-La battaglia della Macta-

La prima testimonianza di un combattimento sostenuto dai Legionari italiani, nel racconto del Cap.le ZANETTI Camillo (1835)*


La marcia del giorno 28 avvenne attraverso la mentovata pianura del Sieg che è circondata a lontano intervallo da colline.
 La Divisione procedeva in colonna di forma quadrilunga avendo nel mezzo i bagagli, i feriti e le artiglierie: la ,prima fronte era formata da un Battaglione di Zeffiri (fanti leggeri d'Africa), la destra dal 7° Battaglione della Legione (polacco), la sinistra dagli Italiani (5° Btg), il di dietro dal 66° francese; la cavalleria coi fanti sosteneva l'artiglieria alla retroguardia e nei fianchi,pronta sempre a stabilire i pezzi in batteria ogni volta che il bisogno lo richiedesse Non appena la Divisione si mosse, che la seguì costantemente ai fianchi e a tergo un continuo, e ben nutrito, fuoco di moschetteria, ed anche di artiglieria che durò fino circa il meriggio. Nulla ostante venne conservato un discreto ordine fra le truppe, benchè interi plotoni di soldati oppressi da indicibile stanchezza e afflitti da privazioni di ogni genere, gettassero i loro sacchi, le coperte da letto, ed altri loro impedimenti, dei quali si caricava la cavalleria che li seguiva, percui vedevansi cavalieri carichi di ben 10 muciglie da fantaccini ed anche dei fantaccini stessi. Ciò non deve recare meraviglia, perchè senza enumerare distesamente tutto il carico che portavano in simili spedizioni dirò, che oltre l'armamento, l'intera ordinanza dentro lo zaino, le cartucce sommanti a 60, la coperta di lana, come si è già detto, il sacco di tela con gli altri effetti da campo ecc., avevano viveri di riserva per cinque o sei giorni, consistenti in biscotto, lardo salato, riso, sale ed acqua. Non giovavano le voci, gl'incoraggiamenti del Generale e degli altri Uffiziali Superiori che discendevano alle più toccanti preghiere per spingerli innanzi, loro additando poco lontano una fonte, a cui abbeverandosi potrebbero trarne sollievo; ma il disagio e la stanchezza la vincevano su di ogni altro sentimento; e non bastando loro la forza per sostenersi, non pochi cadevano, fra le braccia dei loro camerati, anche morti per asfissia, o per emorragia di sangue dalla bocca, dalle nari, dalle orecchie onde o semivivi, o moribondi restavano sulla via, e loro erano, dagli arabi ,tronche le teste (notasi che ogni testa cristiana veniva pagata 10 franchi da Abd-el-Kader). A mezzodì cessarono quasi del tutto gli scopii, e a tergo e a sinistra i nemici disparvero, internandosi nelle selve di cespugli che ne circondavano: alla destra si allontanarono fuori del tiro del cannone. Ma ai disagi suddetti un nuovo se ne aggiungeva e ben più terribile per le sue conseguenze; perchè avendo gli arabi appiccato il fuoco alle erbe, sterpaglie e cespugli di che la pianura era ricoperta, i soldati furono costretti a passare per quell'ardente roveto che accagionò, oltre l'aumento del calore atmosferico per sè insoffribile, l'arsione delle scarpe uose e gran parte dei calzoni ai soldati; perlocchè denudati di tal parte dei loro vestimenti nei piedi e nelle gambe, ne riportarono dolorose ferite da cui sgorgava vivo sangue, e furono in istato di non potere, se non a grande stento, proseguire la disagevole marcia Finalmente quanti poterono superare i precitati gravissimi ostacoli, giunsero alla, da tanto tempo desiata fonte, che altro non era se non una buca, ove stavano raccolte da alcun tempo acque piovane, rese fracide, frammischiate a puzzolenti melme, e ripiene di vermi, che parve però un nettare agli assetati; ma che non bastò al loro bisogno, avendo la misura di due bidoni per Compagnia. Ripresa la marcia senza essere più disturbata dal nemico, e giunta la Divisione a certe strette, per le quali era più breve il tragitto per Arzew, ove a sinistra era il piede delle boscose colline, a destra le pantanose acque della Macta, il Gen. Trezel ordinò a due Compagnie di formarsi in bersaglieri, di fiancheggiare la colonna, delle quali una di Zeffiri , l'altra la 3^ del Battaglione italiano, comandata dal bravo Cap. Montallegri, in cui avevo l'onore di servire allora col grado di Caporale. Mentre le altre cinque Compagnie di esso Battaglione, che facevano parte della spedizione, non furono spedite a sostenere la 3^, se non allorquando questa, come verremo dicendo, fu assai maltrattata dal nemico; ora l'ordine dato al Cap. Montallegri fu di fiancheggiare la colonna senza allontanarsi dal vertice delle colline, e ciascuno, sebbene poco pratico di cose militari, potè facilmente riconoscere che le riserve delle due Compagnie che seguivano il movimento della linea dei bersaglieri, essendo su di un pendio rotto e pieno d'impedimenti, si trovavano in cattivo terreno, ove la linea stessa fosse obbligata di ripiegarsi sovra di esse e di doverle sostenere. Ricevuto l'ordine suddetto, la 3^ Compagnia cominciò ad ascendere, e giunta alla metà del colle fu ricevuta da una grandine di palle senza che potesse scorgere di dove partissero, tanta era la spessezza dei buscioni, fratte e sterpeti; tuttavia, al passo di corsa come meglio il poteva fra quei triboli e spinaglie, prese l'altura, ove soffermandosi, scorgendo a sensibile distanza tutte le forze, che divisamente li avevano perseguite fino alla metà del giorno, allora riunite in battaglia nell'imponente numero di ben 18.000 combattenti. Colà giunti, è a notare che trovavansi ben a mezzo miglio distanti dalla massa principale della Divisione e in posizione tale da avere impedita la vista di essa per discernere i movimenti. In tale stato di cose non furono d'accordo i comandanti delle due Compagnie spiegate in bersaglieri; mentre Montallegri, stando alla osservanza degli ordini ricevuti, non voleva muoversi che fiancheggiando la colonna, il francese pretendeva avanzarsi, per massacrare, a suo dire, il nemico; cosa che pareva all'italiano una imprudenza, un farneticamento quello di voler avventurare a certa disfatta un mucchio di prodi, contro immense orde di cavalieri arabi e Kabili che ne stavano a fronte, nella certezza di non poter essere soccorsi; ma non valendo i consigli della prudenza, il francese coi suoi si slanciò colla baionetta all'assalto: gli Italiani, loro sembrando disonorevole restarsi, vedendo gli altri volare al conflitto, coraggiosi li seguirono. Da principio gli arabi temendo di essere assaliti dall'intera Divisione, indietreggiarono fra loro rinserrandosi: ma ben presto si accorsero dell'inganno, e vedendo il piccolo numero di coloro che osavano sfidarli, si mossero ad essi incontro con assordanti grida e feroci ululati, e in prodigiosa quantità , da ogni lato li accerchiarono per opprimerli. In si terribili circostanze, francesi e italiani conobbero, ma troppo tardi, quanto era meglio attenersi al consiglio del vecchio Montallegri, il quale avrebbe loro risparmiato quella sciagura. Tuttavia animosi sempre, gli uni e gli altri con indicibili sforzi si apersero un varco, eseguirono una ritirata, che aveva in vero sembianza di fuga, sulla riserva delle loro due Compagnie, lasciando di soli Italiani 13 morti nel luogo dell'azione, senza contare i feriti. Le riserve al veder giungere così malmenati i loro compagni fuggiaschi, non poterono reggere e gli arabi presero le loro posizioni sulle vette dei colli. Ingrossando sempre più il fuoco e la mischia, e ignorando il Gen. Trezel con quale strabocchevole numero di nemici avesse a fare, ordinò che le altre 5 Compagnie del Battaglione italiano, si recassero a sostenere quei che erano stati rotti e vinti. Il Col. Conrad e il Comandante Poerio giunsero infatti colla maggior possibile celerità in faccia al nemico, e ne ordinarono la carica alla baionetta. L'ardire dei nostri Legionari, la speditezza con cui la carica fu eseguita, malgrado la loro stanchezza, ottenne un momentaneo intento, perchè gli arabi furono ricacciati fino all'ingresso della boscaglia. Ma Conrad ignorava che la erano celati i Battaglioni regolari di Abd-el-Kader, i quali fecero improvvisamente cadere sugl'Italiani la stage e la morte. Dalla qual cosa sbigottiti, e vedendosi caricati e stretti da ogni parte, disordinatamente si ritirarono fin dietro ad un'eminenza, ove furono dal loro Capo alla meglio riannodati. Intanto il movimento retrogado si comunicò pure a quella porzione del 66°, che spontaneamente si recava nel luogo dell'azione, senza che cercasse di opporre qualche resistenza, e tutti congiuntamente alla rinfusa andarono ad agglomerarsi al restante della Divisione, che s'intimorì non poco alla vista dell'accaduto, e della piena sconfitta dei suoi compagni d'arme. Il Colonnello Conrad in quel momento commetteva pure un altro enorme sbaglio, perchè ordinando alle tre Compagnie del Battaglione polacco, che scortavano i cariaggi, gli infermi e i feriti, di venire in aiuto di coloro che battagliavano, privò quei miseri della loro guardia, così che restarono del tutto abbandonati. Infatti gli arabi della destra, di ciò accortosi, cercarono con rapido movimento di congiungersi con quelli che dalla sinistra discendevano come furie dai colli, e unitamente s'impossessarono, senza fatica, di tutto il bagaglio, massacrando gl'infelici feriti, dei quali neppur uno fu salvo dal loro furore. Allora l'altra porzione del 66° e gli Zeffiri, che non avevano avuto parte alcuna nel combattimento, e perciò erano tutt'ora illesi, tentarono mollemente di fermare l'urto di quel torrente di arabi, e dietro ad essi si andavano rannodando gli altri corpi sbandati: ma, e per la forza numerica, e per i ripetuti attacchi del nemico ai fianchi e a tergo, e per la sfavorevole postura in cui si trovavano, ogni sforzo fu vano; sicchè udendosi da ogni lato in idioma francese un grido - si salvi chi può - tutti si diedero a disordinata fuga. Meritevole è però di menzione il Capitano Bernard il quale, sebbene tutta la cavalleria avesse abbandonato il campo appena scorse la dirotta in cui era una parte della fanteria, solo col suo squadrone di cavalleria, alla cui testa era il Generale col suo Stato Maggiore, tentò generosi ma inutili sforzi per liberare il convoglio. I fuggiaschi, incalzati sempre dagli arabi alle reni, continuarono nella fuga fra sabbie, sassi, spine, pantani e le acque della Macta, ove non pochi annegarono, dalle ore quattro dopo il mezzogiorno fino al far della notte, in cui giunsero all'imboccatura di questo fiume. Ivi furono dal Comandante Poerio e dall'Aiutante Maggiore Ferrary rannodati in battaglione quadrato, composto di tutte le armi e Reggimenti, il maggior numero di cui però era del 5° Battaglione italiano; ma tutti in uno stato deplorabile, perchè molti inermi, altri con armi disformi, scalzi, seminudi, arsi, sanguinolenti per ferite, vomitanti sangue dalla bocca e dalle nari, che destavano la più viva compassione e pietà. In tal modo marciarono, o piuttosto si trascinarono, i tristi avanzi della Divisione, lungo il mare fino ad Arzew, ove giunti sulla mezzanotte, e protetti dal cannone del Blockhaus si stesero a terra, e vi rimasero come corpi morti. Ivi fermaronsi quattro giorni attendendo da Orano i legni, che in quella città, per la via del mare li trasportassero, essendo resi inetti a recarvisi per quella di terra. In tale miserando stato restituivasi ai suoi alloggiamenti questa Divisione, i cui combattenti ridotti a poco più della metà del suo numero, battuti, disfatti, pieni di coraggio e di belle speranze di vittoria, che avrebbero potuto realizzare, se il suo capo avesse avuto la prima, la più necessaria virtù del comandante: la prudenza. Siccome nell'esporre i predetti avvenimenti niuna particolare menzione è fatta di quelli che si distinsero o per valore nel battagliare, o per altra eroica azione, il sottoscritto aggiunge un cenno in proposito per commettere alla storia i loro nomi, che, per essere sventuratamente Legionari Italiani, furono dalle autorità militari francesi, non so per qual sentimento, taciuti, e le belle azioni svisate, o peggio ancora mutate non di rado in calunnie. E' inutile che parli del Capitano Montallegri, che per la prodezza dimostrata in questa infelice battaglia venne decorato Cavaliere della Legion d'Onore.
Il Sottotenente Zauli della 3^ Compagnia, attorniato da vari arabi, benchè gravemente ferito da tre colpi di scimitarra, si difendeva valorosamente e giunse a salvarsi da certa morte. I'intrepido Caporale La Chènal (Savoiardo) della 3^, mortalmente ferito e caduto a terra, si rialza, impugna il fucile e seguita a combattere, non volendo essere da suoi compagni trasportato all'ambulanza, e muore crivellato dalle ferite.
Il vecchio Sergente Maggiore Pilati (di Nizza) della medesima Compagnia, dopo avere combattuto valorosamente alla testa della riserva, nel momento della rotta portasi, senza saperlo, nei canneti che fiancheggiano le paludose rive della Macta, credendo di poter far buona continenza al nemico, con alcuni uomini della Compagnia, fra i quali era il sottoscritto; ma vincitori da ogni parte, gli arabi avevano di già oltrepassato la linea, e in tal guisa tagliati fuori da quelli che erano i soccorsi, si fermò aspettando di piede fermo gli arabi. Il soverchiante numero dei quali solo lo vinse; e gli si vide recidere il capo. Più sulla destra del luogo dove avveniva tale carneficina vincitori da ogni parte, gli arabi avevano di già oltrepassato la linea, e in tal guisa tagliati fuori da quelli un gruppo di sei o sette Legionari, faceva sforzi indicibili per trarsi dal pantano che riuscirono pressochè inutili. Le loro armi erano divenute inservibili, perchè se ne servivano da appoggio per sollevarsi a stento dal fango. Era con essi il sottoscritto, Caporale in detta 3^ Compagnia, il quale perdute le scarpe, privo come molti altri della parte inferiore dei pantaloni, spossato dal lungo combattere e dagli inutili sforzi, stava per soccombere alla fatica ed alla sete che lo soffocava, quando il generoso suo intimo compagno Barbetti Rubicondo (di Russi provincia di Ravenna),Caporale alla stessa Compagnia,di ciò avvedutosi e riflettendo che certa era la di lui morte,non ascolta che i sensi della più affettuosa amicizia, gli getta un lembo della coperta da letto, che l'altro può afferrare, e con uno sforzo inaudito lo estrae semivivo dal pantano, se lo carica sulle spalle e in mezzo a sterpi e cespugli, a rischio ad ogni istante di essere raggiunto dai cavalieri arabi, lo porta la fin che la Macta comincia ad incanalarsi. Quivi spruzzandogli con acqua il viso, lo fa rinvenire e lo rinfranca. Dopo di che, raggiunto un gruppo di altri nostri soldati, giunsero all'imboccatura del fiume.
Il Sottotenente Boldrini Vincenzo (di Bologna) nel principio della rotta, alla testa dei suoi granatieri, tentò di arrestare il torrente di arabi che minacciava l'intera Divisione. Combattè da disperato; molti dei suoi erano caduti, quando egli pure cadde ferito da una palla ad un ginocchio. Ma valoroso si rialza, ed in mezzo a quella sanguinosa mischia, chiede ad alta voce un cavallo, non potendosi reggere sulla gamba ferita; un Legionario giungeva seco traendone due, e svelto gliene offerse uno, che venne accetto: Boldrini inforca la sella, ma sgraziatamente ferito alla testa da nuovo colpo, cadde per non rialzarsi più. Era un eroe di coraggio, e fu da tutti compianto.
Il Legionario Bongiovanni (di Lugo) giovane di generosi sensi, fu ferito in una coscia, si ritirò combattendo, ma indebolito per la perdita di sangue che usciva a torrenti dalla ferita, fu costretto a sedersi dietro un buscione; estrasse le cartucce che rimanevano e disse a quelli che volevano aiutarlo: "Andate,sostenete la ritirata e lasciatemi, che io non potrei esservi che d'imbarazzo, fermo però di vender caro questo poco avanzo di vita sì che prima di morire ucciderò qualche nemico"; come infatti mantenne la parola; ma sopraffatto dal numero, gli videro spiccar la testa dal busto.
Il Sergente Maggiore Perotti N. (lombardo), benchè ferito in un calcagno, continuò sempre a battersi e rimase nel posto più periglioso fra quelli che sostenevano la ritirata. Fu decorato Cavaliere della Legion d'Onore.
Il fuciliere della 3^ Compagnia Coppa (Milanese) dopo essersi distinto durante tutta l'intera giornata, morì soffocato dal caldo, e volle che nessuno lo aiutasse.
Il fuciliere Fontana (di Novara) rimasto nel pantano,non avendo potuto uscirne, aspettò che gli arabi se ne fossero andati dal campo di battaglia. Fu spettatore dell'orribile carneficina di tutti i nostri feriti, e del tripudio che vi fecero gli arabi dintorno alle teste degli estinti. Per 40 ore rimase senz'altro cibo che cardo e carciofo selvatici ed arrivò semivivo il terzo giorno del nostro soggiorno ad Arzew. Non sarà mai detto abbastanza delle nostre due cantiniere Madama Biodo e Del Carretto (ambedue piemontesi) le quali non cessarono di portar soccorsi ai feriti con acquavite, non solo, ma rimasero con gli ultimi combattenti a portare e distribuire pacchi di cartucce ai soldati del nostro Battaglione. Se fossero state francesi si sarebbero scritti libri su di esse! Dove l'Autore cita i distinti, i feriti e i decorati, il sottoscritto non trova fra i primi, e neppure fra i secondi, il Sottotenente Zauli, ad onta che ricevesse tre ferite. Fra i decorati trova bensì il Sottotenente Bazaine (francese) de Cacciatori Italiani, e non vede il Capitano Montallegri ed il Sergente Maggiore Perotti. Eppure tutti e tre vennero decorati per lo stesso fatto, con la stessa ordinanza reale, e riconosciuti Cavalieri della Legion d'Onore con il medesimo Ordine del Giorno. Perchè il Generale Bernelle ha ammesso i soli Italiani? Vivaddio esistono ancora gli elenchi dei membri di quell'Ordine.Montallegri morì, ma Perotti vive e serve ancora nella Nuova Legione in Africa. E' questa un'ingiustizia prodotta da astio o da dimenticanza? Ad ignoranza di ciò non può attribuirsi, dacchè dagli ordini del giorno della Legione poteva averne nozione, come l'ebbe per il Signor Bazaine.

* Tratto dal libro " Storia dell'antica legione straniera creata nel 1831, licenziata nel 1838 / dei signori gen. G. Bernelle e cap. Augusto de Colleville ;



  


Copyright(c) Romani Roberto