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CORRIERE DELLA SERA «Unanimi solo nel premiare il
coraggio»
Forman: «Divergenze tra i giurati».
Schnabel: «Vorrei portare il mio film a Cuba»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
VENEZIA
«Nessun premio è stato dato all'unanimità, tutti sono stati assegnati a maggioranza
ristretta e dopo discussioni. Ho pregato i miei colleghi della giuria di non spiegare le
motivazioni delle divergenze di vedute e dei loro perché. Ma vorrei io, in quanto
presidente, condensare tutte queste fertili discussioni in una considerazione: nel cinema
del mondo ci sono ancora tante pellicole trash, ma ci sono anche, e le abbiamo premiate,
opere coraggiose, che ci aiutano a capire la realtà in cui viviamo. Quella per la quale
vale la pena di lottare, di pensare, di sedersi nel buio di una platea per seguire una
storia, tante storie, che sono la nostra»: così Milos Forman, nel commentare i premi
ufficiali della 57° Mostra di Venezia. Quelli per i quali, secondo la giurata Jennifer
Jason Leigh «ci sono state vere e proprie fazioni, pro o contro. Ma siamo tutti
orgogliosi del verdetto finale. La tensione, anche nelle nostre discussioni, si è
trasformata in una vera informazione di quanto il cinema può offrire al mondo per
aiutarci a capire dove siamo, dove andiamo».
Eccoli i vincitori: Julian Schnabel e il suo protagonista Javier Bardem (gran premio della
giuria e miglior attore) hanno raccontato la violenza contro gli omosessuali e i deboli in
una Cuba dal regime repressivo, discriminatorio; Barbet Schroeder in «La virgen de los
sicarios» (medaglia d'oro della Presidenza del Senato) ha affrontato la devastazione
della Colombia tra droga, consumismo e violenza; Marco Tullio Giordana in «I cento
passi» ha affrontato, per farla capire ai giovani, la ribellione alla mafia senza voler
fare un film di e sulla mafia, ma rilanciando valori per tutti.
Dice Schnabel: «Vorrei che il mio film fosse visto a Cuba , vorrei che la verità del
film fosse accettata, discussa. So che le critiche al sistema Usa, nella seconda parte,
quando lo scrittore protagonista muore in un sistema americano apparentemente democratico,
ma che taglia le game ai più deboli, faranno sì che la censura del mercato per i film
indipendenti come il mio si trasformi in una censura a chi critica il sistema. Ma ho vinto
e ne sono fiero. Il mio film, su un omosessuale ucciso prima in nome del
"popolo", poi dall'indifferenza perché aveva da dare al mondo capitalista solo
la sua letteratura di denuncia, esiste, ha due Leoni e potrà ruggire contro il
silenzio». Concorda Bardem l'attore e dice: «Si dimentica troppo spesso: l'ho pensato
mentre il pubblico della platea di Venezia non si alzava in piedi per Gassman e io l'ho
ricordato apposta nel mio ringraziamento».
Anche il regista indiano Buddhadeb Dasgupta parla del suo «Uttara» come di un'opera che
denuncia il pericolo nel mondo di un fondamentalismo politico e religioso. E il regista
Giordana afferma: «Il buon cinema incontra difficoltà in tutti i Paesi del mondo:
l'establishment non lo ama. La lotta contro la stupidità e il conformismo o la
standardizzazione si pratica con i film di un certo tipo». Parla dell'integrazione delle
minoranze immigrate in realtà piene di trabocchetti e discriminazioni anche il regista
Abdel Kechiche, premiato per la sua opera prima «La faute à Voltaire» mentre la
giovanissima Megan Burns di «Liam» di Stephen Frears riporta a tutti, malgrado lo
sguardo felice, la durezza della vita che sullo schermo vive all'interno di una povera
famiglia cattolica irlandese nella Liverpool del 1930.
Dice Schnabel: «Il pubblico ama l'evasione,i sogni, spesso evade da queste realtà così
feroci. Venezia ha fatto un'altra scelta e la rilancia al mondo». Schroeder, pensieroso,
rilancia il senso delle affermazioni del Presidente della giuria Milos Forman e del
verdetto di questa Mostra: «Il mio film forse non sarà censurato né dal pubblico né da
altri: l'omosessualità sconfitta che racconta, il disincanto amaro di ogni forma di
religione-oppio, soprattutto la sua violenza così dissimile da quella che vediamo di
boati e fuochi d'artificio nei film Usa, sono uno sguardo che parla». |
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