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di C. Cordella |
Film d'autore |
Gocce d'acqua su pietre roventi di François Ozon
La routine stanca? I sentimenti diventano una copia impallidita della passione? Possibile che la socialità debba finire per somigliare alla sequenza iniziale di cartoline ingiallite? Chi troppo vuole rischia di precipitare fatalmente nella casa degli specchi. Qui si conosce l'amore che sconvolge, che sottomette a una crudele dialettica di potere. E soprattutto che condanna alla ripetizione forzata di gesti speculari: non resta che moltiplicare all'infinito un rituale di delizie destinate a diventare un incubo. Ma dietro alla rifrazione ossessiva delle immagini e all'intercambiabilità dei ruoli si nasconde una verità più antica e profonda. La passione più furiosa non è che sublime e tragico amore di se stessi. Per questo dalla casa non si esce vivi: unica illusione di fuga è l'autoannullamento, narcisistica uccisione di sé per cancellare l'immagine dell'altro. Il portamento ironico del racconto di Ozon alleggerisce, senza banalizzarla, la cupa parabola teatrale del diciannovenne Fassbinder. Una regia elegantissima e puntuale celebra le simmetrie del cinema da camera e il gusto retró dell'atmosfera in un'opera di brillante invenzione.Da vedere.
L'uomo che non c'era di Joel e Ethan Cohen
In un memorabile bianco e
nero i Cohen celebrano la visione di una realtà privata di ogni
illusione di senso, limpida e ineffabile come un gioiello.Con
l'aiuto nientemeno che del principio d'indeterminazione si
racconta che nulla è ciò che sembra e che quasi nulla si può
conoscere, anche se i più sembrano sforzarsi di seppellire
questa evidenza sotto cumuli di parole, di cui si saziano fino a
ingrassarne. E così si tira avanti, un giorno dietro l'altro,
impegnati a nutrire responsabilmente le parti vegetative del
nostro corpo. Futuro assicurato per i barbieri...
L'uomo è ben lontano dal poter controllare gli effetti delle sue
azioni, che anzi gli si rivoltano contro. E le vie della
causalità si confondono fino a identificarsi con semplice
casualità. Per queste vie si addentra Ed Crane in articulo
mortis, con un racconto fuori campo che è un viaggio alla
ricerca di un significato dei fatti. Fino a capire di non essere
arrivato a niente se non alla scoperta che forse il significato
sta in qualche modo nell'aver contemplato quell'intreccio. E
l'epifania della morte sarà un bianco accecante, che risolve
tutti i grigi. Sublime.
Viaggio a Kandahar di Mohsen Makhmalbaf
Ciò
che si vede e ciò che non si vede sono il tema dell'ultimo film
di Makhmalbaf padre, travolto da una notorietà inedita per via
delle cronache belliche. Ne consegue un finto documentario, che
promette una storia e invece fa calare il sipario quando la
storia finalmente sta incominciando. In mezzo, esterni quanto mai
luminosi ed eleganti, immagini tanto più solari in quanto
assediate dalla minaccia dell'eclissi totale annunciata
all'inizio. Non sapremo mai se questa segnerà il fallimento del
viaggio della protagonista e l'ora del simbolico suicidio della
sorella, uccisa dall'idea di un mondo indegno di essere guardato.
Un film d'immagini spesso ritagliate dentro i buchi della burqa,
di dettagli sensuali rapinati ai bordi sfilacciati della feritoia
attraverso cui il medico deve auscultare le pazienti, di
sentimenti nascosti alla vista e poi fatti trapelare ambiguamente
dalle righe di una lettera. Ciò che resta in piena luce è il
documento di una realtà tramata di surreale: il bambino stonato
nella scolaresca salmodiante atrocità, le indimenticabili gambe
galleggianti nel cielo attaccate ai paracadute bianchi, le
bambole minate, il viaggio nel deserto della donna emancipata e
del bambino espulso dalla scuola talebana.
Consigliamo (e invitiamo a rivedere, o vedere, la filmografia
precedente del regista).
La nobildonna e il Duca di Eric Rohmer
L'ultimo
periodo della vita del Duca di Orlèans, nelle tempeste della
Rivoluzione prima e del Terrore poi, sono raccontati dal punto di
vista di una nobildonna scozzese residente in Francia, sua
vecchia amante e poi affezionata amica. Mala tempora currunt per
i nobili e i lealisti in particolare, e infatti delle persone
care alla protagonista nessuna si salverà.
Forse è la Storia a macinare ciecamente le sue vittime, ma la
Storia è lontana da qui, fuori da questi interni sottovuoto.
Anzi, a ben guardare non è nemmeno fuori. A meno che non
vogliamo considerare realtà quei quadri dipinti in cui le figure
in movimento stanno appese, inconsistenti, senza nemmeno la
finzione delle ombre sotto i piedi. Forse una Storia c'è
davvero, ma tutto quello che noi vediamo sono stanze dall'aria
soffocante in cui si celebra un'umanità precaria e assediata. I
personaggi, ovunque possibile, vengono incorniciati dentro
fondali di porte, o di archi, come a immortalarne la figura prima
che si congedino.
E' dei volti umani che qui si racconta la Storia, nei moti
dell'animo che vi si leggono in bellissimi primi piani che sono
la nota ricorrente del racconto. Poi le teste potranno cadere:
una per tutte la vediamo portata in trionfo su una lancia,
significativamente, nell'unica scena crudamente realistica. La
protagonista si salverà solo per un caso, lo apprendiamo dalla
sua voce narrante mentre nell'ultimo straniante piano sequenza
sfilano i volti dei superstiti.
Omicidio in Paradiso di Jean Becker
Chissà, forse ci voleva Altman per rendere davvero cattiva questa fiaba grottesca sul crimine premiato. Eppure tutto sommato resta un racconto non privo di virtù e soprattutto di momenti gradevoli, anche se non proprio tutti funzionali. L'ironia gioca a tutto campo coi luoghi comuni della civiltà demenziale contrapposta a una presunta genuinità del borgo rurale. E anzi va detto che se l'intento politically incorrect non centra del tutto il segno, Becker riesce bene quando invece descrive con sottigliezza magistrale tutto il kitsch della contrada sede del "Paradiso" e dei suoi inquietanti abitanti. L'omicidio assicura l'epurazione definitiva di quel residuo di (ingombrante) corporeità che restava in un mondo di sentimenti da cui ogni sensualità sembra evaporata. Ora sì che l'armonia può tornare in "Paradiso", magari sotto lo sguardo materno e a modino della vecchia maestrina. Piacevole.