Nella foto: Pesca professionale

 

 

INCHIESTA SULLE CONTRADDIZIONI

DEL LAGO MAGGIORE

Marco Bariletti ci ha concesso la pubblicazione

della sua documentata inchiesta

pubblicata dal settimanale DIARIO.

11.07.03

 

Il giornalista Marco Bariletti di RaiNews24, ci ha concesso la pubblicazione integrale di questa ampia inchiesta per il Settimanale DIARIO dell’11 luglio 2003. Gliene siamo veramente grati.

Amelia Alberti, Legambiente.

Inchiesta Lago Maggiore

Di Marco Bariletti

A vederlo così non si direbbe. Il Lago Maggiore è un posto da cartolina. Acque calme e tranquille su cui si affacciano paesini calmi e tranquilli. Stresa, Locarno, Bellinzona, Lesa, Verbania, le isole Borromee. Un po’ Piemonte, un po’ Lombardia, un po’ Svizzera.

Sotto la superficie dell’acqua, a trecento metri di profondità, tonnellate di DDT, mercurio, arsenico. E ancora. Ammoniaca, acido acetico, formaldeide, acetamide, triossido di antimonio. Sostanze in gran parte cancerogene, avanzi e ricordi di 100 anni di industria chimica in riva al lago. Una brutta faccenda con mille sfaccettature. Una storia che vale la pena di raccontare. In sette cartoline.

La mancata bonifica.

La prima cartolina è stata spedita da un’aula di tribunale. E’ il 12 maggio 1999. A Verbania, il pubblico ministero Fabrizio Argentieri accetta il patteggiamento chiesto dagli undici imputati davanti a lui e dall’azienda che rappresentano: Enichem. Si chiude cosi’ un processo durato poco più di quattro mesi. Reati contestati, inquinamento e danneggiamento. Enichem ammette le sue responsabilità. L’impianto industriale di Pieve Vergonte, a 20 chilometri da quell’aula giudiziaria, aveva contaminato la zona del sito industriale, il fiume Toce e il Lago Maggiore. 3

Una storia, quella della chimica in riva al lago, cominciata nel 1915. Fertilizzanti, acido solforico, armi chimiche per l’Italia che va alla guerra, clorosoda. E DDT. Nonostante il pesticida fosse stato messo al bando in tutta Europa negli anni settanta, a Pieve Vergonte si continuava a produrre. Cinquemila tonnellate l’anno. Produzione finalizzata all’esportazione.

Un tran tran chimico che va avanti fino a metà degli anni ‘90, quando dalla Svizzera arriva una notizia. Il Laboratorio cantonale dice che c’è qualcosa che non va nei pesci del lago maggiore. Sono pieni di DDT.

L’allora ministro dell’ambiente, Edo Ronchi, blocca con un’ordinanza la produzione del pesticida. La fabbrica si ferma e nel lago non si può più pescare. E’ il 17 giugno 1996.

Tre anni dopo, la sentenza al processo per inquinamento: pene lievi, dietro la promessa di mettere in sicurezza l’impianto e bonificare la zona. Perché la situazione, in queste vallate, è grave. E il Ministero dell’ambiente inserisce il sito industriale di Pieve Vergonte nelle 17 aree di interesse nazionale da bonificare.

Sono passati più di quattro anni da quella sentenza, sette da quando si è scoperta la contaminazione e a tutt’oggi, non solo non è ancora cominciata l’opera di bonifica, ma non esiste ancora un progetto definitivo. Il sostituto procuratore di Verbania, Fabrizio Argentieri, ricorda: "Il consenso al patteggiamento fu subordinato al risarcimento del danno a tutte le parti civili e alla garanzia economica per la futura bonifica. Enichem si è impegnata ed ha messo a disposizione del Ministero dell’Ambiente una sessantina di miliardi di lire". Trenta milioni di euro depositati in un conto corrente della Banca di Roma. Soldi in attesa di un progetto.

"Il processo è servito da input" aggiunge Fabrizio Argentieri "e tra i documenti prodotti da Enichem c’era anche un progetto di bonifica che pero’ non ha superato la valutazione di impatto ambientale". Il progetto dell’azienda chimica prevedeva la costruzione di un immenso sarcofago dove rinchiudere 500.000 metri cubi di macerie, detriti e scorie contaminati. Una discarica impermeabilizzata che però suscitò dubbi e perplessità. Troppo vicina al fiume Toce, troppo pericolosa in caso di alluvioni, smottamenti o piene. La zona dove sorge il sito industriale, infatti, è dissestata dal punto di vista idrogeologico. Basti pensare che sotto l’impianto scorre un torrente, il rio Marmazza, che ad ogni pioggia abbondante esce dall’alveo, lava la pavimentazione della fabbrica, si porta via detriti ed acqua contaminata, invade le strade del paesino, si butta nel fiume Toce e da li’ arriva nel Lago Maggiore.

Alberto Zacchera è assessore provinciale all’ambiente. Parla in modo garbato, le parole arrotondate dalla erre moscia. "Il progetto c’è, non so quando i tempi della politica lo porteranno a compimento. Intanto bisogna dare atto ad Enichem che ha costruito un impianto di depurazione unico al mondo." Un complesso sistema di pompe e di drenaggio che, in condizioni normali, intercetta l’acqua della falda, la filtra ed evita che arrivi altro DDT nel Verbano. Un sistema di messa in sicurezza dell’impianto, però, non di bonifica.

"Il comune di Pieve Vergonte" aggiunge Zacchera "ha scoperto che agli inizi del secolo scorso, il torrente Marmazza venne deviato sotto l’impianto. Allora abbiamo immaginato di riportarlo in una condizione di alveo più simile a quello naturale, al di là del perimetro dello stabilimento. Inoltre si dovrebbe intervenire sul materiale contaminato, trattarlo con tecnologie raffinate, ridurne la massa e la pericolosità, per poi stiparlo in un sarcofago che dia tutte le garanzie".

Della bonifica, insomma, si sta ancora discutendo.

Dalla sala del consiglio comunale di Pieve Vergonte, due finestre sono spalancate sullo stabilimento. Ciminiere, cisterne, vapori. Sulle pareti della sala consigliare, un murale racconta un secolo di storia da queste parti. Resistenza e vita in fabbrica. Il sindaco è una giovane avvocatessa, Maria Grazia Medali. E’ delusa. "Enichem non può dire: se volete fare queste opere ciclopiche, noi non c’entriamo, ve le pagate da soli. E’ chiaro che il ministero potrà farsi carico di mettere dei soldi per la bonifica ma l’azienda deve partecipare. Ed Enichem è stata troppo ferma da quando il suo progetto non ha superato la valutazione di impatto ambientale. Non hanno piu’ proposto nulla o solo progetti che non potevano essere realizzati. Tecniche dilatorie, niente di concreto". I sessanta miliardi di lire depositati su un conto corrente della Banca di Roma aspettano. E comunque non basteranno.

 

Uno strano fax.

La seconda cartolina arriva dal fondo del lago. I pesci del Verbano, lavarelli, scardole, bondelle e agoni, pascolano in profondità. Dal 1996 allo scorso maggio nessuno li ha potuti pescare. Era vietato. Concentrazioni di DDT oltre il valore di tollerabilità imposto dalla legge italiana: 0,1 microgrammi di pesticida per ogni chilo di pesce.

Improvvisamente, lo scorso 17 aprile, il Presidente della giunta regionale del Piemonte, Enzo Ghigo, liberalizza, parzialmente e per decreto, la pesca sul Lago Maggiore. Perché? Che cosa è successo?

E’ successo che pochi giorni prima, a Torino, è arrivato un fax. Uno strano fax. Un documento spedito dallo studio di un commercialista di Verbania, che è anche deputato del Parlamento italiano tra le fila di Alleanza Nazionale, che è anche Commissario italo svizzero per la pesca, che è anche uno dei rappresentanti italiani al Consiglio d’Europa. Uno potente, insomma. E’ Marco Zacchera, fratello dell’assessore all’ambiente della provincia di Verbania.

Il fax è composto da sette pagine più il foglio di intestazione. Il documento è intestato "Commissione internazionale per la protezione delle acque italo svizzere" e riporta lo stato di avanzamento delle ricerche di monitoraggio sul ddt nei pesci del lago. Ricerche effettuate dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente dimostrano che nei lavarelli e nelle scardole il tasso di pesticida è sceso sotto la soglia di allarme. I dati sono veri, su questo non c’è alcun dubbio. Il problema è che la Commissione italo elvetica per la protezione delle acque internazionali, la CIPAIS, non li ha mai certificati.

"Il nostro sospetto" dice Amelia Alberti, presidente del Circolo Verbano di Legambiente, "era che l’on. Zacchera avesse ricevuto questi dati dall’Arpa di Novara, ci avesse messo sopra l’intestazione della CIPAIS e li avesse spediti in Regione per liberalizzare la pesca".

Una tesi confortata dalla corrispondenza via e-mail tra Legambiente e i vertici della CIPAIS. L’8 maggio, Cecilia Moresi, segretaria della Commissione scrive ad Amelia Alberti: "Confermo la mia sorpresa sul fatto che circolino documenti intestati CIPAIS senza nostra conoscenza o approvazione, in quanto le decisioni sulla diffusione e sulla pubblicazione integrale dei dati originali delle indagini e dei risultati competono alla Commissione. Senza dimenticare il fatto che non eravamo informati o peggio ancora in possesso di tali documenti".

Perché un parlamentare è entrato in possesso dei dati provvisori dell’Arpa di Novara ed ha spedito in Regione, dal suo studio privato, un fax recante l'intestazione di una Commissione Internazionale che, come ha scritto la segretaria della stessa Commissione, non li aveva ancora certificati?

"Io sono Commissario per la pesca ed ho il dovere di tutelare i pescatori" dice l’on. Marco Zacchera "ho agito in maniera tempestiva ed immediata e non vedo cosa ci sia di male visto che si trattava di una bella notizia: l’Arpa certificava che i livelli di DDT nei pesci erano scesi sotto la soglia di allarme". E questo e’ vero. Ma perche’ allora sul fax c’era l’intestazione della CIPAIS?

"Non lo so neanche io perche’ c’era questa intestazione, non so come mai e’ capitata dentro nei fax" si difende l’on. Zacchera, che aggiunge: "presumo che l’Arpa abbia comunicato questi dati alla CIPAIS, che e’ sua committente, la Commissione italo svizzera li ha trasmessi al CNR e io ho preso quella copia per mandarli in Regione".

Legambiente informa dell’episodio i consiglieri regionali di Ds, Rifondazione comunista e Verdi dell’episodio. I tre gruppi chiedono al governatore del Piemonte, Enzo Ghigo, di revocare il decreto. Non solo perché basato su un documento dubbio. Ma anche perché basta osservare i grafici sulla presenza del DDT nei pesci per capire che subisce un andamento ciclico. "Il DDT nel lago continua ad arrivare e i fondali a rimescolarsi, soprattutto quando ci sono piogge abbondanti ed alluvioni" dice Amelia Alberti "inoltre, i pesci d’estate si nutrono e si caricano di DDT, mentre d’inverno spurgano e i valori scendono. Come dimostrano i grafici dell’Arpa". I consiglieri d’opposizione non hanno ancora ricevuto una risposta dal governatore del Piemonte, Enzo Ghigo.

L’idea è che ci sia stata un po’ troppa approssimazione in questa faccenda. Troppa fretta nel togliere il divieto di pesca.

In Svizzera, le analisi vengono effettuate dal Laboratorio cantonale di Bellinzona. Mario Jaggli è il chimico cantonale che sette anni fa scopri’ la contaminazione dei pesci del lago. Nel Canton Ticino è lui che decide che cosa possono mangiare i cittadini. Non ha un’autorità politica al di sopra. Jaggli e’ un omone sorridente ed ha una qualità: riesce a spiegare cose complesse con parole semplici. "Noi facciamo le analisi sui pesci in primavera, proprio perché è il periodo più sfavorevole. Le leggi della Confederazione Elvetica sono comunque più permissive rispetto a quelle italiane. Ma fintanto che non ci sarà nemmeno un campione di pesci contaminato, io non tolgo il divieto".

Sulle sponde piemontesi del Verbano, invece, si puo’ continuare a pescare lavarelli e scardole e a mangiarli.

 

La bomba al mercurio.

La terza cartolina raffigura lo stabilimento di Pieve Vergonte, quello del DDT. Un impianto chimico ancora attivo che nel 1997 ha cambiato proprietario. La multinazionale belga Tessenderlo ha comprato gli impianti produttivi e le centrali elettriche che fanno funzionare i macchinari. Ad Enichem è rimasta la proprietà del suolo e del sottosuolo.

Per il ciclo produttivo dello stabilimento si utilizza il mercurio. Nello stabilimento sono stoccate ottanta tonnellate del metallo. Il sindaco di Pieve Vergonte, Maria Grazia Medali, guarda lo stabilimento dalle finestre del municipio e dice: "Abbiamo scoperto solo poco tempo fa di avere una potenziale bomba chimica sul nostro territorio". Una scoperta fatta quando il Ministero dell’Ambiente ha classificato il sito industriale ad "alto rischio di incidente rilevante". Una locuzione tecnica per dire: "massimo grado di pericolosità".

Uuuuuuuuuhhhhhhhhh. La sirena interrompe le parole del sindaco. "E’ mezzogiorno, la fabbrica avvisa che è finito il turno. Qui da cent’anni, l’industria chimica scandisce la nostra vita. Ha dato da mangiare a tutti e solo oggi la gente di Pieve Vergonte comincia a capire quanto può essere pericolosa la sua presenza". Anche perché, a Pieve, non esiste ancora un piano di evacuazione. "Non è ancora pronto, ci sta lavorando il Prefetto di Verbania. Non so quanto dovremo aspettare ancora. In ogni caso, Tessenderlo deve modernizzare gli impianti ed eliminare il mercurio dal ciclo produttivo". Una riconversione industriale possibile ma costosa.

Gli svizzeri, intanto, sono preoccupati. Avere ottanta tonnellate di mercurio a cinquanta chilometri dal confine non fa piacere a nessuno. Mario Camani è il responsabile della Sezione per la protezione dell’aria, delle acque e del territorio del Canton Ticino. Ha i capelli brizzolati e gli occhi azzurri, parla con un italiano impastato di tedesco. "Il mercurio puo’ causare danni tremendi alle persone se si vaporizza. Nel caso di un incendio o di un guasto agli impianti di raffreddamento all’impianto, si potrebbe creare una nuvola tossica con conseguenze inimmaginabili".

A Verbania, i poster sui muri della sede di Legambiente raccontano di campagne per sensibilizzare la popolazione e di tante battaglie. Amelia Alberti sorride sarcastica: "La gente qui è convinta che non ci saranno mai guasti né problemi con la fabbrica chimica. E’ quell’idea un po’ assurda che hanno tutti quando si mettono al volante di una macchina. Sono sicuri che non avranno incidenti e che torneranno a casa".

 

Un altro processo.

C’è sempre un’aula del Tribunale di Verbania impressa sulla quarta cartolina di questa storia. E’ stata spedita il 7 maggio, quando è cominciato il processo penale contro undici dirigenti di un’altra azienda chimica in riva al lago, la Acetati s.p.a.- ItalPet. Due marchi che fanno capo al gruppo Mossi & Ghisolfi e che possiedono uno stabilimento proprio nel cuore della città. Un grande impianto che produce bottiglie di plastica e acetato di cellulosa, il materiale con cui si costruiscono manici di ombrelli e montature per occhiali.

Secondo la Procura della Repubblica, lo stabilimento avrebbe scaricato nel Lago Maggiore ammoniaca, acido acetico, formaldeide, acetamide, triossido di antimodio. Tutte sostanze tossiche, le ultime tre classificate come cancerogene dagli studi della IARC, International agency for research on cancer.

Il paesaggio dalla vetrata del palazzo di giustizia è monopolizzato dallo stabilimento Acetati. Il sostituto procuratore Fabrizio Argentieri lo indica e dice: "La legge pone dei limiti per lo scarico delle aldeidi: un milligrammo per litro. Gli scarichi di quella fabbrica erano tre, quattro volte superiori". Ma non solo. Secondo l’accusa, infatti, gli scarichi sarebbero stati diluiti con le acque di raffreddamento dell’impianto, in modo da farli rientrare nei parametri.

Acetati Spa ha tre tubi di scarico nel lago. Millecinquecento metri cubi d’acqua che ogni ora escono dalla fabbrica ed entrano nel lago. Uno di questi tubi è a pochi metri dalla spiaggia di Verbania. Sulla sabbia, un cartello impone il divieto di balneazione. La gente, in costume, sembra non averlo letto.

 

Rubinetti e veleni.

Sulla quinta cartolina c’è un torrente, lo Strona. Un fiumiciattolo che ha scavato una lunga vallata per gettarsi nel Toce e poi nel Lago Maggiore. Lungo il torrente, centinaia di piccole fabbriche. Questa valle è la capitale mondiale dei rubinetti. Produzione di rubinetterie, pentolame, cromature. Sulla scrivania del sostituto procuratore Argentieri, il codice dell’ambiente e una montagna di carte. Agentieri passa il 70% del suo tempo ad occuparsi di inchieste per inquinamento. "Lungo il torrente Strona, c’è gente che di notte scarica il cromo esausto nei tombini e nel fiume. La situazione è sotto gli occhi di tutti. Il torrente è una fogna. Morie di pesci, inquinamento acuto da metalli pesanti, cromo esavalente, nichel, zinco, soluzioni di pulitura. Abbiamo tante notizie di reato a carico di ignoti. Ma non riusciamo a stare dietro a tutto". Alcuni giorni fa, la Procura di Verbania ha emesso una ventina di avvisi di garanzia ed ha posto sotto sequestro quindici scarichi inquinanti. Ma, paradossalmente, è più semplice imbastire un processo contro una grande azienda come Enichem o Acetati piuttosto che perseguire centinaia di piccole aziende che scaricano abusivamente per non pagare lo smaltimento dei rifiuti tossici. Ma se si sommano le diverse fonti di inquinamento, il risultato per il lago è drammatico. Come dimostra la sesta cartolina. Un’immagine scattata alla foce del fiume Toce.

 

Non spostate quella sabbia.

In fondo al fiume, alla confluenza col Lago Maggiore, c’è un paesaggio da sogno. Frasche di alberi che sfiorano l’acqua e sabbioni dorati che affiorano quà e là. Qualche turista ha piantato ombrelloni e sdraio. I banchi di sabbia in fondo al Toce, però, sono un problema. Tutte le volte che piove, infatti, il fiume si ingrossa e quella diga naturale ostruisce l’ingresso dell’acqua nel lago, facilitando gli staripamenti. La zona fa parte del piccolo parco regionale di Fondotoce.

Nei mesi scorsi, gli amministratori locali e i responsabili dell’area protetta si riuniscono per decidere di rimuovere i sabbioni. Alla riunione partecipa anche il Magistrato per le acque del Po che interviene e sciocca i presenti: la sabbia non si puo’ spostare. Il livello di contaminazione del terreno da DDT e metalli pesanti è talmente alto che per rimuovere i sabbioni bisognerebbe trattarli come rifiuti tossici nocivi. L’episodio è raccontato da un guardiaparco che preferisce restare anonimo.

L’immagine della sesta cartolina sono quei sabbioni. Con le sdraio, gli ombrelloni e i bambini che, armati di palette e secchiello, costruiscono castelli dorati.

In Italia esiste un decreto ministeriale del 1999 che impone la bonifica delle aree contaminate. Il decreto 471 indica le sostanze tossiche e fissa percentuali precise, microgrammi per chilo. Se si va oltre quella soglia, bisogna bonificare.

Nel luglio 2002, la Commissione per la protezione delle acque internazionali italo svizzera ha pubblicato il suo bollettino annuale sull’ecosistema del Lago Maggiore.

Tra grafici, cartine e tabelle anche i risultati dei 32 carotaggi effettuati sui fondali del Verbano. "In base a queste analisi" dice Amelia Alberti di Legambiente "tutta la zona del lago sarebbe da bonificare. Ovunque per il DDT, quasi dappertutto per l’arsenico, in alcune zone anche per mercurio. I dati si riferiscono ai fondali ma è facile immaginare che se si analizzassero le spiagge il risultato sarebbe lo stesso". Chiedendo un po’ in giro, si scopre che nessuno ha mai pensato di fare un’analisi precisa della sabbia.

Alcide Calderoni è un chimico che lavora presso l’Istituto degli Ecosistemi di Verbania. "Il decreto ministeriale si riferisce alle aree residenziali e a quelle adibite a verde pubblico, non ai fondali di un lago. Per i sedimenti lacustri non esistono parametri di legge. Cerchiamo di essere precisi. I sedimenti del lago sono in profondità e non inquinano l’acqua o le spiagge". Ma sono state effettuate analisi sulla sabbia delle spiagge? "Che io sappia, no. Ma non è un nostro compito".

In Svizzera, invece, quando sentono raccontare l’episodio dei sabbioni di Fondotoce si preoccupano. E Mario Jaggli, il chimico cantonale dice: " A me non piacerebbe che i miei bambini giocassero con una sabbia piena di DDT. Se fosse vero, sarebbe estremamente grave. L’insetticida puo’ penetrare nell’organismo e depositarsi nei tessuti grassi. Fino ad oggi non avevamo mai pensato di fare analisi di questo genere, ma ci muoveremo sicuramente nei prossimi mesi".

 

Leucemie e misteri.

L’ultima cartolina è una drammatica istantanea. Nel febbraio scorso, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ha pubblicato uno studio sulla mortalità in Piemonte. La provincia di Verbania è quella con il più alto tasso di leucemie maschili in tutta Italia. In queste vallate, su 100 mila persone, 17 si ammalano e muoiono di leucemia. La media italiana è di 10.

La valle Anzasca parte dalla piana dove sorge lo stabilimento chimico di Pieve Vergonte e si incunea tra le montagne fino al Monte Rosa. Su una popolazione totale di poco più di duemila persone, ci sono cinque o sei casi di leucemie infantili. Tanti, troppi.

Il sindaco di Pieve Vergonte, Maria Grazia Medali, racconta: "Sono quelle cose che si sentono dire in giro. Ma facendo l’avvocato, ne ho avuto conferma. Ci sono parecchi bambini leucemici nella vallata. E i venti in questa zona soffiano in modo particolare. Quello che si respira a Pieve Vergonte lo si respira anche in valle Anzasca". Uno studio epidemiologico serio, qui nessuno lo ha mai fatto. Le cause rimangono ignote, gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. "Addirittura" aggiunge il sindaco "non è mai stato fatto uno studio sui lavoratori dello stabilimento chimico". Il sostituto procuratore di Verbania, Fabrizio Argentieri aggiunge: "Una seria analisi epidemiologica andrebbe eseguita, perché è una zona che ha un altissimo indice di mortalità da tumore. Le cause possono essere tante e diverse, anche di tipo ambientale".

Il Lago Maggiore è anche tutto questo. A vederlo cosi’ non si direbbe.