La marcia del giorno 28 avvenne attraverso
la mentovata pianura del Sieg che è circondata a lontano intervallo da
colline.
La Divisione procedeva in colonna di
forma quadrilunga avendo nel mezzo i bagagli, i feriti e le artiglierie: la
,prima fronte era formata da un Battaglione di Zeffiri (fanti leggeri
d'Africa), la destra dal 7° Battaglione della Legione (polacco), la
sinistra dagli Italiani (5° Btg), il di dietro dal 66° francese; la
cavalleria coi fanti sosteneva l'artiglieria alla retroguardia e nei
fianchi,pronta sempre a stabilire i pezzi in batteria ogni volta che il bisogno
lo richiedesse Non appena la Divisione si mosse, che la seguì
costantemente ai fianchi e a tergo un continuo, e ben nutrito, fuoco di
moschetteria, ed anche di artiglieria che durò fino circa il meriggio.
Nulla ostante venne conservato un discreto ordine fra le truppe, benchè
interi plotoni di soldati oppressi da indicibile stanchezza e afflitti da
privazioni di ogni genere, gettassero i loro sacchi, le coperte da letto, ed
altri loro impedimenti, dei quali si caricava la cavalleria che li seguiva,
percui vedevansi cavalieri carichi di ben 10 muciglie da fantaccini ed anche dei
fantaccini stessi. Ciò non deve recare meraviglia, perchè senza
enumerare distesamente tutto il carico che portavano in simili spedizioni
dirò, che oltre l'armamento, l'intera ordinanza dentro lo
zaino, le cartucce sommanti a 60, la coperta di lana, come si è
già detto, il sacco di tela con gli altri effetti da campo ecc., avevano
viveri di riserva per cinque o sei giorni, consistenti in biscotto, lardo
salato, riso, sale ed acqua. Non giovavano le voci, gl'incoraggiamenti del
Generale e degli altri Uffiziali Superiori che discendevano alle più
toccanti preghiere per spingerli innanzi, loro additando poco lontano una fonte,
a cui abbeverandosi potrebbero trarne sollievo; ma il disagio e la stanchezza la
vincevano su di ogni altro sentimento; e non bastando loro la forza per
sostenersi, non pochi cadevano, fra le braccia dei loro camerati, anche morti
per asfissia, o per emorragia di sangue dalla bocca, dalle nari, dalle orecchie
onde o semivivi, o moribondi restavano sulla via, e loro erano, dagli arabi
,tronche le teste (notasi che ogni testa cristiana veniva pagata 10 franchi da
Abd-el-Kader). A mezzodì cessarono quasi del tutto gli scopii, e a tergo
e a sinistra i nemici disparvero, internandosi nelle selve di cespugli che ne
circondavano: alla destra si allontanarono fuori del tiro del cannone. Ma ai
disagi suddetti un nuovo se ne aggiungeva e ben più terribile per le sue
conseguenze; perchè avendo gli arabi appiccato il fuoco alle erbe,
sterpaglie e cespugli di che la pianura era ricoperta, i soldati furono
costretti a passare per quell'ardente roveto che accagionò, oltre
l'aumento del calore atmosferico per sè insoffribile, l'arsione
delle scarpe uose e gran parte dei calzoni ai soldati; perlocchè denudati
di tal parte dei loro vestimenti nei piedi e nelle gambe, ne riportarono
dolorose ferite da cui sgorgava vivo sangue, e furono in istato di non potere,
se non a grande stento, proseguire la disagevole marcia Finalmente quanti
poterono superare i precitati gravissimi ostacoli, giunsero alla, da tanto tempo
desiata fonte, che altro non era se non una buca, ove stavano raccolte da alcun
tempo acque piovane, rese fracide, frammischiate a puzzolenti melme, e ripiene
di vermi, che parve però un nettare agli assetati; ma che non
bastò al loro bisogno, avendo la misura di due bidoni per Compagnia.
Ripresa la marcia senza essere più disturbata dal nemico, e giunta la
Divisione a certe strette, per le quali era più breve il tragitto per
Arzew, ove a sinistra era il piede delle boscose colline, a destra le pantanose
acque della Macta, il Gen. Trezel ordinò a due Compagnie di formarsi in
bersaglieri, di fiancheggiare la colonna, delle quali una di Zeffiri , l'altra la 3^ del Battaglione italiano, comandata dal
bravo Cap. Montallegri, in cui avevo l'onore di servire allora col grado
di Caporale. Mentre le altre cinque Compagnie di esso Battaglione, che facevano
parte della spedizione, non furono spedite a sostenere la 3^, se non allorquando
questa, come verremo dicendo, fu assai maltrattata dal nemico; ora
l'ordine dato al Cap. Montallegri fu di fiancheggiare la colonna senza
allontanarsi dal vertice delle colline, e ciascuno, sebbene poco pratico di cose
militari, potè facilmente riconoscere che le riserve delle due Compagnie
che seguivano il movimento della linea dei bersaglieri, essendo su di un pendio
rotto e pieno d'impedimenti, si trovavano in cattivo terreno, ove la linea
stessa fosse obbligata di ripiegarsi sovra di esse e di doverle sostenere.
Ricevuto l'ordine suddetto, la 3^ Compagnia cominciò ad ascendere,
e giunta alla metà del colle fu ricevuta da una grandine di palle senza
che potesse scorgere di dove partissero, tanta era la spessezza dei buscioni,
fratte e sterpeti; tuttavia, al passo di corsa come meglio il poteva fra quei
triboli e spinaglie, prese l'altura, ove soffermandosi, scorgendo a
sensibile distanza tutte le forze, che divisamente li avevano perseguite fino
alla metà del giorno, allora riunite in battaglia nell'imponente
numero di ben 18.000 combattenti. Colà giunti, è a notare che
trovavansi ben a mezzo miglio distanti dalla massa principale della Divisione e
in posizione tale da avere impedita la vista di essa per discernere i movimenti.
In tale stato di cose non furono d'accordo i comandanti delle due
Compagnie spiegate in bersaglieri; mentre Montallegri, stando alla osservanza
degli ordini ricevuti, non voleva muoversi che fiancheggiando la colonna, il
francese pretendeva avanzarsi, per massacrare, a suo dire, il nemico; cosa che
pareva all'italiano una imprudenza, un farneticamento quello di voler
avventurare a certa disfatta un mucchio di prodi, contro immense orde di
cavalieri arabi e Kabili che ne stavano a fronte, nella certezza di non poter
essere soccorsi; ma non valendo i consigli della prudenza, il francese coi suoi
si slanciò colla baionetta all'assalto: gli Italiani, loro
sembrando disonorevole restarsi, vedendo gli altri volare al conflitto,
coraggiosi li seguirono. Da principio gli arabi temendo di essere assaliti
dall'intera Divisione, indietreggiarono fra loro rinserrandosi: ma ben
presto si accorsero dell'inganno, e vedendo il piccolo numero di coloro
che osavano sfidarli, si mossero ad essi incontro con assordanti grida e feroci
ululati, e in prodigiosa quantità , da ogni lato li accerchiarono per
opprimerli. In si terribili circostanze, francesi e italiani conobbero, ma
troppo tardi, quanto era meglio attenersi al consiglio del vecchio Montallegri,
il quale avrebbe loro risparmiato quella sciagura. Tuttavia animosi sempre, gli
uni e gli altri con indicibili sforzi si apersero un varco, eseguirono una
ritirata, che aveva in vero sembianza di fuga, sulla riserva delle loro due
Compagnie, lasciando di soli Italiani 13 morti nel luogo dell'azione,
senza contare i feriti. Le riserve al veder giungere così malmenati i
loro compagni fuggiaschi, non poterono reggere e gli arabi presero le loro
posizioni sulle vette dei colli. Ingrossando sempre più il fuoco e la
mischia, e ignorando il Gen. Trezel con quale strabocchevole numero di nemici
avesse a fare, ordinò che le altre 5 Compagnie del Battaglione italiano,
si recassero a sostenere quei che erano stati rotti e vinti. Il Col. Conrad e il
Comandante Poerio giunsero infatti colla maggior possibile celerità in
faccia al nemico, e ne ordinarono la carica alla baionetta. L'ardire dei
nostri Legionari, la speditezza con cui la carica fu eseguita, malgrado la loro
stanchezza, ottenne un momentaneo intento, perchè gli arabi furono
ricacciati fino all'ingresso della boscaglia. Ma Conrad ignorava che la
erano celati i Battaglioni regolari di Abd-el-Kader, i quali fecero
improvvisamente cadere sugl'Italiani la stage e la morte. Dalla qual cosa
sbigottiti, e vedendosi caricati e stretti da ogni parte, disordinatamente si
ritirarono fin dietro ad un'eminenza, ove furono dal loro Capo alla meglio
riannodati. Intanto il movimento retrogado si comunicò pure a quella
porzione del 66°, che spontaneamente si recava nel luogo dell'azione,
senza che cercasse di opporre qualche resistenza, e tutti congiuntamente alla
rinfusa andarono ad agglomerarsi al restante della Divisione, che
s'intimorì non poco alla vista dell'accaduto, e della piena
sconfitta dei suoi compagni d'arme. Il Colonnello Conrad in quel momento
commetteva pure un altro enorme sbaglio, perchè ordinando alle tre
Compagnie del Battaglione polacco, che scortavano i cariaggi, gli infermi e i
feriti, di venire in aiuto di coloro che battagliavano, privò quei miseri
della loro guardia, così che restarono del tutto abbandonati. Infatti gli
arabi della destra, di ciò accortosi, cercarono con rapido movimento di
congiungersi con quelli che dalla sinistra discendevano come furie dai colli, e
unitamente s'impossessarono, senza fatica, di tutto il bagaglio,
massacrando gl'infelici feriti, dei quali neppur uno fu salvo dal loro
furore. Allora l'altra porzione del 66° e gli Zeffiri, che
non avevano avuto parte alcuna nel combattimento, e perciò erano
tutt'ora illesi, tentarono mollemente di fermare l'urto di quel
torrente di arabi, e dietro ad essi si andavano rannodando gli altri corpi
sbandati: ma, e per la forza numerica, e per i ripetuti attacchi del nemico ai
fianchi e a tergo, e per la sfavorevole postura in cui si trovavano, ogni sforzo
fu vano; sicchè udendosi da ogni lato in idioma francese un grido - si
salvi chi può - tutti si diedero a disordinata fuga. Meritevole è
però di menzione il Capitano Bernard il quale, sebbene tutta la
cavalleria avesse abbandonato il campo appena scorse la dirotta in cui era una
parte della fanteria, solo col suo squadrone di cavalleria, alla cui testa era
il Generale col suo Stato Maggiore, tentò generosi ma inutili sforzi per
liberare il convoglio. I fuggiaschi, incalzati sempre dagli arabi alle reni,
continuarono nella fuga fra sabbie, sassi, spine, pantani e le acque della
Macta, ove non pochi annegarono, dalle ore quattro dopo il mezzogiorno fino al
far della notte, in cui giunsero all'imboccatura di questo fiume. Ivi
furono dal Comandante Poerio e dall'Aiutante Maggiore Ferrary rannodati in
battaglione quadrato, composto di tutte le armi e Reggimenti, il maggior numero
di cui però era del 5° Battaglione italiano; ma tutti in uno stato
deplorabile, perchè molti inermi, altri con armi disformi, scalzi,
seminudi, arsi, sanguinolenti per ferite, vomitanti sangue dalla bocca e dalle
nari, che destavano la più viva compassione e pietà. In tal modo
marciarono, o piuttosto si trascinarono, i tristi avanzi della Divisione, lungo
il mare fino ad Arzew, ove giunti sulla mezzanotte, e protetti dal cannone del
Blockhaus si stesero a terra, e vi rimasero come corpi morti. Ivi
fermaronsi quattro giorni attendendo da Orano i legni, che in quella
città, per la via del mare li trasportassero, essendo resi inetti a
recarvisi per quella di terra. In tale miserando stato restituivasi ai suoi
alloggiamenti questa Divisione, i cui combattenti ridotti a poco più
della metà del suo numero, battuti, disfatti, pieni di coraggio e di
belle speranze di vittoria, che avrebbero potuto realizzare, se il suo capo
avesse avuto la prima, la più necessaria virtù del comandante: la
prudenza. Siccome nell'esporre i predetti avvenimenti niuna particolare
menzione è fatta di quelli che si distinsero o per valore nel
battagliare, o per altra eroica azione, il sottoscritto aggiunge un cenno in
proposito per commettere alla storia i loro nomi, che, per essere
sventuratamente Legionari Italiani, furono dalle autorità militari
francesi, non so per qual sentimento, taciuti, e le belle azioni svisate, o
peggio ancora mutate non di rado in calunnie. E' inutile che parli del
Capitano Montallegri, che per la prodezza dimostrata in questa infelice
battaglia venne decorato Cavaliere della Legion d'Onore.
Il Sottotenente Zauli della
3^ Compagnia, attorniato da vari arabi, benchè gravemente ferito da tre
colpi di scimitarra, si difendeva valorosamente e giunse a salvarsi da certa
morte. I'intrepido Caporale La Chènal (Savoiardo) della
3^, mortalmente ferito e caduto a terra, si rialza, impugna il fucile e seguita
a combattere, non volendo essere da suoi compagni trasportato
all'ambulanza, e muore crivellato dalle ferite.
Il vecchio
Sergente Maggiore Pilati (di Nizza) della medesima Compagnia, dopo
avere combattuto valorosamente alla testa della riserva, nel momento della rotta
portasi, senza saperlo, nei canneti che fiancheggiano le paludose rive della
Macta, credendo di poter far buona continenza al nemico, con alcuni uomini della
Compagnia, fra i quali era il sottoscritto; ma vincitori da ogni parte, gli
arabi avevano di già oltrepassato la linea, e in tal guisa tagliati fuori
da quelli che erano i soccorsi, si fermò aspettando di piede fermo gli
arabi. Il soverchiante numero dei quali solo lo vinse; e gli si vide recidere il
capo. Più sulla destra del luogo dove avveniva tale carneficina vincitori
da ogni parte, gli arabi avevano di già oltrepassato la linea, e in tal
guisa tagliati fuori da quelli un gruppo di sei o sette Legionari, faceva sforzi
indicibili per trarsi dal pantano che riuscirono pressochè inutili. Le
loro armi erano divenute inservibili, perchè se ne servivano da appoggio
per sollevarsi a stento dal fango. Era con essi il sottoscritto, Caporale in
detta 3^ Compagnia, il quale perdute le scarpe, privo come molti altri della
parte inferiore dei pantaloni, spossato dal lungo combattere e dagli inutili
sforzi, stava per soccombere alla fatica ed alla sete che lo soffocava, quando
il generoso suo intimo compagno Barbetti Rubicondo (di Russi provincia
di Ravenna),Caporale alla stessa Compagnia,di ciò avvedutosi e
riflettendo che certa era la di lui morte,non ascolta che i sensi della
più affettuosa amicizia, gli getta un lembo della coperta da letto, che
l'altro può afferrare, e con uno sforzo inaudito lo estrae semivivo
dal pantano, se lo carica sulle spalle e in mezzo a sterpi e cespugli, a rischio
ad ogni istante di essere raggiunto dai cavalieri arabi, lo porta la fin che la
Macta comincia ad incanalarsi. Quivi spruzzandogli con acqua il viso, lo fa
rinvenire e lo rinfranca. Dopo di che, raggiunto un gruppo di altri nostri
soldati, giunsero all'imboccatura del fiume.
Il Sottotenente Boldrini Vincenzo (di Bologna) nel
principio della rotta, alla
testa dei suoi granatieri, tentò di arrestare il torrente di arabi che
minacciava l'intera Divisione. Combattè da disperato; molti dei
suoi erano caduti, quando egli pure cadde ferito da una palla ad un ginocchio.
Ma valoroso si rialza, ed in mezzo a quella sanguinosa mischia, chiede ad alta
voce un cavallo, non potendosi reggere sulla gamba ferita; un Legionario
giungeva seco traendone due, e svelto gliene offerse uno, che venne accetto:
Boldrini inforca la sella, ma sgraziatamente ferito alla testa da nuovo colpo,
cadde per non rialzarsi più. Era un eroe di coraggio, e fu da tutti
compianto.
Il
Legionario Bongiovanni (di Lugo) giovane di generosi sensi, fu ferito
in una coscia, si ritirò combattendo, ma indebolito per la perdita di
sangue che usciva a torrenti dalla ferita, fu costretto a sedersi dietro un
buscione; estrasse le cartucce che rimanevano e disse a quelli che volevano
aiutarlo: "Andate,sostenete la ritirata e lasciatemi, che io non potrei
esservi che d'imbarazzo, fermo però di vender caro questo poco
avanzo di vita sì che prima di morire ucciderò qualche
nemico"; come infatti mantenne la parola; ma sopraffatto dal numero, gli
videro spiccar la testa dal busto.
Il Sergente
Maggiore Perotti N. (lombardo), benchè ferito in un calcagno,
continuò sempre a battersi e rimase nel posto più periglioso fra
quelli che sostenevano la ritirata. Fu decorato Cavaliere della Legion
d'Onore.
Il
fuciliere della 3^ Compagnia Coppa (Milanese) dopo essersi distinto
durante tutta l'intera giornata, morì soffocato dal caldo, e volle
che nessuno lo aiutasse.
Il
fuciliere Fontana (di Novara) rimasto nel pantano,non avendo potuto
uscirne, aspettò che gli arabi se ne fossero andati dal campo di
battaglia. Fu spettatore dell'orribile carneficina di tutti i nostri
feriti, e del tripudio che vi fecero gli arabi dintorno alle teste degli
estinti. Per 40 ore rimase senz'altro cibo che cardo e carciofo selvatici
ed arrivò semivivo il terzo giorno del nostro soggiorno ad Arzew. Non
sarà mai detto abbastanza delle nostre due cantiniere Madama Biodo e
Del Carretto (ambedue
piemontesi) le quali non cessarono di portar soccorsi ai feriti con acquavite,
non solo, ma rimasero con gli ultimi combattenti a portare e distribuire pacchi
di cartucce ai soldati del nostro Battaglione. Se fossero state francesi si
sarebbero scritti libri su di esse! Dove l'Autore cita i distinti, i
feriti e i decorati, il sottoscritto non trova fra i primi, e neppure fra i
secondi, il Sottotenente Zauli, ad onta che ricevesse tre ferite. Fra i
decorati trova bensì il Sottotenente Bazaine (francese) de Cacciatori
Italiani, e non vede il Capitano Montallegri ed il Sergente Maggiore
Perotti. Eppure tutti e tre vennero decorati per lo stesso fatto, con
la stessa ordinanza reale, e riconosciuti Cavalieri della Legion d'Onore
con il medesimo Ordine del Giorno. Perchè il Generale Bernelle ha ammesso
i soli Italiani? Vivaddio esistono ancora gli elenchi dei membri di
quell'Ordine.Montallegri morì, ma Perotti vive e serve ancora nella
Nuova Legione in Africa. E' questa un'ingiustizia prodotta da astio
o da dimenticanza? Ad ignoranza di ciò non può attribuirsi,
dacchè dagli ordini del giorno della Legione poteva averne nozione, come
l'ebbe per il Signor Bazaine.
* Tratto dal libro " Storia
dell'antica legione straniera creata nel 1831, licenziata nel 1838 / dei signori
gen. G. Bernelle e cap. Augusto de Colleville ;