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LA REPUBBLICA

Il rischio della censura
per un poema romantico

La 21esima opera di Verdi debuttò a Roma nel 1859

MELODRAMMA tragico in tre atti, libretto scritto in un italiano pittoresco (la citatissima "orma dei passi spietati" viene dal Ballo) basato su un soggetto francese di Eugene Scribe destinato alla pallida messa in musica, nel 1837, di Daniel Auber, opera avvincente e sperimentale. Nascita resa tormentatissima dalla censura (portare in palcoscenico un regicidio nei mesi dell'attentato Orsini a Napoleone non fu una mossa molto diplomatica), destinata in origine a Napoli ma battezzata a Roma, basata su un vocabolario musicale sofisticato e su un rapporto originale tra voce e strumenti, sul contrasto tra tragedia e commedia, tra magnifiche espansioni melodiche e nervose narrazioni orchestrali. Un ballo in maschera tocca una verità drammatica inattesa facendo sfoggio di varietà e azzardi narrativi continui, di cui racconta a sufficienza la straordinaria scena conclusiva del ballo che dà il romanticissimo titolo (l'originale era Gustavo III, il primo italiano Una vendetta in domino) alla ventunesima opera verdiana.
Al teatro Apollo di Roma, la sera del 17 febbraio 1859, esordio di Un ballo in maschera, l'entusiasmo del pubblico creò uno slogan destinato a diventare storia anche nei manuali liceali (è l'unico accenno all'importanza della musica ottocentesca accettato dalla scuola superiore italiana). Le grida "Viva Verdi" che infiammarono platea a palchi, all'indomani vennero pennellate come "Viva V.E.R.D.I." sui muri di molte città (un mese prima Vittorio Emanuele II aveva lanciato al Parlamento piemontese un appello inequivocabile). La scritta riassumeva la condivisa aspirazione nazionale antiaustriaca. (angelo foletto)

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