NOTA DEL CRJ : abbiamo tradotto e riportiamo integralmente la seguente intervista a Mihailo Markovic, ex dissidente jugoslavo di area neomarxista e francofortese, oggi gettato nel dimenticatoio anche dagli ex-neomarxisti ed ex-francofortesi nostrani. Pur differenziandoci in alcuni punti dalle opinioni espresse dall'intervistato - e anche dall'intervistatore – riteniamo di dover riportare il testo senza ulteriori commenti per l'eccezionale interesse degli argomenti trattati.

 

 

Intervista a Mihailo Markovic

LA CAPITOLAZIONE DI TITO

di J. Elsaesser, da "Konkret" 5/2000

 

CENNI BIOGRAFICI

Mihailo Markovic, classe 1923, ha insegnato Filosofia all'Universita' di Belgrado dal 1956. Negli anni Sessanta organizzava ogni estate, insieme a Predrag Vranicki, Svetozar Stojanovic ed altri, una conferenza sull'isola di Korcula, nell'Adriatico meridionale. Tra i partecipanti ricordiamo: Ernst Bloch, Herbert Marcuse, Erich Fromm,

Ernest Mandel, Agnes Heller e Juergen Habermas. Nel 1968 per le edizioni Suhrkamp [in Germania] fu pubblicato il suo libro "Dialettica della prassi". "Come insegnante critico di marxismo, nel 1968 divento' il beniamino dei giovani e pertanto fu scacciato dall'Universita'", ricorda il suo amico di gioventu' (ed oggi critico) Milo Dor. La rivista "Praxis", alla cui redazione apparteneva Markovic, pubblico' i contributi di Korcula

fino alla sua chiusura per decreto, nel 1974. Negli anni Settanta Markovic fu professore ospite in molte Universita' straniere. Nel 1985/86 fu uno degli estensori del Memorandum" antititoista dell'Accademia Serba delle Scienze, e dal 1991 al 1995 vicepresidente del Partito Socialista della Serbia (SPS).

Il fatto che la Jugoslavia, sotto la guida tedesca, potesse essere spezzettata non e' stata colpa di Milosevic bensi' colpa di Tito. Almeno questa e' l'opinione di Mihailo Markovic, che e' stato eminente filosofo della autogestione operaia.

 

K: Nonostante la guerra della NATO la Serbia ed i

serbi restano in fondo alla scala della simpatia tra

molti esponenti della sinistra in Occidente - ma

proprio in fondo, da qualche parte tra la Corea del

Nord e l'Indonesia... Il "nazionalismo grande-serbo",

cosi' si dice, avrebbe causato la fine del socialismo

e della multiculturalita' della Jugoslavia. Il passo

decisivo sarebbe stata l'abolizione della Costituzione

del 1974, ovvero della autonomia per il Kosovo ivi

garantita.

M: L'idealizzazione della Costituzione del 1974 e'

grottesca. Come puo' una persona avanzata essere

cosi' ingenua? In realta' gia' in quel periodo con

questa Costituzione Tito ha capitolato dinanzi

alle tendenze secessionistiche delle Repubbliche che

formavano la Jugoslavia, e queste si sono realizzate

alla fine degli anni Ottanta. Alla fine degli anni

Sessanta le correnti separatiste diventavano sempre

piu' forti e culminavano infine, nel 1971, con il

movimento di massa della "primavera croata". Tito

reagi' troppo tardi scacciando i piu' grandi nazionalisti

croati ma lasciando molti altri al loro posto.

Con la Costituzione del 1974 fu istituzionalizzato

questo compromesso. Nessun paese del mondo avrebbe potuto

sopravvivere con una Costituzione simile.

K: Perche'?

M: Lo Stato nel suo insieme fu liquidato per mezzo della

Costituzione. Era scritto che ogni Repubblica introducesse

una sua propria Costituzione e, se questa fosse stata

in contraddizione con gli articoli della Costituzione

federale, allora la precedenza l'avrebbe avuta la

Costituzione della Repubblica federata. Ma soprattutto:

negli organismi dello Stato federale erano rappresentate

sei Repubbliche e, dal 1974 in poi, con il Kosovo e

la Vojvodina, anche due provincie autonome; ognuno

di questi otto soggetti legislativi aveva il diritto

di veto e poteva silurare le decisioni definitive.

Cosi', alla fine degli anni Settanta, quando si

approfondiranno i problemi economici, non si potranno

introdurre le necessarie contromisure. Questo sfascio

non e' stato visibile fino alla morte di Tito perche'

lui, con la sua autorita', poteva sempre richiamare

all'ordine ogni volta le forze centrifughe. Ma dopo la

sua morte esse si affermarono: divenne impossibile

reagire.

K: Non sono stati i problemi economici da lei citati

le cause principali della disintegrazione?

M: Esiste un interscambio. Tito alla fine ha accettato

ogni concessione che poteva fare. Il debito estero alla

fine degli Ottanta ammontava a 22 miliardi di dollari,

solo gli interessi erano tra i due ed i tre miliardi

all'anno. Soprattutto in seguito alla crescita generalizzata

dei tassi d'interesse alla fine degli anni Settanta,

avremmo dovuto prendere misure di contenimento della

spesa per ripagare i debiti. Tuttavia queste misure

non sono state prese poiche' la Presidenza collegiale

era sempre bloccata dall'uno oppure dall'altro veto.

Eppure se si fosse giunti ad un compromesso nella

Presidenza o in Parlamento, i rappresentanti delle varie

Repubbliche avrebbero dovuto farlo accettare in casa

propria, a Zagabria, Lubiana e nelle altre capitali.

Questo non ha mai funzionato.

K: Lei e' stato uno dei principali rappresentanti

della autogestione operaia. Negli anni Ottanta, almeno

cosi' sostiene la pubblicista croata Dunja Melcic,

lei si sarebbe convertito in ideologo dell'idea

grande-serba. Per quale motivo viene sostenuta questa

tesi?

M: Perche' ho criticato la Costituzione del 1974. Ma

l'ho fatto tra le altre cose perche' essa ha distrutto

l'autogestione operaia. Nella Costituzione del 1963

si era stabilito che tanto il Parlamento federale quanto

quelli delle Repubbliche creassero come seconda Camera

un Consiglio delle Forze Produttive, che avrebbe dovuto

rappresentare gli interessi delle imprese autogestite.

Questo elemento si sarebbe dovuto rafforzare, perche'

a cosa serve l'autogestione operaia se si limita

solo alla propria impresa, mentre intanto le

decisioni di macroeconomia vengono prese senza che la

forza lavoro abbia effettivamente voce in capitolo?

Ma la Costituzione del 1974 andava nella direzione

opposta: come unica Camera del Parlamento fu istituito

il "Consiglio delle Repubbliche e delle Regioni". In

questo modo il diritto di veto delle singole Repubbliche

aveva effetto anche sull'attivita' legislativa e la

paralizzava. Da allora non ci fu piu' una Camera per

i rappresentanti della classe operaia.

L'autogestione operaia e' un modello avanzato, che

supera di gran lunga la democrazia borghese, e si sarebbe

dovuto rafforzare attraverso una ulteriore

de-burocratizzazione. Ed invece di cio', con la Costituzione

del 1974 si fece strada il decentramento: la voce dei

Consigli d'impresa nello Stato fu messa da parte, gli

organi della Federazione furono indeboliti per favorire

le burocrazie delle Repubbliche. Questo ha moltiplicato

il burocratismo ed ha rafforzato le tendenze

centrifughe. Ma la nuova Costituzione non ha distrutto

solo le premesse della autogestione operaia, bensi'

fu anche un passo indietro rispetto alle concezioni

di "costituzione" e "democrazia" proprie del mondo

borghese: in tutti gli Stati dell'Occidente il potere

legislativo e' costituito dai rappresentanti civili

democraticamente eletti, ed a fondamento di questo c'e'

un diritto di voto generalizzato e su basi paritarie.

In Jugoslavia nel 1974 la prima Camera del Parlamento

costituita in base al diritto di voto paritario e

diretto - corrisponde in pratica al Bundestag - fu

paralizzata dal diritto di veto delle Repubbliche e delle

Regioni autonome. La democrazia borghese, almeno in

teoria, si costruisce sul cittadino adulto, percio'

e' una democrazia "della cittadinanza". Cosi' invece la

Jugoslavia a partire dal 1974 era una democrazia "dei

popoli".

K: Per rimanere su di un paragone tedesco: sarebbe come

se nel Bundestag non sedessero i rappresentanti eletti

dalla popolazione, bensi' i deputati dei vari Laender,

laddove ogni singolo Land potrebbe bloccare le

decisioni di maggioranza grazie al suo diritto di veto.

Si potrebbe dire che nella Costituzione del 1974

l'appartenenza etnica ha tolto il potere non solo al

proletario ma anche al cittadino?

M: Assolutamente giusto.Mentre in Occidente si

sottolineano i diritti umani, dal l974 in Jugoslavia

valevano solamente i diritti umani collettivi dei gruppi

etnici.

K: Qui mi sembra di intravvedere una convergenza tra la

concezione stalinista e la concezione nazionalistica.

M: E' proprio questo il paradosso: Tito sostanzialmente

e' considerato il grande avversario di Stalin, tuttavia

nella sua politica delle nazionalita' ha seguito

fedelmente le concezioni staliniane. Tra l'´altro venendo

meno ad un'aáltra delle linee guida del comunismo jugoslavo:

Il primo leader del PCJ, Sima Markovic, era un sostenitore

del jugoslavismo. Quando in seguito alla bolscevizzazione

nel l924 egli fu estromesso, la linea del partito cambio':

sotto l´'influsso di Stalin il PCJ si oriento' per lo

smembramento della "Jugoslavia artificiale" e sostenne

il diritto dei croati e degli altri a poter costruire i

loro stati. Cosicche' i comunisti si ritrovarono a

collaborare persino con gli ustascia fascisti.

K: Nel 1985/86 lei ed altri esponenti della Accademia

Serba delle Scienze elaboraste un Memorandum, nel quale

si attaccava duramente il modello titoista. Attorno a

questo documento si addensano svariate leggende. Una

di queste - che si puo' trovare persino in un libro di

testo francese per le scuole superiori, per l'anno

accademico 1993 - afferma che la teoria della "pulizia

etnica" sarebbe stata lanciata attraverso di esso.

Persino collaboratori della nostra rivista [cfr.

K.H. Roth su KONKRET 9/99] sono dell'opinione che il

Memorandum "diede nuovo vigore alle mire egemoniche

della Grande Serbia".

M: Li' non si propone alcuna "pulizia etnica", ne'

direttamente ne' indirettamente, e l'espressione

"Grande Serbia" non si usa mai. Vorrei far notare che

quelli che criticano il Memorandum di regola non l'hanno

letto.

K: Potrebbe darsi, visto che il Memorandum e'

stato tradotto in una lingua straniera (il francese)

per la prima volta solo nel 1993, e solo nel 1996 una

casa editrice belgradese ne ha prodotta una versione

inglese ed una tedesca. D'altro canto, quest'ultima

in Germania e' introvabile.

M: Il Memorandum cerca di descrivere la crisi della

societa' jugoslava. C'e' un capitolo dedicato

all'economia, che tra l'altro e' a firma di Kosta

Mihajlovic. In questo si sostiene, nell'ambito delle

riforme urgenti, che:

"...e' innanzitutto necessario abbandonare

l'ideologia che mette in primo piano nazionalita' e

territorialita'. Mentre nella societa' civilizzata

moderna le funzioni di integrazione acquistano rilevanza,

di pari passo con il riconoscimento dei diritti umani e

di cittadinanza, con la dismissione delle forme di potere

autoritario e con un processo di democratizzazione, nel

sistema politico jugoslavo si rafforzano le forze

della disintegrazione, un forte egoismo locale,

regionale e nazionale cosi' come il potere autoritario

ed arbitrario che viola a poco a poco i diritti umani

generalmente riconosciuti. La tendenza alla divisione

e frammentazione delle unita' sociali, la lotta contro

una federazione moderna, democratica ed integrazionista

viene occultata dietro agli slogan ideologici fuorvianti

della battaglia contro l'"unitarismo" ed il

"centralismo"... Questa posizione rispetto a Stato e

Nazione non lascia alcuno spazio alla autogestione.

L'autogestione resta monca e priva di forma, e non

solamente a causa della limitazione alla sfera delle

piccole strutture sociali, ma anche per la completa

sottomissione agli organi del potere alienato - a

cominciare dai Comuni e fino alle Repubbliche e

Provincie. La classe lavoratrice disunita viene

smembrata in una molteplicita' di collettivi a se'

stanti, che devono lottare l'uno con l'altro per la

distribuzione delle ricchezze. Non esistono organismi

della autogestione all'interno di gruppi di imprese,

branche dell'economia, o nell'economia nel suo complesso,

che possano guidare razionalmente la produzione."

Le sembra nazionalista o pan-serbo tutto questo?

K: La critica occidentale in effetti non si concentra

sulla parte economica del Memorandum, bensi' sul

paragrafo "La posizione della Serbia e la condizione

del popolo serbo".

M: Eppure neanche in quel paragrafo si tratta di alcuna

velleita' d'egemonia serba, bensi' di parita' di diritti

per i serbi. Nella Costituzione del 1974 al Kosovo

abitato in maggioranza da etnicamente albanesi

fu riconosciuta una autonomia molto ampia - il che

significa che la Repubblica federata di Serbia, benche'

in effetti piu' importante, aveva meno facolta' decisionali

in Kosovo di quanto viceversa non avessero i rappresentanti

del Kosovo nelle istituzioni della Serbia. Ma soprattutto:

perche' alla Krajna, in quanto parte della Croazia

abitata in maggioranza da serbi, non era stata concessa

la stessa autonomia che era stata concessa al Kosovo?

Io stesso ho scritto nel Memorandum:

"Gli appartenenti al popolo serbo, che in gran numero

vivono in altre Repubbliche federate, a differenza

delle minoranze nazionali non godono del diritto all'uso

della loro lingua e scrittura, alla costituzione di

formazioni politiche e culturali e alla cura del loro

proprio patrimonio culturale. La incessante diaspora dei

serbi dal Kosovo mette drasticamente in luce il fatto che

le fondamenta che garantiscono l'autonomia di una

minoranza (in questo caso quella albanese) non vengono

applicate quando e' il caso di minoranze all'interno

di altre minoranze (serbi, montenegrini, turchi e rom

del Kosovo)."

K: Tuttavia, nell'ultimo capitolo del Memorandum mi sono

soffermato su due punti in cui si parla di "genocidio"

nei confronti dei serbi del Kosovo, e per l'esattezza

con riferimento alla situazione degli anni Settanta e

Ottanta. Questa e' propaganda nazionalista ne' piu' ne'

meno che quando in Occidente, gia' all'inizio degli

anni Novanta, si e' parlato di "genocidio" ai danni

dei cosiddetti kosovaro-albanesi.

M: Lei ha ragione, il concetto non e' espresso bene.

Un genocidio nei confronti dei serbi, in quanto sterminio

fisico, o quantomeno il tentativo, e' stato fatto nello

Stato ustascia, poi non piu'. Pero' nella fase della

autonomia, quando il potere esecutivo in Kosovo era passato

quasi interamente nelle mani degli albanesi, si verifico'

una persecusione crescente - un'ondata di vessazioni,

attentati, vandalismi, violenze sessuali ed anche omicidi

ai danni dei serbi e degli altri non-albanesi. Questa

non fu repressa dai dirigenti del governo autonomo, al

contrario fu persino occasionalmente appoggiata.

Trentamila serbi lasciarono la provincia tra la fine degli

anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta.

Nella critica ai concetti discutibili lei deve anche

tenere presente che il Memorandum non e' stato mai

ufficialmente approvato dall'Accademia. Mentre la prima

parte del Memorandum - dunque la parte sulla economia e

sulla politica - rispecchiava quantomeno lo stato della

discussione nel gruppo di lavoro coinvolto, la seconda

parte - l'elaborazione sui pari diritti per i serbi -

non e' stata mai nemmeno dibattuta in quella sede. Era

una versione preliminare, sostanzialmente frutto del

lavoro del solo professor Vasilije Krestic. Non giungemmo

mai al dibattito nel plenum, e dunque nemmeno alla

possibile modifica di singole argomentazioni o termini,

perche' la parte incompiuta del Memorandum fu scovata

da un giornalista e pubblicata nel settembre del 1986.

La dirigenza serba del partito, attorno ad Ivan Stambolic,

uso' questo per scatenare un grande scandalo contro

l'Accademia. In questo modo un ulteriore proficuo lavoro

sul Memorandum non era piu' possibile.

K: Lei ha sostenuto Milosevic a lungo. Perche'?

M: Quando Milosevic nel 1987 fu eletto alla guida del

Partito in Serbia, la campagna demagogica contro

l'Accademia si spense subito. Anche in molti altri

settori non si poteva fare a meno di vedere una svolta

nel senso del pluralismo d'opinione, e le elaborazioni

scientifiche non erano piu' minacciate da tribunali

politici. Milosevic introdusse il sistema multipartitico,

rese possibile il lavoro di gruppi d'iniziativa

extraparlamentari ed assicuro' il passaggio alla economia

di mercato, ma con il mentenimento di un settore statale

forte; tutte queste riforme gli assicurarono l'appoggio

non solo da parte di ampi strati della popolazione, ma

anche degli intellettuali. Percio', quando all'inizio

degli anni Novanta Milosevic mi chiese di scrivere il

programma del neocostituito Partito Socialista della

Serbia (SPS), io ho accettato.

K: Lei e' stato vicepresidente dell'SPS, ma nel 1995

c'e' stata la rottura.

M: Durante una riunione di Direzione del partito

nell'agosto del 1995 io mi decisi a criticare. Su tre

questioni: La corruzione del potere legata ad una

errata politica dei quadri dirigenti; la ingiustamente

forte posizione del partito della Sinistra Jugoslava

(JUL), attorno a Mira Markovic, moglie di Milosevic,

in tutte le sedi sociali e statali; ed infine la politica

del disfattismo. Gli ultimi due punti in effetti erano

legati insieme, poiche' la JUL glorificava la pace al

di la' di ogni ragionevole misura. Se si capitola sempre,

senza dubbio si ottiene sempre la pace... Ma in questo

modo non ci si gioca anche tutto il resto?

K: Lei vuol dire che ha attaccato il fatto che la

Jugoslavia non ha offerto aiuto politico e militare ai

serbi della Krajna, la cui Repubblica era stata spazzata

via durante l'estate del 1995 dalle truppe di Tudjman?

M: Si, innanzitutto proprio questo: alla Krajna erano

state fatte delle promesse, ma quando poi furono scacciati

in centinaia di migliaia, nessuno li aiuto`.

K: E' a causa di questa critica che lei non fu rieletto?

M: No. Durante la seduta, curiosamente, non ci fu alcuna

critica nei miei confronti, qualche singolo anzi mi diede

pure ragione. Ma alla seduta successiva, poche settimane

dopo, Milosevic mi comunico' di avere rimosso dall'incarico

il sottoscritto ed altri due compagni. Non c'e' mai stata

una votazione in merito. Ed io non sono stato mai nemmeno

estromesso dal partito, ne' tantomeno mi sono mai

allontanato di mia iniziativa: semplicemente, non ho mai

piu' ricevuto un invito ufficiale. E tuttavia: non c'e'

mai stata pubblicamente una campagna contro di me.

K: In quali forze politiche vi sentite oggi di riporre

la vostra fiducia?

M: L'opposizione mi pare troppo dipendente dalla NATO

e dall'Occidente, la coalizione di governo attuale e'

l'unica chance, nonostante ogni critica.

K: Che critica?

M: I radicali di Seselj che la appoggiano secondo me sono

troppo di destra, mentre il piccolo partner di coalizione

JUL, in quanto partito dei "nuovi ricchi", e' giustamente

odiato dalla popolazione. Ma i socialisti sono un partito

molto pluralista ed hanno dentro molte persone oneste

ed innovative. Non si puo' ridurre l'SPS al solo

Milosevic. Tra l'altro, la nostra Costituzione impone

il cambiamento: l'incarico di Milosevic come presidente

jugoslavo avra' presto termine, ed un prolungamento non

e' possibile. Ogni tentativo di accelerare questo

cambiamento previsto dalla Costituzione e' inutile e

pericoloso.

K: Il Partito Socialista della Serbia noin e' un partito

socialdemocratico del tutto tradizionale, quindi

capitalista?

M: Per niente. Esso ha reso possibile la privatizzazione

delle imprese di Stato, non c'e' dubbio. Ma l'ultima

decisione e' sempre nelle mani del personale dipendente

dell'impresa. Questo e' unico in Europa, ed e' anche il

motivo principale per cui finora sono state cosi'

poche le imprese ad essere privatizzate.