Nella foto: Lo sbarramento della diga di Campliccioli
LE MILLE ENERGIE DELL'ACQUA, AL LINGOTTO
 
 
Martedì 11 novembre 2003, ore 10,15-13, ENEL ha organizza al Lingotto di Torino, sala Londra, un convegno dal titolo che è tutto un programma: "Le mille energie dell'acqua" (Riflessioni sull'uso sostenibile e condiviso di una risorsa preziosa). Diversi e tutti importanti i relatori, che hanno cercato di convincerci della rinnovabilità, sostenibilità, ecologia ecc. degli impianti idroelettrici. Unica eccezione prevista, la nostra presidente regionale Vanda Bonardo, chiamata a intrattenere il pubblico sul tema: "Convergenze e criticità nel rapporto ambiente/uso della risorsa". Non potendo Vanda essere presente per motivi di lavoro, mi ha delegato a parlare in sua vece, cosa che ho fatto molto volentieri. Vi trascrivo il testo della mia relazione

CONVERGENZE E CRITICITA’ NEL RAPPORTO

AMBIENTE/USO DELLA RISORSA

di Amelia Alberti, del Settore Energia di Legambiente Piemonte

 

La diffusione dell’energia elettrica è certamente l’espressione più immediata dello stato di benessere di una nazione. Il tipo di sviluppo caratteristico delle nazioni occidentali ricche ne prevede una disponibilità continua e praticamente senza limiti. Come è noto e semplificando, l’energia elettrica può derivare dalla trasformazione chimica di materiali fossili, oppure da azioni fisiche collegate all’attività del sole. In quest’ultimo caso si parla di fonti di produzione "rinnovabili". In Italia nel 2001 la produzione da fonti rinnovabili era circa il 20% del totale e cioè intorno ai 55.000 GWh, di cui l’85% circa era di tipo idroelettrico, che è l’argomento su cui oggi siamo chiamati a confrontarci.

 

Sulla questione dell’uso dell’acqua a fini idroelettrici, noi ambientalisti, sempre in prima fila a invocare e pretendere materie prime che non si esauriscano con l’uso e che non aumentino l’effetto serra, ci poniamo una domanda, da leggere più in termini politici che tecnici. E’ giusto definire rinnovabile l’energia idroelettrica? , se ci riferiamo alla riproducibilità della materia prima, l’acqua, che non viene consumata dagli impianti idroelettrici di produzione, all’assenza di fumi e altre emissioni nocive o climalteranti, e all’alto rendimento di trasformazione. No, se invece osserviamo le modificazioni tremende e irreversibili, a cui è sottoposto il territorio, dove gli impianti sono in funzione. Laghi artificiali dove c’erano torrenti, sbarramenti imponenti o traverse, a chiudere i panorami, sassaie desolate e rigagnoli, dove scorreva l’acqua libera e abbondante, povertà ecologica, dove la natura aveva dato luogo alla biodiversità più articolata, monocultura, invece che utilizzo sostenibile contemporaneo di tante attività.

Giudizio ambientale negativo, il nostro, che ritroviamo tal quale nelle considerazioni di enti non sospettati di ambientalismo. Citiamo, dal volume "Aree naturali protette del VCO", edito nel 2003 dalla Provincia, Assessorato all’Ambiente: "Il cosiddetto oro bianco, ovvero l’energia idroelettrica, è stato fondamentale per lo sviluppo di tutta l’economia del nord Italia. Questo ha giustificato interventi di notevole portata su tutto l’arco alpino per la captazione e lo sfruttamento dei corsi d’acqua. Anche se si tratta di una forma di energia considerata come rinnovabile, l’impatto a livello paesaggistico e ambientale degli impianti idroelettrici è considerevole e tutt’altro che transitorio. L’habitat che si crea attorno ad un corso d’acqua conserva la sua importante valenza ecologica se si sviluppa come continuum. Interruzioni e sbarramenti spezzano l’unità dell’ecosistema. E’ sufficiente rendere artificiale un tratto di sponda per impedire le dinamiche di comunicazione delle varie specie. Dighe e captazioni non consentono di fatto la risalita delle specie ittiche, isolandone le comunità e compromettendo le funzioni biologiche degli individui. Questi interventi, oltre a ridurre fortemente l’apporto di materiale detritico e alluvionale, compromettono notevolmente la portata idrica dei corsi d’acqua. Secondo uno studio della CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) sulle Alpi il 79% dei corsi d’acqua ha un equilibrio naturale compromesso dalla presenza di centrali idroelettriche e l’82% presenta una qualità d’acqua carente o pessima." Ancora una citazione, questa volta dal Piano ittico provinciale, sempre del VCO, del 1998: "L’alterazione del regime idrologico naturale determina un impoverimento dell’ecosistema fluviale, in particolare delle comunità biologiche, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, e danneggia gli aspetti paesaggistici e la fruibilità del corso d’acqua."

 

Il Piemonte, da un secolo a questa parte, ha in effetti sacrificato molta parte del suo territorio alpino per produrre energia idroelettrica, per sè e per altri. Lo sfruttamento idroelettrico del secolo scorso, successivo allo sfruttamento idromeccanico del secolo precedente, aveva dapprima aggredito i corsi d’acqua più importanti. Grandi bacini artificiali e condotte forzate imponenti, che mettevano in moto turbine gigantesche, hanno garantito l’avvio dello sviluppo economico industriale del Paese e del Piemonte stesso. Magnifiche centrali elettriche, talora di incantevole fattura, oggi completamente automatizzate, restano testimoni di quell’epoca eroica. Grazie all’occupazione nelle grandi centrali idroelettriche e nelle fabbriche da queste servite, molti abitanti delle montagne si sono trasformati da contadini di un’agricoltura marginale e povera a operai, con la certezza di un reddito fisso e con la dignità di un lavoro stimato. Il turista di montagna, che stava prendendoci gusto in quegli anni ad arrampicarsi sulle vette per ammirare i panorami innevati, costituiva più una curiosità che una realtà economica di riferimento. Concedere senza reagire il proprio territorio allo sfruttamento idroelettrico pareva scelta obbligata, se si voleva, come in effetti si voleva, partecipare al banchetto del benessere che si stava approntando. Né si aveva l’impressione di cedere qualcosa di importante, poiché i panorami tanto ammirati e dipinti e fotografati dai turisti di città, altro non erano che i luoghi della fatica, dell’isolamento e della fame.

Spesso accade che decisioni importanti, che poi si sono rivelate scelte miopi e poco convenienti, vengano prese senza esitazioni. Oggi, esaminando col senno di poi la situazione, scopriamo che lo sviluppo industriale otto-novecentesco (le famose "magnifiche sorti e progressive", di cui il grande idroelettrico è stato pilastro portante) ha recato con sè anche danni incalcolabili, avendo esternalizzato in termini di trasformazioni del paesaggio, di inquinamento permanente e di malattie, tutti i disavanzi aziendali. E su un territorio inquinato, malato, imbruttito, è difficile far crescere altro, che sia solido e duraturo.

 

Trecentotrentacinque impianti idroelettrici (contando solo quelli superiori a 220 KW), molti con più punti di prelievo, oggi costellano la nostra regione, con una produttività di circa 1000 MW, corrispondenti al 40% della sua produzione totale. Da sola, la piccolissima provincia del Verbano-Cusio-Ossola ospita centodue impianti idroelettrici (contando solo quelli superiori a 100 MW), con una produttività di circa 400 MW, la maggiore del Piemonte. Non c’è più, nel VCO, possibilità di grandi invasi, né corso d’acqua che possa dirsi integro. Eppure si sono accalcate negli ultimi mesi negli uffici provinciali richieste di concessioni per impianti da mezzo MW a poco più di 2 MW, con una produttività annua, amplificata nei calcoli dei richiedenti, ben modesta per i bisogni energetici nazionali, ma assai attraente per i proprietari degli impianti stessi, che godranno, a spese del contribuente, di tariffe straordinarie (intorno a 0,13 € per ogni KWh), del ritiro obbligatorio di tutta l’energia prodotta e dei vantaggi economici derivanti dal mercato dei Certificati Verdi, secondo il quale una nuova centralina idroelettrica, e quindi "rinnovabile", da 2 MW giustifica l’esistenza di 100 MW elettrici termici fossili. Facendo due calcoli veloci, scopriamo che cinque o sei micro-centraline basteranno a giustificare una delle tante megacentrali termiche, di cui autorevolissime voci in questi tempi di black-out veri o minacciati reclamano a gran voce la costruzione, intimidendo le poche voci di ragionevole dissenso. Non quindi, come la legge indica, un incentivo per le energie rinnovabili, ma viceversa.

 

Per quanto riguarda i vantaggi innegabili per l’economia nazionale derivati dalla produzione di energia idroelettrica, discorsi diversi vanno fatti per gli impianti a bacino e per quelli ad acqua fluente, dove i primi soccorrono in maniera modulabile alla programmazione delle necessità, mentre i secondi impongono i loro KWh prodotti in maniera discontinua e non prevedibile, più in funzione della meteorologia che delle necessità degli utenti. Eppure anche una sola microcentralina, così palesemente inutile tranne che per il suo proprietario, può cancellare un intero torrente.

 

Un cenno al DMV, il deflusso minimo vitale, sigla che giustifica qualunque nuovo progetto, frutto di un timido algoritmo che va rivisitato con urgenza, grazie al quale un corso d’acqua può ancora dirsi tale, se nel suo alveo scorre per tutto l’anno circa il 10% del suo flusso medio naturale. In proporzione, e ancor più, diminuisce la vita in esso contenuta, e non ci riferiamo soltanto ai pesci, ultimo anello di una catena complessa che lega il fiume alle sue sponde e queste al prato, al pascolo, ai boschi, alla vita sotterranea, alle falde. Eppure quel filo d’acqua, al quale non tutte le opere di presa sono obbligate, non sempre è rilasciato. Ognuno di noi conosce situazioni mai sanzionate di stramazzi otturati, in modo occasionale o per dolo. Soprattutto le conoscono bene i pescatori dilettanti, spinti sempre più verso l’alto o nei laghetti cosiddetti sportivi, come indiani nelle riserve. In attesa che le perentorie e disattese previsioni temporali dell’art. 22 della legge 152/99 diventino attuative, seppure in ritardo di anni, sarebbe un gesto bello e gradito se almeno l’ENEL, che organizza questo convegno e che ci ha dato l’opportunità di intervenire, seppure non ancora obbligata, decidesse di rilasciare spontaneamente ai corsi d’acqua sottesi alle sue invalicabili barriere tant’acqua da vederli rinascere.

 

Altre proposte di produzione elettrica veramente rinnovabile e nuove tecnologie sempre più efficienti e ricche di sapere stanno venendo avanti a grandi passi, come i Paesi del nord Europa stanno fruttuosamente dimostrando, imponendo i loro brevetti sul mercato dell’energia. Ad esse vanno dedicati gli incentivi economici e i sostegni, per questo secolo che viene, per le generazioni che verranno, alle quali non vorremo negare l’elettricità, ma neppure il grato suono dell’acqua che scorre tra i sassi o che struscia lungo le rive. Auguriamo un buon futuro a tutti.

 

11/11/2003

 

Relazione per il Convegno LE MILLE ENERGIE DELL’ACQUA (Riflessioni sull’uso sostenibile e condiviso di una risorsa preziosa), organizzato da ENEL a Torino, Centro Congressi Lingotto, Sala Londra.