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di A. Arpen
Giovanni Raboni: Una voce della poesia contemporanea italiana
Giovanni Raboni è una figura di
assoluto rilievo nel panorama letterario italiano dei nostri
giorni; non solo per quanto concerne la creazione poetica ma
anche per quanto riguarda la traduzione di scrittori
contemporanei come ad esempio Proust.
Leggendo la sua opera, si notano richiami alla poetica francese
dei primi del secolo scorso fino ad arrivare a Montale ed è
caratterizzata da una molteplicità di registri linguistici che
si interscambiano mutamente dissimulanodosi l'uno con l'altro.
La sua traiettoria poetica ci porta ad un esistenzialismo viziato
dalla precarietà, dall'incertezza. La quotidainità si svuota di
significato, si lascia andare all'apatia, i rapporti
interpersonali vengono privati del loro contenuto, resta solo il
nulla all'orizzonte.
Per Raboni l'esistenza dell'uomo non raggiungerà mai la sua
completezza, sarà sempre segnata dalla mancanza di qualcosa, un
vivere mai fino in fondo. Bellocchio scrive riferendosi al poeta
" per non essere complice della realtà, adotta un ottica
mortuaria". Elementi ricorrenti nei suoi scritti sono: il
richiamo ossessivo dlla morte, la cronaca dell'vivere e del
privato e il tema della città. Esempi di questo suo doloroso
esistenzialismo, della sua sofferenza del vivere incompiuto
emergono con lucida chiarezza nei suoi scritti come per esempio
"Sonetti
di infermità e convalescenza" che rappresenta uno dei
momenti più alti e toccanti della sua poesia.
da "Sonetti di infermità e convalescenza"
[L'ordine di non avere]
L'ordine
di non avere
un solo pelo più in basso
del mento fa come un sasso
raccolto al mare o la cera
d'un
santo in un buio basso
lividamente a giacere
sotto vetro fra preghiere
il corpo che passo a passo
liberato
sul più bello
dall'odiosa sincronia
di percezione ed evento
per
l'interporsi del lento
flap della preanestesia
va spensierato al macello.
[Nel decomporsi chissà]
Nel
decomporsi chissà
che rumore fa il cervello
e che scintille se già
così assordante è il rovello
d'essere,
ecco, la metà
dell'annegato, il fratello
siamese di chi non ha
più volto nel mulinello
insieme
a precipizio vivi
travolti da un'atassia
divina e a un divino niente
centuplicata
la mente
flottando morti nella scia
fulgida dei sedativi.
da "Versi guerrieri e amorosi"
[Nel pollaio di stracci]
Nel pollaio di
stracci
chi è stupido è feroce
come il gallo Starace
e il dindo Farinacci
sui cui colli
protervi
s'avventano da stacci
rotti e paioli diacci
le forbici dei servi
perché fin
nella pace
dove promessa fervi
s'imbandisca un'atroce
cena di sanguinacci.
da "Le case della Vetra"
Contestazione
Una,
improvvisamente
s'alza dal letto dicendo
< questo non si può fare >. E s'agita, tira fuori
roba dai cassetti nello spazio impiccato
tra comò e attaccapanni, a momenti
fa cadera la lampada, il catino - e
fiera nelle sue scarpe davanti allo specchio
dove affiora la nebbia, ogni
tanto toccandoli col palmo della mano infonde
il fissatore-insetticida sui capelli.
Altri sonetti
[Si preferirebbe, qui, che morissi]
Si
preferirebbe, qui, che morissi
più avanti - non adesso che la luce
è così scialba e tenera e deduce
chissà ancora fin quando se gli infissi
sbiadiscono
appena l'essere in nuce
del giorno il cuore reduce d'abissi
da un tripudio di cuoricini scissi
lentamente dalle tenebre. Luce
da
buio o luce da luce e per quanto
tempo d'anni o minuti e di che spine
irto soltanto loro, gli esiliati
dal
tempo lo sapranno, io so soltanto
che le foglie crescono, che i malati
muoiono, che il mattino non ha fine.