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LA REPUBBLICA

Reinaldo, il calvario di un gay all'Avana
Schnabel parla di "Prima che sia notte" sullo scrittore morto suicida

dal nostro inviato NATALIA ASPESI

VENEZIA - Gli inviati delle riviste e dei siti gay circondano festosi l'autore del film che celebra la tragica vita e la morte per suicidio a 47 anni, nel 1990, di Reinaldo Arenas, grande scrittore cubano, grande omosessuale perseguitato, grande dissidente anticastrista. Lo applaude anche Franco Grillini, diessino, presidente onorario dell'Arcigay, che consiglia agli omosessuali di correre immantinente a vedere Prima che sia notte di Julian Schnabel, presentato ieri in concorso. "Per noi è un film straziante, anche perché a Cuba gli omosessuali sono tuttora perseguitati e messi in galera. Ma lo deve vedere anche quella parte della sinistra che continua a considerare Castro un eroe della rivoluzione e non quello che è, un dittatore irriducibile".
Schnabel si adombra se qualcuno tenta di dare al suo film un colore politico. "Proprio per evitare qualsiasi strumentalizzazione, non ho citato la lettera d'addio di Reinaldo, con la quale dava la responsabilità della sua decisione a Fidel Castro che lo aveva costretto a lasciare la sua amata isola per emigrare, insieme a altri 250 mila indesiderati, negli Stati Uniti. Però posso citare a memoria le sue parole: "La sofferenza dell'esilio, la solitudine e le malattie non mi avrebbero certo colpito se avessi potuto vivere, libero, nel mio paese". Del resto Reinaldo aveva scritto: "Non mi sono mai considerato né di destra né di sinistra. Racconto solo la mia verità come un ebreo che abbia sofferto il razzismo".
E' per rispettare le idee di Arenas che, dice Schnabel, "non ho fatto né un film politico né un film gay ma ho cercato di rappresentare quello slancio di libertà, quella capacità di sopravvivere attraverso l'immaginazione e la scrittura anche nella più lurida delle prigioni, anche mentre stava morendo di Aids".
Schnabel è un bell'omone cinquantenne, di capelli, barba e baffi folti e rossastri, che pare sceso dalla passerella dissennata di Jean Paul Gaultier: indossa infatti un gilet di jeans aperto sul vasto petto e da cui escono nude le braccia robuste e levigate, attorno ai fianchi opulenti tiene un grande scialle etnico che gli fa da gonna e che lui trasforma con la sua imponenza nel più virile degli indumenti. A Venezia con la bellissima seconda moglie basca di nome Ovitz e il figlio adolescente Vito Maria (che appaiono nel film) è ospite del conte Volpi di Misurata, in quanto celebre artista tuttora di massima moda, con opere nei grandi musei, dal Guggenheim alla Tate Gallery, nelle collezioni che contano come quella di Saatchi&Saatchi o dei Versace, in certi film come esempio di strabordante lusso (vedi Wall Street): "Non ho mai lavorato né per il successo né per il denaro. Come artista però, è vero, ho fatto una fortuna. Il che mi ha permesso di finanziare questo film". Che, arrivato alla Mostra (come gli altri film indipendenti americani) senza distributore per gli Stati Uniti, dove c'è una vera ripulsa per i film non dichiaratamente di cassetta, adesso è conteso a suon di miliardi da tre possibili acquirenti. Nel 1996 Schnabel portò qui Basquiat, la cinebiografia del giovane pittore di strada suo amico, morto giovanissimo.
"Ma Prima che sia notte non è un film biografico, mi sono solo ispirato alla bellissima autobiografia di Arenas pubblicata postuma (in Italia con lo stesso titolo da Guanda). Il film è una mia versione della sua vita, con episodi e personaggi tratti anche da suoi romanzi. Come il travestito Bon Bon che riesce a portare fuori dal carcere, infilato nel cavernoso didietro, uno dei manoscritti proibiti di Arenas e che ha la faccia truccata e desolata di Johnny Depp. Il quale poi diventa, come ispirato da Jean Genet, il bell'ufficiale castrista che lo minaccia e lo tenta accarezzandosi il pube".
Arenas ha la faccia maschia eppure ambigua di Javier Bardem, attore preferito da Almodovar e da Bigas Luna: "Mi serviva un attore capace di dare voce, disperazione e forza alle magnifiche parole di Reinaldo, al dolore di un uomo perseguitato perché omosessuale e perché scrittore". Ma, dice Schnabel, anche nei paesi democratici gli omosessuali non hanno tutti i diritti: "Credo per esempio che il Papa abbia fatto di tutto per impedire a Roma il Gay Pride. Negli Stati Uniti ci sono stati episodi di razzismo antigay atroci, come il caso del ragazzo omosessuale crocefisso nel Wyoming o quello del militare ammazzato in caserma dai commilitoni perché ritenuto frocio".
Nei cinque anni di esilio negli Stati Uniti, racconta Schnabel, Arenas visse malissimo, isolato e povero, sognando solo la sua isola, la sua infanzia miserabile sotto Batista, le speranze tradite della rivoluzione, la bella madre abbandonata dal marito come tutte le donne della famiglia. "Come ho voluto sottolineare nel film, con la malattia lui conobbe il lato spietato della democrazia americana, che rifiuta ogni cura a chi non può pagarsi una assicurazione.
Malatissimo, Arenas fu cacciato più volte dagli ospedali. Allora, alla fine degli anni 80, di Aids si moriva in modo atroce perché non c'erano ancora i farmaci che oggi consentono di prolungare la vita. E lui nell'agosto del 90, moribondo, scriveva: "I governanti di tutto il mondo, la classe reazionaria al potere e i potenti di ogni sistema politico, dovrebbero rallegrarsi dell'esistenza dell'Aids, che elimina dalla faccia della terra la parte marginale della società, quella che non aspira che a vivere, nemica dei dogmi e dell'ipocrisia politica".

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