Scienza - 10.01.2002

ENIGMI - Per riuscire a tradurlo sono state impiegate le tecnologie
più moderne, ma senza risultato
Il libro più misterioso del mondo
È il manoscritto Voynich, scoperto nel 1912 e scritto in una lingua
ignota


Marco Cagnotti

Il più affascinante mistero linguistico non è un'oscura incisione
rupestre in una remota vallata andina né sono i cocci di un antico
vaso ritrovato in Estremo Oriente. È un libro, invece, rinvenuto nel
cuore della civilissima Europa e fatto risalire al Rinascimento. Un
manoscritto stupendo che lo studioso americano Wilfrid Voynich scoprí
nel 1912 a Villa Mondragone a Frascati, presso Roma. Da quasi 90 anni
quel documento sfida specialisti di crittografia e linguisti.
Il manoscritto Voynich fu rinvenuto insieme a una lettera che
spiegava come fosse stato venduto all'imperatore Rodolfo II di Boemia
(1552-1612) per la consistente cifra di 600 ducati (pari a circa tre
chili e mezzo d'oro). La lettera suggeriva pure che il manoscritto
poteva esser stato redatto dal monaco francescano e filosofo Roger
Bacon, precursore nel XIII secolo del metodo scientifico. Un'ipotesi
suggestiva che sembra confermata almeno dalle illustrazioni. Il
documento è infatti diviso in tre parti, dedicate rispettivamente
alla botanica, all'anatomia femminile e all'astrologia. Però le
piante rappresentate nei disegni che accompagnano il testo non hanno
alcun corrispondente con i vegetali noti, le piccole figure di donne
nude sono tutte immerse in lunghe strutture simili a tube di
Falloppio, e i disegni astrologici sembrano perfino rappresentare la
Galassia di Andromeda. Il manoscritto Voynich raccoglie in 300 pagine
250 mila parole (di 40 mila diversi tipi) scritte con un numero di
caratteri variabile fra 23 e 30, di origine verosimilmente europea o
araba ma apparentemente non riconoscibile. Non presenta errori né
correzioni ed è stato composto da almeno due mani, forse perfino in
due diverse lingue o dialetti. Il prezioso documento è ora conservato
presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'americana
Yale University e rappresenta una sfida per chiunque si interessi di
crittografia. Una sfida che, manco a dirlo, è stata più volta
raccolta. Invano, almeno per ora.
Più di un traduttore ha proposto una propria soluzione, ma tutte
hanno dovuto fare i conti con la parzialità, perché sembrano potersi
applicare soltanto ad alcune parti del manoscritto e non a tutta
l'opera. Un fatto che da qualche studioso, come Robert Brumbaugh,
della Yale University, è stato interpretato come un indizio della
natura truffaldina del manoscritto rinascimentale. Sarebbe insomma
soltanto un imbroglio architettato per spillare soldi all'imperatore.
Un'ipotesi respinta categoricamente da altri specialisti, che hanno
deciso di scatenare il meglio della tecnologia moderna per venire a
capo del mistero, coinvolgendo perfino gli analisti dell'americana
National Security Agency, che fra gli Anni Sessanta e Settanta hanno
rielaborato il testo in modo che potesse essere analizzato da un
computer. E qualcosa, in effetti, la tecnologia ha fatto emergere.
Le possibilità sono due: o si tratta di una vera lingua, con parole
dal significato proprio che devono trovare un corrispettivo in un
idioma moderno per essere comprese, oppure si tratta della
traslazione in forma cifrata di una lingua nota, come il latino o una
lingua europea medievale. Nel primo caso bisogna far saltare fuori,
trovandolo o ricostruendolo, un dizionario. Nel secondo caso bisogna
trovare il codice. Quest'ultimo potrebbe impiegare una cifratura
semplice, che sostituisce lettere uguali con simboli uguali, oppure
polialfabetica, che cambia simbolo ogni volta. Le cifrature semplici
sono facili da violare con metodi statistici, semplicemente studiando
la frequenza con cui i segni si ripetono e confrontandole con la
frequenza delle lettere nelle lingue note. Ovviamente rimane aperta
la questione della lingua da cui sarebbe partita la cifratura
(latino?... tedesco medievale?...) Le cifrature polialfabetiche sono
più complesse ma non impossibili. Ebbene, nessuno di questi metodi ha
portato da qualche parte. Anche perché la stessa lettura del
manoscritto è irta di difficoltà: spesso i segni che dovrebbero
rappresentare delle lettere sono confusi, incerti, indistinguibili
fra loro. Qualche studioso ha suggerito che perfino gli spazi fra una
parola e l'altra potrebbero essere stati disposti a caso per trarre
in inganno.
Oppure, invece, è proprio una lingua tutta sua quella in cui è stato
scritto il manoscritto Voynich. E allora sorge subito la questione
della sua natura e della sua origine. Poi bisognerà tradurla,
ovviamente. Qualche proprietà, per esempio, è già stata scoperta. Fra
queste, l'entropia. Già, perché anche alle lingue può essere
applicato questo concetto mutuato dalla termodinamica. In sostanza,
si tratta di misurare quanto densamente l'informazione
è "impacchettata" nelle parole. Prendiamo il caso della lettera "q",
che in italiano è seguita sempre dalla vocale "u". Si può dire perciò
che questa lettera ha un'elevata informazione (perché dice molto
sulla lettera che la segue) e quindi una bassa entropia. Ebbene, nel
1976 un fisico della Yale University ha determinato il livello di
entropia del manoscritto Voynich, che è risultato essere inferiore a
quello del latino e di tutte le lingue europee. Un fatto, questo, che
tanto per cominciare esclude una cifratura polialfabetica, che di
solito, semmai, aumenta l'entropia di un testo invece di abbassarla.
Fra le ipotesi più curiose vi sono quelle che riconoscono nell'opera
rinascimentale un documento scritto in ucraino ma senza le vocali,
oppure perfino un testo degli eretici catari redatto in una loro
lingua misteriosa. Più seria è la proposta di Jorge Stolfi, un
ricercatore della brasiliana Università di Campinas. Egli ha
riscontrato somiglianze fra le parole del manoscritto Voynich e
talune proprietà fonetiche del cinese. Perché dunque non immaginare
che il documento misterioso sia stato scritto da una delegazione
cinese in viaggio per l'Europa, che raccoglieva le proprie
osservazioni in qualche forma particolare di scrittura fonetica e non
basata sugli ideogrammi? Gabriel Landini, dell'Università di
Birmingham, ha invece impiegato l'analisi spettrale, una tecnica
utilizzata anche per studiare il DNA e riconoscere strutture nascoste
dentro stringhe di caratteri apparentemente casuali. Dalle sue
ricerche è emerso che la lunghezza media di una parola dotata di
significato nel manoscritto dovrebbe essere di 5,9 caratteri, pari
alla lunghezza media delle parole realmente presenti. Ciò suggerisce
che forse gli spazi vuoti non sono davvero distribuiti a caso, e
quelle che leggiamo sono vere e proprie parole. Capire cosa
significano è però, ovviamente, tutta un'altra faccenda.
Nulla di nuovo è prevedibile nelle ricerche sul manoscritto Voynich
almeno finché non si riuscirà ad averne una trascrizione affidabile:
un progetto che è iniziato nelle scorse settimane e che si basa sulle
diverse trascrizioni raccolte negli Anni Sessanta dalla National
Security Agency, per arrivare a una versione definitiva e
riconosciuta da tutti gli studiosi per poter lavorare e confrontare i
risultati. La ricerca continua...

Grazie a Carmelo Scuderi


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