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CORRIERE DELLA SERA

MUSICAL Roberta Torre porta al Lido una festa goliardica e annuncia che dopo il prossimo film lascerà il Sud

«Negre», vecchie zie, un po’ di folk: caciara palermitana alla milanese

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
VENEZIA - Per «Sud side stori», il musical siculo scespiriano di Roberta Torre (cui ha collaborato, in amicizia, il duo trasgressivo Ciprì e Maresco), è arrivata al Lido una Palermo folk che ancora mancava. Ci sono le attrici-vecchie zie Eleonora, Rosa e Giuseppa, che ancora hanno l'ingenuità di chiamare «negre» le prestanti signorine nigeriane, loro avversarie nel film d'amore in cui si usa un variopinto repertorio di materiale post-moderno, specie musicale. Tutta gente presa dalla strada, come si diceva una volta, che non solo non ha mai fatto cinema, ma che, al cinema, non ci è neanche mai andata; però sul set ha dato l'anima, nel senso che ha raccontato vere storie, cantato vere canzoni, provato vere sensazioni.
«Dapprima abbiamo litigato un po' con le "negre", qualche volta ci dovevano perfino dividere», dicono senza pudori le zie bianche, «perché loro, le africane viziate, facevano i capricci sul mangiare. Ma poi abbiamo capito che siamo tutte uguali e siamo andate d'accordo come sorelle». La controparte sorride: «Era la prima volta che facevamo questo lavoro, ci siamo divertite. Dentro ci abbiamo messo le nostre storie, ma è stata la musica che ci ha unito: si litigava, ma poi si faceva anche la pace».
E' questa la sintesi di un diario di lavorazione contrastato. «Sud side stori», seconda e costosa operazione «antropologica» della milanese Roberta Torre, inviata dai sentimenti privati nel 1990 nel profondo Sud, è stato più volte interrotto perché la gente di colore era clandestina e non aveva i visti per restare. Quando una ragazza ottenne il passaporto fece, di fronte ad allibiti funzionari, una danza tribale intorno al «dio documento». «C'era il problema - dice la Torre - di ottenere la loro fiducia, di entrare nei sentimenti, farsi accettare».
Nottata folk, dunque, al Lido, con quel po' di caciara goliardica e la promessa di una festa pop in cui si sfideranno, come accade del resto nel film, niente meno che le ugole cult di Mario Merola e Little Tony. «Sono superstiziosa, speriamo mi vada bene come per "Tano da morire"» dice l'autrice. Che nel secondo film si è lasciata prendere da stravaganze visive, grandangoli, citazioni, manciate di grottesco, uno speaker-tv che racconta e deforma, pupi, guizzi surreali, urla e fumi e risse... Col rischio che la confezione vinca su tutto.
Eppure la Torre è una documentarista interessata soprattutto alle facce, «attratta dalla capacità che nel Sud hanno di mescolare commedia e tragedia. Sono sicura - dice - che l'immigrazione sarà il problema del futuro. Il prossimo film, non un musical, lo girerò ancora a Palermo e si chiamerà "Angelo". Avrà a che vedere con un rito magico. Poi però me ne andrò, cambierò per una stagione: non riesco più a vedere questa città in modo acritico e con l'entusiasmo di prima: provo difficoltà culturali. Emigrerò, sono curiosa di altro».

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