo a voce alta. Elicotteri a bassa quota,
almeno 6, forse di più; stanno bombardando la base!"
"Non perda la calma! Abbiamo difese sufficienti per distruggerli." Il tono
di Aszenavi era durissimo.
"Non riusciamo a rispondere al fuoco; i radiocomandi delle postazioni
difensive sono bloccati! Non funziona più nulla che non sia manuale! Stiamo
cercando di attivare i comandi di emergenza ma sembra che vi sia una
dispersione di energia anche sui cavi!" L'ufficiale sembrava disorientato ma
Aszenavi intuì al volo cosa stesse accadendo. Un attimo dopo la
comunicazione cessò, coperta interamente da un sibilo. Vi furono due
scossoni; alcuni militari correvano per le scale, diretti in basso.
"Emittenti di disturbo." Pensò l'uomo incupito. "Siamo attaccati davvero;
altro che attentato di quei pezzenti!"
Arrivò velocemente fino al terzo livello; le scosse continuavano, oramai
erano attive solo le luci di emergenza. Il sergente lo raggiunse insieme
agli altri uomini mentre lui impostava il codice di apertura del settore
riservato. Il gruppo dovette superare tre porte con codici diversi per
accedere al deposito di massima sicurezza. Solo il comandante della base
conosceva le sequenze, oltre al Presidente Jasfanei, il segretario di Stato
ed il comandante dell'EKARI.
Alla fine Isham Aszenavi ed i suoi uomini entrarono in una sala enorme,
illuminata da diffusori che tapezzavano il soffitto basso.
Al centro di quell'ambiente, piazzati su carrelli automoventi, stavano
allineati 24 cilindri metallici, disposti su 4 file. Tutt'intorno vi era
una serie di apparecchiature di rilevamento, con schermi, consolle e piccole
antenne paraboliche. In tutta la sala non vi era un cavo che collegasse i
cilindri alle apparecchiature; tutto doveva avvenire via radio. I cilindri
erano lucidi, color grigio-argenteo; appena appoggiati alle piattaforme he
sormontavano i carrelli di trasporto, questi ultimi erano numerati.
Senza esitare Aszenavi indicò agli uomini una fila di telecomandi allineati
su di un ripiano situato a ridosso della parete sull destra dell'ingresso.
"Ognuno di voi ne prenda uno; dobbiamo portare quegli oggetti fuori di quì."
Ordinò seccamente.
Poco dopo i carrelli incominciarono a muoversi sotto la guida dei
telecomandi. Aszenavi impostò una nuova sequenza in codice su di una
tastiera ed avviò l'apertura della parete opposta a quella in cui era
situato l'ingresso. Comparve una serie di grossi montacarichi nei quali
vennero sistemati i carrelli con gli uomini di scorta; lui entrò per ultimo
ed azionò la discesa. Le piattaforme andarono giù lentamente per buoni 10
secondi, fino a sbucare in un gigantesco hangar; lì erano parcheggiati 20
autocamion e 10 semoventi blindati. L'hangar immetteva in una galleria che
si diramava in due direzioni opposte tra loro.
L'uomo ordinò di caricare i cilindri su 5 veicoli, fece piazzare uomini su
due blindati che mise rispettivamente in testa ed in coda alla colonna. Ad
operazione ultimata entrò frettolosamente in una cabina situata in fondo
alla rimessa; c'erano apparecchiature video che controllavano l'intero
percorso della galleria, da un lato fino ai sotterranei del palazzo
presidenziale, dall'altro fino all'uscita in pieno deserto, nei pressi
dell'oasi di Semman.
L'uomo aziomnò convulsamente gli apparecchi, lo fece per più di un minuto,
senza ottenere alcun risultato, poi fece un passo indietro con il volto
avvilito.
in quel momento Isham Aszenavi capì che era finita. L'intera rete
satellitare era fuori uso; non vi era modo di comunicare con la centrale
governativa che forse era stata già attacata. Vi era un'unica via di scampo,
l'ultima che avrebbe voluto percorrere.
Si avviò verso la colonna, salì su di una jeep facendosi accompagnare da due
soldati armati ed ordinò di dirigere verso est. L'alternativa era quella di
finire in mano a quelli che avevano scatenato l'attacco e che sicuramente
non lo avrebbero risparmiato. Non c'era tempo per indugiare; entro pochi
minuti la base sarebbe stata nelle mani dei nemici e bisognava allontanarsi
ad ogni costo, prima di restre uccisi lì sotto.
La colonna si avviò a velocità sostenuta mentre Aszenavi, seduto accanto al
soldato che guidava la sua jeep, sentiva la bocca farglisi secca fino a
soffocarlo. Aveva già rischiato la vita nella sua carriera ma quella volta
era diverso. Sentiva nettamente la sensazione della tragedia imminente, una
sorta di gelo addosso, come se la morte gli fosse vicinissima.
Maledisse il momento in cui aveva deciso di tradire la Repubblica Islamica
per seguire il programma farneticante di Rahzi Jasfanei. Gli tornò in mente
sua moglie, i suoi figli, che aveva fatto relegare in una provincia sperduta
per poter seguire un sogno che in quel momento gli appariva come un incubo.
Nella migliore delle ipotesi sarebbe stato tratto in salvo da quelle
creature disgustose che lo avrebbero lasciato vivere usandolo per chissà
quali fini...l'idea lo faceva rabbrividire.
All'interno della base Kiros si era scatenato l'inferno. Colin Zecharias era
penetrato dall'alto con 26 dei suoi uomini, mentre altri 10 erano fermi a
presidiare la stazione di Fashand. Il combattimento era stato durissimo
dalle prime battute, Ciononostante gli SDA-men erano riusciti a guadagnare
terreno in pochi minuti.
Un secondo gruppo composto da dissidenti della corrente di Karaman, militari
dell'esercito Iraniano , Ronald Briggs, Melanie Barchet, Franziska Hoffmann
e 6 SDA-men era entrato dall'ingresso principale. Questi ultimi uomini si
erano trovati già al piano terra dell'istallazione ed avevano puntato in
basso, verso il deposito in cui erano custoditi i cilindri che gli alieni
avevano donato al governo di Jasfanei.
Anche quest'azione era stata fulminea; i militi della Guardia Nazionale,
nonostante opponessero un'accanita resistenza, erano stati letteralmente
travolti dall'attacco che alla fine portò Ronald ed i suoi fino al
sottolivello 3 in meno di 15 minuti.
Ci era voluto poco a capire che i cilindri erano stati asportati ed ancora
di meno per arrivare nell'hangar del quarto livello. lì le tracce della
colonna di Isham Aszenavi erano state riconosciute grazie alle impronte
lasciate dalle ruote dei carri passando su di una provvidenziale macchia
d'olio. Senza esitare Ronald aveva formato una seconda colonna lanciandosi
all'inseguimento dei fuggitivi. Aveva tenuto con se 3 uomini degli SDAG e
Melanie Barchet, dando gli altri 3 a Franziska Hoffmann. Erano passati
esattamente 25 minuti da quando Aszenavi aveva lasciato la base.
Intanto l'altro gruppo formato da 50 fra dissidenti e militari regolari,
guidati da Franziska e dai 3 del gruppo di Zecharias, aveva imboccato la
galleria diretta verso la residenza Presidenziale, mentre Teheran era
letteralmente invasa da carri armati e mezzi motorizzati. Un gruppo
scelto di fanteria elitrasportata era calato sul palazzo di Jasfanei,
avviando un combattimento all'ultimo sangue fra i corridoi.
Il Presidente venne bloccato mezz'ora dopo, proprio mentre cercava di
imboccare il tunnel sotterraneo insieme alla moglie, i due figli ed al suo
vice, Rashim Kuriazani. Quando si vide circondato e si rese conto di non
avere più possibilità di fuga, si uccise sparandosi un colpo di pistola alla
tempia, sotto gli occhi esterefatti della sua famiglia e dei suoi
fedelissimi. Il resto del gruppo si arrese immediatamante e furono proprio
Franziska ed i suoi SDA-men a prendere in consegna Kuriazavi, la moglie ed i
figli di Jasfasnei.
Tecnicamente il colpo di stato era riuscito; ora la caccia ai membri dello
staff governativo della seconda Repubblica Iraniana era aperta.

Ore 00,55.
La colonna di Isham Aszenavi rilevò davanti a se la presenza di autoveicoli
disposti trasversalmente che bloccavano la galleria a mò di barricata. I
camion si bloccarono mentre il cingolato lanciò un razzo senza fermarsi,
colpendo il bersaglio e facendo esplodere le automobili.
Appena oltrepassato il rogo della barricata però gli uomini del carro armato
fecero appena in tempo a rilevare la presenza di uomini appostati sui lati
del tunnel, quando due granate centrarono il mezzo, disintegrandolo
letteralmente.
Aszenavi imprecò rabbiosamente ed ordinò ai suoi di piazzarsi per difendere
la colonna. L'urto dei guerriglieri, guidati personalmente da Kabir
Faszamelai, fu travolgente. Con un vero e proprio attacco frontale suicida,
coperto da un nugolo di razzi, gli Oltranzisti avanzarono ignorando il fuoco
della Guardia Nazionale. Una ventina di loro caddero lungo il tragitto,
altri arrivarono a ridosso della testa della colonna e lì iniziò un
combattimento logorante, palmo per palmo.
Gli uomini di Aszenavi, benchè inferiori in numero, potevano contare su di
una migliore dotazione di armi e proiettili, in più c'era il carro armato di
coda ancora intatto ma impossibilitato ad operare a meno di non voler
danneggiare i camion contenenti i cilindri. L'ufficiale si sentiva ancora
padrone della situazione, ordinò ai suoi di arretrare fino alle spalle del
cingolato, progettando di riattaccare da quella posizione, coperto dal
mezzo, nella speranza di limitare al minimo i danni al carico che
momentaneamente sarebbe passato in mano nemica.
Alla fine di quella ritirata strategica Aszenavi poteva contare in tutto su
13 uomini, più i due piloti del carro; erano pochi ma sufficienti a
sbaragliare il gruppo nemico che non aveva l'appoggio dei blindati.
Il corazzato incominciò ad avanzare lentamente, facendosi strada con getti
di lanciafiamme ed una gragnuola di granate anti-uomo. A tre metri
dall'ultimo camion della colonna accostò a destra ed incominciò a battere
con un fuoco infernale quel lato della galleria, mentre gli uomini si
piazzarono sul lato opposto, bersagliando il nemico armi leggere e
lanciagranate. Gli oltranzisti arretrarono, concentrandosi intorno al
primo camion per coprire la ritirata dei loro compagni. Era chiaramente una
manovra diversiva, in attesa di rinforzi; questo Aszenavi lo aveva intuito.
Bisognava liberarsi al più presto di quell'ostacolo e raggiungere l'uscita
del tunnel. Scivolò con 2 dei suoi sotto l'ultimo camion ed avanzò carponi
mentre tutt'intorno il fuoco sembrava uno spettacolo pirotecnico. Da quella
posizione poteva vedere meglio i nemici. Ne erano stati colpiti almeno altri
15; l'intero gruppo era ridotto ai minimi termini.
Un nuovo boato, una pressione calda sulla schiena, un nuovo bagliore.
Isham Asenavi si girò di scatto; il cingolato era stato colpito; un crepitìo
nuovo, proveniente dal lato ovest della galleria, stava facendo strage dei
suoi. Persino gli oltranzisti avevano cessato il fuoco ed arretravano
indisturbati.
Scivolò di lato, rialzandosi lentamente a ridosso della parete laterale del
tunnel; non c'era più riparo! Vide qualcosa muoversi sulla sua destra,
davanti al camion, fece appena in tempo a distinguere un volto,
un'espressione cupa.
Kabir Faszamelai gli sparò una raffica, devastandogli il tronco,
dall'inguine al collo. Isham Aszenavi morì all'istante.
Pochi attimi dopo il fuoco cessò; i 3 superstiti della Guardia Nazionale si
piazzarono oltre l'ultimo autocamion, in mezzo alla galleria, con le mani
alzate. Ronald Briggs, Melanie Barchet, i tre SDA-men ed altri uomini con
indosso la divisa dell'esercito Iraniano, vennero avanti rapidamente.
Gli oltranzisti stavano ispezionando l'interno dei camion ed avevano trovato
i cilindri che sembravano intatti. Kabir Faszamelai si rivolse a Briggs con
un tono quasi accorato.
"Questi oggetti sono una nostra preda di guerra, ho perduto più di 20 uomini
per averli e non intendo cederli per alcuna ragione."
"Non era nei patti." Ribattè Ronald calmo. "Oltretutto non siete in grado
di analizzarli. Vi scoppierebbero in faccia."
"Abbiamo buoni alleati. Non siete i soli al Mondo a possedere una
tecnologia." Ribattè l'altro indurendo il tono della voce.
I tre uomini degli SDAG si erano già piazzati con le armi spianate; Melanie
si spostò al coperto oltre la jeep su cui aveva viaggiato Aszenavi; gli
oltranzisti si mossero rapidamente per guadagnare posizioni di tiro, mentre
i soldati Iraniani si mantenevano a distanza dal gruppo. Il sottufficiale
che li guidava aveva la ferma intenzione di non scatenare proprio allora una
guerra civile.
Ronald Briggs e Kabir Faszamelai rimasero faccia a faccia, allo scoperto,
sotto il tiro incrociato dei loro rispettivi uomini. Ci furono alcuni
secondi di pesante silenzio.
"Mi dia i cilindri. Avete avuto tutto il resto!" Scandì l'Iraniano
imperioso.
"Prova a prenderteli." Gli rispose l'altro con un sorriso bieco.
Faszamelai fissò Briggs con occhi spiritati, poi agitò le braccia.
"Non avrete questa terra, come non l'hanno avuta quelle creature maledette!"
Urlò. "I nostri alleati sono pronti ad entrare in massa nel territorio
dell'Iran. Sarete spazzati via come polvere e questa nazione riavrà il
ruolo che il suo popolo vuole!"
"Se succederà questo, allora sarà la guerra e non credo che il Patto di
Kabul ne verrà fuori con più di un migliaio di superstiti. Il primo caduto
sarai tu; è questione di momenti. Ti dedicheranno un bel monumento al centro
di Teheran." Ribattè Ronald senza scomporsi.
Gli oltranzisti appostati a pochi metri di distanza davano segni di
inquietudine; Faszamelai fece loro cenno con il braccio di stare fermi, poi
si girò di nuovo verso Ronald.
Stava per riprendere a parlare quando Melanie, che intanto aveva strisciato
sotto l'autocarro portandosi a poco più di un metro da lui, scattò in avanti
come un felino, afferrandolo di spalle per il collo e piazzandogli la canna
della pistola mitragliatrice sulla tempia.
I guerriglieri vennero allo scoperto con le armi puntate, mentre gli SDA-men
rimasero appostati. I militari seguivano la scena a distanza senza
muoversi.
"Una sola mossa e il vostro capo è morto!" Urlò la donna arretrando insieme
all'Iraniano.
"Non lasciatevi intimorire; sparate! Uccidetemi! La mia vita non conta!
Pensate alla nostra patria!" Urlò Faszamelai disperato. I suoi uomini
sembravano disorientati; si guardavano tra loro con espressioni
interrogative. Ronald allargò le braccia e li guardò uno alla volta
"Ora faciamo tutti un gesto di distensione. Noi arretriamo lasciando quì gli
autocarri con il loro carico e voi farete altrettanto. Sarà una trattativa
diplomatica a stabilire a chi va questa roba. Intanto il vostro comandante
è nostro ospite. Restate calmi e non gli verrà torto un capello." Disse a
voce alta.
Melanie stava allontanandosi con Faszamelai il quale continuava ad incitare
i
suoi; ciononostante questi incominciarono ad arretrare lentamente in
direzione est, verso le loro precedenti posizioni.
In pochi minuti i due gruppi erano appostati ognuno a 200 metri di distanza
dall'altro, al centro erano rimasti i camions contenenti i cilindri,
circondati di cadaveri.
Ronald fissò Faszamelai con espressione minacciosa. "Ero sicuro di non
potermi fidare di gente come te. Non sei stato ai patti e stai rischiando di
scatenare una guerra Mondiale. Fanatico e sanguinario come tutti gli
oltranzisti."
Disse sprezzante.
"Voi non siete meglio." Rispose laconico l'Iraniano. Melanie gli
premette la pistola nell'orecchio.
"Tieni a bada i tuoi beduini, altrimenti puoi stare certo che ti ammazzo
come un cane." Gli disse gelida.
L'altro sorrise ieratico. "Nella mia religione morire per l fede è un
onore; non potete capirlo."
"Lo vedremo al momento opportuno." Ribattè la donna.
In quel momento Ronald, i tre SDA-men ed altri militari si voltarono verso
il lato est della galleria. Gli autocarri avevano assunto una strana
luminosità, come se stessero diventando incandescenti. L'aria era jonizzata,
come attorno ad un fuoco.
Uno degli uomini orientò il rilevatore, poi guardò Ronald acigliato.
"Debole radioattività, temperatura in aumento." Disse.
"Sta per esplodere!" Eslamò l'uomo. "Chiudetevi nelle tute...tutti al
coperto!"
I soldati Iraniani si precipitarono disordinatamente sulle jeep che
incominiarono a partire tamponandosi fra loro. Ronald fece un cenno a
Melanie la quale si trainò letteralmente Faszamelai. I tre entrarono alla
svelta nel cingolato che si trovava in testa lla colonna, sigillandovsi
dentro.
"Quì dovremmo essere al sicuro; è atermico e blindato." Disse uno degli
SDA-men affannando. Kabir Faszamelai aveva camiato espressione; era
attonito, sembrava mormorasse una speie di preghiera.
"I miei uomini" Disse a bassa voce.
"Stanno scappando anche loro; fra poco quì sarà davvero l'inferno!" Rispose
Ronald aspro.
Un attimo dopo gli autocarri esplosero. Una colonna di fuoco schizzò
velocissima lungo la galleria, investendo in pieno il cingolato, poi
travolgendo i fuoristrada su cui i militari Iraniani avevano cercato scampo.
Le auto vennero sbalzate in aria, arroventate, scagliate sulle pareti del
condotto; gli uomini
sparirono inghiottiti dal fuoco mentre dall'altro lato la stessa sorte
toccava ai guerriglieri oltranzisti.
Il blindato invece resistette. All'interno la temperatura salì fino a 47
gradi, costringendo tutti a chiudere i caschi ed attivare il sistema di
sopravvivenza incorporato nelle tute. Kabir Faszamelai non indossava un
simile indumento; Ronald e Melanie glielo infilarono rapidamente,
strattonandolo a più non posso.
La temperatura interna salì ancora fino a 52 gradi, rimanedo tale per 4
interminabili minuti, poi lentamente inominciò a derescere.
Il rilevatore esterno dava una temperatura di 225 gradi e livelli critici di
radioattività. Ronald tentò di avviare i motori senza successo.
"E' il blak out radioattivo; eppure il mezzo dovrebbe essere radioprotetto."
Commentò Melanie. Nessuno rispose.
Passarono altri 5 minuti; oramai la visibilità si era fatta accettabile,
nonostante la coltre di fumo.
Dove fino a poco prima c'erano stati gli autocamions che trasportavano i
cilindri alieni, ora c'era solo cenere fumante. Gli oggetti si erano
autodisintegrati, distruggendo tutto quanto era intorno.
Ronald battè il palmo della mano guantata sul vetro del parabrezza. "Ora
non potremo sapere qual'era la sorpresa." Commentò amaramente.
In quel momento uno degli uomini riuscì ad avviare il motore ed il cingolato
ripartì lentamente, diretto verso Teheran. Dopo 10 minuti di viaggio la
temperatura era scesa a 27 gradi, tanto che fu possiile riprendere a
respirare l'aria dell'abitacolo. All'esterno i gradi erano 48 e la
radioattività era scesa a livelli accettabili.
Nessuno aveva detto una parola fino ad allora; Kabir Faszamelai si teneva la
testa tra le mani, accucciato in un angolo. Melanie gli poggiò una mano
sulla spalla. "Siamo stati sul punto di massacrarci tutti per nulla. Forse
è stato meglio così." Disse con un mezzo sorriso.
L'uomo la fissò incuriosito. "Perchè mi avete salvato la vita?" Chiese.
"Ci sei molto più utile da vivo." Rispose Ronald senza nemmeno voltarsi.
L'Iraniano tacque per qualche attimo, poi chiese di poter usare la radio.
Ronald lo fissò stranito. "Che cosa credi di fare? E'vero che ci servi vivo,
ma tutto ha un limite."
"Non sono così stupido come credete; voglio fare ciò che adesso è meglio per
tutti: bloccare le truppe del Patto di Kabul, prima che entrino in Iran. Se
non riceveranno un mio contromessaggio entro le 3 di stanotte,
oltrepasseranno i confini in massa ed allora sarà veramente la guerra. In
questo momento abbiamo tutti dei nemici molto più pericolosi." Rispose
l'uomo serio.
Ronald guardò l'orologio; erano le 2 passate e lì sotto nessuna radio poteva
funzionare. Bisognava assolutamente far rientro alla base Kiros prima che
fosse troppo tardi. Chiese all'uomo che guidava il mezzo se fosse stato
possibile aumentare la velocità.
"Posso provarci." Rispose l'altro. "Non so che danni ha avuto il motore
dall'esplosione di prima. Aumentando la potenza potrebbe bloccarsi."
"Fallo comunque. non abbiamo scelta. Alla velocità massima arriveremo alla
Kiros un quarto prima delle 3. Se il destino ha deciso che deve andar
male...pazienza. Noi comunque dobbiamo provarci." Ronald era cupo; guardò
Faszamelai che aveva assunto un'espressione stranamente soddisfatta.
"E' la prima volta che sento un occidentale parlare di destino." Disse
abbozzando un sorriso.
"Già..." Rispose Ronald deglutendo rumorosamente. "Speriamo bene."
Mancavano 9 minuti alle 3 quando il cingolato arrivò nell'hangar sotterraneo
della Kiros. C'erano soldati Iraniani e uomini degli SDAG sparsi per
l'intera base. Ronald e gli altri uscirono in tutta fretta dal mezzo
chiedendo di usare una radio.
Alle 02, 56 minuti finalmente Kabir Faszamelai riuscì a trasmettere il
messaggio in codice alle forze schierate lungo i confini del Turkmenistan.
Colin Zecharias che osservava la scena perplesso, si rivolse a Ronald con
tono diffidente. "Chi ci dice che abia trasmesso il segnale giusto e invece
non abbia dato l'okay all'attacco?"
L'altro sollevò le spalle guardando in alto. "Se l'ha fatto ha firmato
anche la sua condanna." Rispose.
L'Iraniano guardò entrambi con espressione quasi offesa, poi senza parlare
si avviò fuori dalla sala, scortato da 4 soldati che per ordine di Zavani
Karaman avrebbero dovuto seguirlo in ogni suo spostamento.
"Non capisco se si tratta di una scorta o se sono un prigioniero." Disse
l'uomo al maggiore in grado dei 4.
"Noi eseguiamo solo ordini." Rispose fermo il militare. Faszamelai fece
cenno di assenso con un sorriso amaro e riprese a camminare.
Zavani Karaman e gli ufficiali che comandavano le forze golpiste arrivarono
alla base alle 3,20. Immediatamente venne indetto un vertice di emergenza
nazionale a cui partecipava anche Faszamelai. Entro l'alba sarebbe stato
diramato su tutti i canali radiotelevisivi nazionali un comunicato che
annunciava la caduta di Rahzi Jasfanei e la nascita di un nuovo governo di
coalizione.
A Teheran la situazione era ancora confusa. Militari e gruppi miliziani
misti avevano assunto il controllo degli edifici governativi, delle
emittenti radiotelevisive, della stazione ferroviaria, dell'aeroporto e
degli imbocchi delle autostrade. Le perdite erano state comunque ingenti:
almeno 70 morti e 40 feriti fra gli Iraniani, Zecharias aveva perduto 5 dei
suoi, mentre 3 erano gravemente feriti. In quel momento non c'erano ospedali
funzionanti e la
sanità militare si stava facendo in quattro per dare assistenza ai feriti.
Erano incominiati gli arresti dei principali personaggi legati all'antico
governo. Venivano segnalati atti di violenza, esecuzioni sommarie, atti di
guerriglia urbana portati a termine da gruppi sbandati della Guardia
Nazionale.
Ramallan Ordoshallavi, insieme ad una cinquantina dei suoi uomini e un
centinaio di elementi della Guardia Nazionale, si era asserragliato nel
quartiere orientale, assediato da ogni parte dalle forze neogovernative.
Le trasmissioni radio erano comunque oscurate per cui non c'erano rischi di
connessione fra le varie risacche di resistenza.
poco dopo la mezzanotte i membri dello staff docente della Massachussets
University erano stati portati in elicottero fino all'aeroporto e lì messi
sull'aereo che aveva decollato alle 00,50. C'era un solo particolare
negativo: all'appello era mancata Linda Flowerborn di cui si erano perdute
le tracce fin dalle prime ore della sera precedente.
"Questa non ci voleva." Commentò amaramente Ronald nell'apprendere la
notizia da Franziska Hoffmann. "Facciamo distribuire la sua foto a tutti
gli uomini che presidiano la città. Non posiamo perderla."
"Non sarà facile trovarla; Teheran in questo momento è un vero inferno."
Rispose la donna con tono grave.
"Glielo dobbiamo; quella donna ci ha aiutati molto più di quanto ci
potessimoaspettare." Concluse Ronald deciso.

19 Aprile; ore 23,50. Oasi di Semman.
Cortez guardò soddisfatto lo schermo della sua emittente portatile; la spia
gialla si era accesa per indicare che in quel momento vi era assenza di
interferenze satellitari. Chiamò Clarissa Wilbirth la quale era piazzata
accanto al gruppo di Kabir Faszamelai, a poche decine di metri dall'imbocco
della galleria usata dagli uomini della Guardia Nazionale.
Un minuto dopo si udì il rumore di un'esplosione; i guerriglieri oltranzisti
avevano fatto saltare la copertura che mimetizzava l'accesso al tunnel.
Clarissacomunicò che l'intero gruppo si era infilato nel dotto a bordo di
una colonna di fuoristrada. La donna raggiunse Cortez 5 minuti dopo; si
muoveva liberamente
a piedi, oramai non c'era più rischio di venire intercettati.
I due si avviarono verso la spianata dell'oasi insieme a Jeff Brochard,
Samuel Tomason e Larry Bisanti, gli uomini che Colin Zecharias aveva
destinato come appoggio a quella che forse rappresentava la parte più
delicata dell'operazioneSoraya--Loom: la loalizzazione della base aliena.
Angela Groove sarebbe arrivata di lì a pochi minuti; le era stato affidato
il compito di sorvegliare lo staff docente fino alle 22, quando cioè
sarebbero arrivati gli uomini che avrebbero dovuto portare in salvo gli
insegnanti della Massachussets University.
Un raggio laser perforò il centro della copertura in cemento che ocludeva il
dotto di accesso alla cavità sotterranea, penetrando per 2 metri, la metà
esatta dello spessore del tappo; lì venne introdotta una sottile mina ad
alto potenziale che esplodendo avrebbe liberato il canale, permettendo agli
uomini di calarvisi dentro.
Quando l'ordigno fu pronto Jeff Brochard guardò Cortez con espressione
interrogativa.
"Possiamo procedere. Il tenente Groove dovrebbe essere già quì." Disse.
Cortez si guardò per un attimo intorno. "Aspetteremo altri 5 minuti, poi
andremo avanti da soli." Rispose preoccupato. Angela non era il tipo da
fare ritardo.
"Non più di 5 minuti; siamo troppo esposti quì." Ribattè deciso Brochard.
Alle 00,10 di Angela non c'era traccia; Cortez diede l'ordine di far
brillare la mina.
"Deve essere successo qualcosa." Disse Clarissa a bassa voce.
"Lo so, ma non possiamo pensarci adesso." Rispose l'uomo a denti stretti.
L'esplosione fu secca, ovattata e fece vibare il terreno. Un attimo dopo il
blocco di cemento si frantumò in pezzi che precipitarono sul fondo della
cavità sollevando una colonna di fumo e polvere. Samuel Thomason illuminò
il dotto con una torcia alogena, poi orientò in basso il fotoscandaglio.
"Trentotto metri fino al pavimento." Scandì. "Possiamo incominciare a
scendere."
In quel momento si udì il sibilo di un motore; Una grossa fuoristrada si
fermò ai margini della spianata. Angela vi scese e si avviò lentamente verso
il gruppo.
"Sei in ritardo, affrettiamoci." Disse sbrigativamente Cortez rivolto alla
donna. Lei si fermò a pochi passi, guardandolo con un sorriso beffardo.
"Aspetta un attimo; non sono sola." Rispose con un tono indecifrabile.
Istintivamente l'uomo guardò in lontananza e vide scendere dall'auto tre
sagome. Impiegò un attimo per distinguere Linda con due uomini massicci
che le camminavano ai lati.
"Che storia è questa?" Chiese lui guardando Angela minacciosamente. Larry
Bisanti era scattato accanto alla donna con la mitraglietta spianata.
"La dottoressa Flowerborn viene con noi." Rispose Angela con tono
lapidario.
"Le abbiamo somministrato un calmante che farà effetto fra 12 ore esatte,
mandandola in meno di un minuto in paradiso." Estrasse dallo zainetto un
astuccio, lo aprì e mise in mostra tre fiale di colore diverso.
"Una è l'antidoto che le salverà la vita, altre due sono letali. Ovviamente
solo io so qual'è il rimedio giusto." Concluse fredda.
Cortez accigliò lo sguardo, fissando la donna con odio. "Sei tu allora
l'infiltrata della Korsakov. Cosa vuoi esattamente da noi?"
"Andremo tutti insieme fino alla base dei Grigi; lì usciremo in superficie
dove i miei uomini ed io verremo recuperati da un aereo dell'Unità
Soiutszkaja mentre un nostro gruppo porterà a termine la neutralizzazione
dell'istallazione aliena. Ovviamente voi avrete ordinato all'SDB di
astenersi da ogni iniziativa. Il canale sotterraneo ci servirà per mandare
in questo paese alcuni elementi che riequilibreranno la situazione. A quel
punto il
maggiore Herrera riavrà la sua amica insieme all'antidoto."
La donna aveva parlato con tono cordiale ma a quel punto assunse
un'espressione bieca, fissando Cortez
"Comunica a Baughmarten la variazione di programma e ricordati che se le
cose non andranno esattamente come ti ho detto, la dolce Linda creperà dopo
una spiacevole agonia."
L'uomo si voltò velocemente, guardando prima Brochard, Thomason e Bisanti, i
quali mantenevano un'espressione gelida, poi guardò Clarissa che fissava
Angela Groove incredula, infine volse gli occhi verso Linda.
La donna era all'impiedi a pochi metri da lui, vestita con una tuta scura,
simile a quella che lui aveva indosso. L'espressione era triste, quasi
rassegnata; la bocca le si storse in una specie di sorriso quando lo sguardo
di Cortez incrociò il suo. I due che le stavano ai lati erano impassibili.
Uno era massiccio, con l'espressione puerile di un criminale. l'altro più
longilineo, biondo, incredibilmente sereno.
Per un attimo l'uomo ebbe un fremito; gli ritornò alla mente quel sogno
fatto 15 giorni prima: Linda prigioniera dei Grigi. Gli sembrava di vivere
un incubo.
"Non darti troppa pena, Cortez." Riprese Angela. "Linda sarà contenta di
aiutarci a snidare quei mostriciattoli che le hanno ammazzato il marito."
Cortez trasalì. "Che diavolo stai dicendo?" Le chiese con voce impastata.
"E' un'informazione che tu non hai. Fred Gilman, ex marito della tua bella,
non morì per cause accidentali; lui lavorava per la CIA ed era sulle tracce
di un gruppo di terroristi telematici che falsificava le comunicazioni
radar. Insomma si trattava di gente alleata degli alieni che li aiutava a
scendere sulla terra mandando falsi dati al sistema di rilevamento del WASD.
Se Gilman
non fosse morto proabilmente i Grigi non avrebbero avuto modo di arrivare
quì indisturbati."
La donna scoppiò a ridere. "Guarda un po' che bell'intreccio
e voialtri, gli eroi della difesa antialiena, non ne sapevate nulla!"
Jeff Brochard intervenne duramente. "Sentite tutti: quì non abbiamo più
tempo da perdere! Siamo davanti all'ingresso di un'istallazione aliena. Non
possiamo dilungarci sui risvolti di cronaca. Leviamo da mezzo queste spie e
procediamo." Nel dire questo sollevò il mitra puntandolo verso Angela,
mentre Thomason e Bisanti avevano già sotto tiro i due uomini della
Soiutzskaja.
Fu Cortez a bloccarli; se la donna fosse morta, per Linda non vi sarebbe
stato scampo.
"E lei cosa propone? Di accettare il ricatto e fare una missione congiunta
con questi bastardi?" Gli chiese l'altro minaccioso.
"Proprio così!" Rispose lui imperativo. "E visto che sono io al comando
dell'operazione, me ne assumo la responsabilità piena. Voi dovete solo
eseguire i miei ordini!"
"A Washington la scorticheranno vivo quando sapranno cosa è successo, sempre
ammettendo che sopravviveremo." Ribattè Brohard.
"Con te faranno peggio se sapranno che hai commesso insubordinazione nel
corso di un'operazione di massima sicurezza uccidendo oltretutto elementi
dei servizi di sicurezza di una nazione alleata." Gli rispose Cortez
freddo.
Jeff Brochard rimase zitto per qualche attimo; guardò prima Thomason, poi
Bisanti. Entrambi mantenevano la stessa espressione indifferente. Fissò
nuovamente Cortez
il quale sembrava stesse aspettando la sua reazione.
"D'accordo comandante; ai suoi ordini. Per me possiamo procedere." Disse
imbronciato. Un attimo dopo Cortez inviò un messaggio in codice alla
centrale di Washington, comunicando gli ultimi sviluppi della situazione e
chiedendo di annullare l'ordine di azione per la squadra aerospaziale che
avrebbe dovuto intercettare gli alieni nella zona del Koppet Dagh. Chiuse
la comunicazione senza attendere la risposta e si avvò verso il condotto in
cui gli SDA-men erano già pronti a calarsi.



Capitolo 14
Ore 00,30; oasi di Semman
La caverna sotterranea era totalmente buia, per esplorarla fu necessario
l'ausilio delle torce elettriche alogene.C'era aria respirabile ed un forte
odore di muffa; la temperatura era di 23 gradi, con una percentuale di
umidità del 48%.
Dove un tempo c'era stato il letto del fiume ora era rimasto un terriccio
friabile ed inaridito sul quale il gruppo si mosse lentamente. In testa
c'erano Jeff Brochard e Sam Thomason, seguiti da Cortez, Linda, Angela
Groove, Dimitri e Michail, i due uomini del gruppo Soiutzskaja. In
retroguardia stavano Clarissa e Larry Bisanti.
La caverna era PIENA DI carrelli-gru parcheggiati lungo i bordi a ridosso
delle pareti. Al centro geometrico si trovava piantata nel pavimento una
struttura simile ad un blocco di cemento di forma tronco-conica, sormontata
da qualcosa che sembrava un cristallo perfettamente sferico, appena
appoggiato sulla sua base. In corrispondenza della sua verticale, sulla
volta della caverna, c'era un'altra sfera identica.
"Questo deve essere il sistema per trasmettere il raggio che trasporta la
falsa immagine dell'ufo." disse Cortez a bassa voce.
Spostato di un paio di metri a nord rispetto al centro c'era il bordo di una
piattaforma rotonda, metallica, lucente, il cui diametro era di 5 metri. La
struttura era appena sollevata rispetto al pavimento. Clarissa orientò la
torcia in alto e notò sulla volta una specie di portello della stessa forma
e dimensione, anch'esso sulla verticale esatta della piattaforma. Aveva
delle venature disposte a diaframma di fotocamera che evidentemente ne
consentivano
l'apertura.
"Usano la piattaforma come un'ascensore e vengono allo scoperto mentre il
diaframma si apre." Commentò la donna rivolta a Cortez. Lui annuì.
"Radioattività quasi zero; nessuna presenza estranea." Fece eco Sam
Thomason.
Il gruppo si spostò verso il lato nord est della cavità e dopo pochi secondi
arrivò davanti all'imbocco di una galleria. Lì si trovava il treno a
monorotaia di cui aveva parlato Kabir Faszamelai. Si trattava di un
convoglio lungo quasi 50 metri, formato da vagoni articolati tra loro. Alle
due estremità si trovavano le motrici. Il treno occupava il centro della
galleria ma sui lati vi erano buoni 5 metri di spazio per parte fino alle
pareti. Non vi era traccia di altri veicoli che potessero essere usati
dagli alieni per raggiungere
quel punto.
Cortez, Brochard e Thomason salirono sulla motrice in testa all'estremità
orientata verso l'interno del tunnel. Oltre al posto di guida vi erano 12
sedili disposti a file di 2 sui lati del vagone.
"Ci entriamo tutti." Disse Cortez rivolto a Brochard. "Espolrate il resto
del treno; se non ci sono problemi, andremo solo con questa motrice.
"Lei pensa che funzionerà?" Chiese l'altro.
"Ora vedremo; intanto voi procedete."
Cortez si mise al posto di guida ed incominciò ad espolrare il quadro dei
comandi.
Si trattava di un veicolo a propulsione elettrica, capace di raggiungere i
200 km orari, dotato di un doppio sistema di guida, manuale ed automatica,
entrambe computer-assistite. L'interno era dotato di un sistema di
climatizzazione pressurizzato. Un radar segnalava la presenza di eventuali
ostacoli a distanza
sufficiente da permettere la frenata al massimo della velocità, con arresto
totale entro 150 metri dall'ostacolo. Fortunatamente le batterie erano al
massimo della carica.
I due SDA-men ritornarono dopo un paio di minuti riferendo che il resto del
convoglio era vuoto. L'intero gruppo venne fatto salire nel comparto di
testa mentre le funzioni venivano attivate. In un minuto il treno era
pronto alla partenza.
Prima di dare movimento Cortez si girò incrociando lo sguardo con quello di
Linda. Lei gli abbozzò nuovamente un sorriso triste senza dire una parola.
L'uomo spostò gli occhi verso Angela che se ne stava davanti al portello
d'ingresso con lo sguardo accigliato. L'avrebbe uccisa appena lei gli
avesse indicato la fiala contenente l'antidoto; questo se l'era promesso.
Per la prima volta da quando era nell'SDB Cortez non provava nemmeno
apprensione per la missione e per la sua vita. In quel momento anche i Grigi
sembravano finiti in secondo piano. L'unica cosa che contasse era salvare
Linda ad ogni costo ed eliminare Angela, insieme ai suoi sue complici.
Brochard gli toccò la spalla, distogliendolo dai suoi pensieri. Lui avviò il
veicolo che accellerò gradatamente, fino a raggiungere i 200 orari in meno
di due minuti. I fari illuminavano a giorno la galleria che si snodava
con curve ampie, appena accennate. Il sistema di ammortizzazione rendeva il
viaggio estremamente comodo, in maniera tale da non far quasi percepire la
velocità ed i mutamenti di direzione. L'unico rumore percepibile era un
sibilo interrotto periodicamente dai "beep" che indicavano le curve in
avvicinamento.
Cortez stava al posto di guida, intento ad osservare il paesaggio uniforme
che i fari mettevano in risalto: una galleria dalle pareti irregolari,
appena levigate dalla mano dell'uomo. A parte la monorotaia non c'erano
altre strutture visibili. Evidentemente gli alieni si spostavano dalla loro
base fino alla caverna posta sotto l'oasi servendosi di mezzi levitanti; in
ogni caso il tunnel non era abbastanza spazioso da permettere il passaggio
di un oggetto come quello avvistato durante i contatti. Se comunque
esisteva, l'ufo doveva trovarsi ben lontano dall'oasi.
La radio taceva; in quella galleria scavata nelle viscere della Terra non
era possibile percepire alcun segnale che provenisse dallo stesso
sotterraneo.
Quando Cortez ricontrollò l'ora erano passate da poco le una ed a parte la
corsa costante del treno vi era calma piatta.
Angela andò a mettirglisi accanto con aria indifferente, come se nulla fosse
accaduto e si mise ad osservare il quadro di comandi. Michail e Dimitri se
ne stavano seduti immobili come statue. Linda si era messa a braccia
conserte, sembrava piuttosto rasserenata nell'espressione.
"Il nostro programma non cambierà per quello che riguarda l'impatto con gli
alieni. Credo che tu sia d'accordo." Disse Angela a Cortez con tono
conciliante.
Lui la guardò appena. "No di certo." Rispose laconico.
Jeff Brochard intervenne con durezza. "Non che abbiamo molta scelta, ma
agire insieme a voi è da voltastomaco."
"Meglio che andare a braccetto con gli Islamici." ribattè lei.
"Fino ad un certo punto." Intervenne Cortez. "Loro non ci costringono a
collaborare tenendo ostaggi in pericolo di vita."
Angela tirò fuori un sorriso rassicurante.
"Non devi preoccuparti per lei." Disse indicando Linda. "E' stata solo una
misura precauzionale. Appena saremo lì ed avremo stabilito la posizione
esatta dell'istallazione aliena, ti darò l'antidoto. Tu avresti fatto la
stessa cosa nei miei panni."
"E credi che i Grigi ci lasceranno fare rilievi a casa loro senza cercare di
bloccarci?"
"Siamo una squadra; pronti tutti a combattere. Altrimenti bastava mandare
dei semplici osservatori."
Linda si inserì inaspettatamente nel discorso con un tono severo.
"Se questi esseri sono davvero così progrediti, non ci lasceranno nemmeno
avvicinare. Ci uccideranno tutti molto prima. Ci avete pensato?"
"Non è detto affatto. li combattiamo da anni e conosciamo molti modi per
rispondere alle loro azioni offensive." Ribattè Angela. Cortez annuì.
"Ma che storia pazzesca è questa?" Riprese Linda. "Una specie
extraterrestre che cerca da più di mezzo secolo di mettere tende sulla
Terra; un esercito segreto che combatte una guerriglia degna di un film e
l'opinione pubblica non ne sa nulla? Come è possibile nascondere un fatto
così importante alla gente?"
"E' necessario. Se la cosa venisse diffusa, avremmo il panico collettivo.
Molti hanno capito come stanno le cose ma noi li abbiamo zittiti." Rispose
Cortez.
"Zittiti come? Uccidendoli o minacciandoli?" Il tono di Linda si stava
infervorando.
"No, affatto. Il più delle volte li abbiamo informati dettagliatamente e
loro hanno accettato di collaborare con noi e mantenere il segreto."
La donna abbassò il tono della voce. "Fred era uno di questi?" Chiese
intristita.
"Non proprio." Rispose Angela. "Lui era un ricercatore attivo; effettuava
delle consulenze, aveva un contratto con la CIA. Insomma era uno di loro.
Ovviamente in questi ambienti non sai mai chi sono i tuoi collaboratori.
Meno si conosce, meglio è per tutti. Questo comunque non è servito a
salvargli la vita."
"E' assurdo." Mormorò Linda abbassando lo sguardo. Un attimo dopo riprese a
voce alta. "Ma almeno ne avete mai catturato uno di questi esseri? Siete
riusciti ad abbattere o chessò a neutralizzare, mettere in fuga un loro
veicolo?"
Ci furono alcuni attimi di silenzio, poi fu Cortez a rispondere.
"Ne abbiamo catturati diversi, senza riuscire a saperne molto sulle loro
intenzioni. Non abbiamo modo di farli comunicare se loro non vogliono e
certamente non possiamo convincerli a farlo. Quanto alle loro navette, non
solo le abbiamo prese, ma siamo anche riusciti a capire come funzionano.
Non siamo in grado di costruirne di simili, ma almeno sappiamo come
intercettarle. Ovviamente loro modificano continuamente i meccanismi di
evitamento e noi siamo costretti di continuo a cercare nuovi metodi per
intercettarli."
"Ma allora non sono davvero ostili!" esclamò la donna con voce squillante.
"Potrebbero stare cercando semplicemente un modo per comunicarci qualcosa e
voi gli rispondete aggressivamente. Perchè non tentate di assecondarli?"
"Sono ostili e come!" Intervenne duramente Jeff Brochard.
"Rapiscono esseri umani e li sottopongono a trattamenti di condizionamento
psicologico. Falsano le comunicazioni radiosatellitari, mestano
nell'equilibrio politico internazionale. Cos'è che non fanno? Non ci
attaccano? Il loro
metodo è subdolo, ambiguo; non escono allo scoperto. Una sorta di invasione
silenziosa. Se li lasciamo fare in pochi anni la terra sarà esattamente come
la vogliono loro!"
Linda acigliò lo sguardo. "io non capisco." Disse. "Sono abbastanza
forti da prendere la Terra ma si accontentano di molestarla come zanzare.
Non sono idioti, altrimenti non sarebbero arrivati al punto in cui si
trovano. Due sono
le possibilità: o ragionano secondo una schema che noi ignoriamo, oppure..."
Si fermò di scatto; non era sicura di cosa stesse pensando.
"Oppure cosa?" La incoraggiò inaspettatamente Angela.
"Oppure...qualcuno..non so chi, gli impedisce di mettere in atto azioni
violente." Concluse lei timidamente.
Cortez si girò all'indietro, incrociando il viso di Brochard che aveva
abbozzato un mezzo sorriso. Angela era rimasta impassibile, come gli altri
del gruppo. Linda lo fissò aspettando una sua risposta.
"Tu stai parlando di un'altra razza, di altri alieni?" Chiese scandendo le
sillabe. lei non rispose, fece solo un paio di cenni di assenso col capo.
"Non lo sappiamo." Rispose l'uomo velocemente. "Molte cose non ci sono
ancora chiare."
"Ma avete almeno considerato la possibilità?" Incalzò lei.
"L'abbiamo fatto ma resta sempre da capire perchè quest'altra razza possa
solo mettere dei limiti a questi alieni e non abbia motivo o modo di
intervenire difendendoci apertamente. Su questo non abbiamo capito nulla."
Clarissa si era avvicinata al posto di guida ed osservava il monitor.
"Ci sono segnali di interferenza." Disse preoccupata.
"Sono confusi e comunque non indicano oggetti; credo che i Grigi abbiano
piazzato dei sensori ." Rispose Cortez.
"In pratica ci stanno aspettando." Ribattè la donna.
"Già. Comunque noi non abbiamo scelta." Troncò Cortez a voce bassa.

Ore 02,15
Il beep intermittente segnalò la presenza di un ostacolo mentre il treno
rallentava bruscamente. Cortez avvicinò il capo al quadro dei comandi.
"La galleria è ostruita; ci fermeremo fra pochi secondi." Disse a voce alta.
Il veicolo si bloccò illuminando con i fari il fondo del tunnel.
L'ostruzione interessava il dotto per intero; un ammasso di terriccio misto
a sassi, simile ad una colata di cemento che tappava letteralmente la
cavità. Era regolare, quasi levigato, come fosse stato pressato e modellato
apposta.
"Questo non l'ha fatto il terremoto" Mormorò Brochard.
"C'è un'altra galleria, lì a destra." Disse Clarissa a voce bassa.
A pochi metri dall'ostruzione si notava un'apertura circolare sulla parete
della galleria; poteva avere un diametro di 8 metri e si trovava ad un metro
dal pavimento. Oltre non si riusciva a distinguere nulla.
"Ci siamo." Disse Brochard. "Prepariamoci alla svelta."
Samuel Thomason e Larry Bisanti aprirono in fretta gli zaini, estraendo il
resto dell'equipaggiamento. Vennero date altre armi anche ad Angela e ai
due agenti Russi. A Linda venne data una mitraglietta leggera che la donna
impugnò goffamente.
Il gruppo uscì dal treno, muovendosi rasente alla parete del tunnel nella
stessa formazione mantenuta durante l'esplorazione della caverna sotto
l'oasi. Il biorilevatore segnalava la presenza di aria respirabile; non
c'era radioattività.
"I Grigi respirano aria come noi." Commentò Angela a voce bassa.
All'imbocco della galleria laterale fu possibile vedere cosa vi fosse oltre:
un'altra galleria a sezione cilindrica, con le pareti perfettamente
levigate, molto lunga, a decorso rettilineo. C'era una leggera nebbia che
impediva di vedere cosa vi fosse in fondo; mancavano fonti luminose.
"Entriamo." Disse Cortez deciso. "Tenetevi pronti a sparare."
I nove incominciarono a percorrere lentamente il condotto; erano costretti a
mantenersi in equilibrio lungo i lati poichè non c'era un pavimento piano ma
solo la curvatura delle pareti che non offriva una valida superficie di
appoggio. Cortez si girava ripetutamente verso Linda, il cui volto era
appena visibile sotto il casco integrale con la visiera sollevata. La donna
camminava lentamente, tenendo l'equilibrio con il gomito appoggiato alla
parete.
Passarono 10 minuti senza che si udisse una parola, poi Brochard fece cenno
di fermarsi.
"Stiamo andando verso nord est, siamo sotto le alture del Coppet Dagh."
Disse.
"Continuiamo." Rispose sbrigativamente Cortez.
L'altro riprese a camminare, prontamente seguito dal resto del gruppo.
Angela stringeva nervosamente l'arma, mentre i due Russi sembravano
impassibili. in retroguardia Clarissa si girava ripetutamente per
controllare che non vi fosse nessuno alle sue spalle.
"C'è un'apertura, 50 metri davanti a noi, la nebbia si sta diradando!"
Disse Thomason con tono concitato.
Il gruppo si bloccò; Jeff Brochard, Samuel Thomason e Cortez andarono in
avanscoperta percorrendo il tratto che portava verso un'apertura circolare
oltre la quale si intravvedeva una luminescenza verdastra.
Strisciarono carponi fino ad affacciarsi all'imbocco di una cavità molto
ampia nella quale una strana nebbia di color verde chiaro formava delle nubi
sottili e nastriformi che davano al paesaggio un qualcosa di irreale.
Al centro della caverna stava l'UFO, un oggetto simile per forma a quello
comparso sull'oasi di Semman, levitante a pochi metri dal suolo. Era
comlpetamente silenzioso, opaco, di colore grigio chiaro e non presentava
alcun alone intorno. Nell'insieme era alto quanto un edificio di due piani
ed ogni lato poteva misurare 30-40 metri di lunghezza.
La caverna era alta, con la volta intatta, le pareti levigate ed il
pavimento regolare, come se qualcosa lo avesse spianato. La luce era
fioca e proveniva dalla fluorescenza della nebbia.
Thomason osservò il rilevatore; non c'erano tracce di alieni nel raggio di
200 metri. Oltre quel limite il segnale era disturbato.
"Come diavolo è arrivato quì?" Chiese Jeff indicando il veicolo
triangolare.
"Si sarà fatto strada in qualche crepa durante il terremoto. Loro poi
avranno sigillato tutto come abbiamo visto nella galleria." Rispose Cortez
che non sembrava affatto stupìto.
"Entriamo." Continuò l'altro. "Se non troviamo intoppi piazziamo le cariche
sull'oggetto e torniamo indietro."
"D'accordo, ma non credo che ci lasceranno fare." Rispose Cortez cupo.
In quell'attimo Thomason li interruppe; tre oggetti in movimento si stavano
avvicinando. Gli uomini puntarono le armi e qualche attimo dopo videro tre
globuli luminosi volare verso di loro perfettamente allineati; venivano dal
lato nord del fondo della caverna.
Le mitragliette che venivano date in dotazione agli uomini impegnati nelle
operazioni anti-aliene avevano un sistema balistico multiplo che comprendeva
caricatori a raffica regolabile, microgranate a ricerca termica ed un raggio
laser.
I tre spararono a laser contro i globuli, colpendone uno che esplose con una
specie di schiocco, disintegrandosi. Gli altri due continuarono a volare
silenziosi;gli uomini arretrarono rapidamente; Brochard segnalò via radio
l'emergenza al resto del gruppo.
I due globuli si allinearono in fila, uno dietro l'altro e puntarono verso
l'imboccatura del dotto. Cortez ne centrò uno e si lanciò all'interno della
galleria insieme a Brochard, lasciando Thomason pronto a colpire il terzo
oggetto. Questo però emise una specie di bagliore; l'uomo si afflosciò,
mentre Brochard e Cortez riuscìrono a malapena a ripararsi. Il globulo
comparve all'interno della galleria, in quel momento i laser sparati da
Clarissa, Angela e Larry Bisanti lo colpirono. l'oggetto sparì in una
nuvola di fumo nerastro.
Michail e Dimitri scattarono in avanti, raggiungendo i due in avanscoperta
e piazzandosi poco oltre, sui margini dell'imbocco della caverna.
Thomason era vivo, completamente inebetito, con lo sguardo spento e
l'espressione di un demente."Sam è andato." Disse rabbiosamente Brochard.
"Resterà così per almeno un giorno. Dobbiamo far saltare quel maledetto
oggetto!"
Cortez ordinò a tutti di abbassare le visiere e chiudere i caschi; gli
alieni usavano una specie di scarica neuroparalizzante, provocando un
effetto simile ad un elettroschock. Rimanere completamente isolati
dall'ambiente era l'unico modo per cercare di proteggersi.
Venne aperto uno zainetto da cui Brochard e Bisanti estrassero tre ordigni
circolari, ognuno grande quanto il palmo di una mano. Si trattava
dell'ultimo ritrovato della tecnologia bellica antialiena: mine
elettromagnetiche, capaci di provocare un effetto devastante assai superiore
di quello dei comuni esplosivi. Erano state costruite secondo gli schemi
copiati negli anni precedenti ai numerosi manufatti alieni di cui i militari
erano venuti in possesso.
I due SDAG-men scattarono veloci all'interno della caverna insieme a Cortez,
andando a piazzare le mine in tre punti situati proprio sotto l'UFO.
L'operazione durò in tutto meno di un minuto, mentre Angela, Dimitri e
Michail rimasero all'imbocco del dotto, pronti a sparare su altri eventuali
globuli volanti. Linda rimase un paio di metri indietro, accanto a
Clarissa, sempre piazzata in retroguardia.
"L'esplosione farà franare la caverna; torniamo al treno e da lì faremo
brillare le mine. poi torniamo indietro." Disse Cortez risoluto.
Angela gli prese un braccio.
"Non era nei patti." Ribattè ostile. "Dovevamo uscire allo scoperto e farci
recuperare."
L'uomo la fissò con odio dietro la visiera trasparente.
"La tua missione è andata male. Non abbiamo altra scelta; questa è l'unica
via per cercare di non rimanere tutti uccisi." Rispose.
"E chi ti dice che poi ti rivelerò qual'è l'antidoto per la tua amica?"
"Lo farai, a meno di non voler morire in maniera assai peggiore!" Concluse
l'uomo con voce rauca.
"Spicciatevi!" Tuonò Brochard. "Stiamo rischiando la vita. Lo spionaggio
internazionale può attendere!"
In quel momento Michail scattò con l'arma puntata verso Linda, mentre
Dimitri piazzava la sua mitraglietta alle spalle di Cortez. Angela si
lanciò addosso a Brochard. Avvenne tutto in un attimo.
Linda si spostò istintivamente di lato; Clarissa sparò colpendo il Russo in
pieno petto; Brochard e Angela presero a lottare goffamente, impediti dalle
tute integrali. Larry Bisanti alzò l'arma verso Dimitri il quale continuava
a tenere la propria con la canna appoggiata alla schiena di Cortez; questi
rimase immobile, con le braccia leggermente in alto.
"non puoi farcela, sei sotto tiro incrociato." Disse Clarissa al Russo con
voce calma, mentre Angela e l'altro uomo rotolavano all'indietro
avvinghiati.
"In ogni caso lo ucciderei." Rispose Dimitri indicando Cortez.
Un attimo dopo Jeff Brochard ebbe la meglio, riuscendo a sbattere Angela
contro la parete, disarmandola e puntandole l'arma sul casco.
"Non ucciderla! Lei conosce l'antidoto!" Urlò Cortez.
"Al diavolo il tuo antidoto! Togliamoci questi bastardi dai piedi!" Tuonò
l'uomo infuriato.
Clarissa spostò la mira verso Brochard.
"Ti è stato dato un ordine: obbedisci!" Scandì imperiosamente.
l'uomo fece un passo indietro. "Stiamo impazzendo tutti e intanto i nostri
amici grigi si faranno grasse risate. Avranno tutto il tempo per
neutralizzare le mine e venircele a piazzare sotto il sedere." Disse
avvilito.
Angela fece cenno a Dimitri di abbassare l'arma. Un attimo dopo Larry
Bisanti lo disarmò, piazzandolo a faccia in avanti contro la parete. "Il
comandante Herrera non è in pieno possesso delle sue facoltà. E' difficile
mantenersi sereni in missione quando ci si porta appresso la propria
ragazza." Disse la donna sarcastica.
Non vi fu risposta. Jeff Brochard la afferrò spingendola verso l'interno
della galleria; anche Dimitri venne spinto in avanti da Cortez, fino a
trovarsi a fianco a lei. Fu intimato ad entrambi di stare con le mani in
alto, mentre Cortez prese lo zainetto in cui Angela aveva messo le tre fiale
una delle quali conteneva l'antidoto.
"Andiamocene." Disse calmo. "Regoleremo dopo i nostri conti."
Larry diede un'ultima occhiata alla caverna, riferendo che le cariche erano
al loro posto e che non c'erano altre tracce di presenze aliene.
Il gruppo fece per muovere ma in quel momento tutti sentirono un sibilo
fastidioso. Pochi metri oltre, si formò un anello fluorescente lungo
l'intera circonferenza del condotto; un attimo dopo i fasci di luce delle
torce si bloccarono contro una specie di vapore jonizzato che ostruiva
completamente il passaggio in corrispondenza dell'anello.
Senza esitare Cortez lanciò il casco di Michail contro l'ostacolo. L'oggetto
rimbalzò all'indietro di parecchi metri, finendo addosso a Brochard che lo
scostò con una bracciata.
"Quello è un campo di forza." Disse Cortez a voce bassa. "Non riusciremo ad
oltrepassarlo."
Ci furono alcuni secondi di totale silenzio; tutti rimasero immobili,
sembrava l'immagine di un video bloccata in still.
"Piazziamo un'altra carica; la regoliamo al minimo, in modo da non far
crollare la galleria e andiamo a piazzarci nella caverna per farla
esplodere." Propose Brochard.
"Non credo che servirebbe. Loro ci controllano. Attiveranno altri campi di
forza, fino a farci esaurire le scorte. Ci hanno fatti arrivare fin quì
volutamente, ma ora non vogliono che ce ne andiamo." Rispose Cortez cupo.
"Forse...se togliamo le mine dalla loro astronave, ci lasceranno liberi.
Potrebbe essere questo il significato dell'ostacolo." Disse Linda
ansimando.
"No...non credo." Rispose Clarissa. "Si trovano in una posizione di forza
rispetto a noi. non hanno motivi per venire a patti."
In quel momento Larry parlò ad alta voce. "Globuli luminosi, tre in tutto,
vengno verso di noi dalla caverna!"
Un attimo dopo il cerchio jonizzato aumentò la propria luminosità ed
incominciò a spostarsi in avanti, verso l'uscita della galleria.
"Vogliono che usciamo allo scoperto; dobbiamo assecondarli e non mostrarci
ostili. Alzate le visiere dei caschi, abbassate le armi e usciamo nella
caverna prima che il campo di forza ci investa." Ordinò seccamente Cortez.
In pochi secondi furono tutti allo scoperto. Jeff e Larry portarono in
braccio Thomason,il quale sembrava addormentato; lo deposero delicatamente
sul pavimento della caverna. il corpo privo di vita di Michail venne
proiettato fin sotto l'astronave aliena dal campo di forza che si bloccò
all'imboccatura del tunnel. I sette rimasero schierati uno a fianco
dell'altro, a pochi metri dalla parete della cavità; i globuli luminosi si
fermarono a pochi metri da loro, ronzando appena. Qualche attimo dopo i
tre oggetti si mossero di nuovo; uno andò a piazzarsi a qualche metro sul
lato di Cortez, mantenendosi alto, un altro si fermò al lato di Clarissa che
si trovava all'estremità opposta della fila, il terzo si spostò sulla
verticale di Angela, la quale si trovava al centro rispetto a Cortez, Jeff
Brochard e Larry Bisanti da un lato ed aveva dall'altro Dimitri, Linda e
Clarissa.
Simultaneamente la sfera al lato di Cortez incominciò a muoversi lentamente
in direzione nord, mentre quella vicina a Clarissa si accostò al gruppo.
"Ci stanno indicando una strada." Mormorò Jeff.
"Già, dobbiamo solo assecondarli." Rispose Cortez.
Il gruppo si mosse in fila indiana seguendo il movimento delle sfere e
mantenendosi vicino al bordo della cavità. Dopo qualche secondo dalla
superficie inferiore dell'astronave partì un raggio luminoso che si allargò
a cono fino a coprire un'area di 8 metri buoni di diametro al suolo. Quando
il fascio di luce si spense, comparvero due Grigi, immobili. Linda ebbe un
sussulto.
"Eccoli!" Urlò Angela. Cortez la zittì.
"Ignorali. Ora vogliono solo che seguiamo la direzione dei globuli."
Il camminò continuò, mentre i due alieni sembravano seguire la scena da
lontano. Tre fasci di luce violetta colpirono le mine precedentemente
piazzate sotto l'ufo, per poi spegnersi in qualche attimo.
Jeff Brochard ridacchiò amaramente. "Hanno disinnescato i nostri confetti.
Ora possiamo anche chiedere asilo politico sul loro pianeta." Disse.
C'era un varco sul lato nord della caverna, un'apertura semicircolare
abbastanza ampia da farvi passare 5 persone affiancate. Dall'interno
proveniva una lue verdastra e sembrava che le sfere luminose stessero
portando i 7 uomini proprio lì.
Cortez rassicurò gli altri; se gli alieni avessero voluto ucciderli, lo
avrebbero già fatto. C'era da pensare che in qualche modo volessero
comunicare, anche se tutti erano oramai convinti di una sola cosa, che entro
poco tempo sarebero stati sottoposti ad un trattamento condizionante tipico
dei Grigi. Come ne sarebbero usciti era un mistero.
"Non potremo comunicare più, loro ci osservano. Per ogni emergenza useremo
il metodo SMILE. Passa parola." Disse a Jeff Brochard.
SMILE era una procedura di comunicazione basata sul vecchio alfabeto morse.
Venivano usate varie serie di segnali messi in atto con i movimenti delle
dita,oppure con l'ammiccamento delle palpebre, i movimenti delle labbra,
della testa, il battere di un piede. Tutto si basava sull'alternanza di
segnali punto e linea, che formavano parole apparentemente incomprensibili
ma che in realtà corrispondevano ad una serie di varianti di azione.
In tutto gli uomini degli SDAG e degli altri gruppi speciali della NATO
conoscevano 260 opzioni codificate nel MIMIC e c'erano buoni motivi per
credere che anche gli agenti della Korsakov Association fossero a conoscenza
di quel codice. Questo dava a Cortez una discreta sicurezza che il suo
messaggio sarebbe stato compreso anche da Dimitri, considerando anche il
fatto che sicuramente Angela Groove aveva istruito i suoi a dovere.
Oltre il nuovo varco c'era una galleria ampia, illuminata di verde dalla
fluorescenza delle pareti. il pavimento era piuttosto soffice, quasi
gommoso, nel migliore stile dei Grigi. Un sistema di ventilazione creava una
brezza tiepida dall'odore penetrante. La visibilità era sempre scarsa per
effetto della solita nebbia che si diradava al passaggio del gruppo per
rifarsi fitta alle sue spalle.
Tre minuti e 18 secondi esatti di cammino, cronometrati sia da Cortez che da
Brochard, poi i sette sbucarono in un'altra cavità.
Si trattava di un grande ambiente circolare, coperto da una cupola che al
suo apice poteva distare non più di 20 metri dal suolo. La volta sembrava
fatta di materiale gassoso che formava una specie di cielo artificiale color
violetto chiaro ed emetteva anche una lieve luminosità. C'erano altre fonti
luminose puntiformi, bianche, intense, che proiettavano in vari punti
dell'ambiente sottili fasci simili a raggi.
Tutt'intorno, una serie di apparecchiature che a prima vista sembravano
indecifrabili, un po' perchè erano scarsamente illuminate, un po' perchè le
forme si presentavano poco familiari. Era possibile comunque distinguere
una serie di coperture ovali ed opache che facevano pensare a delle
singolari incubatrici poste su file parallele. C'erano anche degli strani
prismi, alti più o meno due metri ognuno, sparsi disordinatamente. Si
notavano altre strutture: pannelli rettangolari affiancati lungo la parete
perimetrale; gruppi di cupole emisferiche sul pavimento, alte ognuna poco
più di un metro; parabole simili a quelle dei radiotelescopi,variamente
orientate e montate su coni a base stretta, più alti delle altre
apparecchiature. Stranamente non c'era traccia di cilindri somiglianti a
quelli che i Grigi avevano dato agli uomini di Jasfanei.
Tutto ciò era disposto sui lati di un percorso rettilineo che tagliava quasi
l'intera area, terminando a pochi metri dalla parete, di fronte all'entrata.
Questa zona appariva in ombra agli occhi di Cortez che avanzava in testa al
gruppo. Gli sembrava comunque di intravvedere qualcosa che faceva pensare ad
un sistema di tavoli, consolle, pannelli di controllo; una sorta di
postazione di comando.
I globuli si fermarono; Cortez fece cenno ai suoi di bloccarsi. Più
avanti, nella postazione in ombra si notavano piccoli guizzi luminosi
rossastri, come i bagliori di un neon che si stesse accendendo.
"Credo che tra poco conosceremo un ammiraglio spaziale." Mormorò Brochard a
denti stretti. Cortez gli fece cenno di stare zitto. In quel momento la
curiosità sembrava aver avuto la meglio sulla paura. L'uomo provava una
strana fiducia, quasi la convinzione che quegli esseri non fossero nemici,
che tutta quella pazzesca guerriglia antica di 50 anni e più, fosse solo il
frutto di un colossale equivoco, di un errore di comunicazione e che di lì a
poco tutto sarebbe stato messo in chiaro.
I guizzi misero in risalto un sistema intricato di venature luminose che
delineava i contorni della postazione. C'erano delle consolle disposte
circolarmente, a poligono sfacettato, intorno ad una zona centrale che
appariva ancora in ombra.
una sagoma piuttosto alta venne avanti. Cortez e gli altri rimasero stupiti
nel notare che si trattava di un essere apparentemente umano.
Era un uomo alto forse un metro e novanta, aveva una corporatura atletica e
indossava una tuta scura, aderente, lucida come fosse in pelle. Mani e capo
erano scoperti; la pelle era appena ambrata.
Il viso era particolare, marcatamente triangolare, con il mento appuntitito
e la fronte molo spaziosa. La capigliatura bruna, corta, disposta
all'indietro, partiva quasi a metà della volta cranica. gli occhi lunghi,
scuri, di taglio orientale, il naso sottile, le labbra molto larghe, appena
marcate, davano a quell'essere un aspetto ambiguo, efebico, istintivamente
sgradevole.
Si fermò a pochi metri da Cortez, allargò le braccia e sorrise.
"Benvenuti." Disse con una voce chiara, in tono scandito. "Vi prego di
deporre le armi. Sono del tutto inutili quì."
Cortez poggiò la mitragietta sul pavimento, imitato dagli altri. L'ultimo fu
Brochard.
Un attimo dopo una specie di lettiga levitante depose Samuel Thomason
immerso nel sonno un paio di metri avanti al gruppo, sul bordo del sentiero
centrale, accanto ad una fila di cupole ovali
"Come vedete il vostro compagno sta bene. Noi non usiamo la violenza. Mi
diaspiace per l'altro; non capisco come siate arrivati ad uccidervi tra voi
anche in un momento simile." continuò l'alieno freddamente.
"Chi sei e che cosa vuoi da noi?" Chiese seccamente Cortez.
"Sono quasi umano anch'io. Come vedete ci somigliamo. Io rappresento il
frutto più avanzato di un processo di fusione che viene portato avanti da
molto tempo. Voi lo chiamate ibridazione, un termine inesatto perchè allude
ad una specie di contaminazione. Invece questa fusione crea individui molto
longevi, con organismi più efficienti e resistenti dei vostri." Il tono
dell'individuo si manteneva distaccato.
"E quei nanerottoli grigi sarebbero i nostri partner in questa luna di
miele?" Chiese sprezzante Jeff Brochard.
"Loro fornisono solo materiale genetico già preparato. Lo portano quì e lo
innestano; questo è il compito che gli è stato affidato." Rispose l'altro.
"Affidato da chi?" Chiese Cortez severo.
"Da una specie molto evoluta, che porta avanti un programma di fusione fra
numerose razze e mira a creare un modello vivente unico." L'alieno si
fermò.
Dalla postazione alle sue spalle si stava avvicinando un'altra sagoma,
umanoide, alta quanto lui e vestita alla stessa maniera ma di sesso
femminile, con i capelli molto lunghi e le forme marcate e prominenti. La
creatura gli arrivò a fianco e sorrise fissando Cortez e gli altri.
"La nostra vita non è diversa dalla vostra; noi ci accoppiamo con trasporto
come voi, anche se la riproduzione avviene diversamente." Disse con voce
squillante.
"Clonazione?" Chiese Angela facendo un passo avanti.
"Anche questo è un termine impreciso; denota una staticità che non
appartiene ai nostri creatori. Parliamo di replicazione dinamica, con linee
in continuo miglioramento. ogni generazione è superiore alle precedenti."
Rispose il maschio.
"Se ci avete attirati fin quì per sottoporci a questo trattamento, vi dico
subito che noi non siamo consenzienti e quindi vi invitiamo a lasciarci
liberi. se davvero non usate la violenza non dovreste avere difficoltà a
rispettare la nostra volontà." Ribattè Cortez deciso.
"Non vi abbiamo attirato, siete venuti voi e con il preciso intento di
annientarci." Rispose l'alieno. "Quanto al consenso, non avete scelta.
L'evoluzione non lascia alternative a se stessa. Una specie meno avanzata
deve allinearsi a quelle più progredite, a meno di non voler soccombere.
Questa è la legge dell'universo." Concluse.
"E' la vostra legge, arbitraria, artefatta. Voi non siete Dio." Esclamò
Angela indignata.
"Dio, come lo chiamate voi, non ha dato consensi ne veti. In assenza di
questi, noi procediamo e nel farlo non entriamo in conflitto con le leggi
cosmiche." Stavolta il tono dell'uomo si era fatto quasi imperioso.
"Non è esatto!" Controbattè accanitamaente Cortez. Voi avete creato una
regola che non c'era in natura. Non potete essere disapprovati, ma neanche
obbligatoriamente seguiti."
"La regola che abbiamo creato non è un caso, non esistono casi
nell'universo. Nel concepirla abbiamo solo messo in atto un programma già
prefissato, antecedente alla vita stessa. Siamo gli attori di un copione già
scritto ed anche voi lo siete, vi piaccia o no." Disse l'alieno giungendo
le mani.
Cortez allargò le braccia e si voltò di lato verso Jeff Brochard; ammiccò
ripetutamente, poi guardò ad uno ad uno i suoi compagni continuando ad
ammiccare.
"Voialtri cosa ne pensate?" Incominciò con tono interdetto. "Siamo di fronte
ad una via senza uscite. Non posso parlare io per tutti."
Parlava per prendere tempo, mentre trasmetteva con il movimento delle
palpebre il messaggio in morse. Angela, Larry Bisanti, Dimitri, Jeff,
Clarissa, avevano intuito tutti ed incominciarono a parlare
disordinatamente, pronunciando frasi incomplete, di protesta, di
invocazione, rinfacciandogli di averli portati laggiù. In poci secondi si
creò ad arte una specie di scompiglio in seno al gruppo.
Linda non capiva; aveva notato che l'uomo si comportava in maniera strana ma
ingnorava il codice SMILE. Si mosse in avanti, rivolgendosi direttamente
all'alieno, tallonata da Clarissa.
"Questa farsa è durata anche troppo!" Esclamò indignasta. "se dovete farci
del male sarete costretti ad usare la forza! E non dite di essere pacifici,
perchè si tratta di una panzana che noi non accettiamo! Venite avanti!
Vediamo fino a che punto potete costringerci!"
Era terrorizzata ma anche furiosa. Sapeva di trovarsi di fronte ai
responsabili della morte di Fred ed in quel momento era sicura di dover
morire. Se davvero doveva succedere, che almeno avvenisse in maniera degna.
Cortez la prese per un braccio tentando di calmarla. Lei gli puntò un dito
contro.
"Ma come puoi dirmi di controllarmi proprio tu? Ti sembra il momento di
cedere? Credi davvero che questi mostri ci lasceranno qualche chance?"
Gli chiese a voce alta.
Cortez scrollò la testa; stava compiendo uno sforzo enorme per allontanare
dai suoi pensieri l'idea di ciò che stava per fare.
Sapeva che gli alieni erano dotati di facoltà telepatiche che permettevano
loro di percepire i pensieri, ma sapeva anche che il livello a cui tale
capacità arrivava era abbastanza superficiale.
Anni di studi avevano dimostrato che i Grigi non erano in grado di leggere
ciò che non veniva coscientemente pensato e proprio per questo rapivano gli
umani sottoponendoli a procedimenti di psicosondaggio con apparecchiature
specifiche.
In quel momento tutti i componenti del gruppo stavano riempiendo le proprie
menti di pensieri diversi: aggressività, paura, rimpianti, curiosità, tutto
pur di non pensare a ciò che sapevano di dover mettere in atto di lì a poco.
Cortez si giò verso i due esseri che osservavano la scena impassibili e
fissò lo sguardo sulla donna he stava indiando le cupole poste di lato. Un
fascio di luce proveniente dalla volta si allargò illuminando meglio
quell'area. Ora le cupole erano divenute trasparenti; dentro c'erano degli
individui umanoidi, simili ai due alieni, immersi in un liquido appena
torbido. Dormivano, almeno così sembrava. Un cordone ombelicale li collegava
ad una specie di placenta adesa alle basi.
Erano del tutto formati ma alti si e no un metro.
"Cresceranno in fretta e quella copertura crescerà con loro, per aprirsi
quando saranno completamente maturi. Nasceranno completamente
autosufficienti e non avranno problemi di inserimento. Avranno già tutte le
nozioni di cui c'è bisogno per vivere da adulti. niente più infanzia,
traumi, vizi psicologici." Disse la donna compiaciuta.
Cortez la fissava cercando di concentrarsi al massimo sulle sue fattezze
fisiche. Doveva ad ogni costo desiderarla e per fare ciò chiamò alla mente
tutte le sue fantasie sopìte.
Fecve qualche passo avanti, arrivandole accanto. Lei gli sorrideva con una
specie di malizia. L'altro era lì, ad un metro di distanza. Sembrava
divertito.
"Sei confuso." Gli disse. "Perchè non ti lasci andare? Hai capito che non
vogliamo il tuo male?"
Cortez battè i piedi sul pavimento e le mani sui fianchi ripetutamente.
Aveva un coltello infilato in una fondina proprio dietro il fianco destro e
stava togliendo il gancio di apertura. Gli alieni evidentemente non erano
stati programmati per conoscere l'arma bianca; era qualcosa di troppo
primitivo per loro.
"E' assurdo. A cosa serve l'accoppiamento se vi riproducete così? io non
riesco a credervi." Disse. Oramai era tesissimo nello sforzo mentale.
La femmina gli si accostò guardandolo intensamente; lui tese la sinistra
verso di lei.
Accadde tutto in un attimo.
Cortez abbassò la visiera, sfilò il coltello e lo piantò con violenza nel
torace del maschio, in corrispondenza del cuore. L'essere sgranò gli occhi,
mentre lui lo afferrava girandolo di spalle alla compagna che stava
sferrando un calcio destinato a colpire Cortez e che invece andò a segno
sulla schiena dell'alieno che si stava afflosciando.
Tutti gli altri avevano chiuso i loro caschi; Clarissa aveva abbassato di
scatto anche la visiera di Linda, la quale solo in quel momento intuì cosa
stesse succedendo.
Jeff Brochard afferrò il mitra e sparò a laser su uno dei globuli,
centrandolo. Angela, Larry, Dimitri, lo imitarono avviando un tiro al
bersaglio contro le altre due sfere che avevano preso a roteare
vorticosamente, emettendo scariche neuroparalizzanti che però andavano a
vuoto grazie alla resistenza delle tute che gli uomini indossavano.
Cortez aveva spinto violentemente il corpo del maschio addosso alla femmina
aliena e nel fare ciò aveva inferto un'altra coltellata, quest'ultima alla
gola.
La femmina si sostò indietro urlando acutamente, poi con un balzo felino si
lanciò di lato, facendo capriole acrobatiche degne di un circo equestre.
Alla seconda giravolta venne colpita ripetutamente. Linda aveva impugnato la
pistola e le stava sparando. La creratua fece un ultimo salto in avanti,
cadendo all'impiedi sul bordo del sentiero centrale. Grondava sangue in più
punti del tronco; guardava incredula la donna che le sparò ancora. Un attimo
dopo stramazzò sul pavimento, ebbe un paio di sussulti convulsi e morì.
Gli altri due globuli erano stati colpiti; Cortez impugnò il mitra e sparò a
lamnciagranate sulle cupole.
"Distruggete tutto!" Urlò furioso. "Non deve restare nulla!"
Si scatenò l'inferno; tutti presero a sparare rabbiosamente sui lati del
sentiero centrale. Le cupole andarono in mille pezzi insieme alle creature
clonate che vi si trovavano. Sotto le coperture ovali c'erano altri esseri
di aspetto umano, più alti, vestiti on tute lucide simili a quelle dei due
alieni. Vennero fatti a pezzi senza potersi difendere.
I prismi esplosero lanciando tutt'intorno frammenti di qualcosa che sembrava
una specie di magma bruno. Tutte le altre strutture saltarono in aria
fracassandosi, schizzando schegge, frammenti incandescenti, ammorbando
l'aria con un fumo verdastro diede il tocco finale a quel paesaggio da
incubo.
Cortez arrivò alla postazione di comando e sparò sulle consolle punteggiate
di spie e pulsanti digitali. Non aveva tempo per cercare di capire cosa
significasse l'insieme di quei comandi, non sapeva cosa sarebbe accaduto poi
ma era sicuro solo di dover disintegrare ogni cosa. Notò che il sentiero
continuava oltre la postazione arrivando sul lato opposto della caverna,
davanti ad un pannello diverso dagli altri, più largo, sicuramente un
portello che in quel momento era chiuso. Si chiedette se quella fosse una
via d'uscita o l'accesso ad un'altra camera di quell'inferno, ma non poteva
fermarsi a pensare.
In un minuto la nebbia ed il fumo avevano tolto praticamente ogni visibilità
a distanza. Jeff urlò di usire e spinse Clarissa e Linda verso l'ingresso;
Dimitri li seguì, poi Larry, poi ancora Angela, seguita in ultimo da Cortez
che continuava a sparare alla cieca. I due si trovarono vicinissimi; lei
lo guardò prendendogli un braccio.
"Dove sono i Grigi?" Gli chiese.
"Li troveremo nell'altra caverna, ora dobbiamo solo uscire di quì." Rispose
Cortez, poi le puntò la mitraglietta sulla visiera.
"Devi dirmi qual'è l'antidoto; non dimenticarlo!" La sua voce era impastata
di odio.
"Lo saprai quando saremo fuori." Disse secca la donna.
Clarissa si bloccò a pochi metri dal varco, facendo cenno agli altri di
fermarsi. La nebbia si era diradata appena ed ora era possibile vedere oltre
l'accesso alla galleria.
C'era una nuova barriera magnetica all'ingresso, un alone appena sfumato
oltre il quale si distinguevano 6 Grigi disposti su due file. Erano tutti
identici, immobili, con le mani intrecciate e poggiate sul petto. Sembrava
che fissassero gli uomini con severità, anche se le loro espressioni erano
totalmente amimiche.
Jeff si piazzò disteso sul bordo del sentiero, facendo cenno agli altri di
mettersi al riparo. Linda si acquattò poco dietro Clarissa la quale si era
inginocchiata più al centro, mentre Cortez veniva avanti tenendosi basso.
"Stavolta non abbiamo scelta; piazziamo una mina davanti al varco e
affrontiamoli." Disse Brochard deciso.
In quel momento Cortez vide un guizzo simile ad un raggio rosso saettare
verso Clarissa da destra. Un attimo dopo la donna colpita fu avvolta dalla
fiammata di un'esplosione finendo in brandelli. L'uomo scattò in avanti
andando a coprire Linda e trascinandosela carponi sul lato opposto del
sentiero.
Altri raggi, altre esplosioni.
Dimitri scomparve preso in pieno, mentre il fuoco aumentava. Qualcuno
sparava appostato in mezzo ai rottami fumanti. Le esplosioni battevano
incessantemente il sentiero. Il corpo di Sam Thomason, disteso più avanti,
venne fatto a pezzi.
Cortez attivò il visore notturno; la scena si illuminò di giallo,
permettendo di distinguere sagome apparentemente umane, forse quattro,
scure, alte, che si muovevano rapidamente in mezzo alle macerie sparando
senza tregua.
"Non li abbiamo presi tutti!" Urlò furioso Brochard. "Sparate,
distruggeteli!"
Un fuoco d'inferno nuovamente.
Piazzati oltre il bordo del sentiero, Jeff, Larry e Angela sparavano a
raffica, lanciavano granate, raggi laser, impegnati in un duello disperato
con quelle crerature che avevano tutta l'aria di essere sbucate da un
anfratto indefinibile. Cortez strisciò più indietro insieme a Linda,
andando a ripararsi in mezzo a rottami semifusi immersi in un megma caldo
simile alla pece.
Ne centrò uno, un altro venne colpito da Brochard ma un attimo dopo una
nuova scarica colpì l'uomo disintegrandogli la testa.
Larry e Angela arretrarono anche loro mentre Cortez continuava a sparare,
rotolandosi in mezzo alla fanghiglia tenendo Linda aggrappata.
Un altro guizzo; Larry venne centrato. Angela riuscì a distinguere la sagoma
che sparava e la prese in pieno, poi tentò di cambiare posizione.
Non fece in tempo.
Venne colpita alla coscia ed all'inguine. Un essere alto quasi due metri
balzò in avanti verso ciò che restava della consolle principale. Cortez
sparò ripetutamente ma solo alla terza raffica lo prese. Lui si afflosciò al
centro del sentiero, accanto al corpo del primo alieno ucciso.
Cortez estrasse dallo zaino tre granate al fosforo, le mise nel caricatore e
sparò ripetutamente. Un attimo dopo tutta l'area al lato opposto al sentiero
entrale divenne un rogo di fiamme.
Rimase lì, immobile, abbracciando Linda che gli stringeva un lembo della
tuta disperatamente, poi strisciò con lei verso destra.
Angela era viva. Una gamba era ridotta a brandelli, l'inguine sinistro ed il
basso ventre erano sfacelati, ma la donna respirava ancora.
L'uomo le fu addosso, sollevandole la visiera del casco. Il viso di lei era
bianco come un cencio.
"Qual'è l'antidoto?" Le chiese scuotendola.
"Oramai è finita." Mormorò Angela con un filo di voce.
"L'antidoto!" Urlò lui nuovamente.
La donna abbozzò un sorriso rassegnato respirando affannosamente.
"La fiala bianca." Disse. "Non ce l'ho con te... perdonami."
Cortez la ignorò; aprì il contenitore, estrasse la fiala già montata
sull'iniettore, tolse il casco a Linda evidenziandole il collo, appoggiò la
pistola d'iniezione e premette lo stantuffo. Linda fece appena una smorfia
di dolore; l'uomo le carezzò velocemente la fronte, poi le riapplicò il
casco senza parlare.
"Puoi fidarti...non ti ho mentito...io ti amo." Rantolò Angela crecando la
mano di Cortez. In quel momento morì.
L'uomo ebbe un attimo di esitazione, poi riprese a strisciare verso la
consolle fissando il corpo dell'ultimo alieno colpito.
"Non dovrebbero essercene più." Disse a linda con voce soffocata. Lei non
rispose.
"Resta quì" Le disse un attimo dopo ed incominciò a strisciare verso i resti
di Jeff Brochard e poi verso quelli di Larry.
La donna lo vide ameggiare convulsamente con quello che restava dei loro
zaini. Cortez stava rifornendosi di tutto quanto potesse: cartucce, granate,
ammortizzatori di traccia. non sapeva cosa avrebbe incontrato dopo ma
comunque non aveva intenzione di ritrovarsi a corto di mezzi.
Ritornò accanto a Linda dopo un minuto; i due arrivarono strisiando fin
davanti la postazione di comando. Il primo alieno ucciso giaceva immobile,
con gli occhi sbarrati. Accanto a lui c'era un individuo vestito con una
tuta porosa grigio scura, con il tronco squarciato da cui fuoriuscivano
sangue e brandelli di carne. Aveva una specie di passamontagna gommoso che
gli copriva il volto, lasciando scoperti solo due occhi scuri, fissi nel
vuoto. Cortez glielo tolse e vide un volto umano, dai tratti delicati,
orientaleggianti, forse era un indiano.
"Rapiti, sottoposti a quel loro processo di condizionamento e asserviti alla
causa del diavolo!" Disse a denti stretti.
"Come usciremo da quì?" Chiese Linda disperata.
Cortez si girò a sinistra, guardò verso il varco precedente, oltre il quale
non era più possibile distinguere le sagome dei grigi, poi si voltò a
destra, fissando l'altro portello all'estremità opposta del sentiero.
"Andiamo lì." Disse ed incominciò a strisciare con linda verso la parete.
Il portello era a doppio battente. L'uono vi piazzò una mina, poi si spostò
con la sua compagna per parecchi metri, mantenendosi a qualche metro dalla
parete. Quando i due furono al riparo in mezzo ai rottami divelti, Cortez
fee stendere Linda a pancia in giù e le si mise disteso addosso per
coprirla, poi azionò il omando a distanza.
L'esplosione fu come uno schiocco che fece vibrare l'intera caverna; il
portello si squarciò, evidenziando una nuova galleria. I due vi arrivarono
muovendosi a quattro zampe, entrarono ed incominciarono a camminare
tenendosi a ridosso della parete. Cortez andava avanti con la mitraglietta
spianata.
"Dove credi che porti?" Chiese Linda con la voce di una bambina.
"Non lo so, comunque sembra un posto tranquillo." Rispose l'uomo affannato.
La galleria era più stretta di quell precedente, appena illuminata dalla
fluorescenza delle pareti; girava su se stessa descrivendo un'ampia
curvatura che non lasciava vedere oltre qualche metro.
Dopo tre minuti interminabili i due arrivarono in una piccola caverna
circolare. Non c'era più rivestimento, solo le pareti levigate ed una
piattaforma di roccia completamente liscia. Dalla cavità partiva un altro
condotto diretto in alto obliquamente, completamente buio.
"Forse ho capito!" Disse l'uomo esaltato. "Saliamo sulla piastra di roccia."
Si distesero entrambi sulla pietra ed allora Cortez guardò verso l'interno
del condotto obliquo, pensando intensamente al cielo, all'aperto,
immaginando di volare in alto. Lo fece concentrandosi al massimo, scandendo
i pensieri e le immagini che si formavano nella sua mente. aveva un'idea ai
limiti della follìa ma non si era sbagliato.
La piattaforma si mosse, infilandosi nel condotto e mantenendosi
perfettamente orizzontale, poi accellerò verso l'alto, un'accellerazione
potente. Si vedeva la roccia scivolare velocissima sui lati ma non si
percepiva vento e neanche la velocità. La pietra era solo una copertura
mimetica di un veicolo a gravitaione autonoma che funzionava ad impulsi
psichici, modulato sulla frequenza dei pensieri umani, forse per essere
utilizzato da quegli uomini che gli alieni avevano asservito al loro potere.
Durò tutto un paio di minuti, poi Cortez e Linda si ritrovarono all'aperto,
sulla piattaforma he sembrava perfettamente incastrata nel terreno
circostante. Mossero un paio di passi ed allora vennero presi entrambi dalle
vertigini. Il passaggio dal sistema autogravitazionato all gravità terrestre
li aveva fatti sbandare. Erano le 5 meno un paio di minuti, il cielo era
ancora buio ma si notava una densa colonna di fumo venire da est, non se ne
vadeva l'origine poichè un terrapieno alto due o tre metri impediva la
visuale, ma si udivano esplosioni lontane ed un rombo simile a quello di un
terremoto.
Improvvisamente risuonò uno satto metallico alle spalle dei due. Cortez si
voltò di scatto con l'arma puntata e vide che la piattaforma era scomparsa.
La voragine che era rimasta si stava chiudendo grazie a due battenti
perfettamente rivestiti come il terreno che sigillarono il condotto in pochi
secondi.
I due oltrepassarono il terrapieno ed allora fu possibile grazie ai visori
notturni capire cosa stesse succedendo.
La base di Kyzil Atreh era a meno di 300 metri, avvolta dalle fiamme.
Esplosioni fragorose stavano facendo saltare in aria hangar, alloggiamenti,
postazioni di controllo, proprio come durante un bombardamento.
Ai margini di una piattaforma di decollo stavano parcheggiati due MIG 64,
aviogetti di ultima generazione dell'Unione Sovieto-Islamica; sembrava che
nessuno si occupasse di loro.
"Andiamo!" Disse l'uomo. "Prenderemo uno di quelli e rientreremo; il peggio
è già passato."
"Ma quella è una base militare; ci saranno delle difese. Ci spareranno
addosso!" Protestò Linda.
"Non ci vedranno nemmeno." Rispose lui sicuro, attivando l'ammortizzatore
di traccia. "Stammi vicino."
Corsero in mezzo alla campagna brulla, arrivando al recinto metallico della
base che l'uomo abbattè con una granata. Scattarono le sirene d'allarme;
una serie di riflettori si acese ma di militari nemmeno la traccia.
Cortez tirò Linda che esitava impaurita ed attraversò la spianata oltre il
recinto, sparando su riflettori e fotoelettrihe che riusiva a localizzare
grazie al visore notturno. Finalmente i due salirono sull'aereo. Cortez si
piazzò al posto di pilotaggio, assicurando Linda al sedile posteriore.
Decollarono trenta secondi dopo, del tutto indisturbati. Al suolo si stava
scatenando un terremoto; la terra vibrava minaciosamente ed incomiciarono ad
aprirsi crepe da ogni parte.
Immediatamente l'uomo trasmise un messaggio alla sua base, annullando il non
intervento chiesto precedentemente e fornendo la propria posiione e quell
approssimativa della verticale su cui l'ufo si trovava, sepolto nelle alture
del Kopet Dagh. Le aveva davanti a se, ad un paio di chilometri, ma
sapeva di avere tutt'intorno aviogetti del Patto di Kabul pronti ad
intervenire.
La terra esplose come un vulcano in eruzione, coperchiando la cima
appiattita di un'altura e vomitando tonnellate di magma incandescente che
sommersero l'intera zona circostante, facendo letteralmente scomparire la
base di Kyzil Atreh.
"Sono loro; stanno per uscire!" Urlò l'uomo. Linda lo chiamò disperata.
"Cosa vuoi fare? Non puoi distruggerlo da solo! Andiamo via; ti prego!"
"No!" Rispose lui deciso. "Gli Islamici ci intercetterebbero se ci
vedessero allontanarci. Così crederanno che siamo della base. Opereremo
insieme!"
"Ma avranno sicuramente intercettato il tuo messaggio. Ora sanno chi siamo!"
"Non lo credo per niente. Ho trasmesso in codice. Avranno si e no
intercettato delle musiche e non conoscono la chiave di decodifica. Angela
non la conosceva."
Il MIG volava basso, sembrava solo ma sul radar c'erano le tracce di altri 6
aerei a quota molto più alta. Cortez sapeva bene che gli Islamici non gli
avrebbero inviato messaggi radio per evitare che uesti venissero
intercettati dagli alieni. Se il suo messaggio era stato recepito,
l'ombrello satellitare della NATO era già in all'erta ed entro qualche
minuto i velivoli dei suoi avrebbero raggiunto i limiti dell'atmosfera. In
quel duello contro l'ufo lui rappresentava la prima linea.
In mezzo al fumo nero ed ai lapilli incandesenti che la bocca del nuovo
vulcano lanciava senza tregua comparve l'oggetto, sospeso a mez'aria,
circondato da un alone jonizzato di colore rossastro. Cortez si manteneva a
quota bassissima, meno di 50 metri dal suolo, l'unico modo per evitare di
essere visto. Aveva piazzato i tre ammortizzatori di traccia che gli erano
rimasti nell'abitacolo. Pregò Dio che funzionassero.
Una serie di guizzi calarono dall'alto puntando contro l'ufo che li evitò
spostandosi fulmineamente in una serie di zig zag. l'oggetto si muoveva
anch'esso basso come in uno slalom bersagliato dalle armi degli Islamici.
Puntò velocemente verso sud ovest, inseguito dal tiro degli aerei d'alta
quota. Ad un certo punto Cortez diede una spinta massiccia ai motori; l'ufo
stava mutando il colore dell'alone jonizzato che da rosso virava in
giallo-verde.
"Sta per impennarsi." Disse accanito. "Se non ci ha visti, ora possiamo
fregarlo."
L'oggetto mutò improvvisamente direzione, schizzando in alto su di una
traiettoria obliqua, quasi verticale ed allora il MIG 64 lo anticipò,
lanciando una rosata di 12 razzi laser guidati, fino a coprire un angolo di
110 gradi.
L'ufo si scansò, ma in accellerazione di fuga aveva ovviamente meno
possibilità di zigzagare. Evitò 11 missili; il dodicesimo lo colpì facendolo
sbandare.
Per altri pochi secondi l'oggetto continuò a fare slalom, lanciando raggi
verso l'alto, diretti contro gli aerei del Patto di Kabul che lo stavano
nuovamente attaccando. Il MIG di Cortez era sceso nuovamente a quota 200
metri e stava immobile a mezz'aria, sperando di non essere visto.
L'ufo saettò di nuovo in alto; aveva colpito tutti i suoi bersagli ed oramai
era praticamente libero. Cortez lanciò una nuova rosata, stavolta però
l'oggetto riuscì a scansarsi e rallentò ancora. L'aveva visto.
L'uomo trasalì. Entro pochi attimi sarebbe morto. Tentò di pensare qualcosa
ma in quella frazione di secondo nella sua mente si affollò una serie
indescrivibile di pensieri, tanti da non riuscire a coglierne nemmeno uno.
Un nuovo raggio, obliquo da sud ovest; l'ufo venne colpito in pieno, il suo
alone ridivenne rosso e l'oggetto incominciò ad ondeggiare orizzontalmente,
perdendo quota.
Cortez imprecò; lanciò gli ultimi missili che aveva e colpì di nuovo. L'ufo
cadeva in basso, non ruotava, l'alone sembrava opacato.
Improvvisamente l'oggetto mutò nuovamente direzione, si risollevò lentamente
riacquistando l'alone verde e prese a risalire, arrivando a circa 2000 metri
di quota.
In quell'attimo esplose trasformandosi in un globo incandescente; il
bagliore fu tale da illuminare a giorno l'intera area fino alla linea
dell'orizzonte.
Durò tutto pochi secondi, poi non si vide più nulla.
Cortez aveva seguito la scena, rimanendo assorto; inspirò profondmente, poi
impostò la rotta di volo puntando verso ovest. Il MIG salì velocemente fino
a portarsi a quota 20000 metri, assestandosi sui 3000 km orari. Lo schermo
radar era vuoto ma il rilvatore avarie segnalava intensi disturbi nella
ricezione.
La mano di Linda si posò sulla spalla dell'uomo il quale si voltò con un
sorriso stanco.
"E' finita." Le disse sospirando, poi le baciò la mano.
"Torniamo a casa?" Chiese lei con l'espressione bambina.
Cortez annuì; inserì il pilota automatico e con entrambe le mani strinse
quella di Linda.
In quel momento all'interno della cabina risuonò un ronzìo. L'uomo si girò
di scatto verso il quadro comandi ed incominciò ad armeggiare con i
pulsanti.
"Cosa succede?" Chiese Linda spaventata.
"Non lo so; non riesco a disinnestare la guida automatica. Sembra tutto
bloccato." Rispose l'uomo serio.
Cortez...!" Incominciò lei disperata. L'altro la interruppe.
"Siamo in assetto, non aver paura." Disse rincuorato. "E' come se
l'autopilota si fosse...incantato...come se fossimo...guidati." Concluse
esitante.
"Sono ancora loro; ce n'erano altri." Riprese la donna ansimante. L'uomo
non rispose, continuando a premere pulsanti sul quadro.
Un attimo dopo la cabina fu illuminata a giorno da un bagliore. Un oggetto
enorme superò l'aereo dall'alto ed andò a piazzarglisi avanti, mantenendo
una distanza costante che non superava i 1000 metri.
Era un oggetto a forma di disco biconvesso, completamente bianco,
abbagliante, largo più o meno 50 metri. Volava in perfetta sintonia con il
MIG.
"Non è uno dei loro...non ha la stessa forma." Mormorò stupìto Cortez.
Il ronzìo si trasformò in un sibilo, sottile e penetrante. Lo schermo radar
si spense per poi illuminarsi di azzurro. L'uomo osservò senza parlare i
contorni di un volto che prendevano via via forma sullo sfondo.
Era un'immagine stranissima: un volto umano, ovale, con occhi lunghi e
chiari, naso sottile, labbra regolari atteggiate in un sorriso, capelli
folti, di colore cangiante fra il dorato, il violetto e l'argenteo. Il
sesso era indefinibile. La particolarità unica stava però nel colore di
quel viso che sembrava cristallino. Una struttura lucente, limpida, simile a
quella di un diamante levigato.
Linda si protese in avanti, osservando come incantata quel viso che
sorrideva, muovendo le pupille come se stesse osservando l'interno della
cabina. Nessuno dei due aveva più timore; quella presenza dava un senso di
ottimismo, di pace, una sorta di gioia dimenticata, come se intorno tutto
fosse una specie di Eden.
Il sorriso della creatura si allargò e gli occhi ebbero una specie di guizzo
luminoso.
"Non siete soli." Disse lentamente con una voce femminile, dolcissima.
"Noi vi aiuteremo a crescere liberi, anche se non ci manifesteremo
apertamente; ricordatevi però che vi seguiamo. Siamo tanti, non potete
immaginare quanta vita c'è nell'universo."
Cortez si schiarì ripetutamente la voce. "Da dove venite?" Chiese quasi
afono.
Non vi fu risposta. La creatura annuì sorridendo e scomparve un attimo dopo.
lo schermo radar riacquistò il suo colore originale. Fu appena possibile
vedere l'ufo mutare direzione impennandosi verso l'alto, per poi scomparire.
Le spie del quadro guida si riaccesero; l'uomo effettuò un rapido controllo.
Il velivolo era di nuovo operativo.
"Avevi ragione tu. C'è un'altra specie che ci è amica." Disse l'uomo.
Linda gli prese la faccia tra le mani ed incominciò a baciarlo su di una
guancia. Cortez si liberò dalla cintura di sicurezza, si girò all'indietro e
dopo averle preso la nuca, la baciò lungamente sulla bocca. La donna
piangeva; lui sentiva le sue lacrime che gli bagnavano il viso. Una specie
di nodo gli venne su dallo stomaco alla gola, facendolo singhiozzare
rumorosamente. Un attimo dopo anche gli occhi dell'uomo erano gonfi di
lacrime.



CAPITOLO 15

DAL CNN NEWS NET DEL 20 APRILE.
CAPOVOLGIMENTO POLITICO IN IRAN.
Durante la notte, truppe dell'esercito Iraniano, appoggiate da unità scelte
dell'aviazione e da gruppi armati legati alle fazioni dissidenti Islamiche,
hanno attaccato i principali punti strategici del governo, rovesciando il
regime di Rahzi Jasfanei, a tre anni dal suo insediamento.
Tuttora sono in corso combattimenti a Teheran e nelle altre città del
territorio Iraniano. Scontri particolarmente duri sdono segnalati ad est di
Shiraz dove l'aviazione legata al gruppo neo-golpista starebbe bombardando a
tappeto obbiettivi militari fedeli al deposto governo.
Secondo fonti dell'ambasciata Statunitense a Teheran, l'ex Presidente Rahzi
Jasfanei si sarebbe tolto la vita nel corso dei combattimenti. Non è nota
attualmente la sorte degli altri membri del governo.
Alle 6,30 locali il Colonnello Shivan Kaptelani è comparso in televisione
sulla rete nazionale e, dopo aver dichiarato decaduto il regime di Jasfanei
si è proclamato Presidente della "Repubblica democratica Islamica
dell'Iran".
Kaptelani ha reso noti i nominativi dei membri componenti il nuovo governo;
fra questi spiccano alcuni ex dissidenti storici del vecchio regime, come
Kabir Faszamelai, ma anche ex oppositori dell'antica Repubblica Islamica
come Zavani Karaman e Amelan Tarnakadi, quest'ultimo rientrato nella notte
dagli USA in cui si trovava in esilio. Ministro della Cultura è stato
nominato l'Iman Sadeq Akyyam, un uomo già noto agli ambienti internazionali
per le sue idee moderate e per i suoi studi di etica Coranica.
Il neo-Presidente ha affermato che l'Iran continuerà la sua politica di
distensione con il mondo occidentale ma che al tempo stesso riaprirà il
dialogo con i paesi del Patto di Kabul, nell'ottica di un piano di
pacificazione globale di tutto il Medio Oriente. "La lotta fratricida fra
le grandi culture che condividono il principio religioso di un Dio Padre
comune, non deve più separare tra loro uomini fondamentalmente fratelli,
alimentando così solo il potere del Male che si fa forte solo delle
discordie umane." Queste le testuali parole di Shivan Kaptelani nel corso
del suo discorso televisivo.
Immediate le reazioni del mondo politico internazionale.
In un comunicato congiunto di tutte le nazioni aderenti al Patto di Kabul,
il portavoce del governo dell'Unione Sovieto-Islamica ha riferito la grande
soddisfazione dell'intero blocco di alleanza per la caduta del regime
Jasfanei ed il ritorno di una repubblica democratica, legata alle millenarie
tradizioni di quella nazione, auspicando un rientro dell'Iran nell'Alleanza
Pan Islamica. lo stesso portavoce non ha commentato le frasi pronunciate da
Kaptelani sulla distensione in Medio Oriente.
Da Mosca il ministro degli esteri Sgayenigov si è detto preoccupato per
questa ulteriore destabilizzazione nell'area del Golfo Persico, affermando
che qualora il nuovo governo non riuscisse a conciliare le sue prerogative
conservatrici con i programmi di pacificazione che dice di voler promuovere,
l'Iran potrebbe trasformarsi in un territorio di contesa fra opposte fazioni
e piombare in uno stato di guerriglia permanente.
Nessun commento fino ad ora dagli altri paesi Asiatici, India, Cina, Unione
Indocinese, Giappone, Filippine e Indonesia.
Dal Parlamento Europeo è stato diramato alle 7,30 di stamani (ora di
Bruxelles) un commento cauto sugli eventi. "Il governo Jasfanei ha
rappresentato una garanzia per i Paesi del blocco NATO" Dice testualmente
il documento. "Certamente il nuovo regime dovrà dare segni concreti di
amicizia al mondo occidentale per ottenere da questo lo stesso credito. Gli
entusiasmi trionfalistici dei paesi aderenti al Patto di Kabul tuttavia
fanno prevedere che la linea politica della neo repubblica Iraniana potrebbe
essere sottoposta a forti pressioni dalle nazioni limitrofe. In questa
prospettiva l'Europa dovrà essere molto attenta; Jasfanei ha lasciato un
Iran tecnologizzato che da eventuale nemico potrebbe essere assai più
pericoloso dell'antica Repubblica Islamica."
Una reazione simile, con toni più accesi, viene da Tel Aviv, dove il golpe
viene sbrigativamente definito un ritorno al vecchio regime e l'inizio di un
nuovo pericolo per Israele.
Nessun commento ai fatti è pervenuto fino ad ora dalla Santa Sede.
Il commento più atteso, quello del governo Americano, è giunto per ultimo e
si è mostrato inattesamente ottimistico.
"L'ampio schieramento ideologico abbracciato dai componenti dello staff
Kaptelani fa sperare anche se a lungo termine che possa aprirsi un dialogo
diplomatico fra il blocco NATO ed il Patto di Kabul. Aspettiamo le prime
mosse diplomatiche del nuovo governo e le relative reazioni delle Nazioni
dell'Alleanza Islamica per spingerci in ulteriori valutazioni. Nel
frattempo il dispositivo di difesa della NATO manterrà costante lo stato di
all'erta, a salvaguardia dell'integrità di Israele e delle Nazioni Europee."
così ha riferito il portavoce della Casa Bianca in un comunicato emesso
alle 2 del mattino (ora di Washington D.C.).........

DA CNN- WEB JOURNAL. LATEST NEWS DEL 20 APRILE.
TERREMOTO IN TURKMENISTAN.
Alle ore 5,03 minuti di questa mattina un terremoto del quinto grado della
scala Richter, con epicentro localizzato 14 km a est nord est della
cittadina di Kizyl Atreh, ai confini meridionali del Turkmenistan con il
territorio Iraniano, ha interessato un'area compresa fra Ashabad, la catena
montuosa del Kopet Dagh, la costa Caspica del Turkmenistan meridionale e
l'estremo nord dell'Iran, fino al Vallo di Alessandro.
In corrispondenza dell'epicentro del sisma, posto in una zona collinosa
all'estremo sud del gruppo montuoso, si è aperta una bocca vulcanica che ha
emesso un tappo di materiale lavico. Quest'ultimo è esploso, provocando una
violenta pioggia lapilli, cui è seguito un black out radio, tuttora in
corso.
Gli insediamenti urbani di Kizyl Atreh in Turkmenistan e Tappeh Moraveh in
Iran , sono stati completamente distrutti. Danni variabili sono segnalati
nella città Turkmena di Kizyl Arvat e nei centri vicini, mentre in Iran gli
effetti del sisma si sono estesi fino alla cittadina di Boinurd.
Impossibile per ora traciare un bilancio delle vittime umane.....

DAL WEB NEWS DELL'E.U.F.I. (EURO- UFOLOG- FEDERATA- INTEL) DEL 22 APRILE.
In base alle testimonianze raccolte dal nostro inviato di Atene Sabrina
Anghelopulos fra i pastori che all'alba del 20 Aprile si trovavano sulle
alture del Kopet Dagh, al momento del sisma un oggetto volante non
identificato di forma triangolare sarebbe emerso dal cratere identificato
come epicentro del movimento tellurico.
L'UFO avrebbe emesso numerosi bagliori e sarebbe stato ripetutamente colpito
da "raggi" provenienti dalle zone alte dell'atmosfera, esplodendo poi con un
forte boato e riversando materiale incandescente in un'area di almeno 10 km
di diametro. Alcuni testimoni hanno riferito di aver notato anche un
aereo compiere evoluzioni a bassa quota nella zona.
Attualmente l'intera area circostante l'epicentro del sisma presenta un alto
tasso di radioattività e molti sopravvissuti presentano gravi ustioni sul
corpo.
L'insieme delle informazioni raccolte fa pensare che nei cieli del
Turkmenistan meridionale si sia svolto un vero e proprio combattimento fra
uno o più UFO ed aerei militari, con la vittoria finale di questi ultimi.
Alla luce di ciò, l'intero evento sismico potrebbe essere attribuito ad un
intervento di marca aliena, in cui l'UFO, una volta emerso da una cavità
posta all'interno dei rilievi del Kopet Dagh,avrebbe ingaggiato un
combattimento con unità aerospaziali dell'Unione Sovieto-Islamica.
Singolare è il fatto che la base aerea di Kizyl Atreh sia rimasta totalmente
distrutta dal sisma nonostante l'assoluta invulnerailità dei suoi
sotterranei, antinucleari ed antisismici. La zona circostante
l'istallazione è stata isolata e l'accesso negato ai civili, comprese le
unità della Croce rossa Internazionale e della Mezzaluna Sanitaria Islamica.
Il comando aereo di Ashabad ha seccamente smentito quanto ipotizzato dalla
Anghelopuos, affermando che non vi è stato alcun movimento aereo nella zona,
mentre il governo Sovieto-Islamico ha formalmente invitato la nostra inviata
a lasciare immediatamente il Paese.
Analoghe smentite vengono dal comando NATO di Ankara, dal comando
aerospaziale sud Europeo di Napoli e dal comando centrale del WASD negli
Stati Uniti d'America.
Il Dipartimento Congiunto di Difesa Europea ha invitato l'EUFI ad astenersi
dal formulare ipotesi sensazionalistiche, fantasiose e prive di fondamento,
definendole fuori luogo ed irrispettose riguardo al dramma che attualmente
vivono le popolazioni colpite dal sisma.
Sabrina Anghelopulos sta per rientrare in Europa a bordo di un aereo della
Croce Rossa Internazionale. La direzione centrale dell'EUFI ha ottenuto
dalla rete televisiva Francese ATN di poter mandare in onda un programma
speciale in cui la nostra inviata raconterà al pubblico quanto ha visto e
sentito in Turkmenistan, corredandolo con foto e filmati.
Nonostante l'ostinata chiusura dei Governi Mondiali alla divulgazione di
eventi correlati a fenomeni ufologici, l'EUFI continuerà coraggiosamente la
propria opera di informazione, senza lasciarsi influenzare dai numerosi
tentativi di ridicolizzazione e di depistaggio messi in atto a suo danno.

F I N E

PERIODO DI STESURA: 1998-1999