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LA REPUBBLICA

A che cosa serve un festival
Largo ai film piccoli e strani

di IRENE BIGNARDI

SONO convinta che, arrivati all'ennesimo preannunciato evento festivaliero dell'anno, in un ciclo cinematografico e mondano che divide le stagioni tra la Berlinale e Cannes, tra Locarno e Venezia (per tacere delle manifestazioni più piccole e meno impaillettate, e delle più lontane e pur tuttavia importanti), tra polemiche artificiose (troppi italiani, troppi americani, troppo di tutto) ed epifanie che lasciano il tempo che trovano, tra effimere rivelazioni e passerelle, anche molti appassionati di cinema, cinefili, addetti ai lavori, studenti, curiosi, divini mondani (e amministratori, uomini politici, organizzatori, sponsor) finiscano tutti per chiedersi, prima o poi, a che cosa serve un festival. E a chi serve.
La parola, certo, suggerisce prima di tutto che dovrebbe essere una festa, cosa che per molti (e per molti versi) è veramente - salvo forse per quelli che sgobbano come pazzi per mettere insieme un evento apparentemente così effimero e in realtà così faticato.
Ma l'idea di festa basterebbe a giustificare gli investimenti, i costi, le risse, i malumori, le frustrazioni, le polemiche e le ire funeste su cui si costruiscono questi lieti eventi? Che senso avrebbe finanziare il divertimento e le passerelle, i grandi alberghi e i megabuffet, i nani e le ballerine, le top models e i top manager, i laser sparati in cielo e gli elicotteri, i presenzialisti (del festival) e gli assenteisti (sul luogo di lavoro) se si trattasse solo di un ennesimo gioco per vedere da vicino - o calpestare, quest'anno, lo stesso lido di Clint o di Sharon, di Woody o di Richard (Gere, certo)?
Bene, non è così. E teniamoci cari questi undici giorni di "festa" (ma a Venezia la chiamiamo più seriosamente Mostra).
Perché da questi undici giorni - e da quelli di Cannes, di Berlino,di Locarno, di Torino Giovani, di Taormina, di Sundance, di Toronto.- escono le idee (o molte delle idee) che ci nutrono, ci sollecitano, ci fanno sfuggire all'omologazione.
Certo, i grandi film, i blockbusters, quelli garantiti dal nome di Clint Eastwood o di Robert Zemeckis, dalla faccia di Johnny Depp o dallo humour di Woody Allen, non avrebbero bisogno di questa festa e di questa vetrina. Ma ne hanno bisogno i tredici debuttanti (di cui uno in concorso, di cui i soliti bene informati dicono già meraviglie) che approdano per la prima volta alla ribalta dell'attenzione.
Ne hanno bisogno i film piccoli, strani, fuori formato, fuori norma, che non avrebbero altrimenti la forza economica e, per dirla con irritante parola, "massmediatica" di arrivare all'attenzione del pubblico, di crearsi il loro seguito, il loro culto, la loro sopravvivenza. Non ci sarebbero arrivati, per andare tanto indietro nel tempo, né Almodovar né Kiarostami, né Kusturica né Zhang Yimou, né Kieslowski né Lars von Trier: dei nomi che ci sembra ormai facciano parte del pantheon dei valori riconosciuti e che sono stati riconosciuti invece attraverso quel grande trailer, quella bulimia informativa, quell'attenzione coatta che è un festival.
E' per questo che sono importanti le scelte di un direttore . E questo è l'anno in cui - tra i centocinquantacinque film presenti, tra i ventisette film in selezione ufficiale, tra i tredici esordienti, tra i quattro italiani in concorso - si parrà la nobilitade del simpatico Barbera.
La si misurerà da quello che , messi da parte gli eventi grandi o strombazzati, ci resterà nel ricordo e nella testa di film che, per il fatto stesso di essere presenti a Venezia, verranno salvati dal silenzio massmediatico, dalla distrazione degli spettatori, dall'anonimato, dalla sparizione.
E' per questo, anche, che servono i premi: per farci ricordare meglio. E' per questo che è sempre meglio tuffarsi nelle acque affollate della Mostra cercando di nuotare da soli, di fare scoperte, di andare controcorrente.
Clint lo potremo vedere tra pochi giorni sotto casa. Le cose nuove, se non facciamo rumore, rischiano di inabissarsi.
(Quanto al rumore attorno ai quattro- e quindi troppi - film italiani, vogliamo prima di tutti fargli e farci tanti auguri, e , in ogni caso, rimandare l'eventuale scandalo al consuntivo? )

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