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Cenni storici

 

Cartolina, edizione Angela Bloise:

                                                                                                    (Archivio Laino)

ALBIDONA TRA STORIA E LEGGENDA

 

   Questo paese ha origini antichissime ed’è legato alla storia e alla leggenda. Una leggenda assai suggestiva è quella che parla di alcuni profughi della guerra  di Troia, approdati sulla costa ionica duemila anni fa. Con essi c’era anche l’indovino Calcante, morto di crepacuore per aver perso la scommessa: avrebbe fondato il paese di Leutarnia chi sarebbe stato capace di indovinare il numero esatto e il sesso dei porcellini di una scrofa già pronta a sgravarsi, oppure il numero dei semi contenuti in un fico. Calcante, insuperabile per la sua chiaroveggenza, sarebbe stato sconfitto da un altro indovino, meno famoso di lui. La leggenda di Calcante è collegata anche alla sorgente di acqua sulfurea, detta comunemente “fontana fetente”, ancora esistente nel bosco Potente: quest’acqua sarebbe diventata sulfurea perché “s’è mischiata col sangue dei Giganti Flegrei, uccisi da Ercole”.

   Anche l’erudito Licofrone (III° sec. A.C.) nella sua Alessandra, e Strabone, notissimo storico e geografo greco (63 a.C.-19 d.C.), nella sua Geografia,  parlano di Leutarnia, che tra l’altro, è stata una delle 25 città confederate all’antica Sibari. Ma questo nome se lo contendono altri paesi.

Comunque, anche se la leggenda di Calcante e di Ercole sono  assai suggestive, bisogna concludere che la storia di questo piccolo paese dell’Alto Jonio cosentino,  “incastonato in una bianca roccia e cinto da tre conici monti”,  è fatta anche di documenti che bisogna citare, soprattutto per evitare le inesattezze dove spesso incorrono quelli che vogliono fare ricerca, copiando dagli altri, senza tenere conto della opportuna verifica delle fonti, degli errori e delle amenità che ancora vengono diffusi.

dove sorgeva il castello di Bernardino Castrocucco

I documenti scritti risalgono attorno al Mille. Come si legge in due pergamene datate 1106 e 1202, conservate nella Badia di Cava dei Tirreni, dalla quale dipendevano tutti i monasteri calabresi del medioevo, nella vallata del Càfaro e sull’altura di Piano Senise c’erano alcune fiorenti abbazie   basiliane che portavano il nome di Santa Venere (o Santa Veneranda), Sant’Angelo e Santa Maria del Càfaro.

 Nel 1276, come attesta un altro documento, la cedula subventionis angioina, Albidona contava 2260 anime (oggi, siamo scesi quasi a 2000 !). In un altro documento di fonte vaticana del 1324 risulta che in questo periodo c’era già la chiesa  arcipretale di S. Michele Arcangelo, con i suoi presbiteri.

Ma delle vicende religiose, che vanno dal medioevo al Settecento, è bene passare in rassegna il documentato Regesto vaticano di Padre Francesco Russo, che parla spesso di Albidona.

Gli altri storici, da Gabriele Barrio a Gerolamo Marafioti, a Giovanni Fiore, da Lorenzo Giustiniani Nicola Leoni e a Don Vincenzo  Padula, dicono prima Auvidona, Lavredone, Levidona e poi Albidona.

Ma che significa questa parola ?  alba significa anche altura (1). Il Padula scrive Alba-don, fuoco, e quindi, terra di origine vulcanica. I più “poetici”, invece, dicono:  Albidona, il paese che dona l’alba, Albidona dall’alba dorata:  ecco perchè alcuni la chiamano Montedoro, o anche paese dei doni bianchi: la candida neve che arriva dal Pollino, i bianchi prodotti della pastorizia ma soprattutto la bianca aurora che la bacia nel primo mattino di primavera.

Che c’è da vedere in questo paese ?  all’ingresso del centro abitato, il secolare “Pràino’i Mastr Giuguann”, il pero selvatico, oggi di fronte al Bar Golia. Una volta, qui non c’erano le case; i giovani che partivano per la guerra, gli emigranti che andavano verso le Americhe, si abbracciavano e si congedavano …al “Pràino di Mastr Giuguann”.

Subito dopo, percorrendo la via provinciale per Alessandria del Carretto, la Cappella di San Rocco (una volta era fuori del centro abitato). All’interno, c’erano molti ex voto, le statue di S.Rocco (16 agosto) e di San Donato (settembre).

Il Monumento ai Caduti di tutte le guerre. Vi sono incisi i nomi dei martiri del 1848 e dei giovani soldati caduti nei due conflitti mondiali. Fu eretto, per iniziativa del Maresciallo Leonardo Rizzo e di altri ex combattenti e reduci locali, vi contribuì la popolazione albidonese e venne inaugurato il 6 maggio del 1966.

Nel rione Convento è da visitare la Chiesa di Sant’Antonio (ecclesia monasterium), che faceva parte del convento dei monaci Cappuccini “Minori Osservanti” di S.Francesco d’Assisi. Questo monastero venne soppresso dopo il 1860; le attuali case degli Urbano, che mantennero fino a pochi anni fa, l’antica struttura quadrangolare, con il chiostro e la cisterna al centro, facevano parte del suddetto complesso religioso.   In questa chiesa era conservata quella tavoletta lignea, rinvenuta dal parroco D. Domenico Di Vasto negli anni ’50, dove era incisa questa iscrizione:

Oc tectu Massentius De Rago f.f. p.s.devo – 1070.

A quanto pare, questo reperto non è più in sede. Anche se la data è stata scritta in maniera errata, perché la tavoletta risale al 1700 e non al 1070, sarebbe una grave perdita.

In cima al paese è la Chiesa Madre di S. Michele Arcangelo, dove puoi ammirare non solo i marmi policromi degli altari ma anche le statue lignee, le tele raffiguranti santi e madonne, il grande crocefisso della cappella del Santissimo, le piastre in pietra locale del pavimento. All’esterno, la torre campanaria, le grosse campane di bronzo che risalgano all’epoca dei signori Castrocucco, l’orologio, la lapide dei Caduti del 1915-18, i due grandi portali in legno massiccio, e sul lato “Manca”, il poderoso contrafforte, detto comunemente “mazza”, reso necessario nel 1812, forse a causa, non del terremoto che avrebbe distrutto “mezzo paese”, ma di un movimento franoso. Purtroppo, in questi  frequenti restauri  apportati, senz’altro apprezzabili, non si è tenuto sempre conto di alcune  preziose originalità di questa chiesa, sorta in tempi remoti. Forse non c’era bisogno di rimuovere, o di  eliminare alcune piastre del pavimento ed era interessante riportare alla luce gli affreschi della parete tra la porta interna del campanile e la “porta “piccola”, scoperti nei lavori degli ultimi restauri.

Nell’800 Albidona ricordava anche le chiesette di S.Pietro e di San Salvatore, di cui si sono perse tutte le tracce.

Fuori del centro abitato c’erano diversi eremi e cappelle: Potente, Micari, Gioro, Sant’Elia. Nel vasto caseggiato rurale di Maristella esiste ancora la Cappellina di Santa Barbara, voluta, nel 1800, da Donna Barbara Bellarme (congiunta del monaco Luigi Rinaldo Chidichimo). Delle Cappelle della Pietà e del Càfaro parliamo a parte.

Nel centro storico, che continua a perdere pure le sue antiche peculiarità, bisogna ricordare le case con i portali ad arco dei pochi benestanti locali: palazzo Chidichimo,  tra il rione Castello e Piazza Risorgimento; era diviso in “Casa grande” del deputato Luigi Chidichimo (1835-1904) e “Casa piccola” dell’ing. Rinaldo Chidichimo. Come possiamo rilevare da una data incisa in un artistico frontale di caminetto, ora buttato in un cortile interno, questo palazzo potrebbe essere stato costruito attorno al 1828. Caratteristici i balconi in ferro battuto, con lo stemma dei Chidichimo, provenienti da Napoli. Poco rispettosa quella canna fumaria che sovrasta la lapide del parlamentare Chidichimo.

Casa Spillone, sulla via per la Chiesa Madre; palazzo che rischia di andare in rovina; la casa  Dramisino (presso la citata  Piazza) ci ricorda il notaio Pasquale, morto nei Bagni di Procida e anche la  misteriosa “chioccia d’oro”. La casa dei Prinsi, (nell’attuale Via Dante, è ben conservata, perché è stata acquistata dai privati. Nella parte più alta del paese, tra la chiesa di S.Michele e il vecchio municipio abitavano gli “gnùri” Rago; sulla facciata esterna di una di erano scolpiti i famosi “ciuòti d’a gnùra Perna”; nell’attuale casa Pota e Mutto abitava lo speziale  Terranova; altri “gnuri”  Rago abitavano nell’attuale casa dei Mele e  lungo la via dello stesso Comune. Qui c’erano altri benestanti dell’800: i Costanzo, i Mutto, ecc. I Gatto (Marmotta), con i loro sindaci e arcipreti,

 abitavano nei pressi di Piano Franco (casa dei Serafino), vico S.Pietro (casa Gavazzo) e casa “‘Nciccariell’, vicino la Piazza, con la lapide di Francesco Gatto  – 1833-1906, sindaco per 18 anni. Qui c’era un caratteristico portale in quercia ma è stato recentemente rimosso per le solite ragioni di restauro.

Del vecchio castello dei Castrocucco erano visibili, fino agli anni ’70, alcuni spezzoni di mura e la cisterna centrale per l’acqua. Certamente, il vecchio Magazzino (attuale casa Destefano), successivamente adibito a deposito  per l’annona municipale, a carcere, e nuovamente per deposito di granarie dei Chidichimo, faceva pure parte del detto maniero. Nel 1517 vi abitava Rinaldo Castrocucco. Albidona fu sotto varie signorie feudali: nel 1291 c’era Corrado D’Amico, l’ultimo feudatario fu Ottavio Mormile, Duca di Campochiaro (1806). I Chidichimo, provenienti dall’Albania, erano agenti del Campochiaro ma “regnarono” fino al 1950.

Fuori del centro abitato sono visibili ancora i ruderi dei vecchi mulini ad acqua: i mulini di Scillone

e di Chidichimo sulla fiumara Saraceno, il mulino dei Prinsi presso contrada Alvani, alle sorgenti della fiumara Avena. Nelle contrade Martucci, Primenzano, Cardo, Verte e Tarantino c’erano le fornaci per i laterizi di argilla. Dei personaggi di Albidona parleremo in seguito. (G.R.)

 

1) Rivista Archeo, n.31, p.18, 1987

 

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A cura di: Angelo Laino & Giovanni Rizzo