21
febbraio 2001
Sulle tavole
del teatro
Seduti attorno ad
una tavola imbandita, una domenica qualunque a pranzo, all'interno di un edificio
ancora grezzo che qualcuno chiama deposito degli attrezzi ma che in realtà
è un teatro. Fuori, oltre le finestre, la campagna ancora spoglia illuminata
da un sole insolito per questa stagione. Dentro taglieri di salumi e bottiglie
di bianco frizzante, distese di tagliatelle e piatti colmi di noci. Sono ventidue
persone non una di più, quelle ammesse a ogni replica di Teatro
da mangiare?, il singolare spettacolo-evento che ogni domenica alle 13
(ma a partire da marzo anche il sabato alle 20,30) il Teatro delle Ariette
presenta nel suo podere, a Castello di Serravalle. Perché fu nell'autunno
dell'89 che Paola Berselli e Stefano Pasquini, allora attori come tanti dell'underground
bolognese, decisero di voltare pagina, lasciando la città e iniziando
realmente a fare i coltivatori diretti. Sono passati lunghi anni durante i
quali i due giovani hanno continuato a lavorare i campi e a allevare animali
ma la passione, ovvero il teatro, li ha scovati anche lì. Prima facendo
loro allestire spettacoli in una piccola sala della loro casa colonica, poi
istigandoli a dare concretezza al sogno. A fargli costruire cioè pietra
dopo pietra un teatro vero e proprio. E' tutto questo che la Berselli e Pasquini
(con l'amico Maurizio Ferraresi) raccontano in "Teatro da mangiare?",
una performance che l'estate passata è approdata al festival di Volterra
e di cui ha scritto addirittura Le Monde. Ma loro, questi tre quarantenni
legati dal desiderio impudico dell'autobiografismo, al successo sembrano non
badare troppo. Così ogni giorno di festa raccolgono un po' di pubblico
a cui mostrano tutto quello che sanno fare (e in questo consiste lo spettacolo):
un buon pranzo grazie ai prodotti tipici prodotti nel podere ma anche monologhi,
canzoni e molta affabulazione.
L'occasione sembra banale ma il pretesto è ambizioso. Perché
questi tre cuochi-attori chiacchierano di sé senza timore, mischiando
al sorriso spontaneo il senso tragico della vita. E così mentre in
un angolo l'acqua delle tagliatelle si appresta a bollire, si ascoltano storie
d'utopia, amori indissolubili e sperdimenti dell'anima. Il tutto raccontato
con una genuinità tanto autentica da fare male: perché fra verdure
biologiche e pane cotto al forno si ha quasi l'impressione di toccare quella
terra di nessuno dei sentimenti che attraversa chiunque.
Claudio Cumani