ROSSI COME LA BANDIERA DELLA GRANDE ALBANIA. IL PRC COSA NE PENSA?  Quasi un anno fa, quando entrammo in polemica contro le posizioni antijugoslave di "Bandiera Rossa" - che sul numero di novembre 1998 dichiarava esplicitamente il suo sostegno alla causa irredentista-secessionista e terrorista dell'UCK - non avremmo certo pensato che di li' a poco sarebbe stata la NATO stessa, a Rambouillet prima e con i bombardamenti poi, a scoprirsi senza piu' ipocrisie come sponsor politico e militare del separatismo grandealbanese.   Meno che mai avremmo pensato che il cervello di tanti "compagni" (ammesso e non concesso che siano in buona fede) e' a tal punto imbottito di segatura da persistere nell'errore ancora oggi, dopo le umanitarie devastazioni in Jugoslavia, mentre il Kosmet e' militarmente occupato dalla NATO e tutti coloro i quali non professano il nazionalismo pan-albanese ne vengono scacciati (nel migliore dei casi), nonche' alla vigilia di ulteriori "democratici" disastri in Montenegro e Macedonia.   Ci tocca al contrario amaramente constatare che l'ala filo-UCK interna al Partito della Rifondazione Comunista e' viva e vegeta: cosicche', un gruppo che si autoproclama interno alla "sinistra del PRC" ha creato un sito internet (http://web.tiscalinet.it/redsreds/index.html -"Associazione Reds") con una bella sezione dedicata alle "nazionalita' oppresse", tra le quali vengono naturalmente inclusi gli "albanesi del Kosova". Del gruppo fanno parte militanti del "Comitato di Solidarieta' per il Kosova", a sua volta ospitato su internet da "Isole nella Rete", il server di area Carta di Milano / RadioSherwood / Leoncavallo che, preso da un raptus di "political correctness", si premuro'a suo tempo di censurare il nostro Coordinamento   Leggiamo sul sito di "Reds" che questi militanti hanno gia' effettuato un viaggio di solidarieta' in "Kosova", durante il quale hanno espresso il loro sostegno ai prigionieri politici dell'UCK e sono andati alla affannosa ricerca di gruppi "di sinistra" ed "anti-NATO"; ne hanno trovato uno (LKCK, Movimento Nazionale per la Liberazione del Kosovo, piu' "sinistro" di cosi'!...) che si era opposto a Rambouillet perche' in quella occasione... non era stata fissata esplicitamente una data per il referendum sulla indipendenza della regione! Nel reportage non si fa ovviamente alcun cenno ai crimini commessi dalla NATO proprio sul territorio kosovaro, ma la NATO viene comunque rimproverata per non avere fornito armi pesanti a sufficienza ai "liberatori" dell'UCK.   Tra i link spiccano quelli delle mailing list di orientamento ultranazionalista schipetaro, come l'italiana "I Balcani" gestita da Andrea Ferrario (anche il suo sito, guarda caso, e' su "Isole nella Rete"), che ha spesso riportato i bollettini dell'UCK, nonche' l'agenzia di stampa dell'UCK Kosovapress, e simili.   Una vera "perla" sono due documenti, a cura di "Workers Aid" (chi li conosce?), nei quali si cerca di avvalorare la tesi secondo cui la KFOR starebbe scacciando gli albanesi dai loro posti di lavoro nella miniera di Trepca. Questa tesi e' fuorviante e bugiarda: come abbiamo documentato gia' agli inizi di luglio, la KFOR (spec. le truppe inglesi) ha chiuso le miniere e ne ha impedito l'accesso a chi ci lavorava fino allora, cioe' soprattutto serbi, rom, ed anche quella parte di albanesi che non aveva partecipato, negli scorsi anni, alla campagna di "boicottaggio totale" (leggi: separatismo su base etnica) delleistituzioni e strutture jugoslave - una campagna di boicottaggio che ha purtroppo riscosso tante simpatie anche negli ambienti "pacifisti" nostrani, schierati con il democristiano e filooccidentale Ibrahim Rugova. A causa di quel boicottaggio, dunque, una gran parte degli albanesi-kosovari (quelli piu legati alla strutturazione clanica della societa' tradizionale nord-albanese) aveva abbandonato il posto di lavoro. Non si capisce tuttavia per quale motivo costoro dovrebbero essere reintegrati oggi mentre chi ha sempre lavorato in questi anni, senza partecipare al boicottaggio antijugoslavo, dovrebbe finire in mezzo ad una strada Purtroppo il problema di questi "compagni" non e' circoscritto alle questioni kosovare e jugoslave, rispetto alle quali svolgono egregiamente il loro ruolo di "servi stupidi" della NATO ad esempio trascurando completamente i nodi geopolitici ed il significato delle mosse dell'imperialismo. Tra le "nazionalita' oppresse" costoro includono pure i ceceni, altro fattore di destabilizzazione gia' usato dal nazifascismo durante la seconda Guerra Mondiale insieme ai croati ed agli stessi albanesi. In Cecenia, una guerra tra bande mafiose per la conquista delle vie di transito del petrolio di Baku viene romanticamente spacciata per "lotta di autodeterminazione nazionale" e se c'e' di mezzo il fondamentalismo islamico (pure alimentato da Turchia-USA), ben venga: e' folkloristico e fa colore.. Coordinamento Romano per la Jugoslavia

 

 

UCK a testa in giù! Il trotskysmo non c’è più!

4 agosto 1999

 

Mi decido con riluttanza a di dire la mia sul dibattito ‘inter-trotskysta’ sulla recente aggressione NATO alla Iugoslavia (suscitato, se non erro, dall¹intervento di Alessandro Lattanzio). Sento il dovere di farlo dopo aver letto l¹indecente risposta dell¹anglo-sassone Paul O¹ Brien dell¹anglo-laburista gruppo Workers Power. E’ davvero ripugnante che simili cazzate lib-lab si chiudano con pelosi ³saluti leninisti-trotskysti². Con quacqueri del tipo di O’Brien ci si può inviare dei saluti cordiali solo nei salotti sinistri dell¹Occidente politically correct, poichè, tra il sibilo dei missili NATO o nei paraggi di Pristina, questo confronto sarebbe stato solo a colpi di AK47. Di qui, anche, la mia riluttanza all¹idea di ³dialogare² con simili imbroglioni travestiti da ³compagni². Compagni chi? Compagni un cazzo! recitava una canzonetta italiana degli anni Œ70.

Ma andiamo al sodo.

Non voglio spendere molte parole sulla natura reazionaria delle posizioni assunte dalla gran parte delle organizzazioni sedicenti trotskyste nella recente guerra balcanica. Tutti i comunisti onesti che non abbiano perso né la testa né la loro passione antimperialista l¹hanno capito, hanno compreso che chi non era incondizionatamente con la Iugoslavia aggredita dalla NATO era uno sguattero, un pifferaio socialimperialista della propria borghesia. Stupisce solo lo stupore del Compagno Lattanzio. Egli dovrebbe sapere che questa gentaglia demo-imperialista che usurpa l¹eredità di Trotsky stava dalla parte della controrivoluzione sin dagli inizi degli anni Œ80 (cioè venti anni fa!!). Questi signori stavano dalla parte degli USA già in Afghanistan, quando definivano la controrivoluzione islamica ³leggitima lotta per l¹indipendenza nazionale². Erano dalla parte della controrivoluzione in Polonia, quando difendevano incondizionatamente Walesa e la direzione di Solidarnosc. Erano dalla parte della controrivoluzione quando salutarono l¹annessione imperialistica della DDR nel dicembre 1989-gennaio 1990. Erano con la controrivoluziona quando si schierarono con gli studenti fascisti rumeni e i partiti liberali contro i minatori nei primi mesi del 1990. Erano con la controrivoluzione quando difesero il colpo di Stato di Eltsin nell¹agosto-settembre del 1991. Restarono di fatto al fianco di Eltsin quando egli fece bombardare il Parlamento russo nell¹ottobre del 1993. Stavano con la controrivoluzione quando, nell¹agosto 1995, giustificarono l¹intervento armato diretto della NATO, in quanto serviva a ³spezzare la morsa serba su Sarajevo².

Di che stupirsi dunque, Compagno Lattanzio, se questi ³trotskysti² non hanno cambiato né padrone né posizione nemmeno davanti alla più classica (da manuale) e tremenda (per il suo caratttere deliberatamente sanguinario e terroristico) della aggressioni imperialistiche di questo secolo?

Qui non siamo in presenza di errori politici, ma di bestialità che sono gravi quanto il voto ai crediti di guerra dato dalla socialdemocrazia tedesca il 4 agosto del 1914. Con questi signori nessun dialogo compagno Lattanzio ma lotta senza quartiere! Questi sono copie miniaturizzate di Scheidman e Noske e come tali vanno affrontati e denunciati. Che queste nullità socialdemocratiche brandiscano pure il refrain di un nostro presunto stalinismo! Giunti a questo punto potremmo anche conciderarlo un complimento. E¹ il caso di ricordare a queste pulci stalinofobe (cioè socialdemocratiche) che per Trotsky la dittatura staliniana era ³... una forma, per quanto perversa, della supremazia sociale e politica del proletariato russo, cioe della sua dittatura² (L. Trotsky. In: Stato Operaio, termidoro e bonapartismo febbraio 1935), mentre le socialdemocrazie europee erano ( e sono oggi più che mai) agenzie della borghesia imperialista.

La domanda cruciale è la seguente: come mai il grosso dei trotskysti, da dieci anni a questa parte è, sulla questione epocale della restaurazione capitalista e della rivincita dell¹imperialismo occidentale, passato dall¹altra parte della barricata?

Azzardo questa ipotesi. Il trotskysmo è sorto per epurare il movimento operaio dal tumore dello stalinismo. In decenni di espansione del movimento staliniano quello trotskysta trovava la sua ragion d¹essere in questa lotta terribile ed è diventato essenzialmente un¹antitesi. Ciò ha instillato il virus letale della stalinofobia, fino a satellitare il movimento quart¹internazionalista nell¹orbita delle socialdemocrazie.

Crollato lo stalinismo come fenomeno storico mondiale ( e contestualmente l¹intero movimento operaio occidentale, diventato socio in affari della propria borghesia imperialistica), coloro che non hanno saputo prontamente afferrare che per ciò stesso il trotskysmo era morto per sempre; coloro che erano accecati dalla stalinofobia, hanno finito per fare la fine di Don Chisciotte, hanno continuato a scagliarsi contro i mulini a vento dello stalinismo, e ciò mentre alle loro spalle avanzava il reale nemico: l¹imperialismo.

Morale della favola: il grosso dei trotskysti è diventato spazzatura reazionaria e il marxismo rivoluzionario è tutto da ricostruire su nuove fondamenta (né stalinofile né stalinofobe).

Metterei termine a questo mio intervento se non fosse necessario demistificare su almeno due punti cruciali le insulse menzogne che O¹Brien snocciola nel tentativo di accreditare la sua posizione socialimperialista come leninista.

1. O¹Brien cita una frase di Trotsky, quando egli era corrispondente di guerra nei Balcani subito dopo il primo conflitto balcanico (1912) che si concluse con la sconfitta dell¹Impero Turco-Ottomano. Una frase rachitica e ad effetto ‹tratta dal voluminoso libro (520 pagine) ³The Balkan wars. 1912-13² (Pathfinder Press, New York, 1980)‹ con la quale tenta surrettiziamente di schierare Trotsky contro i serbi a causa della ³pulizia etnica². Operazione davvero indegna! Perchè O¹Brien non riporta la posizione dei rivoluzionari del tempo riguardo al primo conflitto balcanico? Semplice, perchè crollerebbe tutto il castello di carte false dei trotskoidi alla Workers Power. Quel conflitto anti-turco fu guidato da forze monarchiche e reazionarie e fu segnato da indicibili violenze ed eccidi nazionalistici che oggi, usando il linguaggio del nemico chiemeremmo ³pulizia etnica² (i cittadini di nazionalità turca cacciati dai Balcani furono centinaia di migliaia) e ciò nonostante la coalizione serbo-bulgaro-greca venne difesa incondizionatamente. Per tutti parla limpidamente Lenin: ³E¹ cominciato un nuovo capitolo della storia mondiale. La sconfitta della Turchia è certa. Le vittorie degli Stati balcanici, uniti in una quadruplice alleanza ŒSerbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia), sono grandissime. L¹alleanza di questi quattro Stati è divenuta un fatto. I Balcani ai popoli balcanici²: ciò è già stato raggiunto. (...) La questione nazionale nei balcani ha fatto un grandissimo passo in avanti verso la soluzione. Nonostante che nei Balcani si sia costituita un¹alleanza di monarchie, e non di repubbliche, nonostante l¹alleanza si sia formata non grazie alla rivoluzione, ma grazie alla guerra, nonostante tutto ciò, è stato fatto un grande passo in avanti verso la distruzione del medioevo in tutta l¹Europa orientale². (V.I.Lenin; Un nuovo capitolo della storia mondiale. Ottobre 1912. In Opere Complete. Volume 18. pp 354-355)

Come è chiara la posizione di Lenin! Il significato storico mondiale obiettivo della vittoria sui Turchi consisteva nell¹aver avviato la distruzione del feudalesimo nei Balcani, aprendo la strada alla rivoluzione borghese e ciò malgrado ciò fosse stato ottenuto non con la rivoluzione ma con la guerra, (la guerra dunque come fattore decisivo del processo storico), che alla testa della coalizione balcanica vi fossero dei monarchi reazionari e che gli eserciti nazionalisti serbi, bulgari e greci avessero compiuto ³pulizie etniche² cento volte più ampie di quelle degli anni Œ90.

Lenin ci insegna a metter davanti ad ogni cosa la grande strategia, la politica, l¹analisi dei grandi processi storici. I trotskoidi di fine millennio sono solo dei moralisti, dei pietisti, cioè degli analfabeti della politica marxista ‹fanno finta di credere che la pietra angolare del conflito attuale nei Balcani sia non l¹assetto geo-strategico del pianeta, le sorti del nuovo ordine mondiale (quindi il destino dei popoli oppressi tutti) ma sia invece l¹autodeterminazione del piccolo popolo reazionario albanese del kosovo. Sono degli agenti dell¹imperialismo che, appunto, non usano la categoria dell¹imperialismo come fondante della loro prassi, ma quelle politically correct (liberal) di ³oppressione², ³tirannia², ³totalitarismo², ³fanatismo nazionale². Portando infine a termine il compitino loro assegnato dai loro padroni, proprio come la CNN, la BBC, la RTF e la RAI, ci ripetono che Milosevic è il demonio e che a Belgrado i fascisti cetnici sono al potere.

Che schifo!!

 

2. O¹Brien ad un certo punto, tradendo la sua culturta politica liberal-borghese degenerata afferma: ³I comunisti, a differenza degli stalinisti, rifiutano la nozione profondamente reazionaria che ci siano delle nazioni progressiste e quelle reazionarie². Nulla di più falso.

Conosce O¹Brien le note posizioni di Marx ed Engels durante la rivoluzione europea del 1848, quando la Russia zarista era il baluardo della controrivoluzione? Marx ed Engels consideravano gli slavi del sud alleati della Russia popoli reazionari. E sulla Neue Rheinisce Zeitung andavano giù molto pesanti:

³Dobbiamo ingaggiare una lotta per la vita e per la morte contro gli slavi del Sud che hanno tradito la rivoluzione; una guerra di annientamento e di implacabile terrorismo, non negli interessi della Germania ma in quelli della rivoluzione... ³ (F. Engels, Pan-slavismo democratico. Citato in R. Rosdolsky Engels and the nonhistoric peoples. The national question in the revolution of 1848. Critique Book. Glasgow 1986, pagina 86).

Poco dopo: ³Gli austriaci i tedeschi e i magiari guadagneranno la loro libertà e si prenderanno una sanguinosa rivincita sui barbari slavi. La guerra globale che verrà disperderà questa Lega degli Slavi del Sud e annichilirà tutte queste piccole nazioni ostinate. La prossima guerra mondiale non farà sparire dalla faccia della terra solo le dinastie e le classi reazionarie ma anche tutti i popoli reazionari. Anche questo sarà un passo avanti². (F. Engels. La lotta dei magiari, Ibidem pagina 86).

Lenin, proprio commentando queste note posizioni di Marx ed Engels affermava perentoriamente:

³Che cosa ci dice dunque questo esempio che bisogna analizzare concretamente se si vuole essere fedeli al marxismo? Ci dice soltanto che 1) gli interessi dell¹emancipazione di alcuni grandi e grandissimi popoli dell¹Europa stanno al di sopra degli interessi del movimento di liberazione delle piccole nazioni; 2) che la rivendicazione della democrazia va considerta su scala europea ‹oggi bisogna dire su scala mondiale‹ e non isolatamente. Niente di più.² (V.I.Lenin, luglio 1916. In Opere Complete, Volume 22. pagina 338/339).

E poco più avanti: ³Se la situazione concreta davanti alla quale si trovava Marx all¹epoca dell¹influenza predominante dello zarismo nella politica internazionale si ripetesse, per esempio, in una forma in cui diversi popoli cominciassero assieme la rivoluzione socialista (come nel 1848 in Europa hanno cominciato la rivoluzione democratico borghese) e altri popoli risultassero i baluardi principali della reazione borghese, noi pure dovremmo essere per la guerra rivoluzionaria contro di essi, al fine di schiacciarli, distruggere tutti i loro avamposti, qualuanque siano i movimenti delle piccole nazionalità che avessero luogo². (Ibidem)

³ Di conseguenza, non dobbiamo respingere gli esempi della tattica di Marx ‹ciò significherebbe professare il marxismo a parole e rompere con esso in pratica,‹ ma dalla loro analisi concreta dobbiamo trarre un prezioso insegnamento per l¹avvenire. Le singole rivendicazioni della democrazia, compresa l¹autodecisione, non sono un assoluto, ma una particella del complesso del movimento democratico (oggi: del complesso del movimento socialista mondiale). E¹ possibile che, in singoli casi determinati, la particella sia in contraddizione col tutto, e allora bisogna respingerla. E¹ possibile che il movimento repubblicano di un paese sia soltanto uno strumento degli intrighi clericali o finanziari, monarchci di altri paesi; allora NON dovremo sostenere quel dato movimento concreto; ma sarebbe ridicolo cancellare per questa ragione dal programma della socialdemocrazia internazionale la parola d¹ordione della Repubblica² (Ibidem)

Io credo, mutatis mutandi, che chiunque abbia afferrato l¹abc del marxismo leninismo, possa facilmente assumere una posizione di difesa incondizionata della Iugoslaviua dall¹aggressione NATO; possa capire che quella kosovara è un particella che andava schiacciata; che l¹UCK ha agito come un braccio armato della NATO (dimostrazione lampante a posteriori l¹accordo tra Hashim Thaci e il comando imperialista del KFOR); che il popolo kosovaro in quanto schierato con la NATO è un piccolo popolo reazionario; che il popolo serbo e l¹Esercito federale invece, nonostante i crimini commessi in Kosovo, svolgevano un ruolo progressivo antimperialista; che l¹autodeterminazione del Kosovo, in quanto particella in contraddizione col tutto, andava respinta.

Possa infine comprendere che il grosso dei trotskoidi, sul conflito balcanico, è passato ARMIe bagagli con la propria borghesia imperialista.

Mentre si aggrappa sugli specchi, O¹Brien, vincendo le leggi della fisica, fa le piroette e riesce a sparare un¹altra bordata di cazzate piccolo-medio-grandi. Ma il brodo già tracima abbondantemente e non voglio che qualcuno si prenda l¹indigestione.

Spero solo di aver spiegato perchè noi, che siamo orgogliosi di venire dall¹opposizione trotskysta, siamo non meno fieri di aver rotto TUTTI i ponti con la palude del trotskysmo di terza generazione.

Addio!

Moreno Pasquinelli di Voce Operaia

 

Replica a Lattanzio e altri sulla questione dell'autodecisione

 

Solo oggi ho letto la polemica di Francesco (Ricci) sulla questione dell'autodecisione, e vorrei rispondere, perlomeno nella parte che mi riguarda.

Anzitutto, come avrete notato, ho cancellato dai destinatari i non appartenenti a "Proposta" perchè francamente avrei una certa difficoltà a polemizzare in pubblico. Anche se formalmente "Proposta" non si è dotata delle regole del centralismo democratico, credo che la polemica esterna in un certo senso denoti una specie di dichiarazione esplicita di rottura politica. E quindi vorrei mantenere i due livelli: quello interno a Proposta e quello esterno con coloro che non condividono il progetto dell'Amr.

Detto questo, credo che Ricci fraintenda sia la posizione leninista che la posizione trotskista, sia (benché questo sia molto meno importante, evidentemente) quello che ho scritto io.

Per ciò che riguarda la posizione leninista sulla questione dell'autodeterminazione, mi sembra che Ricci assuma solo una parte della posizione. Lenin subordinava la questione dell'autodeterminazione nazionale alla questione della rivoluzione socialista (e così Trotsky, su cui ritornerò dopo sulla questione dell'Ucraina). Cosa vuol dire questo? Vuol dire che per Lenin la questione dell'autodeterminazione nazionale non era che una parte dell'intero programma socialista. Ed è proprio sulla questione dell'indipendenza della Polonia che Ricci fraintende Lenin.

Scrive il compagno Ricci:

 

"La sua conclusione (di Candreva) è che "In URSS, come in Jugoslavia oggi, la soluzione democratica non consiste nella divisione lungo linee nazionaliste, ma nella riunificazione rivoluzionaria della classe operaia che impone il suo potere su una scala multinazionale." E ancora: "Per i marxisti i popoli sono tutti uguali, ciò che conta sono le classi, a maggior ragione nell'epoca imperialista" e ancora: "i marxisti hanno un programma indipendente da proporre ai popoli balcanici senza doversi sottomettere (per quanto 'criticamente' (...) al nazionalismo albanese-kosovaro, né al nazionalismo grande-serbo."

 

Il compagno Candreva ci dice che la posizione classica leninista è inadeguata alla nuova situazione."

 

Vediamo se le cose stanno in questo modo. Scrive Lenin:

"Lanciare la parola d'ordine dell'indipendenza della Polonia, oggi, nelle condizioni degli attuali rapporti fra le potenze imperialiste limitrofe, vuol dire in verità correre dietro a un'utopia, cadere in un gretto nazionalismo, dimenticare la premessa necessaria, quella della rivoluzione generale in Europa, o, per lo meno, in Russia e in Germania. (...) E' un dato di fatto, non un paradosso: oggi il proletariato polacco, come tale, può giovare alla causa del socialismo e della libertà, compresa la libertà polacca, solo organizzando, insieme ai proletari dei paesi vicini, la lotta contro i nazionalismi grettamente polacchi. " (Risultati del dibattito sull'autodecisione, 1916, p. 138-139, ed. Newton Compton)

Ma è ancora più esplicito il Manifesto del Comintern sulla questione balcanica, o le tesi sulla questione nazionale e coloniale del 1920, che tutti i compagni possono trovare facilmente. Cito semplicemente dal Manifesto "ai partiti comunisti di Bulgaria, Romania, Serbia e Turchia":

"Per trascinare gli stati balcanici in guerra gli uni contro gli altri i loro protettori imperialisti sfruttarono l'avidità di conquiste territoriali della borghesia e l'allettarono con promesse di una 'Grande Bulgaria', 'Grande Serbia' o 'Grande Romania'. Aizzarono l'una contro l'altra le diverse nazionalità... Soltanto la vittoria della dittatura proletaria può unire le masse in una repubblica federale socialista sovietica balcanica o balcanica e danubiana, liberarle sia dallo sfruttamento capitalistico feudale da parte della loro borghesia e di quella straniera sia all'asservimento coloniale e dai dissidi nazionali" (J. Degas: Storia dell'Internazionale comunista, p. 103)

Questo era quello che in sintesi scrivevo:

E il nostro programma dev'essere di una federazione socialista dei Balcani, nella quale tutte le nazionalità siano poste sullo stesso piano, quindi contro qualsiasi tentativo di ulteriore balcanizzazione della Jugoslavia. Ovvero, la posizione leninista classica è completamente adeguata, ma va applicata alla nuova situazione.

Evidentemente non mi interessa una polemica a furia di citazioni, ma cercare di applicare il metodo leninista-trotskista sulla questione. Qual'è oggi la situazione nei Balcani? La rivendicazione dell'autodeteminazione nazionale può servire a unire il proletariato delle varie nazioni in una lotta comune contro le varie borghesie, o non è semplicemente una parola d'ordine dei vari imperialismi per dividere e ridurre a neocolonie gli stati operai degenarati-deformati? La risposta non si trova nelle citazioni di Lenin, ma nella storia degli ultimi dieci anni e delle forme concrete che "l'autodeterimnazione nazionale" ha assunto. Ovvero i massacri nazionalisti cinicamente aizzati dagli imperialisti per distruggere la Jugoslavia e l'Urss. In Croazia "autodeterminazione nazionale" significa pulizia etnica dei serbi della Kraijna, perchè questo ha significato storicamente. In Bosnia, spartizione imperialista della Bosnia, repubblica di Pale e oppressione (a seconda) dei serbi o dei musulmani. In Kosovo pulzia etnica antialbanese o antiserba. Certo, in quanto marxisti sappiamo che quella non è la "vera" autodeterminazione nazionale, ma allora dobbiamo spiegare che la "vera" autodeterminazione nazionale si realizza solo nel quadro di una federazione socialista della Jugoslavia, cui tutti i popoli potranno decidere liberamente se aderire. Questo ho cercato di sostenere, questa è la posizione leninista classica e, mi sembra, su questa ha delle divergenze il compagno Ricci. Infatti scrive:

"a) l'autodeterminazione dei popoli balcanici, in quanto mina oggettivamente lo status quo (che è, non dimentichiamolo, quello di ex stati operai in cui è avvenuta la restaurazione capitalistica) ha un carattere antimperialista e dunque rispecchia gli interessi non solo di quei popoli, ma del proletariato mondiale.

b) I comunisti devono sostenere questa lotta e parteciparvi senza porer come condizione preliminare l'accettazione del programma socialista" (Proposta n. 24)

Altro che "oggettivamente antimperialista". L'"autodeterminazione nazionale, senza la condizione preliminare del programma socialista" è proprio ciò che hanno utilizzato le potenze imperialiste per potersi spartire i Balcani e l'ex Urss, un processo che potrà essere fermato solo da una nuova rivoluzione socialista con al centro del suo programma l'unità rivoluzionaria del proletariato, sia nell'ex Urss che nella ex Jugoslavia. Ora, la questione nazionale nei Balcani e nell'ex Unione Sovietica non è la stessa cosa che in altre parti del mondo, dove l'oppressione nazionale è direttamente esercitata dall'imperialismo o da suoi alleati.

Ma è il metodo di Lenin contrapposto a quello del compagno Ricci. Francesco fa discendere da alcune considerazioni molto generali (l'epoca dell'imperialismo, il fatto che spesso gli imperialisti utilizzano le rivalità nazionali, ecc.) la sua posizione particolare sui Balcani. Non più l'analisi concreta della situazione concreta (il che porterebbe anche i compagni più miopi ad accorgersi che oggi nei Balcani l'autodeterminazione nazionale costituisce il programma capitalista di balcanizzazione della Jugoslavia).

In questo senso,

"Contrariamente a ciò che avveniva in passato, oggi l'autodeterminazione nazionale è un ostacolo alla federazione socialista e non un passo in avanti per far comprendere al proletariato dei Paesi oppressi che i marxisti sono contro l'oppressione nazionale."

Sfortunatamente non va meglio con le citazioni di Trotsky sull'Ucraina. Purtroppo a Francesco è sfuggito l'intero senso della polemica di Trotsky. I due articoli costituiscono una polemica con la posizione di Hugo Oheler, editore del The Marxist, che si opponeva alla rivendicazione della "Ucraina sovietica indipendente" perchè avrebbe indebolito la difesa dell'Urss (una posizione di recente fatta propria dagli spartachisti). Contrariamente a quello che ha capito il compagno Ricci, tuttavia, Trotsky subordinava l'indipendenza dell'Ucraina al mantenimento dei rapporti di produzione proletari. Non ho presente i brani pubblicati da Falce e martello, pertanto cito dall'edizione francese delle Oeuvres in mio possesso.

Nell'articolo "La questione ucraina" Trotsky scrive:

"Occorre una parola d'ordine chiara e precisa... Secondo me oggi non esiste che una sola parola d'ordine di questo tipo: per un'Ucraina sovietica operaia e contadina, libera e indipendente." (vol. 21, p. 128, sottolineato nell'originale).

Questa parola d'ordine, secondo Trotsky, era legata alla prospettiva della rivoluzione politica in Urss e della rivoluzione socialista in Polonia. La questione dell'"autodeterminazione è direttamente ed indissolubilmente legato al programma della rivoluzione proletaria, e sarebbe criminale farsi illusioni in proposito", scrive Ricci, citando Trotsky. Non si vede dove questo contraddica la posizione che ho cercato di difendere che solo nell'ambito di una federazione socialista della Jugoslavia ci potrà essere una vera autodeterminazione nazionale. I casi sono tre: o Francesco non ha capito cosa Trotsky intende dire (capita alle migliori menti), o confonde la situazione dell'Urss nel 1939 con quella attuale, e quindi di uno stato operaio degenerato con quella di stati capitalisti (che per un marxista è un tantinello più grave) o cerca di fare una confusione voluta. L'intera argomentazione di Trotsky contraddirebbe, semmai, la posizione che i marxisti devono partecipare alla lotta per l'autodeterminazione del Kosovo, senza porre preliminarmente la questione dell'accettazione del programma socialista.

E' lo stesso Trotsky a sottolineare che non è possibile lottare per i diritti nazionali se non con un programma socialista, in un terzo articolo dedicato alla questione ucraina, questa volta in polemica con Novaja Rossija, il giornale di Kerensky:

"Dal punto di vista storico molto più importante, cioè quello della rivoluzione socialista, sarebbe perfettamente possibile subordinare per un certo tempo gli interessi nazionali dell'Ucraina a quelli del proletariato internazionale se ci fosse un conflitto. Ma non esiste alcun indice di tale conflitto. (...) Il movimento nazionale rivoluzionario ucraino è parte integrante della potente ondata rivoluzionaria che si sta preparando ... Perciò diciamo: 'Viva l'Ucraina sovietica indipendente!'" (id. p. 364-365)

Certamente Trotsky si mostrò eccessivamente ottimista, ma qualcuno potrebbe dirlo oggi per il "movimento nazionale rivoluzionario del Kosovo"?

 

Saluti internazionalisti

Gino