AURORA

(Ho chiamato così il mio e-bulletin, dal nome dell’incrociatore da cui partì il colpo di cannone che diede il via all’attacco, da parte delle guardie rosse, al Palazzo d’Inverno in cui era asserragliato il governo provvisorio russo; questa azione rappresentò il culmine della Rivoluzione d’Ottobre).

 

BOLLETTINO APERIODICO D’INFORMAZIONE N°1

 

OTTOBRE 1998

 

SCRICCHIOLII E COLPI SORDI

Ormai è dal 1994 che l’economia internazionale è sconvolta da crisi finanziario-bancarie (il Messico nel 1994, la Corea del Sud nel 1996, l’Albania nel 1997, Tailandia, Indonesia e Russia nel 1998); la risposta, a queste crisi, dei vari guru della finanza, dei vari esperti giocatori di borse e dei vari ministri finanziari dei governi post-keynesiani occidentali è sempre la stessa: “nulla di eccezionale, è il normale modo di funzionare dell’economia globale di mercato, gli investitori e i possessori di titoli azionari siano tranquilli e abbiano fiducia”.

Non si può negare ai manutengoli del Capitale chiarezza e onestà. In effetti il mercato e le sue regole, tutt’altro che stabili e prevedibili, non garantiscono niente a nessuno, se non un crescente immiserimento delle condizioni materiali e intellettuali della maggioranza della popolazione mondiale, e in particolar modo delle classi lavoratrici. Così, mentre alla TV, ministri e finanzieri utilizzano parecchie argomentazioni serie, per cercare di tranquillizzare i piccoli azionisti di casa nostra (principalmente pensionati, casalinghe e lavoratori padri di famiglia, cui si è fatto balenare la possibilità di riguadagnare con i giochi in borsa, ciò che hanno perso con i tagli alle pensioni e ai diritti sociali; trasformandoli, in realtà, in veri e propri servi della gleba borsistica, da cui estrarre le risorse finanziarie necessarie alle grandi concentrazioni industrialbancarie per condurre il loro gioco), si evita accuratamente di dare informazioni sulle conseguenze sociali dei crolli borsistici. I licenziamenti previsti in Corea del Sud riguardano circa 500.000 lavoratori dell’industria; lavoratori che devono essere sacrificati per poter ottenere il prestito di 50 milioni di dollari da parte del FMI (Fondo Monetario Internazionale, una agenzia finanziaria internazionale controllata dagli USA). Anche il Messico, per godere del finanziamento del FMI ha dovuto cedere completamente al ricatto posto da Washington attraverso il trattato del NAFTA. Tailandia e Indonesia, additate come esempio da seguire da certi nostri economisti da strapazzo, hanno dovuto mettere una seria ipoteca non sul loro sviluppo futuro, ma sul loro futuro tout court. Infine alla Russia si cerca di imporre, con il ricatto finanziario, un governo eletto democraticamente che piaccia all’Occidente, facendo solo quello che hanno fatto i governi democratici dal 1992 ad oggi in Russia cioè: la distruzione dell’economia dell’ex-impero sovietico.

Tutto ciò, comunque, non nasconde il dato di fatto che l’economia internazionale non riesce a uscire dalla morsa della crisi iniziata nel quinquennio 1969-1973. Crisi che a sua volta non è altro che l’ultimo stadio del disfacimento del sistema capitalistico, entrato in agonia nel 1914; da quando le libere forze del mercato hanno dovuto fare continuo ricorso all’aiuto dello stato (dalle commesse belliche per sostenere le guerre mondiali all’assistenzialismo pubblico verso le imprese private in difficoltà, che si esplica sotto forma di sgravi fiscali ed incentivi al lavoro).

Questo sistema economico-sociale, presentato come la massima evoluzione umana e pertanto immutabile, scricchiola sempre di più; e questi scricchiolii si trasformano in colpi sordi, sordi perchè le crisi che li provocano corrodono dall’interno il Capitale, colpendo i suoi meccanismi di funzionamento. Ma questi colpi sono sordi anche perchè, gli esperti e coloro che dovrebbero informarci, fanno di tutto per nascondere la realtà, allo scopo di evitare di rimettere in discussione questo migliore dei mondi possibile, e di evitare soprattutto la ricerca di un’alternativa che garantisca all’umanità un futuro.

 

IL RISVEGLIO DEL TERZO MONDO

INDONESIA: La rivolta popolare scatenatasi in Aprile-Maggio è riuscita a portare alle dimissioni del dittatore Suharto; ma non al cambiamento economico-sociale dell’Indonesia. Il regime di Suharto nacque da un bagno di sangue avutosi nel 1965, quando la CIA e i vertici dell’esercito indonesiano organizzarono e attuarono una selvaggia repressione del Partito Comunista Indonesiano (PKI), il terzo partito comunista del mondo per numero di iscritti. Questa azione costò la vita a un milione di braccianti, operai e disoccupati per il solo fatto di avere la tessera del PKI. Suharto, per avere diretto questo pogrom, fu premiato dall’Occidente ponendolo a capo del paese per 32 anni. Nel 1997, la crisi economico-finanziaria che ha scosso le cosiddette “Tigri asiatiche” ha comportato un’ondata di licenziamenti che ha colpito i ceti medio-bassi locali. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale sono intervenuti per “aiutare”, con dei prestiti, questi paesi. In cambio, però, dell’applicazione di una politica antisociale e antipopolare, che ha provocato, oltre una nuova ondata di licenziamenti, una generale degradazione del tenore di vita della popolazione. L’esasperazione per l’inasprimento delle condizioni di vita, sommata alla rabbia contro la repressione della dittatura, ha portato alla rivolta popolare guidata dagli studenti. Il regime inizialmente ha tentato di orientare le masse in rivolta contro la minoranza cinese; poi ha cercato di reprimerla spietatamente, provocando almeno 2000 morti; infine il governo, consigliato dalle potenze occidentali e dalle istituzioni economiche internazionali, ha sostituito Suharto con il suo braccio destro Habibi. In questa operazione è stata coinvolta l’opposizione leale, essenzialmente moderata e di stampo islamico, facendole svolgere il ruolo di puntello del regime. Tali manovre, comunque, difficilmente potranno placare la rivolta del popolo indonesiano , che è stata provocata da crisi strutturali tipici del regime capitalistico in cui si trova l’Indonesia.

INDIA:Sempre nel mese di maggio, l’India ha fatto esplodere in due riprese inque bombe nucleari. Tale prova di forza voluta dalla coalizione al governo (coalizione guidata dal Baratya Janata Party, Partito Nazionale del Popolo, di estrema destra) ha suscitato l’ipocrita indignazione delle potenze nucleari “ufficiali”( come se, per esempio, Francia e USA, fino all’anno scorso non avessero fatto esplodere armi atomiche nei loro poligoni) che hanno proposto di sottoporre l’India a un embargo (l’Occidente non concepisce altri mezzi per risolvere i problemi internazionali, se non che con gli embarghi, buoni solo a colpire solo e soltanto le popolazioni civili). Mentre l’ex-leader del Pakistan Benhazir Bhutto (idolatrata star del femminismo nostrano) ha proposto degli attacchi aerei contro l’India. Invece il Dalai Lama (altra non meno idolatrata star di una certa “sinistra” nostrana) ha benedetto queste bombe atomiche indù. Il Pakistan, per non essere da meno dell’India, nei giorni 28 e 30 maggio ha fatto esplodere 6 cariche nucleari. L’Occidente ha richiesto, anche nei confronti di questo paese, l’attuazione di un embargo. I governi occidentali fanno finta di non capire che stanno raccogliendo i frutti della loro stessa politica.

TIBET/HOLLYWOOD:In queste settimane nei cinema vi è un profluvio di film sul Tibet:”L’angolo rosso”, “Kun Dun”, “Sette anni in Tibet”, per non citare il “Piccolo Buddha” di Bertolucci. Ciò che hanno in comune questi film sono la propaganda antiicinese (vedi anticomunista) che presenta un Tibet degli anni40/50, al tempo della sua indipendenza, come il paese del bengodì, se non un idilliaco paradiso terrestre. Dimenticando, casualmente, il fatto che all’epoca vigeva nel paese il feudalesimo, che i bravi monaci tibetani, rispettosi degli animali, non esitavano a decapitare i contadini, veri e propri servi della gleba, che si ribellavano alla schiavitù. Mentre il Dalai Lama, assieme ai latifondisti, possedeva il 70% delle terre coltivabili, e dispensava al popolo i suoi escrementi spacciandoli come medicinali. Sarà questo paradiso terrestre che spinge il pseudo-marxista Bertolucci ad augurare ai tibetani nè di subire il progresso portato dai comunisti cinesi nè di gustare gli hamburger capitalisti di McDonald, ma di curarsi con la merda del Dalai Lama?

 

 

RITORNEREMO!

Mosca agosto 1998: La federazione Russa ha attraversato un’acuta crisi bancario-finanziaria, risultato ultimo della politica di smantellamento dell’apparato produttivo ex-sovietico, sistematicamente condotto, fin dal 1992, dalla neo-borghesia compradora del posto.

Quest’ultima crisi è stata così grave da portare alla caduta del governo guidato da un fantoccio di El’cin; al rifiuto, per ben due volte da parte della Duma, della candidatura del boiardo Chernomyrdin; all’elezione, grazie al decisivo appoggio del Parttio Comunista della Federazione Russa di G.Zjuganov e V.Kuptzov, a primo ministro di Evghenij Primakov, già consigliere per gli affari esteri del KGB con Gorbaciov. Nel nuovo governo sono entrati, quindi, i comunisti a cui sono stati affidati il ministero delle finanze e la direzione della banca centrale. In effetti tutto ciò rappresenta una svolta di 180° rispetto alla politica condotta fino ad ora dai democratici guidati da consiglieri economici statunitensi, la cui politica ha tre conseguenze principali:

1)Il crollo della produzione delle industrie pesanti. Infatti, una volta entrata nella comunità internazionale, la neoborghesia russa ha preferito puntare sull’esportazione di materie prime, facilmente reperibili e la cui produzione non richiede investimenti, piuttosto che puntare sulla costosa produzione di beni industriali.

2) La pratica scomparsa dell’industria leggera, dovuta al fatto che l’adozione del liberismo economico ha comportato l’invasione del mercato russo di prodotti esteri scadenti, ma dal prezzo inaccessibile per il 90% della popolazione.

3)L’annullamento della produzione agricola, che non è dovuta al mancato smantellamento del sistema dei kolchoz e dei sovchoz, ma all’internazionalizzazione del mercato interno russo, e dal mancato investimento governativo, sempre promesso e mai mantenuto.

Ora toccherà ai comunisti (ora vezzeggiati da quelle stesse persone che fino a ieri li davano per morti e sepolti), cercare di rimettere in piedi un paese rovinato dall’ideologia del liberal-liberismo e mandato in rovina dal ceto dei nuovi ricchi appendice dell’occidente.

Volgograd (Stalingrad?) settembre 1998: Volgograd è la terza città della Federazione Russa, e uno dei poli più importanti dell’industria russa. In questi giorni (fine settembre) il consiglio comunale ha deciso di cambiare nome alla città, ripristinando il suo nome precedente: Stalingrad. Inutile dire che la giunta comunale è costituita da comunisti, che in questa città, nelle ultime elezioni amministrative hanno avuto il 90% dei voti. Inutile dire anche, che i nostalgici dello zarismo, i nuovi nostalgici della democratura di El’cin e i loro fidi alleati, i liberalnazisti di Zhirinovskij, orrificati da questo cambio di nome, hanno presentata la loro controproposta: ripristinare il più vecchio nome della città, Tzarytzin. Questa proposta, comunque, non avrebbe l’effetto che i suoi sostenitori si prefiggono. Tzarytzin, infatti, è la città dove, nel 1919, il comandante di divisione Voroshilov, assieme al suo commissario politico, nonchè amico fraterno, Stalin, battè l’armata bianca del generale zarista Denikin.