4 Aprile 1999
Antigone
e i partigiani
Comunque la si voglia giudicare,
l’esperienza del Teatro delle ariette
è fra le più insolite e in fondo fra le più aristocratiche nel panorama della
scena italiana. I suoi creatori, Stefano Pasquini e Paola Berselli, militavano
in un gruppo teatrale bolognese che hanno poi lasciato,- come è accaduto a molti
– per andare a vivere in campagna , in uno splendido casale a Castello di Serravalle,
nel verde delle colline bolognesi, diventando coltivatori e operatori di agriturismo.
Ma il teatro si è riaffacciato irresistibilmente fra quei boschi, sotto forma
di piccoli spettacoli allestiti con alcuni allievi in una stanza di 6 metri
x 4 col soffitto a travi e le luci manovrate a vista.
L’aspetto più significativo del << progetto Ariette >> è nell’aver
naturalmente dimostrato che il teatro non
nasce come un’entità asettica e indipendente, svincolata dal contesto
in cui viene ideato e allestito. Fare spettacoli in luogo del genere vuole dire
cercare automaticamente un linguaggio, delle forme d’espressione che salgano
direttamente dai colori e dagli umori della terra, del paesaggio e delle sua
gente, e quei colori e quegli umori interpretino, ne colgano il legame profondo
con le vicende della Storia, raccontandole a chi lì è nato e a chi viene da
fuori, cercando di farsi capire da entrambi. Non suona dunque come omaggio retorico
a certe viete convenzioni teatrali la scelta di realizzare – dopo Madre
Coraggio
di Brecht e Argini, stralunata
storia d’amore anni Sessanta – Fratelli d’Italia, una rivisitazione del
mito di Antigone ambientata nelle campagne emiliane sul finire della Seconda
guerra mondiale. La protagonista, ovviamente, è una ragazza di paese – bicicletta,
strade sterrate fra i campi – mentre lo zio Creonte è falegname e capo partigiano
e i due fratelli, Polinice ed Eteocle, finiranno con l’uccidersi a vicenda militando
su fronti opposti, l’uno in camicia nera, l’altro nelle file della Resistenza.
La chiave scelta da Pasquini alterna parti strettamente narrative con convulsi
scoppi d’azione. Si comincia con l’epilogo, ovvero della pace appena conquistata,
sancita da un’emblematica partita di calcio giocata tra le gambe dei 22 spettatori
pigiati tutti intorno alle pareti della stanza, poi i personaggi principali,
Antigone , Creonte, ricostruiscono i fatti del passato rivivendoli dal proprio
punto di vista. La rievocazione si rompe all’improvviso quando tutti gli attori,
uscendo dalle parte ed enunciando identità e vissuti personali, confrontano
la violenza di allora con la propria privata esperienza della morte. C’è, bellissima
e toccante, la voce di un vecchio del posto che legge il coro dell’Antigone
di Brecht con le sue cadenze incerte, dialettali. Si torna quindi all’eroina
che ha violato il divieto di seppellire il fratello Polinice, i pantaloni calati
come per uno stupro, faccia a faccia con Creonte che sta preparando la pistola
.La rappresentazione assume i toni di un’inchiesta o di un processo: Voi con
chi state?, viene chiesto al pubblico, in un intento di coinvolgimento fin troppo
ingenuo e scoperto. Ma fra queste colline le ricerche di
stile contano
poco, l’intensità dei contenuti deve all’apparenza prevalere sulla forma,
o quanto meno la forma si piega, si adatta alla necessità dei contenuti.
Renato Palazzi