L’erosione
litoranea pisana
Il Fiume Arno, assieme al
Serchio ed in misura minore i vari torrenti che scendono dai Monti Pisani, hanno
generato nei millenni, la pianura alluvionale pisana.
Per comprendere come ha
potuto svilupparsi l’erosione costiera pisana, premetto un riepilogo storico
degli interventi effettuati negli ultimi secoli su questi fiumi. Sono
senz’altro riferite a questo periodo le modifiche più incisive, che hanno
infine prodotto questo immenso danno ambientale che si aggrava sempre più negli
anni.
Cosimo dei Medici
(1519-1574) è stato il primo granduca della Toscana. Fu un uomo ambizioso, che
riuscì durante il suo governo, ad istituire nel 1570, il Granducato.
Si deve alla sua opera,
l’inizio dei profondi interventi sul territorio, orientati a fare della
Toscana uno Stato, sempre più indirizzato verso uno sviluppo sociale favorito
dal commercio. Uno sviluppo che quindi appagasse i bisogni della popolazione, in
quel tempo piuttosto limitata come numero, in cui la vita media delle persone,
era relativamente breve.
Le carestie si presentavano
frequentemente per la perdita dei raccolti, o per l’impossibilità di
seminare, in occasione delle frequenti piene dei fiumi e torrenti, non arginati
o parzialmente arginati che esondavano sull’ampio territorio, allagandolo
estesamente e per lungo tempo.
Le sanguinose guerre
comunali che, per il potere dei nobili, erano sovente combattute tra le varie
città, decimavano ulteriormente la popolazione, come le frequenti malattie e le
micidiali epidemie (tra cui la malaria) che puntualmente si presentavano negli
anni.
Fu soprattutto durante il
suo governo che iniziarono ad essere eliminate numerose anse, i meandri naturali
del Fiume Arno, presenti nel vasto territorio fiorentino, che rallentando il
deflusso, contribuivano a far esondare il fiume nelle grandi piene, in seguito
alle alluvioni ricorrenti, allagando il vasto territorio che attraversava.
Furono intrapresi inoltre,
imponenti lavori di canalizzazione dei vari fossi, realizzando o ripristinando
il reticolo idraulico, per il drenaggio del territorio, soprattutto nella poco
declive pianura pisana, per favorire lo scolo delle acque pluviali, tenendo
prosciugate le campagne e permettere quindi la coltivazione dei cereali.
Insieme ai vari interventi d’allineamento del fiume, che diminuendo il
percorso, accorciavano anche il tempo di trasporto delle merci per via fluviale
(una pratica molto diffusa nel passato), fu intensificata l’arginatura
dell’Arno (ed anche del Serchio) iniziata alcuni anni prima.
Deboli argini, realizzati
in un territorio ampiamente naturale, con la presenza diffusa d’animali
selvatici che sovente li danneggiavano, scavandovi le loro tane e favorendo per
questo, le rotte, il cedimento degli stessi argini nelle piene dei fiumi.
Il professor Emanuele
Repetti, autore del “Dizionario Geografico-Fisico-Storico della Toscana”, (a
pag. 144, del I volume), scrive: nel 1458, incominciò l’impresa
d’incanalare fra le circoscritte sponde il fiume principale della Toscana.
Il Dizionario, un’opera
grandiosa, che in sei volumi descrive, sotto i vari aspetti, tutto il territorio
del Granducato di Toscana, fu edito a Firenze negli anni compresi dal 1833 al
1846.
Nelle mappe di Leonardo da
Vinci, rappresentanti il territorio toscano, sono evidenti i numerosi meandri
che il Fiume Arno aveva nei primi anni del Cinquecento.
Nella carta riprodotta qui
sotto, sono visibili il vasto Palude di Fucecchio ed il Lago di Sesto (o di
Bientina), che lambiva i Monti Pisani (fig. 6).
(fig.
6) -Le anse, i numerosi meandri del Fiume Arno, nel 1500 (Leonardo
da Vinci)
Un fiume allo stato
naturale che scorre in una pianura, ha una lunghezza tra la sorgente e la foce
che è superiore a tre volte rispetto alla lunghezza in linea d’aria (il
rapporto è pari a circa 3,14), rallentando il deflusso nelle piene, moderando
naturalmente la corrente fluviale ()
Questi allineamenti
provocarono un aumento dell’intensità della corrente fluviale nelle piene che
provocarono un’intensa corrosione dell’alveo dell’Arno, comprese le sue
rive. Leonardo da Vinci (Codice
Atlantico, f. 92 t), scrive: quanto il fiume è più diritto, esso si fa più
veloce e rode forte, e consuma l’argine e il fondo...
Con l’arginatura, resa
sempre più robusta con i numerosi lavori effettuati, la corrosione dell’Arno
fu accentuata negli anni.
Soprattutto avviando le
bonifiche del territorio paludoso prossimo al fiume, poiché in questo modo la
portata idraulica fu aumentata, indirizzando nel corso fluviale, l’acqua che
gli eventi meteorologici, le intense piogge, scaricavano sul suo esteso bacino
idraulico.
La Mappa del piano di Pisa,
del 1503, conservata nella Biblioteca Nazionale di Madrid, disegnata da Leonardo
da Vinci, pone in evidenza il litorale allineato a Torretta, la Torre di foce
dell’Arno (fig. 7).
(fig.
7) - La Mappa del piano di Pisa, disegnata nel 1503 da Leonardo da Vinci
Da ricordare che il fiume
seguiva ancora, nel tratto terminale, il corso originario.
Una ulteriore conferma che
il litorale pisano è allineato a quella data a Torretta, in pratica alla
“lama larga”, anche la Mappa, disegnata tra il 1502 ed 1503, dall’insigne
genio italiano, conservata alla Royal Library di Winsor, che evidenzia la parte
occidentale del territorio toscano, rappresentandolo dall’alto, con vista a
volo d’uccello, rendendo evidente la parte terminale del Fiume Arno (fig. 8).
(fig.
8) - Particolare della mappa di Leonardo da Vinci, conservata alla Royal Library
di Winsor.
Accentuato
dall’arginatura del Fiume Arno, iniziata alla metà del secolo precedente e
sempre più irrobustita (che si estese negli anni successivi a quella dei suoi
affluenti, eliminando i meandri naturali per gli allineamenti eseguiti), fu
incrementata già nel tratto fiorentino la corrosione del suo alveo.
Aumentando la portata
idraulica del fiume, incrementò conseguentemente la corrente fluviale e con
questa si accentuò la corrosione del letto fluviale e delle rive.
I sedimenti, corrosi in
gran quantità, furono trascinati a valle dalla corrente intensa del Fiume Arno,
verso il suo corso terminale, nel territorio pisano, caratterizzato da una
debole pendenza. La foce naturale del fiume, insabbiandosi, consentiva una certa
sedimentazione dell’alveo, nel tratto terminale, che quindi si elevò
sensibilmente negli anni.
Questo provocò ulteriori
periodiche esondazioni, durante le piene dell’Arno, nel territorio pisano e
nella stessa città di Pisa, obbligando a sopraelevare ulteriormente gli argini.
Con gli anni, il Fiume Arno
trasportò alla foce, distribuendolo in mare, un enorme apporto sedimentario. Un
valore notevolissimo di sedimenti che si estesero in mare, sui fondali
litoranei.
Il Fiume Serchio fu
modificato nel suo percorso naturale, allineandolo ed arginandolo sempre più,
in modo analogo a quanto era fatto per l’Arno. Nel 1579, il Serchio ebbe il
taglio della vasta ansa di Metato.
Progressivamente negli
anni, l’insieme di queste cause, provocò l’effetto di un esteso
insabbiamento dei fondali litoranei, già evidente dopo la metà del
Cinquecento, con la foce dell’Arno in continuo avanzamento, soprattutto alla
fine di quel secolo ed i primi anni del Seicento.
Quest’enorme apporto
sedimentario dell’Arno, ed anche del Serchio, contribuì a diminuire
ulteriormente la bassa profondità dei fondali litoranei, che erano già
estesamente poco profondi, in seguito a numerosi secoli di sedimentazione
prodotta da entrambi i fiumi, come ho evidenziato in “Litoralis”.
Apro una parentesi.
Molti studiosi, tra cui
vari storici e geologi, considerano il litorale pisano essere stato allineato,
nel periodo dell’impero romano, dove oggi si trova l’attuale San Piero a
Grado (l’antico Gradus Arnensis). In funzione degli argomenti trattati nel mio
libro, ritengo possibile una realtà territoriale diversa, presente in quei
tempi trascorsi, schematizzata come in fig. 9.
(fig.
9) -Una rappresentazione schematica di come doveva presentarsi la zona litoranea
pisana al tempo dello sbarco a Triturrita di Rutilio Namaziano, l’ultimo poeta
latino, nel 415 d.C.
Colgo l’occasione infine,
per fare una precisazione relativa all’analisi storica del Fiume Arno,
riferendomi al periodo medievale (Litoralis, a pag. 152).
Bernardo Maragone, nella
sua cronaca del 1162, scrive: in muris
Kinthicae communibus costruendis libras duecentos et in muris et Barbacanis
castelli Ripafractae solidos mille expendam, vel expendere faciam.
Gli studi di numerosi
storici ritengono che la denominazione castelli
Riprafractae, sia relativa al castello di Riprafatta, prossimo al Fiume
Serchio.
A mio modesto parere però,
è possibile che l’ubicazione di questo toponimo (Ripafractae),
sia invece relativa alla riva interrotta dell’Arno, per il cambiamento
dell’alveo effettuato da pochi decenni. La zona oltre il fiume rispetto alla
Spina Alba era, infatti, una “ripa fratta” dell’Arno, una riva che le
piene fluviali avevano infranto (in pratica una rotta d’Arno ) e lo era
approssimativamente, da circa un secolo, per il cambiamento dell’alveo del
fiume.
In questa zona sulle rive
dell’Arno, all’ingresso della città, erano presenti in quel periodo dannosi
fenomeni di corrosione fluviale, perdurando per vari secoli come ho evidenziato
nel libro.
Non sono pervenuti
documenti storici, che testimoniano la presenza in quegli anni di questo
toponimo, come la stessa presenza di una fortezza o castello in questa zona
(probabilmente a causa della successiva dominazione fiorentina, in cui sono
andati persi molti antichi documenti pisani), però sicuramente in quei tempi,
doveva esistere all’ingresso dell’Arno in città, a levante, un’opera
difensiva collegata con le Mura urbane in costruzione.
Alcuni storici ritengono
che le Mura urbane di Pisa siano state edificate per proteggere la città da un
possibile assedio dell'esercito di Federico Barbarossa, considerato una minaccia
per Pisa.
Lo stesso cronista B.
Maragone, ne parla negli Annales Pisani, nel 1157, scrivendo a proposito
delle Mura civiche che si stavano edificando:
"Nel secondo anno del
mese di febbraio e Marzo e Aprile MCLVII circondarono tutta la città di Pisa e
Chinzica con torri di legno e castelli e bertesche per paura del Re Federico che
veniva a Roma.
Nel Medioevo, le Mura delle
varie città, erano edificate con notevole dispendio di denari pubblici e
soprattutto di duro lavoro. Un'impresa fatta al prezzo d’infiniti disagi e
notevole fatica, oltre ad elevati rischi d’infortuni da parte di chi
partecipava all'edificazione. Non vi erano macchinari, se non i più banali:
carrucole, funi e leve.
Ogni lavorazione anche le
più gravose, dovevano essere effettuate manualmente o con l'aiuto della sola
forza animale. Tutto questo per difendersi dagli assedi dei
vari eserciti nemici. Una costruzione ciclopica come quella delle Mura urbane,
doveva garantire la sicura difesa della città, anche nei secoli futuri.
Il fiume Arno, in una città
come Pisa, Repubblica Marinara, con numerosi scali fluviali in città,
costituiva un percorso obbligato per le varie navi, e le numerose imbarcazioni
d’ogni tipo che lo navigavano. In caso d’assedio della città, il fiume si
sarebbe trasformato in una spina nel fianco per la stessa Pisa: lasciare
sguarnite le porte fluviali, gli ingressi dal fiume, sarebbe stato un errore
imperdonabile.
Con il favore delle
tenebre, infatti, sarebbe bastato agli assedianti, che alcuni loro soldati in
una barca, fossero riusciti a penetrare in città. In questo modo avrebbero
potuto speditamente aprire una porta delle Mura urbane all’esercito
assediante. La città sarebbe stata invasa dall’esercito nemico e le Mura
urbane, avrebbero dimostrato la loro stessa inutilità.
La strategia militare è
un’arte che gli antichi combattenti conoscevano bene ed ancor meglio la
mettevano in pratica. L'astuzia è una virtù che gli assedianti sapevano usare
bene. Gli esempi non mancano nella storia, già presenti nella letteratura
classica greca, con l'Odissea d’Omero, il cavallo di Troia, e le gesta
d’Ulisse.
E’ probabile quindi che
quel Riprafractae (traducibile con
ripa “rotta” del fiume), sia riferito alla riva sinistra della parte del
corso fluviale, prima d'entrare in città (in pratica dove oggi si trova la
Fortezza fiorentina del Giardino Scotto), che per il meandro stretto del corso
fluviale, con l’ostacolo al deflusso causato dal ponte presente sull’Arno e
dalla diminuita sezione del fiume, abbia prodotto questo fenomeno di corrosione
delle rive ed il conseguente franamento delle Mura urbane presenti.
Per terminare di edificare
in Chinzica (la parte della città posta sulla riva sinistra dell’Arno), le
Mura urbane ed un solido castello o Fortezza, sull’Arno per controllare
l’ingresso dal fiume, la porta fluviale della città, potendo in questo modo
fronteggiare possibili nemici, i Pisani dovettero rinforzare la riva
dell’Arno.
Le rotte d’Arno hanno provocato danni immensi anche nel recente passato. La foto d’archivio mostra la rotta d’Arno dell’otto gennaio 1919 a Zambra (Pi). Nel Medioevo, l’abitato di Zambra (che prende il nome dal torrente omonimo proveniente dai Monti Pisani, presso Calci) si trovava sulla riva destra dell’Arno, alla confluenza di quel torrente nel fiume. Nella grande piena del 2 aprile 1284, in questa zona, vi fu un cambiamento d’alveo effettuato dall’Arno. Nella foto, è costruita dagli operai, una prima arginatura di difesa in golena, mentre i due militari si trovano sull’argine del fiume, infranto dalla grande piena dell’Arno
Chiudo la parentesi.
La progressiva
sedimentazione dei fondali marini presente alla fine del 1500, facendo emergere
numerosi banchi di sabbia, produceva il conseguente avanzamento del territorio
litoraneo a scapito del mare, ritirandosi quest’ultimo rapidamente.
Con i successori al
Granducato, di Cosimo I dei Medici, già con i figli Francesco I (1541-1587) e
Ferdinando I (1549-1609), gli allineamenti e le arginature si estesero sempre più
agli affluenti dell’Arno.
Proseguirono, infatti, in
quel periodo storico, le bonifiche dei territori paludosi vicino al Fiume Arno e
si estesero le bonifiche, anche se parziali, di quei vasti territori paludosi
prossimi agli affluenti del maggior fiume toscano.
Questi, erano i loro
numerosi naturali bacini d’esondazione, che laminando l’onda di piena del
corso d’acqua, in altre parole distribuendo sul vasto territorio le loro acque
limacciose, rallentavano in questo modo la corrente fluviale, consentendo la
moderazione della loro intensità. Da
evidenziare che l’Arno è un fiume avente in natura, un regime idraulico
torrentizio.
Fu per queste cause che si
formò, dopo la metà del Cinquecento e soprattutto alla fine di quel secolo,
gran parte del vasto territorio costiero dove attualmente sono ubicate le
cittadine di Marina di Pisa e di Tirrenia.
La foce dell’Arno, in
solo pochi decenni, avanzò rapidamente nel mare. Dalla “lama larga”, presso
Torretta, dov’era nel 1500, accertato anche dagli studi di numerosi storici,
fino al territorio intermedio dell’attuale Marina di Pisa. Un avanzamento,
un’espansione della costa, veramente eccezionale!
Esiste ancora, alla
recinzione della Colonia dei Ferrovieri, sulla Via Arnino, il termine di confine
delimitante il territorio meridionale di Tombolo, posto nel 1606.
Il
termine di confine del 1606, con lo stemma della Mensa Arcivescovile. Sul retro
(a nord) è presente la scritta SAR (Sua Altezza Reale) - (foto del sig.
Maurizio Nerini)
Espansione resa possibile,
tengo a sottolineare, dall’aumento dei sedimenti pervenuti sui fondali marini,
prodotti dalla corrosione dell’alveo e delle rive del Fiume Arno (ed infine,
del Serchio), per l’aumento della corrente fluviale; in seguito ai progressivi
allineamenti, eliminando le anse, realizzando e rinforzando di continuo gli
argini.
La zona litoranea del
Calambrone invece, si formò successivamente.
In
pratica, ci sono voluti oltre mille anni di sedimentazione dei fondali marini
(da parte dei corsi fluviali naturali)
per avere la progressione della costa, da San Piero a Grado fino all’attuale
Torretta, l’antica “Torre di foce” della Mappa di Leonardo da Vinci.
Dopo
gli interventi d’allineamento dell’Arno e del Serchio e la loro arginatura,
la progressione della costa, da Torretta fino alla linea dove si trova
l’attuale Marina di Pisa (pressappoco dove adesso è Via dell’Ordine di
Santo Stefano), è avvenuta in un solo secolo (soprattutto negli ultimi decenni
del 1500).
Tutte queste opere furono
effettuate per riconvertire all’agricoltura vaste aree paludose, eliminando
pure i rischi della malaria, presente ampiamente sul territorio toscano, e
diffusa in quei tempi, nelle zone umide dell’Italia e del mondo. In quei tempi
era erroneamente ritenuta generata dai miasmi delle estese paludi ( da cui il
nome mal aria )invece, era causata dalla zanzara anofele infetta.
I sedimenti, che in
funzione della corrosione dell’alveo e delle rive dell’Arno, sempre più
allineati e arginati nel tratto fiorentino, si riversarono in mare alla foce,
furono presenti in gran quantità e fecero emergere sempre più estesamente il
territorio litoraneo, producendo anche difficoltà al deflusso dell’Arno in
mare, per l’insabbiamento eccessivo dei fondali litoranei.
Vi furono in quel periodo
storico, compreso tra la fine del Cinquecento ed i primi anni del Seicento,
ricorrenti inondazioni dell’Arno sul territorio pisano e nella stessa città
di Pisa.
L’esteso insabbiamento,
evidente davanti alla foce, produsse ulteriori problemi relativi alla difficoltà
di navigazione in mare e comprensibilmente nel tratto terminale del fiume, per
l’elevazione del suo alveo. Le torbide del fiume raggiunsero perfino il porto
di Livorno, rischiando quindi di insabbiarlo.
Tutto questo a causa
dell’afflusso eccezionale dei sedimenti corrosi nel tratto fluviale
fiorentino, unito alla debole pendenza ed alla vicinanza al mare, in
quest’ultimo tratto del corso dell’Arno, aggravato all’insabbiamento della
foce.
La flotta commerciale e
soprattutto quella militare, della Marina Stefaniana (l’Ordine dei Cavalieri
di Santo Stefano), tesa a rendere sicuri i mari dalle frequenti scorrerie dei
pirati saraceni, si trovarono entrambe in continua difficoltà.
Fu per queste cause che
Ferdinando I, Granduca di Toscana, ordinò di deviare l’Arno, con il taglio
dai Bufalotti verso settentrione, effettuato infine nell’anno 1606.
Il 15 aprile del 1606,
furono messi otto termini in pietra, lavorata in forma quadrata, con una M
sovrastata da doppia croce, per
rappresentare la proprietà della Mensa Arcivescovile, mentre dalla parte
opposta, fu scolpito lo stemma S.A.R. (Sua Altezza Reale), per evidenziare la
proprietà del granduca, realizzando infine, l’attuale corso terminale del
fiume, con la foce sistemata come la vediamo adesso.
La foce dell’Arno fu
quindi spostata a nord della bocca naturale, ad una distanza pari a 2650 braccia
toscane (corrispondenti a 1547 metri). Il Fiume Arno, con la nuova foce,
indirizzando i sedimenti fluviali verso questa direzione, ha completato nel
tempo la formazione della cuspide deltizia
(in altre
parole la prominenza sul mare, dell’arco costiero di Boccadarno), su
cui nei secoli successivi sarà edificata, alla riva sinistra dell’Arno, la
cittadina di Marina di Pisa.
L’antica
foce si può localizzare, pressappoco, nella zona compresa tra l’attuale Via
Arnino, al termine di Marina di Pisa, fino ai limiti dell’area dove è ubicato
l’Istituto Padre Agostino.
L’antico alveo
dell’Arno, dai Bufalotti fino al mare, abbandonato in seguito alla deviazione
del 1606, prese il nome di lama Ferdinando,
quindi di Arnovecchio, un nome che ha
mantenuto per molto tempo, infine, fu anche nominato Arnino.
Il territorio pisano,
compreso quello litoraneo, è ben rappresentato nella Carta del piano di Pisa,
realizzata nel settembre 1610, da Cesare Antoniacci, in cui si vede tra
l’altro, lo sviluppo notevole, eccezionale, che il territorio ha avuto in un
solo secolo, rispetto alla precedente Mappa del piano di Pisa, del 1503, di
Leonardo da Vinci.
Carta del piano di Pisa, di Cesare Antoniacci (1610)
Questa modifica del corso
terminale del Fiume Arno, favoriva il deflusso nelle piene, essendo la foce in
questa posizione, meno soggetta al forte vento dominante di libeccio, che
contrastava con la sua presenza, il libero scarico delle acque fluviali nel
mare.
Nella zona litoranea del
territorio pisano presso l’antica foce dell’Arno fu avviata, dopo la
deviazione del corso fluviale ai Bufalotti, chiamato " taglio Ferdinando
" in onore
del Granduca, una bonifica per colmata da attuarsi ai Bufalotti, con le piene
dell’Arno.
In pratica si colmava il
vecchio alveo dell’Arno, per opera della sedimentazione delle acque torbide
fluviali, parzialmente indirizzate ad arte nell' Arnovecchio od Arnino.
Un’opera, protrattasi per
numerosi anni, data la lenta progressione di quest’operazione, finalizzata
all’interramento del vecchio alveo, al fine di consentirne l’utilizzo per
l’agricoltura ed eliminare la palude che si era formata.
Sull’Argine
d’Arnino. Una vecchia foto del territorio paludoso prossimo a Marina di Pisa.
Nei secoli successivi
l’arginatura fu sopraelevata ed irrobustita sempre più, per diminuire le
inondazioni del territorio che in ogni caso, accadevano puntualmente.
Tutto questo al fine di
limitare i danni che le frequenti esondazioni del fiume durante le piene
provocavano estesamente sul territorio, con distruzione periodica delle sementi
e dei raccolti.
Sostanzialmente, negli
ultimi secoli, la corrente fluviale ha lentamente aumentato la sua intensità
trasportando sempre più sedimenti alla foce dell’Arno. Tutto questo ha
contribuito a diminuire sempre più estesamente la profondità dei fondali
litoranei ed infine, ha prodotto la rapida espansione della costa,
l’avanzamento progressivo della spiaggia.
Con i numerosi allineamenti
effettuati, l’arginatura del fiume e quella dei suoi affluenti, l’incremento
graduale della corrente fluviale ha accumulato, nel tempo, sempre più sedimenti
sulla spiaggia prossima alla foce.
L’opera di distribuzione
di questi sedimenti sull’intero arco costiero compreso tra Livorno e
Viareggio, effettuata dalle correnti litoranee attivate ai venti, quindi con la
stessa intensità negli anni, non ha potuto distribuire sull’intera costa,
come faceva nei secoli precedenti, questo lento ma progressivo accumulo di
sedimenti alla foce.
Si spiega in questo modo, a
parer mio, la progressione accentuata della curvatura delle lame costiere (fig.
10).
(fig. 10) - Riproduzione parziale della
carta degli elementi naturalistici e storici della pianura di Pisa e dei rilievi
contermini, in “La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la
storia”, a cura di Renzo Mazzanti, Roma, Società Geografica Italiana, 1994.
Nella carta è indicata con linea tratteggiata anche l’area erosa alla foce
dell’Arno.
In questa carta è
evidente la differente disposizione della curvatura delle lame, (rappresentano
antichi cordoni litoranei), con quelle recenti più arcuate rispetto alle altre
antiche, che si trovano nell’interno del territorio. Soprattutto dalla linea
che segna il litorale all’incirca alla fine del XV secolo, in pratica quando
sono iniziati i vari interventi idraulici sull’Arno ().
In
seguito all’arginatura dell’Arno ed ai vari allineamenti, eliminando i
meandri, le anse, negli anni la corrente fluviale corrose sempre più l’alveo
del fiume, trascinando alla foce numerosi sedimenti, incrementando in questo
modo e rapidamente, la formazione del territorio litoraneo.
Negli anni seguenti, in
tutta la Toscana, proseguì una continua e capillare opera di bonifica dei
territori paludosi, ripetutamente allagati nelle piene dei fiumi e dei torrenti,
rinforzando ed elevando sempre più, i loro argini.
Il Padule di Fucecchio,
fu ridotto nella sua vasta estensione (superiore a 12.000 ettari in quel
periodo), con le bonifiche effettuate, al fine di acquisire territorio da
destinare all’agricoltura, realizzando le fattorie granducali, cercando di
eliminare anche la malaria che mieteva numerose vittime tra gli abitanti della
zona.
Le
bonifiche, furono attuate in modo diffuso anche nella vasta zona palustre del
lago di Massaciuccoli e nell’area paludosa di Coltano che rimase però
estesamente allagata, per la depressione accentuata del territorio.
Progressivamente, con il trascorrere dei secoli,
subentrando i Lorena al Granducato di Toscana, dopo l’estinzione, nel 1737,
della dinastia dei Medici, le bonifiche interessarono sempre più tutta la
Toscana, compresa la zona della Maremma grossetana.
Per ordine del granduca Pietro Leopoldo di Lorena,
nell’estate del 1771, fu eliminata l’ansa che l’Arno faceva alla periferia
di Pisa, a Barbaricina, l’ultimo meandro a valle del centro abitato, che
rallentava le acque del fiume nelle piene, producendo allagamenti in città.
L’allineamento fu eseguito, su progetto
dell’ing. Giuseppe Salvetti, che ne presentò una relazione al granduca, ed
ebbe come assistenti ai lavori due ingegneri dell’Uffizio de’Fossi, di Pisa:
Francesco Bombicci e Giovanni Michele Piazzini.
Per quest’opera,
riferisce il prof. E. Repetti, essendo stato diminuito di circa un miglio
toscano, il percorso del Fiume Arno da Pisa al mare, ne conseguì che le sue
acque acquistarono in quel tragitto una velocità maggiore.
Alla
fine del secolo XIX, in questi territori litoranei appena bonificati, iniziarono
a svilupparsi vari agglomerati urbani che si espansero sempre più, diventando
cittadine balneari. Marina di Pisa,
Forte dei Marmi, sono cittadine nate e sviluppatesi in quel periodo, come molte
altre che furono edificate lungo le coste dell’Italia. Questo è accaduto
diffusamente sui litorali marini, ovunque nel mondo.
Il
litorale toscano, in quei tempi, era in continua espansione: in Versilia la
media era pari a due braccia toscane (oltre un metro) ogni anno, ma sulla
spiaggia di Boccadarno l’avanzamento della costa era ben più elevato.
In
quegli anni, si
formavano lungo la costa degli insabbiamenti litoranei che emergendo,
sviluppavano piccole isole, producendo nel tempo l’espansione della spiaggia.
Carta
Mirandoli del 1850, Istituto Geografico Militare (I.G.M.), di Firenze -
(particolare).
Storicamente, quindi da
molto tempo, era pari a circa cinque metri ogni anno, scrive in una sua pubblicazione,
il geologo prof. Carlo de Stefani nel 1876, informandosi presso gli abitanti di
Boccadarno, però,
aggiunge, da qualche anno accade che il mare si ritira assai di più.
La spiaggia si espande da otto metri e fino a ben
quindici metri ogni anno, ma con le mareggiate, il mare si riprende buona parte
della spiaggia che si era formata per le piene del fiume.
Per poter sviluppare il
paese di Boccadarno, la futura Marina di Pisa, fu iniziata pochi anni prima, nel
1870, la costruzione della strada-argine, il Viale d’Annunzio, rinforzando il
precedente debole argine soggetto nelle piene dell’Arno, ai trabocchi e alle
rotture, eliminando anche la colmata d’Arnino che veniva effettuata da molti
anni, in pratica dal Seicento.
Ultimamente,
con le moderne cateratte fatte realizzare ai Bufalotti, nel 1863,
dall’Arcivescovo Cosimo Ridolfi.
Le cateratte
ai Bufalotti, in una cartolina dei primi anni del 1900.
Con
la realizzazione della strada-argine, si voleva raggiungere il duplice scopo di
avere la sicurezza dalle inondazioni dell’Arno, nel vasto territorio di
Tombolo, dov’è ubicato anche il paese di San Piero a Grado con l’antica
pregevole Basilica preromanica, unita alla facilità di collegamento
dell’abitato alla foce dell’Arno e permetterne quindi lo sviluppo edilizio,
avviandosi nel tempo, a diventare la cittadina balneare di Marina di Pisa.
In
quel modo però, si era eliminato uno degli ultimi vasti bacini d’esondazione
dell’Arno, quindi modificando in modo esagerato, innaturale, il regime
idraulico dell’Arno durante le piene del fiume, producendo infine,
quell’anomalo, temporaneo, apporto sedimentario alla sua foce.
Pianta relativa al territorio
litoraneo di Boccadarno, alla fine del 1800.
Nell’ingrandimento
è visibile la lama larga a Torretta, dove si trovava il litorale nel 1500.
Gli
interventi idraulici, tesi alle bonifiche di territori di pertinenza fluviale
dell’Arno, avevano eliminato progressivamente molti consistenti naturali
bacini d’esondazione nelle piene, compreso l’ingresso delle acque torbide
dell’Arno in piena, nel Padule di Fucecchio.
L’onda
di piena dell’Arno quindi, fu indirizzata sempre più integra verso la foce,
come mai era accaduto nel passato, mai nei millenni.
Aumentando
progressivamente in questo modo l’intensità della corrente fluviale, trasportando sempre più
sedimenti alla foce, permettendone l’avanzamento sempre più spinto, fino
all’eccesso. Giungendo quindi , alla fine degli anni Settanta del XIX secolo,
contemporaneamente al completamento della strada-argine per Boccadarno, nel
1878, alla rottura dell’equilibrio sedimentario.
L’onda
di piena del fiume, incrementando la corrente fluviale, non più moderata dalle
esondazioni sul territorio, iniziò in quegli anni a corrodere l’alveo
dell’Arno per tutta la sua lunghezza e raggiunta la foce, corrose sempre più
i fondali litoranei, partendo da quelli di Boccadarno, approfondendoli
lentamente nel tempo, negli anni.
In
pratica, accadeva in quei tempi (ed avviene tuttora), che la corrente fluviale
divenuta troppo intensa, nelle piene, non potendo consentire la sedimentazione
dei fondali litoranei, permettendone il relativo ripascimento della spiaggia,
produceva l’effetto opposto. In altre parole, determinava la corrosione di
questi fondali litoranei, iniziando da quelli prossimi alla foce.
Fondali
litoranei, da notare bene, che avevano in quegli anni un’estesissima bassa
profondità per la lenta sedimentazione dei detriti fluviali effettuata in
numerosi secoli.
L’estesa
spiaggia di Marina di Pisa, alla fine del secolo XIX (1897)
La vasta spiaggia di Marina di Pisa, nei
primi anni del 1900
Per
la corrosione prodotta dall’intensa corrente alla sua foce, nelle piene
dell’Arno, i fondali costieri hanno aumentato gradualmente la loro profondità,
iniziando da quelli di Bocca d’Arno.
La vecchia bilancia da pesca della regina, nei primi anni del
1900
Marina di Pisa - Boccadarno - Ritorno delle Paranze
Casa dei Pescatori al Gombo
L’erosione costiera
della spiaggia di Boccadarno è accertata dalle misurazioni effettuate, nel
1878, dal Regio Istituto Geografico Militare - (I.G.M.), di Firenze.
Marina di Pisa – Persone a passeggio sull'estesa spiaggia.
Con l’approfondimento
dei fondali litoranei si presentò contestualmente l’erosione costiera,
espandendosi simmetricamente alla foce dell’Arno, sempre più incisiva,
minacciosa e preoccupante, facendo scomparire negli anni, l’estesa spiaggia
del litorale pisano, obbligando perciò a proteggere la costa abitata, dalle
devastanti ondate del mare.
Furono
utilizzati all’inizio, i primitivi pennelli realizzati con tronchi di pino,
sostituiti infine, con scogliere frangiflutti, sempre più robuste, per
resistere alla forza delle forti mareggiate.
A seguito dell’espandersi negli anni, dell’erosione costiera, furono
posate progressivamente nel tempo, lungo il litorale pisano, varie scogliere
frangiflutti ogni volta che le mareggiate facevano scomparire rapidamente nel
mare, vaste porzioni di spiaggia (fig. 11).
(fig.
11) - Foto aerea della foce dell’Arno, nel 1927
In questa foto aerea di Boccadarno sono visibili i
pennelli (scogliere di massi ortogonali alla costa) posti sulla spiaggia di
Marina di Pisa. Un tentativo per cercare di fermare l’erosione progressiva
della costa.
In realtà secondo un testimone del tempo, l’ing. Ettore Sighieri: questi pennelli accelerarono l’erosione, ed era naturale, perché il flutto diretto, durante il grosso mare, convogliato fra due linee solide, giungeva alla spiaggia con maggior violenza e vi produceva fortissime erosioni ()
Marina di Pisa. Idrovolante Dornier Wal in partenza per la linea Brindisi – Costantinopoli. Questo aereo fu costruito in numerosi esemplari nella fabbrica C.M.A.S.A. di Bocca d'Arno.
Fu modificata nei primi decenni del secolo, anche
la foce del Fiume Arno, posando le dighe di massi, completando i lavori nel
1928. I due pennelli alla foce,
hanno favorito il deflusso del fiume nelle piene dell’Arno, aumentandone la
corrente fluviale.
Marina di Pisa - Bocca d' Arno
Marina di Pisa - Gruppo di bilance da pesca
La corrente eccessiva, è stata la causa principale che ha determinato la lenta ma inesorabile corrosione dell’alveo dell’Arno, il suo costante approfondimento, come si rileva dai confronti con i profili di fondo dell’alveo del fiume.
Valori riportati sul libro di Ettore Sighieri: le
piene dell’Arno–Bonifiche, edito
a Pisa nel 1934. Sono valori, riferiti alla misurazione della profondità
dell’alveo dopo le grandi piene del 1844, ed infine del 1920, con indicati i
profili di media piena del fiume (il livello raggiunto dalle acque limacciose),
a quelle due date.
L’alveo dell’Arno, il letto fluviale, corroso
da queste grandi piene, era ad un livello già basso per quei tempi.
Si vede bene, riferita a quei periodi,
l’elevazione del profilo di piena, dovuto all’aumento considerevole della
portata idraulica generata dalle vaste bonifiche, effettuate in quel periodo.
Producendo il conseguente approfondimento del profilo di fondo, dovuto alla
corrosione dell’alveo dell’Arno, verificatosi nel 1920, per l’aumento
della corrente fluviale. Ben evidente, nel confronto che fa l’autore, tra la
piena rovinosa del 3 novembre 1844 e quella del 7 gennaio 1920 (fig. 12).
(fig. 12) - Riproduzione parziale del
profilo dell’Arno nel 1920, nel tratto cittadino, confrontato con quello
presente nel 1844 (Ettore Sighieri, 1934)
Da notare, in corrispondenza dello storico Ponte di
Mezzo, a tre arcate (demolito in seguito ad azioni belliche, nell’ultimo
conflitto mondiale), la profonda corrosione del letto fluviale, prodotta dalla
corrente intensa nelle piene che determinava il suo approfondimento.
Incremento di corrente generato dall’aumento
della portata idraulica, per le bonifiche effettuate sul territorio con il
rinforzo e sopraelevazione degli argini.
In
questo tratto dell’Arno (avendo
la minima larghezza, ed il deflusso ostacolato dalle tre arcate),
la corrente fluviale aumentava notevolmente nelle piene, scavando in profondità
intorno ai pilastri (fig. 13).
(fig.
13) -Lo storico Ponte di Mezzo a tre arcate, in una cartolina illustrata
dell’epoca.
L’attuale Ponte di Mezzo è stato ricostruito nel
dopoguerra (1947-1950), ad un’unica arcata, su progetto approvato dal
Ministero dei Lavori Pubblici, al fine di ridurre il rischioso fenomeno
corrosivo, che scalzava i pilastri del precedente ponte, con il rischio di
cedimento della struttura.
Negli anni, nonostante che con le piene, per la
corrosione del suo letto fluviale, l’Arno trasportasse numerose migliaia di
metri cubi di sedimenti alla sua foce, l’erosione costiera pisana non si è
fermata, facendosi nel tempo sempre più minacciosa.
Tra
le cause principali dell'erosione costiera comunemente riconosciute, sono da
prendere in considerazione le opere di difesa montana, gli interventi di
protezione dalle frane nei monti, attuati dopo la metà del secolo XIX.
L'uomo,
è riuscito a contenere con opportune opere relative alla bonifica montana,
l'erosione dei rilievi montuosi, dovuta alle intense piogge, ma non è in grado
di arrestare l'erosione costiera. Un fenomeno, secondo numerosi studiosi,
prodotto quindi dall'insufficiente apporto sedimentario del fiume.
La
causa del fenomeno erosivo indicata in precedenza, ha indubbiamente la sua
influenza, però la meccanizzazione agricola, l'agricoltura intensiva,
sviluppatasi soprattutto dopo la metà del XX secolo, particolarmente incisiva
sul territorio, con le arature meccanizzate effettuate in pianura ma anche in
collina ed in alcune zone di montagna, utilizzando trattori che dissodano ed
arano la terra in profondità, contribuiscono largamente ad incrementare, con le
precipitazioni atmosferiche, i sedimenti ( di natura soprattutto fangosa, limosa
) che finiscono nel fiume.
Con
le piogge, infatti, la parte superficiale del terreno è asportata e convogliata
nei torrenti e nelle fosse che confluiscono nel corso d'acqua.
Tutto
questo indubbiamente, contribuisce ad accrescere l'apporto sedimentario del
fiume. Le opere di bonifica montana, quelle di protezione dalle frane nei monti,
hanno certo ridotto i detriti lapidei che pervengono nei fiumi però, le frane
esistono lo stesso.
Solo la Toscana ha quasi mille frane ogni anno, censite
dal CNR, senza contare quelle numerose di piccole dimensioni che si presentano
diffusamente in montagna. Inoltre nei rilievi montuosi, molte opere di protezione dalle frane,
le briglie, sono danneggiate.
Nel
bacino dell'Arno, sono state censite oltre 2700 opere di correzione dei
torrenti, risultato d'interventi organici di sistemazione dei bacini montani,
iniziati nella prima metà dell'Ottocento ed estesi ovunque, nei primi decenni
del XX secolo, delle quali oggi circa 900 presentano danni da considerare gravi
o di medie dimensioni e oltre 700 sono parzialmente danneggiate.
Da
considerare infine, nonostante la progressiva perdita d'efficacia delle
sistemazioni idraulico-forestali e di difesa del suolo nelle aree montane e
collinari, che hanno prodotto un aumento di sedimenti nel fiume, l'erosione
costiera non si è fermata, né ha rallentato la sua progressione.
Lo
stesso Fiume Arno ha aumentato la profondità dell'alveo per lungo tratto del
suo percorso. Con un approfondimento marcato, in solo quarant'anni, nel tratto
tra Le Sieci fino a valle di Firenze (abbassamenti localizzati del letto del
fiume Arno fino a 5 ed 8 metri, con oscillazioni che tendono a smorzarsi in
prossimità di Signa). Un fenomeno operato dalla corrosione fluviale, generato
dall'eccessiva corrente del fiume nelle piene.
L'abbassamento
dell’alveo dell'Arno, fino a Pisa, fa stimare un aumento di volume in alveo
sull'ordine di 12 milioni di metri cubi. Tutti questi numerosi sedimenti,
milioni di tonnellate, oltre a quelli prodotti dalle piogge sul suo esteso
bacino idraulico, sono stati trascinati con le piene, alla foce del fiume ma non
hanno minimamente contribuito alla sedimentazione dei fondali litoranei e quindi
al ripascimento della spiaggia.
Le
cause principali dell'erosione costiera, vanno quindi ricercate in una serie di
precedenti interventi effettuati sul fiume, tra le quali l'eliminazione di
numerosi meandri che ne rallentavano la corrente, ed inoltre, l'eliminazione
delle numerose aree di pertinenza fluviale.
Vaste
zone paludose, presenti lungo il suo corso che, le bonifiche sempre più
incisive associate ad un rinforzo ed una sopraelevazione degli argini, hanno
snaturato il fiume trasformandolo in un canale, dalla sorgente fino alla foce.
Oggi, la corrosione dei
fondali, oltre le scogliere frangiflutti, si mostra evidente con dei valori
elevati.
Le numerose scogliere frangiflutti, realizzate con
grossi massi, sono le uniche difese dell’abitato di Marina di Pisa, alle
pesanti onde delle mareggiate che erodono la spiaggia per livellare il fondale
litoraneo, corroso dalle correnti sottocosta.
In questo modo la profondità vicino alla costa
erosa è contenuta, moderata.
Questo non è possibile
che accada, se la costa è protetta dalle dighe frangiflutti, quindi i fondali
prospicienti le dighe, aumentano lentamente nel tempo la loro profondità.
Con
l’attuale regime idraulico del Fiume Arno e la prominenza dell’arco costiero
su cui è ubicata Marina di Pisa, la profondità oltre le scogliere
frangiflutti, è destinata a permanere od aumentare , specie nelle
mareggiate prodotte dal forte vento di libeccio combinate con la piena
dell’Arno.
La
corrente sottocosta, azionata dal libeccio è trascinata dal fiume in piena,
aumentando il suo elevato valore, corrodendo ulteriormente il fondale prossimo
alla foce.
Lo stesso effetto erosivo
è attuato sulla costa naturale di San Rossore, con il vento dominante di
maestrale combinato con la piena del Fiume Arno.
Vi
sono però ulteriori cause, che cerco di spiegare nel mio precedente libro, che
tendono a provocare com’effetto, l’erosione litoranea, messe in atto dalla
natura, quando questa è eccessivamente forzata, snaturata dall’uomo per i
suoi fini.
L’erosione costiera
pisana è iniziata per l’incremento della corrente fluviale dell’Arno,
dovuto alle bonifiche sempre più incisive, sul territorio di pertinenza
fluviale. Questa è stata la causa decisiva che ha prodotto l’erosione
costiera. Le opere di correzione sui torrenti, utilizzando le briglie, la
cosiddetta bonifica montana, hanno solo contribuito ad aggravare questo
fenomeno.
***
Per quanto riguarda il tratto terminale
dell’Arno, l’insabbiamento della foce è un ostacolo naturale alla
penetrazione dell’acqua salata del mare, dentro il fiume. Necessaria tra
l’altro, alla diminuzione della profondità dei fondali litoranei, che avviene
almeno con le piene moderate del fiume.
L’acqua salmastra, per ragioni fisiche dovute
alla sua densità, essendo di valore superiore a quella dell’acqua dolce del
fiume, rimane sul fondo dell’Arno e risale per numerosi chilometri il suo
corso.
L’attività dei pozzi di sollevamento, per
l’irrigazione delle coltivazioni, accelera questo fenomeno e con il
trascorrere degli anni, l’acqua diventa salmastra, rischiando quindi
d’essere inutilizzabile per l’agricoltura e per gli altri usi. La
vegetazione naturale già risente di questa salinizzazione
del territorio prossimo alla costa, che produce la sofferenza d’essenze
vegetali.
L’intensa attività di prelievo d’acqua dal
sottosuolo, producendo un abbassamento della falda freatica, accentua a lungo
termine anche il vasto fenomeno della subsidenza, il territorio quindi si
abbassa lentamente e si presentano ulteriori problemi, soprattutto nelle aree su
cui gravitano insediamenti urbani.
Le modifiche prodotte dal dragaggio frequente
dell’estuario, ed alla foce, potrebbero peggiorare la grave situazione del
litorale pisano. I sedimenti trasportati dal fiume, avrebbero maggior difficoltà,
di quella che già trovano oggi, a depositarsi sui fondali litoranei, tenendo
conto della “linea neutra” che determina la possibilità di sedimentazione
individuata dall’ing. Cornaglia ().
Con un’intensa alluvione, tra l’altro possibile
in qualunque mese dell’anno, anche se generalmente sono i periodi autunnali e
primaverili i più piovosi, con il fiume ben arginato com’è adesso, l’onda
di piena raggiunge rapidamente la foce.
I rischi di corrosioni in profondità dei fondali
litoranei non sono da sottovalutare, specie nel caso di piena associata a
mareggiata.
Si rischia di accentuare ancor di più, il fenomeno
erosivo spiegato negli studi che ho analizzato sul mio libro (Litoralis) e che
riporto parzialmente di seguito, dove si evidenziavano già nel 1948, le
profonde escavazioni alla foce del fiume (dai quattro ai 6 metri di profondità)
in particolari periodi dell’anno, facendo comprendere che l’Arno ha una
corrente eccessiva nelle piene.
L’erosione della costa pisana si attua
soprattutto durante le mareggiate e questa peggiora notevolmente, se coincide
con la piena fluviale.
Con la presenza del libeccio, che piega il pennello
acqueo verso nord, le correnti marine presenti davanti al litorale di Tirrenia e
di Marina di Pisa, rese più intense come valore da questo forte vento
dominante, trascinano via la sabbia superficiale del fondale litoraneo,
corrodendolo sempre più, ed indirizzandosi con la sabbia corrosa, verso
l’intensa corrente che esce dalla foce dell’Arno diretta al largo,
raccordandosi, le correnti sottocosta, alla corrente fluviale secondo un vasto
semicerchio.
Il fondale prossimo alla
foce in seguito ad una piena del fiume, è profondo per la forte corrosione
prodotta dall’intensa corrente fluviale e con il dragaggio della foce, per
permetterne la navigazione, si contribuirebbe ad accentuarne
l’approfondimento.
In pratica, la corrente sottocosta, si combina con
l’intensa corrente fluviale, generata dall’elevata portata idraulica della
piena, aumentandone vicino la foce, il suo già elevato valore, corrodendo i
fondali litoranei in funzione di quest’incremento di corrente.
In questo caso, con la presenza della mareggiata e
la corrosione dei fondali litoranei, le onde si frangono violentemente sulla
spiaggia provocandone la sua erosione, trascinando in mare la sabbia della
spiaggia, per riequilibrare quella corrosa dalla corrente sottocosta.
Questo spiega l’accentuazione dell’erosione
della spiaggia naturale di San Rossore, prossima alla foce, che si vede
particolarmente arretrata ed arcuata. Dopo una mareggiata, infatti, il fondale
vicino, prospiciente alla spiaggia, non presenta dislivelli apprezzabili.
Dislivelli, che invece si notano se questo
reintegro di sabbia non è possibile che le onde lo effettuino, per la presenza
di una barriera di protezione, ad esempio una scogliera frangiflutti parallela
alla costa. Per questo motivo la profondità del fondale davanti alle scogliere
frangiflutti , di Marina di Pisa , è maggiore verso la foce.
La profondità, oltre le scogliere frangiflutti, è
destinata quindi ad aumentare nel tempo per la corrosione in atto, specie in
quelle prossime alla foce dove l’intensa corrente fluviale manifesta la sua
presenza.
Da evidenziare che la prominenza dell’arco
costiero su cui è ubicata Marina di Pisa, rispetto a quello più ampio da
Livorno a Viareggio, accentua questo dannoso fenomeno.
La corrente sottocosta, attivata dal libeccio, che
s’indirizza verso l’intensa corrente fluviale alla foce, effettua un vasto
semicerchio davanti al litorale corrodendo la costa in profondità secondo una
curvatura il cui raggio è in funzione dell’intensità della corrente fluviale
che esce dalla foce e di quella della corrente sottocosta, il cui
valore dipende dall’intensità del vento dominante di libeccio diretto sul
litorale, e dalla sua inclinazione rispetto alla costa.
Le prime consistenti erosioni litoranee a Marina di Pisa si manifestarono, infatti, verso la zona dell’Ospizio marino, ubicato in Via Tullio Crosio.
L’Ospizio
marino, visto dal mare. Fu uno dei primi edifici costruiti a Marina di Pisa ed
aveva una spiaggia estesa centinaia di metri. Fu demolito nella seconda guerra
mondiale.
In sostanza, la
corrosione è più marcata sul fondale prospiciente questa strada litoranea
dove, infatti, la profondità è notevole. Con questo ricorrente fenomeno
sfavorevole, la profondità è destinata ad aumentare negli anni.
Fondali, quelli prossimi alla foce, che purtroppo
hanno una profondità in alcuni tratti di 6 metri ma raggiungono anche valori
superiori (7 mt.), fino anche a raggiungere ben 8 metri, oltre le scogliere
frangiflutti di Marina di Pisa. Una causa che determina il lento sprofondamento
di queste scogliere di massi, negli anni.
Un pesante masso della scogliera frangiflutti sbalzato sulla strada litoranea dalla forza delle onde, nella mareggiata (dal libro “Un litorale da salvare”).
Un fenomeno erosivo analogo, accade al litorale
naturale di S. Rossore quando si presenta, con la piena dell’Arno, il vento
dominante di maestrale. In questo fondale non si notano forti dislivelli poiché
la sabbia erosa della spiaggia va a reintegrare i sedimenti allontanati dalle
correnti.
L’erosione litoranea, già oggi è evidente sulla
spiaggia adiacente del Gombo e non meno preoccupante è la corrosione dei fondali, oltre
le scogliere frangiflutti a Marina di Pisa.
Fino ad oltre la metà dell’Ottocento,
l’avanzamento della costa era effettuato dall’Arno con la foce naturale ed
una moderata corrente nelle piene, che permetteva la sedimentazione delle sabbie
trasportate nei fondali presso la foce.
Le mareggiate infine, distribuivano i sedimenti
fluviali, dai fondali litoranei alla spiaggia, lungo l’intera costa,
consentendone la sua espansione.
L’attuale foce dell’Arno, si presenta
anch’essa profondamente modificata nella sua naturalità. Una foce naturale
(come ha ancora adesso il Fiume Serchio) è sottoposta a modificarsi, in
funzione delle piene del fiume e delle mareggiate, quindi presenta un equilibrio
molto delicato, con una profondità gradualmente decrescente che consente di
effettuare la sedimentazione dei fondali.
In natura, è possibile che la foce possa anche
divergere, in altre parole spostarsi nelle grandi piene, per trovare
l’equilibrio adatto ad effettuare il ripascimento della costa, come natura
comanda.
L’aver consentito nel passato, l’urbanizzazione a Bocca d’Arno,
l’edificazione prossima alla foce, ha significato, con la posa dei massi,
lungo le rive dell’Arno, per eliminare la loro corrosione, privarla di questa
possibilità d’adattamento che alcune volte può effettuare il fiume.
Una foto aerea di Bocca d’Arno.
Divergenza o modifica della foce che in natura si effettua nelle grandi
piene, per varie cause e che consente la migliore sedimentazione possibile dei
fondali litoranei.
Con la costruzione del porto di Marina di Pisa (la stazione marittima),
per favorire la navigabilità, con le attuali barche a vela, dotate di deriva di
grandi dimensioni o di deriva a bulbo profondo, per limitare il dragaggio
ricorrente dell’estuario del fiume, è molto probabile che debba essere
modificata ulteriormente la foce dell’Arno.
Realizzando dei pennelli, rinforzando e prolungando ulteriormente le
dighe presenti, che irrigidiscono la foce e ne mantengono una certa profondità
per l’aumento della corrente fluviale, con la relativa corrosione del fondale
alla foce.
In sostanza impedendo quindi, quelle modifiche che la natura vorrebbe
effettuare per garantire la sedimentazione dei fondali litoranei ed il
conseguente ripascimento della costa. In definitiva, rendendo la foce ancor più
innaturale di quella che si presenta attualmente.
Tutto questo per avere una profondità maggiore del fondale, al fine di
migliorare l’ingresso nel porto dalla foce dell’Arno ed eliminare i
rischiosi frangenti d’onda che si presentano anche nell’estuario del fiume,
a causa della bassa profondità esistente, determinata dall’insabbiamento
prodotto dalla naturale formazione della barra di foce.
La foce così “armata” con pennelli costituiti
da massi, produce
com’è noto per l’aumento dell’intensità della corrente alla foce, la
corrosione del fondale con l’approfondimento necessario alla navigazione, ma
tutto questo determina la conseguente erosione litoranea, partendo dalla
spiaggia immediatamente prossima allo stesso pennello. Un fenomeno che tuttora
avviene oltre la lunga diga destra di Boccadarno, sul litorale naturale di San
Rossore.
Con la prominenza dell’arco costiero su cui è ubicata Marina di Pisa,
rispetto all’ampio arco costiero da Livorno a Viareggio, questo dannoso
fenomeno, si può prevedere che sarà accentuato in misura sensibile, molto di
più rispetto a quanto già ora accade.
L’antico delta dell’Arno, in altre parole la prominenza dell’arco
costiero di Boccadarno, è stato formato dalla natura per la presenza
dell’ampia foce del fiume con la lunga barra sabbiosa e la bassa profondità
delle acque in quella vasta zona di sedimentazione, dolcemente declinante nei
fondali litoranei circostanti.
Analizzando storicamente la foce dell’Arno, l’aumento della sua
profondità, con la direzione del deflusso del fiume orientata al largo,
perpendicolarmente alla costa, indirizzata nel mare profondo, com’è adesso,
produce un aggravamento dell’erosione costiera.
In definitiva l’impatto ambientale, prodotto da queste ulteriori
modifiche alla naturalità della foce, che si dovranno attuare in futuro, si può
senz’altro ritenere che sarà sicuramente negativo, per quanto riguarda il
drammatico fenomeno dell’erosione costiera, così gravemente presente sul
litorale pisano.
Le attuali dighe di massi
alla foce dell’Arno, che ne determinano la sua rigida forma ad estuario, hanno
impedito le modifiche che una foce naturale genera nel tempo in funzione delle
variazioni di portata idraulica, nelle piene del fiume.
Considerando
il regime idraulico, pressoché torrentizio, che caratterizza l’Arno, questo
ha inciso sicuramente sull’aumento della corrosione dei fondali litoranei e
quindi sull’erosione costiera.
Da notare però, che
recentemente (già dalla primavera 2001), presso la foce del Serchio, si è
manifestata una certa erosione della spiaggia, tale da doverla contrastare con
una limitata difesa costiera. Un fenomeno che a parer mio, è stato originato
dalla piena straordinaria del Fiume Serchio, nel novembre 2000.
Un'elevata portata
idraulica che ha generato un'altrettanto intensa corrente fluviale, producendo
addirittura la rottura dell’argine del Fiume Serchio, presso Nozzano.
L’intensa corrente alla
foce del fiume, deve aver provocato delle corrosioni sul fondale litoraneo tali
da sviluppare nel tempo l’erosione costiera, limitatamente a questa zona, con
le mareggiate prodotte dai venti dominanti.
Una
vecchia foto aerea relativa al tratto
terminale del Fiume Serchio. In
prossimità della foce, sulla riva destra del
fiume, sono presenti
da vari anni, numerse
strutture abusive (chalet, baracche e pontili).
Questo fenomeno erosivo,
alla foce del Serchio, ricorda l'inizio dell'erosione costiera alla foce
naturale del Fiume Arno, negli anni seguenti il 1878, che è avvenuto a causa
dell'intensa corrente fluviale nelle piene del fiume.
E’ in ogni caso un fatto
evidente, che la foce naturale del fiume, con la sua forma, ha una grande
importanza per quanto riguarda l’influenza sull’espansione della spiaggia.
La bassa profondità dovuta
all’insabbiamento della foce, il raccordo di questa con la linea costiera,
come la direzione della corrente che trasporta i sedimenti sono tutte cause che
favoriscono l’espansione della spiaggia.
La natura mette in atto ogni accorgimento utile per riuscire ad
effettuare l’avanzamento della costa, come ha fatto per millenni.
Un’immagine
di Boccadarno, con la bilancia per la pesca (foto del sig. Maurizio Nerini)
Sul litorale di San
Rossore, presso la foce dell’Arno, dove l’erosione si è manifestata negli
anni con una progressione impressionante (negli ultimi tempi, in alcune zone con ben 20 metri
ogni anno), la Regione Toscana ha finanziato recentemente un intervento di
protezione e ripascimento della spiaggia, con un costo pari a cinque miliardi di
lire.
Dalla foce dell’Arno
fino al Gombo, lo scorso anno, sono stati sistemati nove pennelli (scogliere di
massi), in parte sommersi che, secondo gli studiosi che hanno promosso
l’intervento, dovrebbero risolvere questo secolare problema.
A mio modesto parere,
invece, si dovrebbe cercare di comprendere perché il Fiume Arno corrode in
questo modo accentuato la spiaggia prossima alla foce.
Il progressivo incremento
di portata idraulica, che ha avuto il fiume in funzione degli allineamenti e
bonifiche attuate nei secoli, genera una corrente eccessiva nelle piene fluviali
che corrode i fondali litoranei prossimi alla foce ed impedisce la
sedimentazione sulla spiaggia limitrofa.
Per questa causa l’Arno
tende ad ampliare il suo estuario, attuando l’erosione di questa spiaggia. Con
una foce più ampia, quindi aumentando la sezione di deflusso, la corrente
fluviale diminuirebbe, senza provocare corrosioni in profondità alla foce,
permettendo così la sedimentazione dei fondali litoranei, iniziando da quelli
prossimi all’estuario del fiume.
Si dovrebbe quindi
assecondare l’opera della natura, piuttosto che contrastarla.
In pratica occorrerebbe
intervenire modificando la foce del fiume ed il suo regime idraulico.
L’attuale foce del Fiume Arno, con la forma artificiale che possiede modellata
dai massi delle scogliere frangiflutti, ben difficilmente potrà effettuare
l’opera di sedimentazione dei fondali costieri ed il conseguente ripascimento
della spiaggia erosa.
La prominenza sul mare
dell’arco costiero su cui è ubicata la foce, rispetto alla linea costiera
compresa da Livorno a Viareggio, su fondali marini oramai profondi, contribuisce
alla dispersione dei sedimenti trasportati dal Fiume Arno.
Le piene del fiume,
infine, indirizzano con la forma attuale della foce, i sedimenti al largo,
perdendoli.
Foto
aerea della foce del Fiume Arno (Litoralis)
Già nel 1948, la stessa
Commissione delegata ad individuare le possibilità del ripascimento del
litorale pisano (presieduta dal prof. ing. Corrado Ruggiero, su incarico del
Comune di Pisa) comprese che l’attuale foce non avrebbe potuto consentire la
sedimentazione dei fondali costieri.
Per questo ne propose la
modifica, con un’idea originale, ricercandone la soluzione in quella foce
naturale che ha sempre avuto il Fiume Arno. Soluzione pervenuta anche
dall’analisi di prove eseguite su di un modello in scala della foce del fiume,
nel laboratorio d’idraulica dell’Università di Pisa.
Quella naturale barra di
foce da sempre presente a Boccadarno, (anche se con la foce modificata ed
innaturale che possiede adesso è poco visibile, perché ridotta) e che nel
passato, quando la foce era naturale, per la sua consistenza deviava verso la
costa la corrente fluviale, nelle piene moderate del fiume permettendo la
sedimentazione dei fondali marini.
Gli studi di Livio
Borghi, il tecnico che nel 1970, prese in esame le varie possibilità che
potevano esserci per sconfiggere l’erosione costiera a Marina di Pisa,
portarono alle stesse conclusioni, seppur con una differente applicazione della
soluzione.
Il vasto insabbiamento
dell’ampia foce dell’Arno, è stato presente per numerosi secoli, generato
da una corrente fluviale relativamente moderata dalle esondazioni sul
territorio, nelle piene ricorrenti del fiume.
Sono trascorsi oltre
cinquant’anni dal primo studio, teso ad ottenere la possibilità del
ripascimento della costa pisana, quello della Commissione presieduta dal prof.
ing. Ruggiero ed ancor oggi non si vuol comprendere questa fondamentale
certezza.
La forma attuale della
foce dell’Arno, non può consentire la sedimentazione dei fondali litoranei,
lo hanno dimostrato gli studi effettuati, che hanno avuto la loro conferma nei
numerosi anni trascorsi senza ottenere il ripascimento della spiaggia.
Senza la sedimentazione
dei fondali litoranei, l’erosione costiera si farà sempre più minacciosa sul
litorale pisano.
Per oltre un secolo,
l’erosione costiera è stata contrastata in ogni modo, spendendo numerosi
miliardi di lire, illudendosi con questo di poterla fermare. Tutto ciò dovrebbe
aver fatto comprendere che la singola soluzione pragmatica lascia il tempo che
trova. Va bene per alcuni anni poi dimostra la sua limitatezza.
Bisogna comprendere le
esigenze della natura e per questo è necessario agire sulle cause che hanno
consentito lo sviluppo dell’erosione costiera, quindi intervenire sul Fiume
Arno, sulle condizioni idrauliche che hanno generato il preoccupante fenomeno
erosivo, che ad oggi, può considerarsi un immenso disastro ambientale.
Attualmente, le numerose
imbarcazioni che sono ormeggiate sulla riva sinistra dell’Arno, trovano
frequenti difficoltà ad uscire in mare. Soprattutto quelle imbarcazioni con la
deriva prominente sotto la chiglia (o le barche con deriva a bulbo profondo).
Un rimessaggio, questo
del tratto finale dell’Arno, che si è sviluppato negli anni occupando
progressivamente la golena sinistra dell’Arno e che costituisce in sostanza, un
porto-canale da ben 1000 posti-barca, dove possono trovare ormeggio dei cabinati
fino ad un massimo di 25 metri di lunghezza.
Queste imbarcazioni
trovano difficoltà a transitare dalla foce del fiume, per la bassa profondità
presente. Soprattutto dopo una mareggiata, poiché le onde del mare accumulano
sabbia, tendendo a costituire la caratteristica naturale barra di foce, anche se
attualmente in forma ridotta, per la presenza delle dighe.
Con il porto alla foce
dell’Arno, la stazione marittima e con il potenziamento della nautica, del
rimessaggio in quest’area, sarà sostenuta la necessità del dragaggio
ricorrente dell’estuario ad uso della navigazione. Un dragaggio che quindi sarà
necessario attuare, com’è già accaduto nel recente passato. In questo modo
però sarebbe eliminato l’ultimo residuo di naturalità che possiede ancora il
fiume.
Lo stesso estuario del
fiume verrebbe ad essere caratterizzato da questo prevalente uso, la
navigazione, con la necessità quindi del periodico dragaggio quando invece, la
condizione fondamentale per contrastare l’erosione costiera è quella di
diminuire la profondità dei fondali litoranei, iniziando da quelli prossimi
alla foce dell’Arno.
Un’esigenza richiesta
anche dalla prominenza accentuata della foce dell’Arno, dov’è ubicata
Marina di Pisa, sul suo antico delta, quindi molto protesa nel mare, situata
sull’ampio arco costiero compreso tra Livorno e Viareggio.
Un dragaggio che sarà
necessario attuare anche nel bacino portuale della “stazione marittima”, per
le colmate effettuate nelle piene ricorrenti del fiume. Sarebbe ipotecata
inoltre, la stessa forma della foce, uno sbocco artificiale che rischierebbe di
essere ulteriormente accentuato, reso ancor più innaturale con le modifiche che
sicuramente saranno richieste in futuro per migliorarne la navigabilità.
Occorre aggiungere infine, che per favorire lo
sviluppo della cantieristica sul Canale dei Navicelli, confluendo questo canale
nello Scolmatore dell’Arno, al Calambrone, è prevista l’armatura della foce
di quest’ultimo corso d’acqua, secondo il progetto che si vuole attuare dal
1996 (la costruzione di due pennelli perpendicolari alla costa lunghi oltre 600
metri, all’estremità della sua foce) per ottenerne la navigabilità con
l’accesso dal mare.
Una
vecchia foto del Canale dei Navicelli a Porta a Mare, sullo sfondo è visibile
il “Sostegno”
Recentemente, nell’aprile scorso vi è stata una
riunione al Ministero competente, a Roma, in cui è stata discussa anche la
richiesta dell’armatura della foce del canale scolmatore, da attuarsi
prossimamente con un costo di 13 miliardi di lire, “foce armata” ritenuta
opera prioritaria ed indispensabile ().
Si può ritenere prevedibile che questa modifica
della foce al canale Scolmatore (delle piene del Fiume Arno), posando le dighe
di massi, i due pennelli, produrrà od aggraverà la corrosione dei fondali
litoranei in quella delicata zona, dovuta alla corrente intensa che esce dalla
foce, nelle piene dell’Arno, ma soprattutto per la modifica delle correnti
litoranee presenti in mare, davanti alla costa del Calambrone.
Posizionando alla foce di un corso fluviale i
cosiddetti pennelli (scogliere di massi ortogonali alla costa), si produce per
l’aumento dell’intensità della corrente fluviale nelle piene, la corrosione
del fondale con il relativo approfondimento necessario alla navigazione. La
formazione di vortici di correnti causa però la conseguente erosione litoranea,
partendo dalla spiaggia contigua allo stesso pennello di massi.
La modifica delle correnti litoranee prodotta da “pennelli” posati alla foce di un corso d’acqua influisce sull’erosione della costa adiacente (basti osservare la scomparsa della spiaggia prodotta presso la foce del fiume Morto, una conseguenza della modifica artificiale del suo estuario, attuato alla metà degli anni Trenta, posando due dighe, tra l’altro di limitata lunghezza, alla sua foce).
Una vecchia foto (dal satellite) che mostra l’erosione costiera presente alla foce del Fiume Morto.
Da notare che tutto questo territorio litoraneo è
costituito da leggerissimi sedimenti sabbiosi e limosi, di facile corrodibilità,
quindi rapidamente erodibili, come si evidenzia già oggi, dall’impressionante
erosione litoranea in atto al Calambrone.
Probabilmente dovuta alla recente costruzione della
vasca di colmata alla Darsena Toscana, nell’area vicina, realizzata per lo
stoccaggio della sabbia inquinata, scavata dal porto di Livorno.
Tutto questo rende evidente la delicatezza
dell’ecosistema dei fondali litoranei.
Oltretutto, con la posa delle dighe alla foce del
canale scolmatore si favorirà l’ingresso, per chilometri, d’acqua salmastra
nel canale, contribuendo alla salinizzazione della falda freatica del
sottosuolo. In questo modo si rischia di rendere arido, negli anni, gran parte
del territorio litoraneo pisano.
A mio modesto parere, se fossero attuate queste
modifiche, si rischierebbe di produrre un impatto ambientale negativo alla costa
ed al territorio litoraneo pisano.
Si dovrà
modificare inoltre, il ponte sul canale
scolmatore della strada litoranea al Calambrone. Occorrerà quindi costruire un
nuovo ponte mobile per far passare le imbarcazioni, che transiteranno in misura
crescente dal canale scolmatore, per lo sviluppo della cantieristica pisana. Con
spese ulteriori, interruzioni del traffico stradale ed i disagi che ne seguono,
da parte di chi utilizza questa strada.
In definitiva con tutte le modifiche alla naturalità
di queste foci, unita alla presenza d’opere di protezione come le dighe
frangiflutti di Marina di Pisa, e le altre opere di protezione, quali le dighe
soffulte a Tirrenia (una già realizzata e le altre in fase di studio), si può
senz’altro prevedere, a mio modesto parere, che il fenomeno dell’erosione
costiera si aggraverà nel tempo sul litorale pisano.
In particolare, le dighe soffulte, con i loro
lunghi pennelli appena sommersi, tendono a deviare al largo le correnti
sottocosta, quelle correnti che in natura, trascinano a nord, verso la foce
dell’Arno, la sabbia del fondale litoraneo di Tirrenia, attivate dal vento di
libeccio, il vento più forte presente sul litorale.
Sfortunatamente, lo spostamento di queste sabbie
del fondale marino ha un’unica prevalente direzione: verso la foce del fiume.
Purtroppo sui fondali litoranei di Tirrenia, non arrivano oramai più, in
quantità necessaria i sedimenti, le sabbie, portate dall’Arno.
I sedimenti che provenienti dal Fiume Arno possono
raggiungere talvolta questi fondali marini sospinti dal vento di maestrale, sono
poi nuovamente indirizzati verso la foce, quando si presenta il forte vento di
libeccio, che sulla costa pisana ha un’intensità maggiore di tutti gli altri.
Sono soprattutto sedimenti leggeri, fangosi,
limosi, facilmente erodibili, quelli che possono raggiungere dalla foce
dell’Arno, i fondali marini di Tirrenia, mentre sono scarse le sabbie (essendo
più pesanti), per la profondità dei fondali litoranei prospicienti Marina.
La spiaggia di Tirrenia è erosa per riequilibrare
i fondali prospicienti, corrosi dalle correnti litoranee. Limitare od impedire
l’erosione di questa spiaggia significa diminuire la sabbia diretta verso i
fondali litoranei di Marina di Pisa.
Marina di Pisa - una foto che evidenzia l’erosione della costa.
Profili
trasversali dei fondali marini di Tirrenia (dal libro: “L’evoluzione del
litorale pisano”).
Si può prevedere quindi, che l’ulteriore diffuso
utilizzo delle dighe, per proteggere la costa di Tirrenia, farà diminuire la
sabbia che perviene sui fondali di Marina di Pisa, oltre le scogliere
frangiflutti.
Le dighe frangiflutti di Marina di Pisa, infatti,
sono state poste molti anni fa, dal Genio Civile (oggi Provveditorato) Opere
Marittime di Genova, l’Ente preposto alla difesa costiera, pressoché
parallele alla costa ma con varchi, aperture o bocche, orientate verso la foce
dell’Arno.
Bocca d'Arno - Questa foto evidenzia la disposizione delle scogliere frangiflutti di Marina di Pisa (Il Tirreno).
Marina di Pisa - Foto del litorale marinese, visto dall'opposto punto di vista.
In questo modo si riteneva che la corrente
proveniente dalla foce dell’Arno nelle piene, trascinando i sedimenti
fluviali, i fanghi e le sabbie, avrebbe consentito, con l’ingresso di questi
sedimenti nelle aperture delle dighe frangiflutti, il conseguente ripascimento
della zona compresa tra le dighe e la costa.
In realtà questo non è avvenuto, poiché i
sedimenti sono allontanati troppo dalla costa, per la corrente intensa del fiume
nelle piene e non hanno più modo di avvicinarsi al litorale di Marina di Pisa e
neppure a quello di San Rossore.
I sedimenti, che arrivano oltre le dighe
frangiflutti di Marina di Pisa sono invece, soprattutto quelli trascinati dalle
correnti sottocosta, spinte dal forte vento di libeccio, provenienti dai fondali
litoranei di Tirrenia.
Le libecciate erodono la sabbia della spiaggia di
Tirrenia per livellare il fondale litoraneo corroso. In definitiva i fondali
litoranei prospicienti Tirrenia, cedono progressivamente, sotto l’azione
incisiva delle correnti che trascinano la sabbia dei fondali marini verso la
foce dell’Arno (fig. 14).
(fig.
14) - La libecciata, in contemporanea con la piena del Fiume Arno (che scava in
profondità la foce ed i fondali prossimi, per l’intensa corrente fluviale),
produce la corrosione dei fondali litoranei prospicienti Marina di Pisa e
Tirrenia, spostando verso Boccadarno la sabbia dei fondali marini. Sabbia che è
infine allontanata al largo dalla corrente intensa che esce dalla foce
dell’Arno, aggravando in questo modo il fenomeno erosivo litoraneo.
Lo stesso accade ai fondali litoranei prospicienti San Rossore con il
vento dominante di maestrale. Per questo motivo l’erosione costiera si amplia
con lentezza, ma in modo inesorabile, simmetricamente rispetto a Bocca d’Arno.
Con l’attuale situazione idraulica dell’Arno e la foce innaturale
che possiede, associato alle opere di protezione della costa sopra menzionate,
si produrrà nel tempo, un bilancio sedimentario negativo, tra la sabbia che
arriva sui fondali di Marina di Pisa e quella che è trascinata via, corrosa
dalle correnti sottocosta presenti sul litorale marinese.
Correnti litoranee, trascinate anche dall’intensa corrente fluviale,
che esce dalla foce, nelle piene dell’Arno, incidendo quindi sul livello dei
fondali, aumentando lentamente la loro profondità nel tempo.
In definitiva mettendo a rischio, negli anni, la stabilità delle
scogliere frangiflutti, almeno le parti più deboli, soprattutto nelle
mareggiate prodotte dal forte vento di libeccio in combinazione con la piena del
fiume Arno. Le onde aumentano la loro altezza, quindi il proprio peso, con
l’aumento della profondità dei fondali litoranei, quest’evento, con
l’aumento della profondità a ridosso delle scogliere frangiflutti, produrrà
effetti negativi per quanto riguarda la loro stabilità.
Le scogliere frangiflutti, rappresentano le uniche difese di Marina di
Pisa dalle violente mareggiate. In tempi recenti (nel luglio 2000), vi sono
stati alcuni cedimenti di massi delle scogliere frangiflutti prospicienti Via
Tullio Crosio, dove la profondità raggiunge in alcuni tratti, ben otto metri
sul fondale, di là da queste difese.
In Piazza delle Baleari, a Marina di Pisa, da diverso tempo è evidente
un cedimento dei massi prodotto dalle mareggiate, causato dalla corrosione dei
fondali litoranei. Cedimento che procurando un varco nella scogliera fa
scomparire nel tempo, con la risacca, quell’esile spiaggia rimasta dietro
l’opera di difesa.
Marina di Pisa: le scogliere frangiflutti a protezione
dell’abitato.
Allo stato attuale di profonda corrosione dei fondali marini a Marina di
Pisa, non serve neppure modificare l’orientamento delle dighe foranee, in
pratica posizionando le aperture o sbocchi nel verso opposto a quello presente,
sperando che in questo modo le sabbie possano entrarvi per pascere il fondale
prossimo alla costa.
Sono state poste, infatti, da oramai vari decenni, una serie di soglie
sommerse, costituite da massi, in questi varchi per il contenimento della sabbia
del fondale tra le scogliere a mare e la costa. Il dislivello presente tra le
dighe frangiflutti e il fondale marino oltre le opere di difesa, faceva scorrere via questa sabbia disperdendola in mare aperto, aumentando così la
profondità nella zona prossima alle dighe a protezione della strada litoranea e
dell’abitato di Marina.
Da considerare che l’Arno, per le correnti che genera nel mare alla
foce, nelle piene, ha allontanato nel mare profondo, progressivamente negli
anni, la sabbia degli estesi fondali marini, assai poco profondi alla fine del
XIX secolo.
La profondità di 10 metri era ad una distanza di ben 1000 metri dalla
spiaggia di quel tempo, come si nota dai rilievi batimetrici (vale a dire di profondità), dell’Ufficio Idrografico
della R. Marina, eseguiti nel 1895. In quegli anni, da Livorno a Viareggio,
presso la spiaggia, si aveva per lungo tratto un fondo bassissimo, mentre poi
rapidamente discendeva per raggiungere discrete profondità.
Con l’approfondimento dei fondali marini, l’erosione costiera, ha
fatto scomparire nel mare la sabbia dell’estesa spiaggia del litorale pisano.
Da evidenziare che la barra di foce, l’insabbiamento dell’estuario,
costituisce un freno naturale al deflusso dell’acqua del fiume. In sostanza,
con il dragaggio della foce, si tende ad aumentare la corrente fluviale
dell’Arno nelle piene, in pratica, la causa principale che incide
sull’erosione costiera.
In sostanza, facendo un
paragone appropriato, si rischia di segare il ramo su cui si è seduti.
Distruzione
dell’edificato a Boccadarno, per opera delle mareggiate (dal
libro: “Un litorale da salvare”).
Recentemente, il Consiglio direttivo dell’Ente Parco
approvando il piano di gestione di Tombolo e Coltano, ha confermato
definitivamente la previsione del porto a Boccadarno, con una capienza di
cinquecento posti-barca:
«E’
stata approvata una nuova scheda 39, stabilendo che l'intervento in quell'area
è possibile farlo con la presentazione di un piano di recupero, attraverso gli
strumenti attuativi necessari per bonificare la porzione di territorio soggetta
al piano del Parco e connessa funzionalmente a quella parte territoriale
sottoposta agli strumenti urbanistici del Comune di Pisa, con particolare
riferimento alla scheda 38/C del regolamento urbanistico» (Il Tirreno 12/5/2002).
*
* *
Foto dal satellite, del delta fluviale del Fiume Arno
Obelisco di Boccadarno
Una
profonda lesione nel terreno che mostra i dissesti, di natura idrogeologica,
presenti nel recente passato a Boccadarno (dal libro: “Un litorale da
salvare”).
Le conseguenze delle mareggiate (dal libro: “Un litorale da salvare”).