Nella foto: G. P. Godio, D. Di Simine, W. Mattalia

La mappa degli impianti idroelettrici nel VCO

Il pubblico del convegno.

Il presidente della Sezione VCO Pescatori, U. Grossi.

L'ENERGIA IDROELETTRICA
NON E' PIU' ECOLOGICA
 
Il VCO in testa alla graduatoria piemontese
per produzione idroelettrica
All'interno alcune relazioni del convegno
6.9.03

IL VCO HA ANCORA MARGINI DI SFRUTTAMENTO IDROELETTRICO?

di Amelia Alberti, presidente Circolo Verbano di Legambiente

 

La diffusione dell’energia elettrica è certamente l’espressione più immediata dello stato di benessere di una nazione. Il tipo di sviluppo caratteristico delle nazioni occidentali ricche ne prevede una disponibilità continua e praticamente senza limiti.

La produzione lorda totale in Italia di energia elettrica nel 2001 è stata di 278.994 GWh, contro una richiesta di 304.831 GWh. La produzione lorda da "fonti rinnovabili" è stata di 55.099 GWh (pari al 20% del totale), di cui 46.810 GWh (pari all’85%) da fonte idroelettrica.

E’ giusto definire rinnovabile l’energia idroelettrica? , se ci riferiamo alla riproducibilità della materia prima, l’acqua, che non viene consumata dagli impianti idroelettrici di produzione, all’assenza di fumi e altre emissioni nocive o climalteranti, e all’alto rendimento di trasformazione. No, se invece osserviamo le modificazioni tremende e irreversibili, a cui è sottoposto il territorio, dove gli impianti sono in funzione. Laghi artificiali dove c’erano torrenti, sbarramenti imponenti o traverse, a chiudere i panorami, sassaie desolate e rigagnoli, dove scorreva l’acqua libera e abbondante, povertà ecologica, dove la natura aveva dato luogo alla biodiversità più articolata, monocultura, invece che utilizzo sostenibile contemporaneo di tante attività.

Il Verbano-Cusio-Ossola, come tutte le regioni alpine, ha sacrificato da un secolo a questa parte il suo territorio interno per produrre energia idroelettrica, a fronte di un certo ritorno economico tramite i sovraccanoni previsti per legge e le convenzioni di favore stipulate spesso tra le parti. Lo sfruttamento idroelettrico del secolo scorso, successivo allo sfruttamento idromeccanico del secolo precedente, ha dapprima aggredito i corsi d’acqua più importanti, a partire dal Toce, dal Devero, dal Diveria, dal Cairasca, dall’Ovesca, dall’Anza. Grandi bacini artificiali e condotte forzate imponenti, che mettevano in moto turbine gigantesche, hanno garantito lo sviluppo economico industriale del Paese e del VCO stesso, che ha sfruttato le sue riserve idriche per alimentare l’industria chimica e metallurgica ossolana. Magnifiche centrali elettriche di incantevole architettura, oggi completamente automatizzate, restano testimoni di quell’epoca eroica. Il popolo dell’allora Alto Novarese, grazie all’occupazione nelle fabbriche e nelle centrali idroelettriche, andava trasformandosi da contadino di un’agricoltura marginale e povera a operaio, con la certezza di un reddito fisso e con la dignità di un lavoro stimato. Il turista di montagna, che stava prendendoci gusto in quegli anni ad arrampicarsi sulle vette per ammirare i panorami innevati, costituiva più una curiosità che una realtà economica di riferimento. Concedere il proprio territorio allo sfruttamento idroelettrico pareva scelta obbligata, se si voleva, come in effetti si voleva, partecipare al banchetto del benessere che si stava approntando. Né si aveva l’impressione di cedere qualcosa di importante, poiché i panorami tanto ammirati e dipinti e fotografati dai turisti di città, altro non erano che i luoghi della fatica, dell’isolamento e della fame.

Spesso accade che decisioni importanti, che poi si sono rivelate scelte miopi e poco convenienti, vengano prese senza esitazioni. Oggi, esaminando col senno di poi la situazione, scopriamo che lo sviluppo industriale otto-novecentesco (le famose "magnifiche sorti e progressive") ha recato con sè anche danni incalcolabili, avendo esternalizzato in termini di inquinamento permanente e di malattie, tutti i disavanzi aziendali. E su un territorio inquinato, malato, imbruttito da capannoni fatiscenti, è difficile far crescere altro, che sia solido e duraturo. Eppure oggi il VCO, o almeno una sua parte che pesca in tutte le opinioni politiche, desidera voltare pagina. Vorrebbe abbandonare il suo passato pesantemente industrialistico, per volgersi ad uno sviluppo sostenibile, più lieve, più colto, turistico o comunque di tipo post-industriale. Contro queste scelte si erge però chi gode di una rendita di posizione economico/politica ancorata al passato, che trova consensi e appoggi presso tutte le opinioni politiche.

Centodue impianti idroelettrici (contando solo quelli superiori a 100 KW), molti con più di un punto di prelievo, oggi costellano la nostra provincia, di cui undici con potenza superiore ai 10 MW, per una potenza totale installata di quasi 400 MW (per circa il 20% di proprietà Enel, tra cui le tre maggiori, di oltre 20 MW). Di questi centodue impianti, soltanto quarantacinque, molti con prese multiple, hanno l’obbligo di restituire il cosiddetto Deflusso Minimo Vitale, tra cui soltanto uno di proprietà Enel, l’ultimo costruito. Non c’è più, nel VCO, corso d’acqua che possa dirsi integro: gli ultimissimi rimasti ( tra cui Melezzo orientale, Cannobino, Ogliana di Pozzolo) hanno davanti a sè vita breve, essendo proprio in queste settimane in fase di Valutazione provinciale l’impatto ambientale, che sarebbe provocato da sei nuovi impianti, proposti da privati. Si tratta ormai, per questi e per quelli futuri in lista di attesa, per lo più di impianti di piccola potenza, da meno di 1 MW a poco più di 2 MW, con una producibilità annua, amplificata nei calcoli dei richiedenti, che sarà ben piccola cosa per il bilancio energetico nazionale, mentre sarà molto benefica per il bilancio economico dei proprietari, che godranno di tariffe straordinarie per ogni KWh prodotto (intorno a 0,13 €) e dei vantaggi economici derivanti dal mercato dei nuovi Certificati Verdi, secondo il quale una nuova centralina idroelettrica e quindi rinnovabile da 2 MW giustifica l’esistenza di 100 MW elettrici termici fossili. Facendo due calcoli veloci, scopriamo che le sei micro-centraline attualmente in procedura di VIA, che distruggeranno gli ecosistemi dei tre torrenti Melezzo orientale, Cannobino, Ogliana di Pozzolo, tutti e tre della stessa naturalità selvaggia caratteristica del confinante Parco nazionale Val Grande, potranno giustificare una delle megacentrali termiche, di cui il ministro in questi tempi di minacciati black-out reclama a gran voce la costruzione, intimidendo le poche voci di dissenso.

In che stato sono oggi le nostre valli? Nessuno le conosce meglio dei pescatori dilettanti, che, armati di canna e di lenza, cercano tra i sassi i nascondigli delle trote, ma intanto verificano lo stato di salute dei torrenti, la stabilità del territorio, ma anche i rilasci dalle traverse di derivazione, spesso inesistenti, per legge o per dolo. Essi ci confermano che le valli sono asciutte, e non soltanto in questa estate tropicale, e i torrenti malati. Che occorre fermare le richieste di nuovi impianti, per esaminare la situazione nella sua globalità. E da subito chiedere con fermezza ai produttori (soprattutto ai grandi produttori, Enel in testa) di rilasciare i Deflussi Minimi Vitali, obbligatori e non obbligatori che siano, e di aumentarli rispetto alle formule matematiche regionali, modulandoli nel corso delle stagioni, per ridare naturalità ai corsi d’acqua e bellezza e attrattiva e vita al territorio. Le stesse richieste giungono dal mondo del turismo. E’ tempo quindi di unirci e di contarci, perché i politici, quando fanno le scelte sulle nostre teste, ci contano. E’ tempo di costruire saperi e alleanze per uno sviluppo nuovo, che non significa un VCO al buio e pastori emarginati per mesi sugli alpeggi abbandonati, perché quei tempi sono finiti per sempre. Altre proposte, nuove tecnologie stanno venendo avanti e vanno studiate e promosse, confrontate e sostenute per questo secolo che viene, per le generazioni che verranno, alle quali non vorremo negare l’elettricità, ma neppure il grato suono dell’acqua che scorre tra i sassi o che struscia lungo le rive.

 

6 settembre 2003

 

Questa relazione è stata preparata per il convegno: "Energia idroelettrica: energia ecologica?", nell’ambito della campagna nazionale di Legambiente LA CAROVANA DELLE ALPI.


Direzione Pianificazione Risorse Idriche

 

prelievi idrici a scopo idroelettrico in Piemonte

Stato attuale ed evoluzione della normativa di settore

Relatore: ing. Walter Mattalia

Verbania 6 Settembre 2003

Premessa

Con il d.lgs 112/1998, come noto, sono state conferite alle Regioni e al sistema delle autonomie locali tutte le funzioni tecniche e amministrative in materia di gestione del demanio idrico, ferma restando la titolarità dello stesso in capo allo Stato.

A sua volta la Regione, con la legge regionale 44/2000, ha conferito alle Province la gestione dei provvedimenti di concessione di piccole e grandi derivazioni, riservando alla propria competenza la potestà normativa, di programmazione, indirizzo e controllo.

In sintesi alla Regione compete, oltre alla disciplina e programmazione di livello regionale, il concorso nell’elaborazione delle politiche comunitarie e nazionali di settore, la gestione della concertazione con lo Stato, mentre l’attività gestionale è integralmente conferita alle Province, fatto salvo il parere vincolante della Regione sul rilascio di provvedimenti relativi a grandi derivazioni idriche.

Disciplina delle utilizzazioni

Come noto la materia delle concessioni di derivazione d’acqua è stata disciplinata per quasi un secolo dal cosiddetto testo unico di leggi sulle acque e impianti elettrici del 1933 e relativo regolamento, anteriore di una decina di anni.

Su quel tessuto di norme rimasto sostanzialmente immutato per decenni si sono via via innestate nuove disposizioni sia comunitarie che nazionali e regionali, rendendo talvolta difficile se non impossibile armonizzare le diverse disposizioni con la disciplina speciale previgente.

Per quanto riguarda l’uso dell’acqua ai fini della produzione di energia idroelettrica le disposizioni più significative sono:

a livello di normativa comunitaria: la direttiva 1992/96/CE in materia di mercato energetico e la direttiva 2000/60/CE in materia di risorse idriche;

a livello nazionale: la legge 183/1989, il d.lgs 275/1993, la legge 36/1994 il d.lgs 79/1999 e da ultimo il d.lgs 152/1999;

a livello regionale: la legge 40/1998 e smi, la legge 61/2000 e il regolamento 10/R sulla disciplina dei procedimenti di concessione del luglio u.s.

La legge 183/1989 ha introdotto il concetto di bilancio idrico di bacino affermando per la prima volta in termini espliciti la imprescindibile necessità di una gestione razionale delle risorse idriche a livello di bacino idrografico anche al fine di garantire il deflusso minimo vitale –DMV - inteso come portata istantanea da rilasciare a valle del punto di prelievo al fine di mantenere vitali le condizioni di funzionalità e di qualità degli ecosistemi interessati nei tratti di alveo sottesi dai prelievi.

La direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, ribadendo la centralità della gestione integrata degli aspetti quantitativi e qualitativi per distretto idrografico ha raffermato l’importanza di fondare la politica ambientale sui principi di precauzione e dell’azione preventiva e sul principio della correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente.

Il d.lgs 275/1993, integrando le disposizione del tu 1775/1933 ha stabilito che il provvedimento di concessione deve tener conto del minimo deflusso vitale, ove definito, e delle esigenze di tutela della qualità e dell’equilibrio stagionale del corpo idrico.

La legge 36/1994 ha solennemente sancito che tutte le acque superficiali e sotterrane costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà e da salvaguardare al fine di garantire alle future generazioni il diritto di poter fruire di un patrimonio ambientale integro.

La D.G.R. 74-45166 in data 29.94.1995 ha definito le modalità di quantificazione del DMV da applicare nuove piccole derivazioni idriche e per quelle in rinnovo.

La legge 40/1998, per quanto attiene alla produzione di energia idroelettrica, ha introdotto l’obbligo di procedere alla previa verifica della incidenza sull’ambiente delle derivazioni idriche di portata superiore ad una certa soglia al fine di valutare se sia o meno necessario attivare la successiva fase di valutazione di impatto ambientale.

Il d.lgs 79/1999, nel recepire la direttiva comunitaria in materia di liberalizzazione del mercato dell’energia, ha subordinato il rinnovo delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche alla presentazione di un progetto di incremento della produzione o della potenza installata.

Con l’emanazione del d.lgs 152/1999 è stato introdotto il Piano di tutela delle acque quale piano stralcio del piano di bacino e sono state poste le basi per una complessiva politica di gestione delle acque per bacino idrografico basata su precisi obiettivi di qualità ambientale e funzionale dei corpi idrici, con un approccio integrato degli aspetti quantitativi e qualitativi.

Tale approccio richiede una adeguata politica di pianificazione degli usi dell’acqua finalizzata a perseguire l’equilibrio del bilancio idrico che, con riferimento alle acque superficiali, significa da un lato mantenere negli alvei naturali un regime di portate compatibile con gli obiettivi di piano e dall’altro fornire alle diverse utenze acqua commisurata ai rispettivi fabbisogni.

Il piano di tutela è redatto dalla Regione sulla base di linee generali di indirizzo elaborate in sede di Autorità di bacino e approvate dal Comitato istituzionale, tra cui rientrano anche i criteri per la regolazione delle portate negli alvei naturali ovvero il DMV.

Con la legge 61/2000 "Disposizioni per la prima attuazione del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 in materia di tutela delle acque" sono state poste le basi per la delegificazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi e per l’emanazione di regolamenti di attuazione della legislazione in materia di tutela quantitativa e qualitativa delle acque

Azioni della Regione

Negli ultimi anni la Regione ha messo in atto una serie complessa e coordinata di azioni con l’obiettivo di migliorare la conoscenza del sistema fisico al fine di pianificare e disciplinare l’uso delle risorse idriche in modo coerente con lo sviluppo della disciplina di settore a livello comunitario e nazionale.

Da un punto di vista generale della pianificazione di settore la Regione ha espresso il proprio orientamento nel "Piano direttore delle risorse idriche" approvato dal Consiglio Regionale il 12 dicembre 2000 e sta ora elaborando il Piano di tutela delle acque, piano stralcio del piano di bacino del fiume Po.

Il piano Direttore, pur non affrontando direttamente il tema della produzione di energia idroelettrica, indica tuttavia una serie di strumenti attraverso i quali gestire la domanda di acqua secondo modalità compatibili con le esigenze di salvaguardia della risorsa idrica e dell’ambite idrico in generale (mi riferisco in particolare al dossier CAP). E’ chiaro che si tratta di misure destinate ad essere integrate e completate con il Piano di tutela nell’ambito della pianificazione degli usi dell’acqua.

Al fine di organizzare la conoscenza necessaria per elaborare il Piano di tutela delle acque e di disporre di un efficiente ed efficace sistema informativo sulle risorse idriche la Regione ha avviato una serie di attività che vanno dalla sistematizzazione/integrazione delle conoscenze disponibili, al potenziamento delle reti di monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee, alla puntuale ricognizione dei fattori di pressione (prelievi e scarichi), nonché al potenziamento del sistema informativo che dovrà raccogliere e gestire in modo integrato dati relativi alle risorse idriche ed ai fattori di pressione.

Sul versante della conoscenza è stato attivato un progetto finalizzato al censimento delle derivazioni idriche, elaborato e finanziato dalla Regione e realizzato con personale assunto ad hoc operante presso le otto province, progetto dal quale risulta che in Piemonte gli impianti idroelettrici di potenza nominale media superiore a 220 kW (soglia che fino al 1977 distingueva le grandi derivazioni dalle restanti), distribuiti principalmente nell’areale alpino delle province di Verbania, Torino e Cuneo, sono complessivamente 335 cui corrisponde una potenza nominale media di concessione complessiva pari a 995 MW.

L’uso dell’acqua quale fonte rinnovabile per la produzione di energia in Piemonte, secondo stime riferite all’anno 2000, con 3.087 MW su complessivi 5.430 MW, concorre in modo significativo alla generazione di potenza efficiente complessivamente disponibile sul nostro territorio. (Alla data il deficit complessivo di energia era stimato nell’ordine del 42% circa)

Si tratta per lo più di impianti che sfruttano i notevoli salti d’acqua presenti sui corsi d’acqua alpini cui si aggiungono pochi impianti collocati sui grandi fiumi della pianura e una miriade di piccoli impianti disposti lungo i canali irrigui. Con riferimento a quest’ultima categoria gli unici impianti di una qualche rilevanza sono quelli che sfruttano l’energia potenziale delle acque convogliate nei grandi canali irrigui ex demaniali.

Per consistenza e caratteristiche funzionali gli impianti per produzione di energia si possono distinguere in:

impianti ad acqua fluente o impianti con bacino di regolazione delle portate (da settimanale fino ad annuale);

grandi e piccole derivazioni a secondo che la potenza nominale media superi o meno la soglia di 3 MW

Il prelievo dell’acqua avviene mediante opere in alveo che vanno dalla semplice soglia di fondo con griglia sub-orizzontale alla traversa fissa con o senza opere mobili di regolazione fino alla diga vera e propria.

Come noto, la legislazione italiana considera tali gli sbarramenti di altezza superiore a 10 m o che determinano un volume d’invaso superiore a 100.000 mc d’acqua. Le dighe di altezza superiore a 15 m ovvero quelle che hanno una capacità di invaso eccedente 1 milione di mc rientrano nella competenza del Registro Italiano dighe (RID).

La presenza di un bacino di accumulo, con capacità di regolazione almeno giornaliera, consente di concentrare la produzione di energia nella fascia di punta, le cosiddette ore piene, ma in assenza di demodulatori di opportuna capacità crea variazioni impulsive delle portate a valle della restituzione.

In sintesi, secondo i dati del recente censimento delle derivazioni idriche cui ho fatto cenno, gli impianti di generazione di energia idroelettrica presenti sul territorio della nostra Regione, raggruppati per classe di potenza nominale di concessione, si possono così riassumere:

 

totale

kW > 3.000

1000 < kW £ 3.000

220 < kW £ 1.000

Provincia

kW

kW

kW

kW

Verbania

87

361.555

27

310.260

16

29.287

44

22.007

Alessandria

11

12.961

1

6.794

1

1.772

9

4.395

Biella

19

26.254

1

12.886

3

5.391

15

7.977

Cuneo

95

159.194

15

123.071

31

33.807

49

2.315

Novara

12

13.288

1

5.506

3

3.470

8

4.312

Torino

86

313.099

24

237.402

31

59.741

31

15.956

Vercelli

25

58.830

3

30.572

14

23.801

8

4.457

Totali

335

945.181

72

726.491

99

157.270

164

61.419

 

Il numero complessivo di impianti idroelettrici in provincia di Verbania, se si considerano anche quelli di potenza inferiore a 220 kW, è di 125

Il censimento ha messo in evidenza che, al momento, gli obblighi di rilascio sono imposti a 29 piccole derivazioni (corrispondenti a 43 punti di prelievo), mentre solo due delle 27 centrali associate ad altrettante grandi derivazioni sono soggette ad obblighi di rilascio in alveo con finalità dichiarate di tutela dell’ambiente idrico; in alcuni casi risultano imposti obblighi per tutelare le utenze di valle .

La prima grande spinta alla produzione di energia idroelettrica ha coinciso con gli anni della industrializzazione del paese, anni nei quali sono stati realizzati gli impianti più significativi nel panorama della generazione di energia idroelettrica in Piemonte.

In relazione agli incentivi pubblici concessi dalle leggi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta si è assistito ad una impennata nella presentazione di istanze di concessione di derivazione d’acqua per produzione di energia.

Attualmente, in provincia di Verbania, risultano pendenti 79 istanze di concessione di derivazione per produzione di energia, di cui sette sono in concorrenza con altre istanze presentate in data anteriore.

Delle 56 istanze soggette alla verifica secondo le procedure della legge regionale 40/1998: 30 sono state inviate alla valutazione (in corso per tre di esse, mentre altre cinque sono in fase di specificazione, per le restanti 22 si attendono gli studi di impatto ambientale), 14 sono state escluse dalla VIA, 9 sono state ritirate e le restanti 3 sono attualmente in verifica.

Per quanto attiene al profilo disciplinare - regolamentare, ricordo che, nelle more dell’adozione da parte dello Stato dei provvedimenti che avrebbero dovuto rendere operativa la regola del DMV, (per inciso rilevo che ad oggi tali provvedimenti non sono ancora stati emanati, ancorché in sede di Autorità di bacino del Po – in seguito detta AdB - siano stati elaborati i criteri generali cui dovrà armonizzarsi la disciplina regionale) a partire dal 1991 la nostra Regione si è dotata di una regolamentazione che impone il rilascio del DMV alle piccole derivazioni idriche nuove o soggette a rinnovo, al fine di evitare un ulteriore peggioramento della qualità ambientale dei corpi idrici.

Consapevoli del fatto che la produzione di energia idroelettrica, pur essendo generalmente considerata pulita in quanto non comporta processi fisco chimici con formazione di inquinanti, può creare importanti impatti sull’ecosistema fluviale, con successiva DGR 74-45166 in data 29.94.1995 la disciplina del DMV è stata completata con l’introduzione della verifica della compatibilità ambientale del prelievo – dossier CAP - e con la specificazione degli elaborati di progetto da presentare a corredo di un’istanza di derivazione per produzione di energia idroelettrica con riferimento ad impianti di potenza nominale superiore a 100 kW.

Con la pubblicazione, sul numero 23 della collana Ambiente della Regione, della proposta di linee guida per la predisposizione dei dossier di compatibilità ambientale dei prelievi idrici da corsi d’acqua naturali, elaborata in collaborazione con il Politecnico di Torino, si è inteso fornire da un lato uno strumento utile ai progettisti per redigere il dossier CAP nello spirito della disciplina emanata nel 1995 e dall’altro fornire all’Amministrazione decidente elementi più puntuali per valutare la correttezza dell’approccio utilizzato per la descrizione delle problematiche ambientali e la qualità dei dati prodotti dall’istante.

A partire dal primo ottobre prossimo entrerà in vigore il nuovo regolamento regionale in materia di concessioni di derivazioni d’acqua grandi e piccole, approvato con D.P.G.R. n 10/R del 29 luglio scorso, regolamento che, in quanto norma di delegificazione, supera tutte le previgenti disposizioni nazionali e regionali in materia.

Tra gli elementi di maggiore innovazione introdotti dal regolamento desidero segnalare in questa sede, la particolare attenzione posta nel garantire la più ampia partecipazione nella formazione delle decisioni in ordine al rilascio dei provvedimenti di concessione di derivazione e nel garantire la tutela e salvaguardia dell’ambiente idrico.

Detto regolamento prevede infatti che:

a partire dal primo ottobre prossimo le istanze di concessione dovranno essere pubblicate anche sul sito internet della Regione nella sezione annunci legali e avvisi;

diventino elementi discriminanti per il rilascio di nuove concessioni la coerenza con le previsioni della pianificazione regionale di settore (il redigendo piano di tutela delle acque) ed in particolare con gli obiettivi di qualità ambientale e funzionale e con le esigenze di salvaguardia degli habitat e della biodiversità, unitamente al rispetto del DMV e del bilancio idrico;

l’adesione volontaria al sistema di gestione ambientale EMAS costituisca elemento di preferenza nel caso di istanze concorrenti

Con il citato regolamento è stata inoltre rafforzata ulteriormente la possibilità per l’Amministrazione di imporre nuove condizioni al momento del rinnovo delle concessioni idriche, ferma restando la facoltà concessa all’Amministrazione dall’art. 22 comma 6 del dlgs 152/1999 di procedere alla revisione delle concessioni per le finalità del Piano di tutela.

Per quanto attiene la documentazione da allegare alle istanze di concessione il regolamento fornisce indicazioni circa le modalità di valutazione della compatibilità del prelievo, stabilendo che l’Amministrazione ha facoltà di chiedere un’apposita relazione di compatibilità ambientale del prelievo relativamente a specifiche componenti ambientali in funzione delle caratteristiche dell’opera e alle peculiarità del contesto ambientale anche per le derivazioni che, soggette alla fase di verifica, siano state escluse dalla valutazione di impatto ambientale ai sensi della l.r. 40/1998.

Il regolamento prevede altresì che il proponente la derivazione debba presentare un piano di gestione e manutenzione delle opere.

L’Amministrazione regionale sta ora lavorando alla regolamentazione di dettaglio del DMV secondo i criteri emanati dall’AdB.

Il deflusso minimo vitale come previsto dall’AdB è formato da una componente idrologica e da eventuali fattori correttivi che tengono conto della morfologia dell’alveo, della naturalità, della fruizione, della qualità dell’acqua, degli scambi idrici con la falda e delle esigenze di diversificare il regime di deflusso durante l’anno.

Nel rispetto dei principi e delle indicazioni tecniche contenute nei criteri approvati dall’AdB, la Regione entro il 31 dicembre del corrente anno designerà i corpi idrici ai quali applicare i fattori di correzione e con proprio regolamento definirà:

le modalità di calcolo della portata media annua naturale da assumere a riferimento per la quantificazione del DMV idrologico espresso come percentuale di tale valore;

le modalità di calcolo del deflusso minimo vitale nei bacini di estensione inferiore a 50 kmq;

le modalità di applicazione graduale degli obblighi di rilascio alle derivazioni esistenti

i criteri di deroga

le modalità di controllo dei rilasci (rispetto degli obblighi ed effetti sull’ambiente idrico)

Il deflusso minimo vitale idrologico dovrà essere portato a regime entro il 31 dicembre 2008 ed entro il 2016 dovranno essere applicati i fattori di correzione, generalmente maggiorativi del rilascio, in relazione alle scelte di pianificazione.

Il DMV, come previsto dai criteri emanati dall’AdB, sarà immediatamente vincolante per le nuove derivazioni mentre si applicherà con gradualità alle derivazioni esistenti.

E’ attualmente in corso, con il supporto del Politecnico di Torino e dell’Università, un’attività di approfondimento delle tematiche relative all’adeguamento delle opere di presa esistenti al fine di renderle idonee a garantire i rilasci in alveo e la migrazione della fauna ittica, approfondimento dal quale scaturiranno apposite linee guida regionali.

In applicazione dei principi di uso solidale e sostenibile delle risorse idriche introdotti dalla più recente legislazione è opportuno che l’applicazione generalizzata del DMV alle derivazioni esistenti, espressamente prevista dall’art. 23 comma 5 del d.lgs 152/1999, sia accompagnata da una contestuale regolazione dei prelievi irrigui a partire da una dotazione idrica ricalcolata in relazione agli effettivi fabbisogni in modo da superare le eventuali ingiustificate differenze di dotazione idrica.

In altri termini l’applicazione del DMV alle derivazioni esistenti non può essere disgiunto dalla più complessiva azione di revisione delle concessioni per asta fluviale al fine di renderle compatibili con gli obiettivi del piano di tutela, tenendo conto del bilancio idrico complessivo e della presenza di eventuali squilibri quantitativi che potrebbero rendere necessarie deroghe ai rilasci in alveo temporanee e limitate nel tempo, nelle more che le azioni di riequilibrio del bilancio idrico previste dal Piano producano gli effetti attesi.

Diverso, come ovvio, è il caso del prelievo per produzione di energia che per sua natura determina un riduzione delle portate in alveo nel tratto compreso tra la presa e la restituzione indipendente dalla presenza o meno di altri impianti sull’asta fluviale e che pertanto come tale può essere efficacemente mitigato agendo sul singolo punto di presa dell’acqua.

In ogni caso, a prescindere dal tipo di uso (con o senza restituzione puntuale al corpo idrico) e dalla tipologia di opera di presa (semplice accumulo di materiale in alveo o sbarramento fisso in cls) è evidente che l’applicazione dell’obbligo di rilascio richiede da un lato che gli utenti modifichino le opere di presa in modo opportuno e dall’altro che siano ridefiniti i volumi prelevabili, aggiornati i titoli e conseguentemente ridotti, ove necessario, i canoni di concessione.

Ulteriori azioni in corso o da programmare

A completamento dell’attività di ricognizione delle derivazioni idriche che ha portato alla georeferenziazione delle grandi derivazioni idroelettriche ed alla formazione di una banca dati testuale informatizzata nella quale sono stati memorizzati i dati relativi ai provvedimenti adottati dalla Pubblica Amministrazione (disciplinari decreti e collaudi) è nostro intendimento, d’intesa con le Province, avviare un’attività di verifica in campo circa la effettiva consistenza delle derivazioni.

Tassello fondamentale a supporto della politica regionale di gestione razionale delle risorse idriche è l’emanazione di specifiche disposizioni in ordine al controllo delle portare derivate e di quelle restituite al corpo idrico naturale a valle dell’uso e alla disciplina dei canoni coerente con la politica di gestione oculata delle risorse idriche.

Conclusioni

L’obiettivo fondamentale del protocollo di Kyoto di ridurre progressivamente le emissioni di gas in atmosfera sostituendo i combustibili fossili con fonti di energia rinnovabili (secondo varie stime entro il 2050 circa 1/3 del fabbisogno energetico mondiale potrà essere soddisfatto con energia proveniente da fonti rinnovabili il che, detto per inciso, significa che i restanti 2/3 continueranno ad essere prodotti con i combustibili fossili!!) impone di valorizzare, anche per il futuro, l’energia idroelettrica, pur nella consapevolezza che si tratta comunque di un’energia non esente da impatti sull’ambiente, impatti che vanno pertanto attentamente valutati di volta in volta in relazione allo specifico contesto interessato.

La prossima imposizione del DMV a tutte le derivazioni esistenti è destinata inevitabilmente ad incidere sulla produzione di energia idroelettrica comprimendola in una misura stimabile nell’ordine del 5 – 7 % .

Per ridurre il deficit energetico complessivo, a mio giudizio, si dovrà operare prioritariamente sul fronte dell’efficientamento degli impianti di produzione esistenti (come esplicitamente previsto dal Piano energetico regionale) ma allo stesso tempo anche su quello del risparmio da parte dei consumatori finali, azioni che concorrono entrambe a limitare la necessità di realizzare nuovi impianti idroelettrici che, peraltro, stante l’attuale livello di sfruttamento e le limitate risorse residue disponibili, ben difficilmente potranno essere di taglia idonea a concorrere in maniera significativa a colmare il deficit energetico.

Al fine di non incrementare ulteriormente la pressione sulle risorse idriche è auspicabile che l’eventuale realizzazione di nuovi impianti destinati alla cessione di energia alla rete nazionale siano di taglia idonea a fornire un incremento significativo della produzione di energia a scala regionale, dispongano di una capacità di regolazione almeno giornaliera e sopratutto che siano realizzati in un contesto di panificazione che preveda la contestuale dismissione nel medesimo bacino di altri impianti esistenti, impattanti e meno produttivi.

Ritengo, in conclusione, di poter affermare che alcuni importanti strumenti per poter gestire la domanda di realizzazione di nuovi impianti per produzione di energia secondo principi di compatibilità con l’ambiente e quello idrico in particolare già esistono (VIA, valutazione della compatibilità del prelievo) e presto saranno completati con ulteriori che mi auguro possano consentire una più efficace tutela dell’integrità dell’ambiente alpino, mi riferisco al DMV (estensione dell’obbligo di rilascio agli impianti esistenti) e soprattutto al Piano di tutela delle acque.


I t a l i a N o s t r a

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER LA TUTELA

DEL PATRIMONIO STORICO - ARTISTICO

E NATURALE DELLA NAZIONE

O.N.L.U.S.

SEZIONE VERBANO CUSIO OSSOLA

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28845 D O M O D O S S O L A (V B)

ENERGIA IDROELETTRICA: ENERGIA ECOLOGICA?

Il punto interrogativo posto alla fine della titolazione del convegno già implica un dubbio o almeno la necessità di fare chiarezza rispetto ad un assunto, anzi un assioma, generalmente accettato nel mondo ambientalista. Sino a poco tempo fa.

Osservazioni di carattere generale.

Un esame, anche superficiale, della sostenibilità di un impianto di derivazione idrico, non può prescindere, a nostro avviso, da un inquadramento generale, sia sotto il profilo ambientale e territoriale che della normativa statale e regionale.

Dal punto di vista dell'incidenza sul territorio gli impianti di produzione di energia idroelettrica si potrebbero classificare, senza pretese di sistemazione scientifica, nelle seguenti categorie:

1) Impianti con grandi di bacini di accumulo.

2) Grandi impianti ad acqua fluente e piccoli bacini di accumulo.

3) Stazioni di pompaggio.

4) Piccoli impianti ad acqua fluente (centraline)

Gli impianti con grandi bacini di accumulo furono realizzati, per la maggior parte, fra gli Anni Venti e gli Anni Quaranta: Diga di Codelago (1917), Cheggio (1923), Vannino (1925), Toggia Kastel (1931), Morasco (1939). Le opere di presa e di ritenuta, costituite da dighe imponenti, sono situate ad alte quote, immediatamente a valle di formazioni glaciali e depositi nivali quasi perenni.

E' opinione, non da tutti condivisa, che i benefici di questi impianti prevalgano sui discapiti o quantomeno li bilancino. Gli invasi costituiscono, invero, un fondamentale fattore di equilibrio del sistema idrico per la loro funzione mitigativa delle piene e delle magre. Lo si è visto nell'anno 2000 in occasione della grande alluvione e questa estate a proposito dei rilasci a beneficio dei canali irrigui della pianura. I laghi artificiali costituiscono talvolta un discreto arricchimento del paesaggio e, in passato, dell'economia locale. Essi intercettano e trattengono, rendendole più vivibili, acque di fusione fredde e poco ossigenate, talvolta limose, di scarso valore biogenico.

Le centrali idroelettriche dell'epoca, progettate da architetti di rango, su committenza di imprenditori illuminati, rappresentano esempi preclari di architettura industriale.

Gli svantaggi sono rappresentati dalla incombenza visiva degli sbarramenti e dagli spurghi periodici dei depositi melmosi.

I grandi impianti ad acqua fluente, allorquando non adottano la soluzione dei canali di gronda, che prosciugano vastissimi versanti montani, rappresenterebbero ancora un prezzo accettabile, sotto il profili ambientale, se si osservassero adeguati deflussi minimi vitali.

Le stazioni di pompaggio, che non producono energia elettrica ma ne consumano, spostandone la disponibilità nel tempo, per scopi puramente commerciali, sono piuttosto rare. Quella che doveva essere costruita nel territorio del Comune di Premia è stata accantonata per manifesta antieconomicità, da noi denunciata già nei primissimi anni della sua ideazione. L' impatto ambientale, sull'intera Valle Antigorio, sarebbe stato devastante.

Le centraline ad acqua fluente che sino al 1990 circa si costruivano raramente, in quanto antieconomiche, hanno ricevuto uno straordinario impulso in seguito ad una legislazione fortemente incentivante, nella convinzione, non sempre verificata nei fatti, che si trattasse di una forma di energia pulita.

Esse stanno provocando un crescente rigetto nell'opinione pubblica e sempre più numerose contestazioni da parte delle associazioni ambientaliste dei progetti sottoposti all'Ufficio V.I.A. della Provincia del V.C.O.

Per quanto concerne l'aspetto ambientale la letteratura specializzata ha avuto modo di mettere a fuoco i molteplici riflessi negativi che le cosiddette "centraline", soprattutto ad acqua fluente, hanno sugli ecosistemi acquatici, limitatamente, tuttavia, al tratto direttamente interessato dal singolo impianto, dal punto di presa a quello del rilascio. Tale sembra anche l'approccio della Pubblica Amministrazione in sede di esame dei progetti sottoposti al suo vaglio.

Questo modo di procedere confligge apertamente con il disposto della L.R. n. 40, art. 4, comma 5, che recita testualmente: "Qualora un progetto di cui agli allegati A1, A2, B1, B2 e B3 comporti opere o interventi di diverso tipo, preliminari o contestuali, finalizzati o funzionali, alla realizzazione o, ancora, più opere funzionalmente connesse tra loro o con opere già esistenti, ancorché rientranti in diverse tipologie o, ancora, preveda un'opera divisa in parti da realizzare in fasi distinte nel tempo, è sottoposto alla procedura di V.I.A.... il progetto complessivo relativo all'insieme delle opere e degli interventi necessari.

La ratio legis, nonostante la formulazione contorta della norma, è molto chiara. Il legislatore ha voluto evitare che la presentazione e l'approvazione di progetti, in qualche modo tra loro collegati, vengano attuate in tempi diversi o in capo a soggetti diversi, perdendo di vista l'impatto complessivo degli interventi.

Ulteriori comprove della effettiva volontà del legislatore si deducono dall'art. 3 (Definizioni) che recita testualmente:

comma b). Impatto ambientale: l'insieme degli effetti, diretti ed indiretti, a breve e, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, singoli e cumulativi, positivi e negativi, che la realizzazione di opere o interventi comporta sull'ambiente inteso come insieme complesso di sistemi naturali e antropici

comma c) studio di impatto ambientale: l'insieme coordinato degli studi e delle analisi ambientali,volto ad individuare e valutare, attraverso approfondimenti impatti specifici e complessivi delle diverse alternative, per definire la soluzione progettuale e localizzativa ritenuta più compatibile.

E, ancora, l'art. 5, comma 2:

"Qualora sia sottoposto alla fase di valutazione un progetto nelle condizioni di cui all'art. 4, comma 5, gli elementi informativi e valutativi contenuti nello studio di impatto ambientale sono riferiti all'insieme delle opere e degli interventi necessari, così come si verranno a configurare in relazione alle opere eventualmente esistenti.

Ancora più incisivamente l'allegato D (contenuti dello studio di impatto ambientale ) prescrive che il "Quadro ambientale"contenga "la stima degli effetti cumulativi degli impianti nel tempo e con le altre fonti di impatto presenti sul territorio. "

In altre e diverse parole ogni singolo progetto deve necessariamente rapportarsi alla situazione ambientale del territorio inteso come insieme complesso di sistemi naturali e antropici e non come porzione di suolo avulso dal contesto generale.

Diversamente opinando si svuoterebbe la legge di ogni significato.

Non vi è dubbio che qualsiasi tipo di intervento sui corpi idrici ha ripercussioni sull'intero bacino sottostante e, talvolta, sovrastante. Per questo è stata istituita l'Autorità di Bacino del Fiume Po che soprintende, anche se molte competenze sono state delegate alle Regioni ed alla Provincie, alla regolamentazione, sotto molteplici aspetti, di tutti i corsi d'acqua confluenti nel Fiume Po.

Ad ulteriore conferma di questa stretta ed evidente interconnessione ricordiamo ancora il rilascio di acqua dai bacini alpini, recentemente disposto d'autorità, per l'alimentazione dei canali irrigui della pianura padana.

Si potrebbe disputare, al più, sull'ambito spaziale di applicazione della norma. A nostro avviso non dovrebbero esserci dubbi che la norma debba essere applicata ai corpi idrici che presentano caratteri di continuità ed uniformità in relazione ai caratteri geomorfologici, idrologici e faunistici, ovvero agli ecosistemi.

Se scendiamo dal generale al particolare possiamo constatare che sul territorio provinciale sono stati attivati, ad oggi, oltre centodue impianti idroelettrici oltre i 100 KW. Una enormità, sotto ogni profilo!!

Basta percorrere in auto le nostre vallate per accorgersi che non esiste più un tratto di torrente contenente acqua in quantità significativa, salvo che in Valle Vigezzo e Valle Cannobina, ma ancora per poco se le Autorità rilasceranno le concessioni richieste.

L'assalto vieppiù parossistico ai corsi d'acqua ha già portato all'inaridimento, pressoché totale, del sistema idrico sotterraneo oltre che di quello superficiale. In questo deplorevole stato di cose un numero sempre più elevato di persone ravvisa uno scenario da maledizione biblica se non un vero e proprio crimine ambientale, perpetrato dall'uomo.

Oltre alle gravissime conseguenze più evidenti ed immediate, ne esistono altre, forse non sufficientemente esplorate. La costrizione dei corsi d'acqua in percorsi artificiali, rigorosamente impermeabili, impedisce la costante e normale imbibizione del terreno lungo i tratti prosciugati a causa delle derivazioni (nonostante i ridicoli "deflussi minimi vitali"). Ciò impedisce la ricarica delle falde e l'alimentazione delle sorgenti, con la conseguenza di aggravare lo stato di siccità dei fiumi, come si sta verificando in questa estate di scarse precipitazioni.

Se i fiumi sono le arterie del sistema idrico le falde sotterranee e le sorgenti ne rappresentano le vene. Entrambi costituiscono un insieme complesso e interdipendente.

E' stato autorevolmente affermato (Prof. Floriano Villa, Presidente nazionale dei Geologi) che circa l'ottanta per cento delle acque meteoriche defluisce rapidamente verso il mare, ricettore finale, senza nessun beneficio per l'agricoltura o il consumo umano. Il fenomeno è stato aggravato dalla deforestazione, dalla cementificazione dei suoli e dei corsi d'acqua e dalla tendenza a velocizzare il deflusso anziché frenarlo, esasperando gli effetti delle magre non meno che delle piene (Prof. Roberto Passino, ex Segretario Generale dell'Autorità di Bacino del Fiume Po).

A ciò si può parzialmente ovviare mediante l'accumulo delle acque in bacini artificiali o nel suolo. Il suolo, con i suoi mille anfratti e cavità sotterranee, fungendo da grande spugna, è di gran lunga il più importante "bacino di accumulazione" esistente, purché si dia alle acque il tempo ed il modo di penetrarvi e imbibirlo. La costruzione delle centraline ad acqua fluente compromette in modo grave questa importante e fondamentale funzione dei corsi d'acqua superficiali.

La legge di riforma socio-economica n. 36/1994 (Legge Galli), nell'art 1 del Preambolo, recita solennemente: "Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici".

Come si può constatare, la finalità primaria è identificata nella preservazione degli ecosistemi, degli equilibri idrologici e dei processi geomorfologici, al fine di tutelare la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la fauna e la flora acquatica (non si accenna minimamente allo sfruttamento idroelettrico). Se le leggi hanno ancora, come speriamo, qualche valenza precettiva, gli organi decisionali ne devono tenere conto.

Una piccola considerazione in margine. Il parco produttivo nazionale di energia elettrica (tutte le fonti comprese), è funzionante al 65% della sua potenzialità. Nell'ambito di questo 65% si registra una grave obsolescenza degli impianti. In conclusione, prima di distruggere preziosissime risorse ambientali, da riservare eventualmente ad altri più nobili usi (anche in vista dei cambiamenti climatici in atto), si devono percorrere altre strade, compreso il risparmio energetico e lo sviluppo di altre fonti rinnovabili, soprattutto la solare, meno devastanti.

Anche se si tratta di cose sapute e risapute si elencano, di seguito, tutte le controindicazioni che sconsigliano la costruzione di centraline ad acqua fluente.

I torrenti alpini, non alimentati dai ghiacciai, sono in secca per almeno dieci mesi l’anno. Togliere la poca acqua fluente, nonostante i cosiddetti deflussi minimi vitali, significa prosciugarli, distruggendo ogni forma di vita, con effetti irreversibili. Chi ha qualche pratica di fiumi può facilmente constatare che tutti i corsi d'acqua, dove è applicato il cosiddetto deflusso minimo vitale, sono sostanzialmente morti.

Il D.M.V., deflusso minimo vitale, dovrebbe coincidere con la portata media naturale del corso d’acqua nei periodi di asciutta. Quelli fissati nei disciplinari sono assolutamente insufficienti e per giunta difficilmente controllabili. Flussometri con registrazione continua dei rilasci e controllo a distanza non sono normalmente prescritti.

Il quasi prosciugamento, come si può constatare nei torrenti con D.M.V. legali, causa un accrescimento abnorme della vegetazione in alveo e, in occasione di forti precipitazioni, ormai ricorrenti, provoca effetti diga ed onde di piena catastrofiche.

La funzione di tagliafuoco costituita dall’alveo bagnato, sgombro da vegetazione, sarà annullata.

Nella stagione invernale l’acqua residua può ghiacciare, anzi sicuramente ghiaccerà, con evidenti pesanti ripercussioni sull’ecosistema

Nella stagione estiva, la poca acqua fluente subirà un innalzamento della temperatura, con riduzione dell’ossigeno disciolto e conseguenti alterazioni degli equilibri ecologici (specie come la trota sono molto sensibili in questo senso).

Anche a valle del punto di rilascio i danni non saranno inferiori, contrariamente a quanto si potrebbe supporre. Gli accumuli notturni o festivi, anche modestissimi, (durante le cosiddette ore vuote) determinano l’asciutta, per ore o giorni, di vaste porzioni dell’alveo bagnato, causando stress e distruzione della fauna macrobentonica, anello fondamentale della catena alimentare. Tutti si chiedono, per esempio, le cause della enormemente diminuita potenzialità biologica del Toce a valle della centrale idroelettrica Tessenderlo di Megolo, rispetto a quella teorica o a quella esistente sino agli Anni Quaranta. Le cause sono: il mancato riscaldamento delle acque, convogliate in lunghi percorsi sotterranei e gli shock termici causati dalla loro intermittente riemersione, la riduzione degli alvei bagnati a valle delle opere di presa e le fortissime, repentine variazioni di livello a valle dei punti di rilascio determinanti, come si è visto, una drastica riduzione della fauna bentonica. Si aggiunga la distruzione e la banalizzazione degli habitat derivanti dalla loro cementificazione, dai disalvei, dall’inquinamento e quant’altro e si avrà la spiegazione della miserrima condizione dei nostri corsi d’acqua.

La costruzione delle opere di presa e complementari (scavi per le condotte e la centrale, linee elettriche, strade di accesso, etc.) provocherà, in contesti normalmente fragilissimi e incontaminati, danni paesaggistici ed ambientali di straordinaria gravità.

L’uso a scopo idroelettrico pregiudica l’esercizio della pesca, praticato da migliaia di pescatori, che pagano un regolare e non indifferente canone.

I torrenti sono frequentati, nel periodo estivo, da moltissimi bagnanti e turisti, attratti da paesaggi selvaggi e da acque pure e ben ossigenate. Nel caso di sfruttamento idroelettrico sarebbero ridotti, nella migliore delle ipotesi, ad acquitrini con dintorni cementificati.

Nel periodo estivo la presenza di cascate consente il rinfrescamento e l’ossigenazione dell’aria, creando un microclima assai gradevole. I torrente fungono, a tutti gli effetti , da condizionatori naturali.

In una prospettiva non molto lontana, a causa dei tumultuosi cambiamenti climatici in corso, le acque dei torrenti potranno servire ad usi più nobili, come quello potabile. In tal caso la comunità dovrà soggiacere a penalizzazioni per riappropriarsi dei diritti d’uso.

Più in generale si può ancora osservare che le centraline idroelettriche sono assolutamente antieconomiche e non sarebbero sicuramente costruite se non fosse per i contributi pubblici (circa il 50% del costo di costruzione) e per la possibilità di vendere l’energia, per molti anni, ad un prezzo almeno doppio di quello di mercato.

Tuttavia, il motivo determinate è dato dal "mercato dei certificati verdi". In pratica si può produrre energia con metodi inquinanti se si dimostra di produrne almeno il 2% con fonti rinnovabili. Così si assiste al paradosso che la produzione di energia "pulita" consente di incrementare quella "sporca". Davvero geniale. Dati i rapporti prestabiliti (2 contro 98) si hanno fortissimi effetti amplificatori. Da qui la corsa all’accaparramento dei predetti certificati verdi.

Non sappiamo se la distorcente normativa è stata voluta dagli ambientalisti oppure a questi propinata come soluzione ecologica del problema energetico.

A nostro avviso, se lo scopo è quello di limitare le emissioni atmosferiche, sarebbe più logico sovvenzionare direttamente i miglioramenti degli impianti tradizionali, oltre il solare e l'eolico, con precise garanzie di salvaguardia ambientale.

CONCLUSIONI

Da più parti ci viene posta provocatoriamente la domanda: "Insomma, voi ambientalisti non volete l'energia nucleare, non volete quella termotecnica e adesso non volete neppure quella prodotta con fonti idroelettriche. Volete forse riportarci ai tempi delle caverne, al lume di candela?"

Innanzi tutto rispondiamo che il livello dei consumi attuali non solo ci consente una vita agiata, sconosciuta ai quattro quinti dell'umanità, ma ci permette di assorbire, per ora, grandi sprechi e diseconomie, eliminabili, se si vuole, con pochi sforzi e nessun vero sacrificio se non quello di ragionare.

Dato l'andamento dell'economia mondiale e l'affacciarsi sul mercato energetico di cinque miliardi di nuovi utenti dovremmo realizzare che il mantenimento degli attuali consumi è un traguardo quasi impossibile, nell'immediato futuro, pena la bancarotta economica ed ambientale.

L'obiettivo potrebbe tuttavia essere raggiunto, temporaneamente e senza grossi sacrifici, rimettendo in funzione gli impianti inattivi (35% del totale) e modernizzando il rimanente 65%, largamente obsoleto. Ulteriori vantaggi si possono ottenere sul lato della domanda, finanziando il risparmio energetico anziché il prosciugamento dei superstiti rii montani.

Prima di aver praticato queste vie è assurdo pensare di costruire "nuove grandi centrali", con ulteriore consumo e cementificazione di suoli.

Le "fonti rinnovabili" vanno senz'altro incentivate, soprattutto l'eolico ed il solare. Anche in questo caso est modus in rebus.

Per quanto riguarda l'eolico le grandi torri vanno collocate off shore e non massacrando monti e colline di grande interesse paesaggistico, materia prima dell' l'industria turistica. La Spagna produrrà, fra poco, il 10% del fabbisogno con torri eoliche collocate lontano dalla costa.

Nel solare siamo molto indietro, persino a confronto dei paesi nordici. Anche in questo caso non si può pretendere di piazzare pannelli sul Duomo di Milano. Però, qualcuno ci starà sicuramente pensando; salvo indignarsi se gli ambientalisti troveranno garbatamente da ridire.

Riguardo alle centrali nucleari, fonte energetica potenzialmente illimitata, in aggiunta alle notissime magagne ci si è accorti che per funzionare hanno bisogno di grandi quantitativi di acqua di raffreddamento, che normalmente scarseggia nei momenti di forte domanda: a meno di scaricarla ad alte temperature, facendo bollire i fiumi. Così, tutto si tiene ed il serpente si morde la coda.

Siamo convinti che una buona fonte energetica, ad alto rendimento, sia tuttora l'umano raziocinio, se immune da pregiudizi ideologici o condizionamenti lobbistici.

ITALIA NOSTRA

Sezione Verbano Cusio Ossola