CICERONE

Discorso " Post reditum in senatu"


1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39

Traduzione

 

[1] Se, o senatori, per i vostri infiniti servigi nei confronti miei, di mio fratello e dei miei figli vi ringrazierò in maniera inadeguata, vi prego e vi supplico di   attribuire questo alla mia natura piuttosto che alla modesta grandezza dei vostri benefici. Infatti quale fertilità di ingegno, quale ricchezza di eloquenza può essere tanto grande, quale linguaggio essere tanto divino e straordinario con il quale qualcuno possa, non dico abbracciare tutte quante le vostre benemerenze nei nostri confronti a parole, ma passarle in rassegna enumerandole? Voi che avete restituito a me il mio amatissimo fratello, al mio tenerissimo fratello me, ai nostri figli i genitori, a noi i nostri figli, la dignità, l'ordine, la prosperità, l'illustrissima repubblica, la patria, della quale niente può esserci più caro, in breve, avete restituito proprio noi a noi stessi. 

[2] E se dobbiamo considerare i nostri genitori i più cari a noi, poiché da loro ci è stata data la vita, il patrimonio, la libertà, il diritto di cittadinanza, se proviamo un rispettoso affetto per gli dèi immortali, per la cui benevolenza abbiamo mantenuto queste cose e siamo stati arricchiti con altri benefici, se teniamo in gran conto il popolo romano, per i cui onori siamo posti nel più nobile dei consigli e nel più alto grado di dignità e in questa cittadella di tutte le terre, se onoriamo questo stesso ordine del Senato, dal quale spesso siamo stati onorati con straordinari decreti, allora è senza dubbio immenso ed infinito ciò che dobbiamo a voi. Siete voi che ci avete restituito con un colpo solo con il vostro straordinario zelo e con unanimità di consenso, tutti i favori dei nostri genitori, i doni degli dèi immortali, gli onori del popolo romano e le vostre molteplici decisioni nei miei confronti,  poiché dobbiamo molto a voi, una grande gratitudine al popolo romano, infiniti ringraziamenti ai genitori ed ogni cosa agli dèi immortali. Prima abbiamo avuto questi doni separatamente per mezzo di quelli, ora invece li abbiamo riconquistati tutti insieme grazie a voi. 

[3] Perciò, o senatori, mi sembra d'aver ottenuto un qualcosa che si avvicini all'immortalità, grazie a voi, cosa che non dev'essere neanche desiderata da un uomo. Verrà mai il tempo in cui s'estinguerà il ricordo e la fama delle vostre benemerenze nei miei confronti? Voi che, proprio mentre eravate tenuti bloccati con la violenza, con le armi, col terrore e con minacce, non molto tempo dopo la mia partenza, all'unanimità mi avete richiamato su proposta di Lucio Ninnio, uomo coraggiosissimo e virtuosissimo, il più fedele e il meno indeciso, - qualora si fosse giunti allo scontro-, difensore della mia causa che quell'anno fatale ebbe. Dopo che non vi fu conferita la facoltà di emettere decreti a causa di quel tribuno della plebe, il quale non potendo denigrare lo Stato esponendosi in prima persona, si servì della malvagità di un altro, mai avete smesso di intercedere per me, e non avete mai smesso di impetrare la mia salvezza a quei consoli, che pur l'avevano contrabbandata. 

[4] Perciò fu grazie al vostro impegno e al vostro autorevole prestigio che, proprio quell'anno che io avrei preferito fatale a me piuttosto che alla mia patria, annoverasse otto tribuni, essi, da una parte promulgassero una legge per il mio ritorno dall'esilio, e dall'altra costantemente la proponessero a voi. Infatti i consoli scrupolosi e rispettosi delle leggi, erano ostacolati da una legge, non quella che era stata presentata sul mio conto, bensì da quella che riguardava loro stessi, quando il mio nemico Clodio fece emanare un decreto, in base al quale sarei tornato in patria solo qualora fossero tornati in vita i responsabili della rovina, per poco sventata, di Roma. Con questo provvedimento fece trasparire entrambe le cose: sia che sentiva la loro mancanza sia che lo stato sarebbe stato in grave pericolo, se, dopo che i nemici e gli assassini dello Stato fossero tornati in vita, io fossi tornato. Perciò proprio in quell'anno, dopo che me n'ero andato, quando il primo cittadino difendeva la propria vita non con la protezione delle leggi, ma con quella delle proprie pareti domestiche, quando lo stato era senza consoli e non solo era stato privato degli eterni genitori(= le leggi), ma persino dei custodi annuali (= i consoli), quando vi era impedito di esprimere le vostre opinioni, quando fu letta l'origine della mia proscrizione, mai avete dubitato che il mio ritorno coincidesse, a conti fatti, con la salvezza di tutti. 

[5] Ma in seguito, per la straordinaria e ammirevole capacità del console Publio Lentulo, iniziaste a distinguere, il primo di Gennaio, una luce nello Stato fuori dalla caligine e dalle tenebre dell'anno precedente, quando l'incomparabile merito di Quinto Metello, uomo nobilissimo ed eccellente, quando la virtù e la lealtà dei pretori e di quasi tutti i tribuni della plebe era giunta in aiuto dello Stato, quando si ritenne che Gneo Pompeo, l'uomo più illustre di tutti i popoli, di tutti i tempi e di ogni memoria per valore, gloria e imprese compiute, sarebbe potuto venire tranquillamente in Senato senza pericolo, allora la vostra unanimità sul mio caso fu così grande che, pur non essendoci fisicamente, la mia dignità era già rientrata in patria. 

[6] E proprio in quel mese avete potuto farvi un'idea della differenza esistente tra me e i miei nemici. Mi sono disinteressato della mia causa affinchè lo Stato, a causa mia, non si macchiasse del sangue dei cittadini; invece quelli pensarono di impedire il mio ritorno, non con i voti del popolo romano, ma con un fiume di sangue. Perciò poi non avete dato risposte ai cittadini, agli alleati, o ai sovrani. I giudici non presero nessuna decisione, i cittadini non andarono a votare, questo ordine senatoriale non espresse alcuna dichiarazione con la sua autorità; si poteva vedere il foro silenzioso, la Curia muta, la città tacita e divisa. 

[7] E proprio in questa occasione, dopo che si era allontanato colui che, con il vostro sostegno, si era opposto al massacro e al fuoco, avete visto uomini che correvano in tutta quanta la città con le spade e le fiaccole, le case dei magistrati attaccate, i templi degli dèi bruciati, i fasci di un uomo, ammirevole e celebre console infranti, l'onesta persona di un tribuno della plebe coraggioso e valoroso non colpita o oltraggiata, ma passata a fil di spada. Per questa strage alcuni magistrati in apprensione, in parte per paura della morte, in parte per la disperazione nei confronti dello Stato, presero le distanze dalla mia causa; ma rimasero gli altri, che né il terrore né la violenza, né la speranza né la paura, né le promesse né le minacce, né le armi né le fiaccole allontanarono dalla vostra autorità, dalla dignità del popolo romano e dalla mia salvezza. 

[8] Il principe Publio Lentulo, genitore e nume protettore della nostra vita e sorte, della nostra memoria e del nostro nome, pensò che avrebbe dato una certa prova di virtù, un segno della sua indole, un qualche lustro al proprio consolato, se avesse restituito me a me stesso, ai miei amici, a voi e allo Stato. Questi, come fu designato console, mai esitò ad esprimere la propria degna opinione sulla mia causa e sullo Stato. Quando fu posto il "veto" dal tribuno della plebe, quando fu letto quell'ammirabile articolo di legge affinchè nessuno riferisse nulla a voi, né emettesse decreti, affinchè nessuno sollevasse alcuna discussione, né parlasse, affinchè nessuno votasse a favore, né partecipasse alla redazione di un decreto, ritenne tutto ciò che ho appena detto una proscrizione e non una legge per la quale un cittadino che si era reso benemerito nei confronti dello Stato per nome, senza alcun processo fosse strappato allo stato e al senato allo stesso tempo. Ma non dovrei dire, appena assunse la carica, cosa fece prima, cos'altro fece in generale, se non per aver salvato me, per fissare la vostra dignità e autorità per l'avvenire? 

[9] O dèi immortali! Quale grande beneficio mi sembra che mi abbiate concesso, facendo console Publio Lentulo quest'anno! Quanto di più mi avreste dato, se lo fosse stato l'anno prima! Infatti non avrei avuto bisogno della medicina di un console, se non fossi caduto per un colpo inflittomi da un console. Ho udito spesso da un uomo assai saggio, nonché cittadino rispettabilissimo, Quinto Catulo, che non di frequente c'era un console disonesto, ma mai, in verità, dalla fondazione di Roma, ce ne furono due allo stesso tempo, eccezion fatta per il periodo di Cinna. Perciò Catulo era solito affermare che la mia causa sarebbe sempre stata salda, finché ci fosse stato anche un solo console onesto nello Stato. Cosa che aveva giustamente affermato, se la condizione di un duplice consolato, che in precedenza non c'era mai stata nello Stato, fosse potuta rimanere perenne e duratura. E se Quinto Metello, fosse stato console a me avverso a quel tempo, avete qualche dubbio su quale sarebbe stato il suo sentimento nei confronti della mia salvezza, ora che vedete che fu promotore e sostenitore del provvedimento per la mia riabilitazione. 

[10] Ma ci furono due consoli, le cui menti meschine, abiette, corrotte, contorte e grette non furono in grado né di curare né di sostenere, né di assumere la stessa denominazione di consolato, lo splendore di quell'onore, l'importanza di una così grande autorità; essi non furono consoli, ma mercanti nelle province e venditori della vostra dignità. Uno di questi pretendeva indietro da me, alla presenza di molti, Catilina, suo amico, l'altro reclamò Cetego, suo cugino; i due uomini più scellerati a memoria d'uomo, che io non chiamerò consoli ma ladri, i quali non solo soprattutto mi abbandonarono in una causa relativa allo stato e al consolato, ma mi tradirono e mi contrastarono, e vollero che fossi spogliato della mia dignità non solo con tutto il loro appoggio, ma anche con il vostro e quello degli altri ordini statali. 

[11] Uno di questi, tuttavia, non ingannò nè me nè qualcun altro. Infatti chi mai nutrirebbe alcuna speranza di alcunché di  bene in colui, il cui primo periodo della vita era stato apertamente sottomesso ai desideri di tutti, che non aveva neanche potuto allontanare dalla parte più inviolabile del corpo la corrotta smoderatezza degli uomini? Questo che, dopo aver consumato il suo patrimonio non meno rapidamente che in seguito quello dello Stato, fece fronte alla sua povertà e la sua dissolutezza con il proprio lenocinio, un individuo che, se non si fosse rifugiato presso l'altare del tribunato, non sarebbe potuto nè potuto sfuggire alla autorità del pretore nè alla moltitudine dei suoi creditori, nè alla confisca dei suoi beni; se non avesse avanzato in questa carica la proposta di legge sulla guerra contro i pirati, lui stesso sarebbe, in verità, ricorso alla pirateria, spinto dalla povertà e dalla sfrontatezza, certamente con minor danno per lo Stato, di quando rimase all'interno delle nostre mura come un nemico scellerato e un ladro; poiché costui ispezionava e assolveva un compito, il tribuno della plebe avanzò una legge affinchè non tenesse in considerazione gli auspici, affinchè non si opponesse nell'assemblea o nei comizi, affinchè non gli fosse permesso porre il veto ad una legge, affinchè la legge Elia e la legge Fufia, che i nostri antenati vollero che fossero sicurissimi sostegni per lo Stato contro gli ardenti spiriti tribunizi, non avessero valore. 

[12] E lui stesso poi, dopo l'arrivo di una moltitudine malconcia di uomini dabbene dal Campidoglio per supplicarlo, e dopo che i più nobili giovani e tutti quanti i cavalieri romani si erano gettati ai piedi di questo dissolutissimo profittatore, con quale espressione, quel crapulone ricciuto, respinse non solo le lacrime dei cittadini, ma anche le preghiere della patria! E non fu soddisfatto di questo, ma irruppe addirittura in assemblea e disse queste cose, che, se il suo uomo Catilina fosse tornato in vita, non avrebbe osato dire, e cioè che avrebbe punito i cavalieri romani per le none di Dicembre, che erano trascorse sotto il mio consolato e per il colle Capitolino. E non disse solo questo, ma chiamò quelli che gli andavano a genio, e in particolare, da console autoritario, espulse dalla città Lucio Lamia, cavaliere romano, uomo di eccezionale dignità e molto premuroso per la mia salvezza in nome della nostra amicizia, ed anche per lo Stato per la salvaguardia dei suoi beni. E dopo che voi avevate deciso di vestirvi a lutto e tutti voi vi eravate cambiati e tutti gli uomini onesti lo avevano già fatto prima, costui cosparso di profumo con la toga orlata, che in quel tempo tutti i pretori e gli edili avevano disprezzato, derise la vostra veste squallida e il dolore di una città assai riconoscente e, cosa che nessun tiranno mai aveva fatto, fece in modo da non dire nulla, sul fatto che apertamente piangeste sulla vostra sventura, e persino da decretare che non piangeste pubblicamente i lutti della patria. 

[13] E dopo che in verità nel Circo Flaminio era stato condotto nell'assemblea non dal tribuno della plebe come console, ma da un ladro come il capo dei pirati, avanzò per primo come uomo di grande autorevolezza! sbronzo, intorpidito e pieno di dissolutezza, con i capelli unti e ben ordinati, con occhi pesanti, guance cadenti e con voce rauca e da ubriaco; ed egli, una seria autorità, disse che era fortemente dispiaciuto, poiché ci si era rivolti contro cittadini innocenti. Dove quest'autorità è rimasta nascosta tanto a lungo? Perché la tanto straordinaria virtù di questo ricciolino indugiò così a lungo in orge e gozzoviglie? Infatti l'altro uomo, Cesonio Calvenzio, fin dall'adolescenza ha bazzicato nel foro, sebbene oltre questa falsa e astuta austerità, nulla gli desse prestigio, nè la conoscenza della legge, nè la disinvoltura nel parlare, nè la perizia nell'arte militare, nè la diligenza di conoscere gli uomini, nè la generosità; e dopo che, mentre stava passando, avevi notato quanto incivile, rozzo e austero fosse, benché avessi potuto considerarlo incolto e scortese, tuttavia non lo ritenevi licenzioso e dissoluto. 

[14] Avresti pensato che non ci fosse nessuna differenza a fermarti nel foro con costui o con un pezzo di legno: lo avresti giudicato stupido, insipido, muto, balordo, un vero animale, un Cappadoce appena portato via da una schiera di schiavi in vendita. Eppure, sempre lui, che vizioso, che depravato, che sregolato in casa, con i suoi piaceri goduti non secondo, ma contro natura (=non accolti dalla porta, ma fatti entrare dal retro)! Quando poi comincia a studiare lettere e, rozzo bestione qual è, inizia a filosofare con i maestrucoli greci, allora fa l'epicureo, non dedicandosi però in modo approfondito a quella filosofia, qualunque essa sia, ma attratto dalla sola parola "piacere". Prende i suoi maestri, d'altra parte, non da codesti sciocchi (= gli Stoici) che discutono giornate intere sul dovere e sulla virtù, che esortano al lavoro, all'attività, ad affrontare i pericoli per la patria, ma ha per maestri coloro (= gli Epicurei) che affermano che nessun'ora deve essere priva di piacere e che in ogni parte del corpo bisogna che ci sia sempre qualche godimento e qualche voluttà. 

[15] Egli usa costoro come sovrintendenti delle proprie dissolutezze. Questi infatti ricercano e fiutano ogni voluttà; essi sono i preparatori e gli allestitori del banchetto e loro stessi valutano e stimano i piaceri ed espongono il proprio parere e il proprio giudizio su quanto sembri opportuno concedere a ciascun desiderio. Costui, divenuto abile nelle loro arti, disprezzò a tal punto questa città così saggia, da ritenere che tutte le sue dissolutezze e le sue atrocità potessero rimanere nascoste, purché avesse mostrato il suo volto importuno nel foro. Costui non mi ingannò in nessun modo, infatti ero venuto a conoscenza, per la parentela coi Pisoni, quanto lontano la parentela materna di sangue Transalpino lo avesse portato; piuttosto ingannò voi e il popolo romano, non con la sua saggezza nè con la sua eloquenza, sebbene spesso accada ciò in molti casi, ma con il suo viso rugoso e con l'aggrottar delle sopracciglia. 

[16] Lucio Pisone, proprio tu hai osato tramare con Aulo Gabinio per la mia rovina, con quello sguardo (per non dire con quello stato d'animo), con quell'espressione (per non menzionare la tua condotta di vita), con tanta arroganza, (infatti non potrei affermare "con tante imprese")? E l'odore dei suoi unguenti, l'alito che odorava di vino, il suo volto segnato dalle tracce di un "arricciacapelli", non ti portavano a pensare che poiché tu eri stato effettivamente simile a lui nella circostanza, non saresti stato in grado di servirti più a lungo della copertura del volto per nascondere tali atrocità? Hai osato far lega con costui per abbandonare per l'alleanza delle province, la dignità consolare, la condizione attuale dello Stato, l'autorità del Senato, le fortune di un cittadino oltremodo benemerito? Sotto il tuo consolato in accordo con i tuoi ordini e comandi non fu forse lecito al senato del popolo romano venire in aiuto allo Stato, non solo con i propri voti o la propria autorità, ma anche con il proprio dolore e con abito luttuoso? 

[17] Ti ritenevi forse console di Capua, così com'eri a quel tempo, città che era stata un tempo la dimora della tua superbia, o forse di Roma, dove tutti, prima che voi foste eletti consoli, obbedivano al Senato? Tu, dopo esserti fatto avanti con quel tuo compagno, non osasti affermare nel Circo Flaminio che tu eri sempre stato misericordioso? Con questa affermazione dimostravi quindi che il senato e tutti gli uomini virtuosi erano stati crudeli, dopo che io avevo allontanato la rovina dalla patria? Tu, misericordioso, me, tuo socio, che nei tuoi comizi avevi fatto principale sorvegliante della centuria che vota per prima, a cui alle Calende di Gennaio avevi chiesto il parere per terzo, consegnasti legato ai nemici dello Stato; tu hai scacciato con parole superbissime e crudelissime mio genero, un tuo congiunto, e una tua parente, mia figlia, dalle tue ginocchia; e tu stesso con singolare umanità e misericordia, quando io insieme con lo Stato ero decaduto non a causa di un "colpo" tribunizio, bensì consolare, sei stato di tanta scelleratezza e intemperanza che non hai permesso che trascorresse neanche un'ora tra la mia rovina e il tuo guadagno, finchè almeno non fossero cessati il lamento e il gemito della città! 

[18] Non era ancora nota la fine della repubblica quando ti si pagava il prezzo dei funerali; esattamente nello stesso istante la mia casa veniva saccheggiata e data alle fiamme, e i miei beni trafugati dalla mia casa sul Palatino portati a quella del console lì vicino, e dalla mia villa di Tuscolo a quella dell'altro console, altrettanto prospiciente alla mia; mentre - in un Foro sgombro non solo di cittadini dabbene, ma anche liberi, e dunque praticamente delegittimato - i mercenari che noi tutti conosciamo appoggiavano col loro voto la proposta di quel furfante ben noto, mentre il popolo di Roma era completamente all'oscuro di cosa stesse accadendo, mentre il Senato era completamente esautorato l'erario, le province, le legioni, insomma tutte le leve del potere imperiale venivano in pratica date in omaggio a due consoli della peggior feccia. Ma voi, o consoli, avete rimediato, con la vostra virtù, alle rovine perpetrate da tali consoli, contando sulla grande lealtà e senso di responsabilità propri dei tribuni della plebe e dei pretori. 

[19] Che cosa potrei dire di un grand'uomo qual è Tito Annio, o chi mai potrebbe trovare parole adeguate all'altezza di un cittadino così esemplare? Costui era ben consapevole delle alternative: qualora avesse ancora un senso ricorrere alle leggi, un cittadino scellerato, o direi piuttosto un vero e proprio "nemico in patria" doveva essere abbattuto coi mezzi appunto di un'azione giudiziaria; ma qualora la violenza scavalcasse, esautorandole, le procedure giudiziarie, allora bisognava rispondere all'audacia col valore, alla follia distruttiva col coraggio, alla temerarietà con la risolutezza politica, alla prepotenza di un pugno di scellerati con truppe regolari, insomma: alla violenza con la violenza. In base a tali alternative, Tito Annio Milone propese innanzitutto per una citazione in giudizio con l'accusa di violenza ai danni dello Stato; ma poi, quando si rese conto che ogni procedura giudiziaria era stata da quello esautorata, ha fatto in modo ch'egli non fosse in grado di mandare ad effetto i suoi propositi avvalendosi dell'arma della violenza. Costui dunque ci ha insegnato che né le nostre famiglie, né i templi, né il Foro né tantomeno la Curia potevano essere difese dall'assalto di una banda di briganti che cova nel seno della nostra stessa Patria senza dar fondo a tutto il nostro valore, o senza ricorrere all'utilizzo di ingenti risorse e truppe. Costui infine è stato il primo, dopo il mio allontanamento, a stornare il terrore dai cittadini onesti, a smantellare la speranza di uomini senza scrupoli, ad allontanare il timore dall'ordine senatorio, a scongiurare il pericolo che la città cadesse in servaggio. 

[20] Publio Sestio, seguendo anch'egli tale condotta con pari valore, coraggio e lealtà, considerò di non dover mai sottrarsi ad alcun attacco ostile, ad alcuna prepotenza, ad alcuno scontro - anche a costo della vita - pur di difendere la mia causa, la vostra autorità, l'assetto statale. Costui, secondo il senso di responsabilità a lui tipico, rimise la causa del senato - attaccata dai discorsi infuocati di uomini malvagi e senza scrupoli - nelle mani del popolo, di modo che nulla apparisse godere del favore popolare tanto quanto il vostro nome, e nulla, alfine, divenisse caro all'intera comunità tanto quanto l'autorità del vostro ordine. Costui inoltre, da una parte ha preso le mie difese con tutti i mezzi a lui possibili in quanto tribuno della plebe; dall'altra mi ha appoggiato con ogni altra sorta di favori, alla stregua di un fratello. Io infatti ho ricevuto conforto e sostegno dai suoi clienti, dai suoi liberti, dalla sua servitù, dalle sue risorse e dalle sue lettere, al punto che costui appariva essere non solo il mio punto d'appoggio nella sventura, ma addirittura egli stesso "compagno di sventura". 

[21] Avete già constatato le amorevoli attenzioni degli altri nei miei confronti: quanto Gaio Cestilio m'abbia avuto a cuore, quanta devozione abbia mostrato nei vostri confronti, quanta fermezza abbia evidenziato nel sostenere la mia causa. Passando a Marco Cispio: che cosa non ha fatto per me! Mi rendo ben conto di quanto io sia debitore a lui, a suo padre e a suo fratello; nonostante io avessi fatto loro un torto in una questione privata, costoro hanno messo da parte il risentimento personale, rispettando il ricordo del mio buon operato politico. Inoltre, Tito Fadio, ch'è stato il mio questore e Marco Curzio, del cui padre io sono stato questore, non mi sono venuti meno in questa mia disgrazia, mostrando attaccamento e affetto nei miei riguardi, nonché coraggio. Gaio Messio infine ha speso molte parole in mia difesa, sia in nome dell'amicizia che ci legava, che in nome della salvezza dello Stato; e, a prescindere da ciò, sin da principio pubblicò una proposta di legge concernente la mia salvezza. 

[22] Se Quinto Fabrizio fosse riuscito a portare a termine - nonostante la violenza delle armi - i suoi tentativi di risolvere la mia situazione di agire a mio favore, io sarei stato reintegrato nella mia condizione civile e giuridica già nel mese di gennaio. Tuttavia, mentre la sua inclinazione lo spingeva a venirmi in aiuto, da una parte la violenza degli avversari politici lo ostacolava, dall'altra, il rispetto per la vostra autorevolezza lo dissuadeva. Inoltre, quale sia stata la disposizione d'animo dei pretori nei miei confronti, l'avete potuto ben appurare, allorquando Lucio Cecilio, sul versante privato, molto s'adoperò per offrirmi aiuto con tutti i mezzi che aveva a disposizione, mentre sul versante politico, avanzò una proposta di legge inerente al mio ritorno, in accordo con la quasi unanimità dei suoi colleghi di parte, impedendo, inoltre, ai saccheggiatori delle mie proprietà di procedere per vie legali. Infine, Marco Calidio - non appena eletto - mostrò chiaramente, con la sua dichiarazione di voto, quanto gli stesse a cuore la mia salvezza. 

[23] Tutte le massime attenzioni di Gaio Settimio, Quinto Valerio, Publio Crasso, Sesto Quintilio e di Gaio Cornuto furono rivolte sia nei miei confronti che in quelli dello Stato. Pur ricordando questi episodi con piacere, tuttavia, anche se a malincuore, non tralascio le azioni di nessuno commesse in modo scellerato contro di me. Non è il momento però di ricordare gli oltraggi, che, nonostante io sia in grado di vendicare, tuttavia preferirei dimenticare. Ad un altro obiettivo deve mirare la mia intera esistenza: contraccambiare il favore a coloro che si sono comportati bene nei miei confronti, proteggere le amicizie provate col fuoco, muovere guerra ai miei nemici più evidenti, perdonare gli amici pusillanimi, punire i traditori, alleviare il dolore del mio allontanamento con la dignità del mio rimpatrio. 

[24] Ora, anche se l'unico compito che mi resta in tutta la mia vita fosse null'altro che manifestare la mia riconoscenza nei confronti di coloro che hanno sollecitato, organizzato e realizzato le condizioni del mio ritorno in patria, ciononostante stimerei davvero insufficiente la vita che mi resta non solo per dar prova appunto di riconoscenza, ma anche solo per fare menzione del beneficio che mi avete concesso. E, infatti, quale occasione io stesso - e tutti coloro che mi appartengono - avremo mai per rendere adeguato merito a quest'uomo e ai suoi figli? Quale capacità di memoria, quale facoltà d'intelletto, quale deferenza potrebbero mai contraccambiare in modo adeguato tali e tanti benefici a me concessi? Costui è stato il primo a mostrarmi amicizia e fiducia da console, quando la situazione era per me oramai disperata; è stato costui a trarmi fuori dalla morte verso una nuova vita, dalla disperazione alla speranza, dalla rovina alla salvezza! Costui ha mostrato, nei miei confronti, tanto affetto, e tanto senso di responsabilità nei confronti dello Stato da trovare il modo non solo di risolvere la mia disgrazia, ma anche di farne per me motivo di onore. E allora, poteva mai accadermi qualcosa di più onorevole e straordinario del fatto che voi - su sua proposta - abbiate decretato che dall'intera Italia tutti coloro che avessero a cuore la salvezza dello Stato qui convenissero con l'unico scopo di reintegrarmi nella mia dignità e di difendermi, quand'ero già un uomo finito? Ovvero che il senato spronasse tutti costoro e l'intera Italia a mobilitarsi per la difesa di uno solo, con una veemente propaganda che trova solo tre precedenti dalla fondazione di Roma, ovvero ogni qual volta il console di turno l'ebbe utilizzata a vantaggio dell'intero Stato e rivolgendosi ai soli astanti? 

[25] Cosa potevo lasciare di più glorioso ai miei posteri del fatto che il Senato giudicasse che un cittadino che non aveva preso le mie difese, non desiderasse la salvezza dello Stato? Dunque la vostra autorevolezza e l'eminente dignità del console ha così tanto valore che uno che non si presenti in tribunale pensa di commettere un' ignominia e un delitto. E lo stesso console, dopo che quella incredibile moltitudine e praticamente la stessa Italia era giunta a Roma, vi convocò numerosi nel Campidoglio. E in quel tempo avete potuto farvi un'idea di quanta rilevanza avessero la bontà di indole e la vera nobiltà d'animo. Infatti Quinto Metello, mio avversario e fratello di un mio avversario, vista l'aria che tirava, lasciò da parte tutti i suoi rancori nei miei confronti; Publio Servilio, uomo tanto insigne quanto valoroso e per giunta mio caro amico, lo richiamò con una certa divina solennità sia della sua autorevolezza sia del suo discorso alle gesta e alle virtù della sua stirpe e della sua famiglia, come avesse in consiglio sia suo fratello dagli inferi, compartecipe dei miei affari, sia tutti i Metelli, uomini eccellenti, quasi evocati dall'Acheronte, e fra questi quel famoso Metello di Numidia, la cui partenza un tempo fu spiacevole per tutti, ma a lui stesso non sembrò neanche dolorosa. 

[26] Perciò egli si fece avanti non solo come difensore del mio richiamo dall'esilio, lui che prima di questo grandissimo favore era sempre stato mio avversario, ma anche come garante della mia dignità. Dunque quel giorno, quando voi eravate riuniti nel senato in quattrocentodiciassette e tutti i magistrati erano presenti, uno solo dissentì, lui che aveva creduto che con la sua legge anche i congiurati sarebbero potuti resuscitare dagli inferi. E in quel giorno, dopo che avevate ritenuto con molte e autorevoli parole che lo Stato era stato salvato dalle mie decisioni, lo stesso console si preoccupò che le stesse cose fossero pronunciate il giorno seguente dai capi della città; e quando egli difese la mia causa parlando con grandissima eleganza e, al cospetto dell'intera Italia che lo udiva, fece in modo che nessuno potesse udire la voce ostile e pungente di qualche mercenario o uomo corrotto. 

[27] E a queste azioni voi stessi aggiungeste non solo gli appoggi per il mio richiamo, ma anche il restante onore della mia dignità: decretaste che nessuno lo impedisse in nessun modo. Se qualcuno infatti lo avesse impedito, lo avreste tollerato con difficoltà e a malincuore; quello sarebbe quindi risultato nemico dello Stato, del benessere dei virtuosi e della concordia dei cittadini e all'istante ve ne sarebbe giunta notizia; e, nonostante mi calunniassero a lungo, approvaste il mio ritorno. Perché? Per ringraziare quelli venuti perfino dai municipi? Perché? Perché fino a quel giorno, una volta ritornate le cose a posto, venisse chiesto loro che si riunissero con egual fervore? Infine perché richiamare quel giorno che Publio Lentulo stabilì come compleanno mio, di mio fratello e dei nostri figli, non solo per la nostra memoria, ma anche per l’eterno ricordo del tempo? Proprio in quel giorno nei nostri comizi centuriati, che i nostri antenati vollero fortissimamente che fossero detti e considerati "comizi giusti", mi richiamò in patria, affinché le stesse centurie che mi avevano eletto console, confermassero il mio consolato. 

[28] In questo giorno, quale cittadino, che lo ritenesse lecito, di qualsiasi età o stato fisico fosse, non dette il proprio voto per il mio richiamo dall'esilio? Quando mai avete visto una tale discesa in campo, una tale splendida presenza dell'Italia intera e di ogni classe sociale? Quando mai avete visto autori di una proposta di legge, scrutinatori e ispettori di quel prestigio? Perciò per la straordinaria e divina concessione di Publio Lentulo non siamo stati richiamati in patria come un gruppo di cittadini illustrissimi, ma ricondotti in trionfo da magnifici destrieri su un cocchio dorato. 

[29] Potrò mai sembrare abbastanza riconoscente nei confronti di Gneo Pompeo? Il quale disse non soltanto a voi, che la pensavate tutti allo stesso modo, ma anche a tutti i cittadini, che la salvezza del popolo Romano era stata mantenuta grazie a me e coincideva con la mia. Questi affidò inoltre la mia causa a persone sagge, informò quelli che non sapevano e allo stesso tempo represse i malvagi con la sua autorevolezza, spronò gli uomini valenti e non solo esortò il popolo Romano a prendere le mie difese come si fa per un fratello o per un genitore, ma addirittura lo supplicò; quando lui stesso era costretto in casa dalla paura della lotta e del sangue, allora chiese ai tribuni precedenti che proponessero e ottenessero il mio rimpatrio; costui, in una colonia recentemente fondata, mentre reggeva la carica di magistrato nella quale non si era procurato nessun oppositore, contrastò la violenza e la crudeltà della legge eccezionale con l'autorevolezza di uomini onestissimi e con lettere pubbliche e, divenuto princeps, pensò di implorare aiuto di tutta l'Italia per il mio richiamo; e poiché lui stesso era stato sempre un mio carissimo amico, si adoperò inoltre per rendere amici nei miei confronti anche i suoi congiunti. 

[30] E d'altra parte con quali servigi potrei ricompensare i favori di Tito Annio? Del quale la condotta e il pensiero complessivi e infine tutto il tribunato non sono stati altro che una costante, duratura, forte e tenace difesa della mia causa. E che dire di Publio Sestio? Il quale mostrò il suo attaccamento e il suo impegno nei miei confronti, non solo con la sofferenza interiore, ma anche con le ferite del corpo. In verità a ciascuno di voi, o senatori, ho espresso ed esprimerò sempre il mio sentito ringraziamento. Ho ringraziato all'inizio voi nel complesso, come ho potuto, ma non potrò mai (in nessun modo) ringraziarvi abbastanza elegantemente. E nonostante abbia ricevuto favori particolari da molte persone, favori che non posso far passare sotto silenzio, tuttavia non mi è possibile, coi tempi che corrono, accingermi a menzionare i benefici ricevuti dai singoli; infatti sarebbe difficile non tralasciare qualcuno, e sarebbe ingiusto farlo. Io, o senatori, devo mostrare riverenza quasi divina per tutti voi. Ma come nei confronti degli stessi dèi immortali siamo soliti venerare e pregare non sempre gli stessi, ma alcune volte ci rivolgiamo ad altri, così nei confronti degli uomini che si sono resi assai meritevoli nei miei confronti, dedicherò tutta la mia vita a celebrare ciò che hanno fatto per me e mostrar loro riconoscenza. 

[31] Ma in questo giorno ho deciso che devo ringraziare i magistrati singolarmente e in particolare una persona, che per il mio ritorno si era recato nei municipi e nelle colonie, aveva pregato supplice il popolo Romano e aveva esposto quel mio parere che voi seguiste, restituendomi la dignità. Voi mi avete onorato quando ero nel pieno dei miei poteri, mi avete difeso, finchè vi è stato possibile, quando ero in difficoltà con il mutamento della veste e quasi come una vostra disgrazia. A quanto riesco a ricordare i senatori neanche in caso di propria disgrazia solevano mutare d'abito; nei confronti della mia disgrazia invece il Senato mutò la veste finchè lo consentirono gli editti di coloro che privarono la mia situazione di disgrazia non solo della loro difesa, ma perfino delle vostre preghiere per il mio ritorno. 

[32] E quando ero in tali circostanze, vedendo che dovevo combattere da privato cittadino lo stesso schieramento che da console avevo sconfitto, non con le armi ma con la vostra autorità, ho riflettuto molto. Il console aveva detto in assemblea che avrebbe punito i cavalieri Romani per gli avvenimenti del Campidoglio; alcuni sono stati chiamati per nome, altri citati in giudizio, altri ancora allontanati. Gli accessi ai templi erano stati negati non solo con presidi e con la forza, ma perfino con la loro distruzione. L'altro console affinchè non solo si abbandonasse me e lo Stato, ma addirittura ci consegnasse ai nemici dello Stato, li aveva legati a sè con promesse di ricompense. C'era un altro uomo alle porte che ebbe una carica per molti anni e un grande esercito. Non dico che fosse un mio nemico, ma so che restò zitto quando si diceva che lo fosse. 

[33] Nella repubblica si schieravano due fazioni : l’una, a quanto pare, che voleva la mia morte, a causa dell’odio che nutriva nei miei confronti, l’altra che prendeva le mie difese, ma senza convinzione, dato che prevedeva uno scontro mortale. Inoltre, coloro che dichiaravano apertamente di volermi morto esasperavano, sotto questo aspetto, il timore di uno scontro, poiché mai cercarono di smorzare il sospetto e la preoccupazione dei cittadini ritrattando i propri malvagi propositi. Per la qual cosa, quando mi resi conto che il senato era oramai privato dei suoi rappresentanti più illustri, che io ero diventato una vittima, da un lato, di attacchi, dall’altro di tradimenti, dall’altro ancora di abbandono da parte dei magistrati, che venivano arruolati praticamente come servi, sotto il pretesto di censire/istituire corporazioni, che tutte le truppe di Catilina, praticamente sotto gli stessi capibanda, riacquistavano speranza di mettere a ferro e fuoco la compagine statale, che i cavalieri romani e i municipi tremavano per il timore, rispettivamente, d’essere proscritti e devastati: insomma tutti erano presi dal timore di uno scontro mortale. Quando mi resi conto di ciò, dicevo, io avrei ben potuto, ribadisco, avrei ben potuto, o senatori, difendermi con la forza delle armi, seguendo del resto il consiglio di molti tra gli uomini più valorosi e coraggiosi di allora, né mi mancava la mia tipica risolutezza che avete avuto modo in altre occasioni di conoscere. Eppure, mi rendevo altresì conto che se avessi sconfitto il mio nemico d’allora, sarei stato costretto a sconfiggerne in seguito molti altri, troppi in verità; al contrario, se fossi stato sconfitto, molti cittadini onesti sarebbero inesorabilmente andati incontro alla morte per causa mia, accompagnandomi, ma anche seguendomi nella stessa. Mi rendevo infine conto che i vendicatori del sangue versato dai tribuni erano pronti e risoluti, e che il riscatto di una mia eventuale morte era riservato piuttosto al giudizio della posterità. 

[34] Dopo che come console avevo difeso, senza il ricorso alle armi, l'incolumità generale, non volli difendere la mia con le armi da privato cittadino, e preferii che uomini virtuosi piangessero la mia sorte piuttosto che disperarmi io per le loro. E se fossi stato ucciso io solo, mi sarebbe sembrato vergognoso, se invece fossi stato ucciso con molti altri, sarebbe stato doloroso per lo Stato. E se avessi pensato che la pena che mi ero proposto sarebbe durata in eterno, io stesso mi sarei condannato a morte piuttosto che ad una sofferenza perpetua. Ma quando mi accorsi che io non sarei rimasto lontano da questa città più a lungo dello stesso governo, e io, poichè quello era stato messo al bando, pensai di non dover più rimanere; ma non appena quello fu richiamato, contemporaneamente mi portò con sè. Insieme a me rimasero lontani dalla città le leggi, i processi, il potere dei magistrati, l'autorità del Senato, la libertà, e anche l'abbondanza delle messi, ogni buon senso di dèi ed uomini, i sentimenti religiosi. Se tutte queste cose fossero rimaste lontane per sempre, piangerei le vostre sorti piuttosto che lamentare la mia; se invece una buona volta fossero state ristabilite, capirei di dover tornare insieme con esse. 

[35] E di questa mia sensazione questo stesso Gneo Plancio, che fu difensore della mia vita, è il testimone più fidato; lui che, dopo aver abbandonato gli onori e i privilegi provinciali, impiegò tutta la sua carica di questore per sostenermi e salvarmi. Questi, se fosse stato questore quando io ero console, sarebbe stato come un figlio per me; ora invece certamente per me sarà come un padre, dal momento che fu questore non del mio potere, ma del mio dolore. 

[36] E perciò, o senatori, dal momento che sono stato richiamato nello Stato insieme con il governo, nel difenderlo non solo non ridurrò affatto la mia precedente libertà, ma addirittura la accrescerò. E infatti se la difendevo già un tempo, quando cioè lo Stato mi doveva qualcosa, cosa dovrei fare ora che io devo moltissimo allo Stato? Infatti cosa c'è che possa abbattere o indebolire il mio animo, di cui vedete che la stessa disgrazia è un testimone non solo di nessuna colpa, ma anche di benefici quasi divini nei confronti dello Stato? Infatti mi fu arrecato danno, perchè avevo difeso la città, danno che fu tollerato però dalla mia volontà affinchè lo Stato, che io avevo difeso, non si trovasse, proprio a causa mia, in un serio pericolo. 

[37] E non furono, come nel caso di Publio Popilio, uomo nobilissimo, i miei figli adolescenti, o una moltitudine di persone a me vicine a pregare il popolo Romano in mio favore, e neanche poi un figlio di apprezzata adolescenza, come nel caso di Quinto Metello, uomo straordinario e illustre; non furono Lucio e Caio Metello, ex-consoli, né i loro figli, e nemmeno Quinto Metello Nepote, che in quel tempo aspirava al consolato, né i Luculli, né i Servilii, né gli Scipioni, né i figli dei Metelli in lacrime e vestiti a lutto a supplicare il popolo Romano; al contrario si è trovato un unico amico, che ha mostrato un amore quasi filiale nei miei confronti, che mi ha consigliato come farebbe un padre, con affetto da fratello (e fratello poi lo era davvero), con la sua veste luttuosa, con lacrime e con preghiere quotidiane indusse a far sorgere il rimpianto del mio nome e a rivendicare la memoria delle mie imprese. Questi, dopo aver stabilito che, se non mi avesse riportato qui con i vostri voti, si sarebbe abbandonato alla medesima sorte e avrebbe reclamato per sè lo stesso domicilio sia di vita che di morte, tuttavia mai ebbe timore né della grandezza della vicenda, né del fatto che era solo, né della violenza e delle armi nemiche. 

[38] Un altro protettore nonché difensore assiduo della mia sorte, con un coraggio ed un amore estremi, fu Gaio Pisone, che era mio genero; questi disprezzò le minacce dei miei nemici, l'ostilità del console, mio socio e suo parente, che da questore trascurò il Ponto e la Bitinia per la mia salvezza. Il Senato non ha mai emesso alcun decreto su Publio Popilio, e mai in questa assemblea è stato menzionato Quinto Metello; quelli furono poi richiamati, dopo che i loro nemici erano stati uccisi, grazie alle richieste dei tribuni, ma per uno di loro che obbediva al Senato, un altro sfuggiva alla violenza ed al massacro. Infatti appunto Caio Mario, che, a memoria d'uomo, fu il terzo prima di me ad essere stato espulso come ex-console a seguito di uno sconvolgimento politico, non solo non fu richiamato dal Senato, ma addirittura quasi tutto il Senato fu distrutto al suo ritorno. E circa questi casi non ci fu nessun consenso dei magistrati , nessun appello del popolo Romano per difendere lo Stato, nessuna sommossa dell'Italia e nessun decreto di municipi e colonie. 

[39] Perciò, dal momento che il vostro autorevole prestigio mi ha convocato, il popolo Romano mi ha richiamato, lo Stato mi ha implorato e praticamente l'intera Italia mi ha riportato indietro sulle proprie spalle, o Senatori, non farò in modo che, poiché mi sono state restituite questi beni che non sono stati in mio potere, io stesso non possegga cose che non sono in grado di garantire, tanto più che, poiché ho riconquistato ciò che avevo perso, farò in modo di non perdere mai la mia stima e la mia fiducia nei vostri confronti.

Inizio pagina


web arrangement by vittorio_todisco@tin