RATLINES / Le linee dei topi

Ratlines: La guerra della Chiesa contro il comunismo

A cura del Coordinamento Romano per la Jugoslavia

Premessa

La storia che qui viene raccontata è quella delle reti di fuga dei criminali

di guerra nazisti e ustascia nell'immediato dopoguerra. Questi loschi

individui furono in ogni momento appoggiati dal Vaticano, nella persona di

papa Pio XII e del sottosegretario Montini (che divenne in seguito papa

Paolo VI), con la connivenza dei servizi segreti occidentali. Questi ultimi

cercarono di utilizzarli come terroristi, nel tentativo di abbattere i

regimi comunisti.

Due reti distinte (ma pur sempre collegate) erano state approntate: una per

i tedeschi, diretta dal vescovo Hudal, ed una per i croati, diretta da padre

Draganovic. Personaggi come il truce dittatore Ante Pavelic, che era stato

messo da Hitler a capo dello stato fantoccio della Croazia Indipendente,

sfuggirono ai tribunali che dovevano punirli per i loro sanguinosi delitti,

attraverso la rete dei conventi e degli istituti religiosi che era stata

predisposta all'uopo. Questi assassini furono poi riutilizzati nel tentativo

di far cadere la Jugoslavia di Tito, formando un una banda di terroristi

denotati "krizari" (crociati). Alla fine sono quasi tutti riusciti a

rifugiarsi oltreoceano, in America Latina, in Australia e in Nord America.

Quelli che seguono sono degli appunti tratti dalla prima parte del libro

Ratlines, scritto dai giornalisti Mark Aarons e John Loftus, australiano il

primo e americano il secondo. Le parti ``tra virgolette'' riproducono

citazioni testuali dal libro. Tra parentesi, dopo ogni affermazione, è

riportato il numero della pagina da cui l'affermazione è stata tratta.

Talvolta sono state utilizzate fonti diverse, che sono sempre indicate.

Per elaborare questo testo sono state utilizzate le fonti seguenti:

1. Ratlines

di Mark Aarons e John Loftus

edizione inglese: 1991

edizione italiana: Newton Compton, 1993.

2. Il Secolo Corto. La Filosofia del Bombardamento. La Storia da

Riscrivere.

di Filippo Gaja

Maquis editore, 1994.

3. Die Politik der Päpste im 20. Jahrhundert (La Politica dei papi nel XX

secolo)

di Karlheinz Deschner

Rowohlt, 1991

4. Storia illustrata, supplemento al n.186, intitolato "La caccia ai

criminali nazisti", 1973

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Indice:

Premessa

1. Il titolo

2. Note sull'olocausto

3. Geopolitica vaticana

4. Geopolitica europea

5. Intermarium

6. Strategia americana

7. L'Unione Continentale

8. La rete di fuga dei criminali di guerra tedeschi

9. La rete di fuga dei criminali di guerra croati

10. I krizari

11. Riciclaggio di denaro sporco (di sangue)

12. I personaggi

o I preti

+ Pio XII

+ Giovanni Montini

+ Alois Hudal

+ Siri

+ Krunoslav Draganovic

+ Vilim Cecelja

+ Karlo Petranovic

+ Gregory Rozman

+ Dragutin Kamber

+ Milan Simcic

+ Dominik Mandic

+ Josip Bujanovic

o I nazisti

+ Ferenc Vajta

+ Walter Rauff

+ Franz Stangl

+ Gustav Wagner

+ Alois Brunner

+ Adolf Eichmann

o Gli ustascia

+ Ante Pavelic

+ Vladimir Kren

+ Vjekoslav Vrancic

+ Vilko Pecnikar

+ Ivo Omrcanin

+ Ljubo Milos

+ Lovro Susic

+ Dragutin Toth

+ Bozidar Kavran

+ Srecko Rover

+ Miha Krek

o L'agente statunitense William Gowen

13. Le sigle

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Il titolo

``Letteralmente, una ratline è la scala di corda che arriva fino

in cima all'albero della nave e rappresenta l'ultimo luogo sicuro

quando l'imbarcazione affonda. Pertanto ratline è diventato il

termine generico con cui i servizi segreti identificano le reti o

le organizzazioni istituite allo scopo di far fuggire qualcuno''

(7).

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Note sull'olocausto

1. Il campo di Treblinka, comandato da Franz Stangl

``Al loro arrivo a Treblinka, gli uomini, le donne e i bambini, stipati nei

loro carri merci chiusi, trovavano ad attenderli una normale stazione

ferroviaria, graziosamente decorata con cassette di fiori. A distanza, si

scorgevano alcune baracche dall'aria innocua. Franz Stangl ci teneva

all'ordine. Ai passeggeri veniva detto di scendere dai carri per riposare e

per farsi una doccia. Mentre si svestivano, veniva detto loro di mettere al

sicuro i loro oggetti di valore in cassette numerate, di modo che, dopo la

doccia, avrebbero potuto ritrovarli facilmente.

Tutto si svolgeva in maniera così rapida, organizzata, letale. Le docce

erano, in realtà, camere a gas dove 900.000 persone, per la maggior parte

ebrei, furono uccise immediatamente al loro arrivo. A differenza di

Auschwitz, lì non si svolgeva alcun lavoro. Treblinka esisteva solo per uno

scopo: lo sterminio'' (33-34).

2. La Croazia Indipendente di Ante Pavelic

La dittatura croata si macchiò di gravi crimini, ``tra cui gli orribili

massacri di serbi, ebrei e zingari nel corso dei quattro anni [in cui stette

in piedi il regime]: mezzo milione di civili innocenti trucidati per ordine

personale [di Pavelic]. Molti erano stati giustiziati con metodi da pieno

Medioevo: erano stati cavati loro gli occhi, recise le membra, strappati gli

intestini e gli altri organi interni dai corpi ancora vivi. Alcune persone

furono massacrate come bestie: venne tagliata loro la gola da un orecchio

all'altro con coltelli speciali. Altre morirono in seguito a colpi di maglio

sulla testa. In numero ancora maggiore furono semplicemente bruciate vive''

(80).

``Durante i primi mesi del regime di Pavelic furono massacrate circa 150.000

persone di fede serbo-ortodossa. In molti casi -è un fatto documentato- fu

offerta loro la salvezza se avessero rinunciato alla loro fede per divenire

cattolici'' (92). ``Le conversioni forzate [venivano celebrate] da preti

cattolici sotto l'attento controllo di unità di polizia ustascia armate fino

ai denti. Su tali cerimonie incombeva la minaccia di morte, poiché i

contadini serbi erano perfettamente a conoscenza dei massacri condotti da

quelle stesse unità nelle zone limitrofe'' (106). A dirigere le conversioni

forzate era padre Draganovic (106).

3. Le posizioni del Vaticano e dell'Occidente durante la guerra

``Nell'aprile del 1943 [...] il Foreign Office e il Dipartimento di Stato

temevano entrambi che il Terzo Reich fosse disposto a fermare le camere a

gas, a svuotare i campi di concentramento e a lasciare che centinaia di

migliaia (se non milioni) di superstiti ebrei emigrassero in Occidente''

(21).

Anche il papa, sebbene ne fosse a conoscenza, tacque sull'olocausto: ``Il

terribile silenzio da parte del Vaticano nei confronti degli ebrei si

accordò completamente con la politica occidentale'' (22). Tuttavia, a fronte

dell'indifferenza degli anglo-americani, per lo meno (magra consolazione)

``il papa tacque in pubblico, ma in segreto aiutò alcuni ebrei'' (24).

Fu tramite il Vaticano, inoltre, che nel 1944 le SS cercarono di ``stabilire

contatti [...] con le potenze occidentali'' per convincerle a ``troncare i

rapporti con Stalin e a unirsi alla Germania nella lotta contro i

bolscevichi'' (25).

``Durante la guerra il Vaticano non si era pronunciato pubblicamente

riguardo alle atrocità compiute dai sovietici e dai tedeschi'' (qui Aarons e

Loftus mettono Hitler e Stalin sullo stesso piano, cosa molto discutibile,

dato che Hitler uccise 11 milioni di civili innocenti, metà dei quali erano

ebrei). Ma nel 1945, a guerra perduta per i nazisti, papa Pio XII

``capovolse la sua politica e decise che era giunto il momento di levare la

voce della Chiesa contro i crimini commessi da Stalin'', mentre continuò a

tacere quelli commessi da Hitler, approvandoli tacitamente (27).

Per ulteriori note sull'olocausto, leggere il numero di Storia Illustrata

citato in bibliografia.

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Geopolitica vaticana

L'interesse secolare della Chiesa è sempre stato quello

dell'evangelizzazione, ossia della trasformazione in cattolici di quanti più

uomini sia possibile, e la contrapposizione a tutte le altre filosofie o

religioni. In questo modo il Vaticano si assicura un vero e proprio

controllo politico su territori e nazioni. Il papato ha dunque una sua

politica estera che è ben definita, anche se per molti non percettibile:

``Pensano in termini di secoli e fanno piani per l'eternità; questo rende la

loro politica inevitabilmente imperscrutabile, disorientante e, in certe

occasioni, riprovevole per le menti pratiche e condizionate dal tempo''

(lettera dell'ambasciatore inglese Sir D'Arcy Osborne, marzo 1947, riportata

nell'epigrafe).

``Era desiderio del Vaticano aiutare chiunque a prescindere dalla sua

nazionalità o dalle sue opinioni politiche, fintantoché quella persona possa

dimostrare di essere cattolica. Il Vaticano giustifica inoltre la sua

partecipazione col desiderio di introdursi non soltanto nei paesi europei,

ma anche in quelli latino-americani, attraverso persone di qualsiasi

convinzione politica, purché anticomuniste e favorevoli alla Chiesa

Cattolica'' (57).

L'obiettivo del papa per l'Europa era molto semplice: ``la creazione di un

grande Stato federale danubiano'' che raggruppasse le nazioni cattoliche

d'Europa centrale (60), insomma in un certo senso un ritorno ai bei tempi

del potere temporale della Chiesa; la creazione di una nazione sulla quale

il pontificato possa esercitare la sua autorità. In questo quadro, è

fondamentale la posizione della Croazia: ``La Santa Sede considerava la

Croazia come la frontiera della cristianità; tra la Croazia e il papa

esisteva un rapporto particolare che risaliva al 700 d.C.'' (80). ``La

Croazia è una delle nazioni più benvolute dalla Chiesa, un baluardo

cattolico contro gli scismatici ortodossi'' (66). ``Nell'isterismo che

caratterizzò i primi anni della guerra fredda, il Vaticano considerava la

Croazia come la propria roccaforte nei Balcani'' (136).

Per raggiungere i suoi scopi, il papa optò per lo spionaggio (29) e sul

reclutamento di ex-nazisti per combattere i comunisti, cioè coloro che gli

contendevano i territori dell'Unione Danubiana (32). Il Vaticano cercò anche

di riutilizzare l'organizzazione clandestina costituita durante la guerra

dai disertori dell'esercito russo in Germania ed in Austria: Estoni,

Lituani, Cechi e altri cittadini di cultura prevalentemente cattolica

(30-31). ``Per essere ammesso, ogni membro doveva prestare giuramento di

fedeltà alla Chiesa, impegnandosi a a metterne gli interessi al di sopra

persino della propria nazione di appartenenza'' (31).

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Geopolitica europea

Le potenze europee avevano dei progetti molto simili a quelli del papato:

1. Francia

``Non appena cessarono le ostilità, De Gaulle indisse un'agguerrita campagna

per ottenere la simpatia dei popoli dell'Europa orientale. Il suo scopo era

quello di creare un contraltare ai piani inglesi. [...] Il leader francese

riteneva infatti che fosse necessario prepararsi a una nuova guerra contro

Stalin per ristabilire il "legittimo" ruolo della Francia nella regione''

(62). De Gaulle aveva allacciato stretti contatti con il Vaticano, tramite

il cardinale francese Tisserant (63).

``De Gaulle voleva l'aiuto del papa per creare una confederazione europea

che riunisse, tra gli altri, i cattolici di Spagna, Francia, Italia,

Austria, Germania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Croazia, Slovenia e Stati

baltici. [...] La Francia avrebbe dovuto firmare dei trattati di amicizia

con la Spagna e con l'Italia, stabilendo così un potente triangolo che

avrebbe ricevuto in seguito, grazie all'influenza del papa, l'aiuto degli

stati cattolici sudamericani'' (63).

La riuscita di questo triangolo era legata a quella della ``creazione di uno

stato federale della Germania cattolica, separato dalla maggioranza

protestante. L'ultimo anello del piano di De Gaulle era rappresentato da una

Confederazione Pandanubiana Cattolica dell'Europa centrale. Un'alleanza con

la Polonia e con gli Stati baltici avrebbe permesso agli slavi cattolici di

staccarsi dai loro compatrioti ortodossi e protestanti assicurando il crollo

della Jugoslavia, della Cecoslovacchia e di gran parte dell'Unione

Sovietica'' (63).

In poche parole, la Francia auspicava esattamente quello che è accaduto

negli ultimi anni!

2. Gran Bretagna

``Gli Inglesi erano convinti che presto sarebbe scoppiata la guerra contro i

sovietici'' (65). Il premier inglese Winston Churchill stava portando avanti

sin dagli inizi del 1944 la politica di ``creare una confederazione di

nazioni dell'Europa centrale sotto l'influenza di Londra. Quando finì la

guerra il SIS lanciò una sofisticata operazione spionistica per reclutare

gli emigrati politici dell'Europa centrale e orientale. Il SIS mirava ad

istituire un'unione politica contro il bolscevismo e a fornire un aiuto

materiale con lo scopo di attirare gli esuli nella sfera d'influenza inglese

per operazioni di controspionaggio antisovietico e paramilitari. Gli inglesi

avevano anche istituito delle logge massoniche tra gli esuli, attraendo in

tal modo i più importanti leader balcanici'' (64).

Padre ``Draganovic cominciò a far pressioni sugli inglesi in favore della

Confederazione Pandanubiana agli inizi del 1944, quando consegnò

all'ambasciatore inglese presso il Vaticano una lunga nota, con cui

inoltrava proposte fatte da alti ministri ustascia a Zagabria'' (66).

3. Gli intrighi degli Inglesi

Il dato che emerge è la rivalità che c'era subito dopo la fine della guerra

fra Londra e Parigi, entrambe nel tentativo di controllare l'Europa

centrale. Tuttavia le loro politiche si concretizzavano in piani molto

simili, e simili a quelli del papato: essenzialmente l'idea della

Confederazione Danubiana. Molto presto gli inglesi riuscirono a togliere

l'iniziativa ai francesi. ``Alla fine dell'estate 1946 i servizi segreti

inglesi avevano ottenuto un innegabile predominio sui rivali francesi''

(65).

``Esisteva almeno un importante punto di accordo tra Parigi e Londra: si

sarebbero dovuti escludere gli Stati Uniti da queste operazioni clandestine.

Fu adottato lo slogan "l'Europa agli Europei, senza Russi né Americani.

Facciamo combattere gli Stati Uniti contro i Russi e sfruttiamo la

vittoria"'' (65).

Gli inglesi ``avevano fatto infiltrare alcuni agenti tra gli emigrati

politici, istituendo così dei centri spionistici a Graz e a Klagenfurt,

nella zona austriaca [da loro] controllata'' (64). ``Gli inglesi diedero

assistenza persino ai nazisti e agli ustascia e, fin dall'inizio,

costituirono centri militari e terroristici tra tutti i profughi balcanici.

Avevano fretta e non volevano perdere tempo, per cui ebbero presto una

magnifica organizzazione che si estendeva fino alle parti più remote dei

Balcani'' (65).

``John Colville, del Foreign Office, [...] ammise di aver permesso

deliberatamente a molti fanatici ustascia di sfuggire alla giustizia''

(111). ``Nel maggio del 1945, gli inglesi avevano riconsegnato molti croati

relativamente innocenti nelle mani del governo comunista di Tito,

destinandoli a una morte sicura. Invece molti criminali di guerra colpevoli

di orrendi delitti erano fuggiti'' (98). ``Avvalendosi dei seguaci di

Pavelic, gli inglesi avevano intenzione di rovesciare il governo comunista

di Belgrado. Alcuni simpatizzanti americani collaboravano già a queste

operazioni senza autorizzazione ufficiale'' (94).

``La maggior parte delle volte, le operazioni occidentali [di arresto dei

criminali di guerra] facevano fiasco in maniera spettacolare. La ragione di

questo era molto semplice. Interi settori delle autorità alleate

collaboravano, in realtà, con il Vaticano per garantire che a molti

fuggiaschi fosse permesso di partire di nascosto da Genova. Un diplomatico

statunitense scoprì che le potenze occidentali erano apparentemente

conniventi con il Vaticano e con l'Argentina per portare al sicuro in

quest'ultimo paese persone colpevoli di crimini di guerra. Le cose stavano

effettivamente così. Sia Washington sia Londra erano scese a patti con la

Santa Sede per aiutare molti collaboratori dei nazisti a emigrare verso il

sistema di espatrio clandestino messo a punto da Draganovic. Il Vaticano

veniva cinicamente usato come copertura per la condotta immorale

dell'occidente'' (119).

``In quel periodo si poteva quasi parlare di cariche dirigenziali

interdipendenti tra i servizi segreti occidentali e il Vaticano'' (123).

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Intermarium

Intermarium era una ``rete ben organizzata di emigrati politici nazisti

dell'Europa centrale e orientale, la quale riceveva segretamente sostegno da

parte di una piccola ma potente congrega di cui faceva parte lo stesso Pio

XII'' (59). Le radici di quest'organizzazione anticomunista risalivano

``agli anni Venti, [...] sorta a partire da un cosiddetto gruppo di esuli

russi bianchi che fuggirono a Parigi in seguito alla presa del potere da

parte dei bolscevichi'' (59).

``L'Intermarium proclamava la necessità di una potente Confederazione

Anticomunista Pandanubiana, composta per la maggior parte dalle nazioni

cattoliche dell'Europa centrale. Prima della guerra, essa aveva ricevuto

grandi aiuti dai servizi segreti francesi e inglesi per operazioni

anticomuniste. [Nella fase prebellica] lo scopo dell'Intermarium era quello

di creare un cordon sanitaire sia contro i russi sia contro i tedeschi''

(60).

Durante la guerra era stata uno ``strumento nelle mani dei servizi segreti

tedeschi: [...] nel 1939 la maggior parte dei capi dell'Intermarium aveva

unito le proprie sorti a quelle di Hitler. Dopo la guerra, riuscirono a non

farsi punire aiutando gli inglesi contro i sovietici'' (71).

``Il Vaticano aveva appoggiato [le operazioni relative all'organizzazione di

movimenti clandestini contro i russi] lavorando ufficiosamente con i

francesi e con gli inglesi affinché dopo la seconda guerra mondiale

l'Intermarium tornasse in attività'' (61). ``La grande maggioranza dei capi

dell'Intermarium era composta da ex-capi fascisti che lavoravano per i

servizi segreti inglesi o francesi'' (67).

``Per iniziativa di Rohracher, [arcivescovo di Salisburgo,] il vescovo di

Klagenfurt indisse un incontro per discutere l'opportunità di riunire, in

questa Confederazione [Pandanubiana] le nazioni cattoliche dell'Europa

centrale. Oltre a Rohracher e al vescovo di Klagenfurt, parteciparono

all'incontro anche i vescovi Gregory Rozman di Lubiana e Ivan Saric di

Sarajevo. Questi ultimi due prelati erano stati collaboratori entusiasti dei

nazisti'' (136).

Il presidente di Intermarium era lo sloveno Miha Krek (67).. Il principale

organizzatore era l'ungherese Ferenc Vajta. Secondo quest'ultimo, occorreva

``una Confederazione Danubiana in cui venisse riconosciuta la libertà di

tutti i popoli attraverso una democrazia sana e tradizionale. [Secondo lui

era] giunto il momento di creare la grande unità europea e una

Confederazione Pandanubiana composta da popoli aventi la stessa cultura e le

stesse tradizioni'' (72).

``Sotto la direzione francese, Vajta formò dei centri spionistici ad

Innsbruck, Friburgo e Parigi. Gli emigrati politici viaggiavano coi

documenti dell'Etat Majeur, così da poter andare in giro in tutta sicurezza

e costituire una sofisticata rete di spionaggio'' (62). Erano coinvolti

anche i gesuiti, ``come agenti chiave del Vaticano, coinvolti in un

programma di penetrazione all'interno di zone occupate dai comunisti'' (68).

``Molti personaggi di spicco dell'Intermarium guidavano i corpi

d'emigrazione patrocinati dal Vaticano:'' il vescovo Hudal, padre

Draganovic, monsignor Preseren, il vescovo Bucko, e padre Gallov (68).

Il CIC, servizio segreto americano, indagando trovò ``tracce di questa

confederazione pandanubiana nella rinascita postbellica del movimento

ustascia. Formatosi alla fine degli anni Venti, questo gruppo fascista aveva

condotto, negli anni Trenta, una campagna terroristica a livello

internazionale. Poi, durante la guerra, fu messo al potere in Croazia dai

nazisti e procedette allo sterminio di centinaia di migliaia di civili

innocenti. Il 25 giugno, soltanto sette settimane dopo la conclusione della

guerra, gli ustascia si erano messi in contatto con la missione papale a

Salisburgo, nella zona dell'Austria controllata dagli Stati Uniti.

Chiedevano l'assistenza del papa per creare un altro Stato croato

indipendente, o almeno un'unione adriatico-danubiana in cui la Croazia,

secondo le leggi di natura, avrebbe potuto avere la possibilità di

svilupparsi'' (60).

Intermarium sfociò, fra le altre cose, nel movimento dei krizari, ossia

un'organizzazione di terroristi croati, reclutati nelle file degli

ex-ustascia, al fine di destabilizzare la Federazione di Jugoslavia (136).

In Italia, il referente politico era la Democrazia Cristiana (68).

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Strategia americana

Secondo Ferenc Vajta, dopo la guerra i servizi segreti americani avrebbero

assoldato ``soltanto ebrei: sovietofili e idioti'', credendo i "profughi"

dei paesi cattolici dell'Europa centrale essere ``tutti nazisti, tutti

collaboratori, traditori e gente con cui non si poteva lavorare'' (72).

Questo era il motivo per cui i migliori esperti dell'Intermarium si misero a

disposizione dei servizi francesi ed inglesi, i quali a differenza degli

americani li accolsero ``a braccia aperte''. La conseguenza per gli USA fu

la perdita del controllo delle attività spionistiche in Austria e Germania

(72).

Nel 1947, Vajta tentò di ottenere l'inversione di questa politica americana,

cercando di convincere l'agente del CIC Gowen: ``ne abbiamo abbastanza dei

piccoli intrighi inglesi e francesi. Ora, finalmente, è giunto il momento di

riorganizzare l'Europa orientale in modo che la pace sia fruttuosa. [...]

Gli inglesi e i francesi non ci possono più aiutare economicamente, ma gli

Stati Uniti possono farlo'' (72).

Alcuni agenti americani stavano già collaborando con gli inglesi al piano

per rovesciare il governo comunista di Belgrado avvalendosi dei seguaci di

Pavelic, ma questo avveniva senza autorizzazione da parte dei comandi a

Washington (94). ``Nei primi giorni di luglio 1947, invece, Gowen cominciò a

sostenere energicamente che i servizi segreti americani avrebbero dovuto

assumere il controllo dell'Intermarium; non molto tempo dopo, il funzionario

del CIC smise di dare la caccia ai nazisti, ed incominciò piuttosto ad

ingaggiarli'' (70). In particolare, gli americani rinunciarono a portare a

compimento l'arresto di Ante Pavelic, marcando così la conclusione della

loro alleanza con Vajta (92).

Nel settembre 1947, gli Stati Uniti aiutarono Vajta a fuggire dall'Italia

verso la Spagna, e gli promisero ``che, se l'ungherese fosse riuscito ad

organizzare un nuovo movimento, avrebbe avuto a disposizione i fondi

statunitensi'' (74).

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L'Unione Continentale

Nell'autunno 1947 ``Vajta decise di fondare un nuovo gruppo anticomunista,

che battezzò Unione Continentale. Il suo scopo era quello di togliere

all'Intermarium, controllato dagli inglesi, i capi degli immigrati politici,

per attirarli nell'orbita di Washington'' (74-75).

Vajta e Gowen ``ricevettero anche l'aiuto di un alto sacerdote cattolico

ungherese, monsignor Zoltán Nyísztor. [...] Ciò consentì loro di procurarsi

il sostegno del nunzio papale a Madrid, che giunse in loro aiuto con una

lettera dai toni accesi di quattro pagine, indirizzata al ministro degli

esteri [spagnolo] Artajo, avvertendo che l'Intermarium aveva subito delle

infiltrazioni da parte della massoneria francese e inglese. In seguito

all'intervento diplomatico del Vaticano, Artajo ordinò ai suoi funzionari di

aiutare Vajta e la sua Unione Continentale'' (75).

Insieme al suo ``vecchio amico'' Marjan Szumlakowski, Vajta intavolò ``dei

negoziati con alti funzionari del governo del generale Franco, il cui

risultato fu l'istituzione di un nuovo centro di emigrati politici a

Madrid'' (75). Gli uomini dell'Unione Continentale avevano ``libero ingresso

in Spagna [...] in cambio di informazioni segrete sulle operazioni

sovietiche'' (75).

Erano stati stabiliti contatti con l'arcivescovo di Toledo (68). Era inoltre

coinvolto anche Joaquin Ruiz-Giménez, il quale poco dopo ``venne nominato

ambasciatore del generale Franco presso la Santa Sede'' (75). L'istituto

culturale spagnolo diretto da Giménez costituiva la copertura ai

finanziamenti governativi spagnoli (75).

L'Unione Continentale morì nel 1948, quando Vajta fu arrestato negli Stati

Uniti (77).

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La rete di fuga dei criminali di guerra tedeschi

I conventi, gli istituti religiosi e le organizzazioni caritatevoli

costituivano nel 1945 la rete attraverso la quale i nazisti poterono

sfuggire ai tribunali:

``Alcuni dei criminali di guerra più ricercati passarono da Rauff,

a Milano, al vescovo Hudal nel Pontificio Collegio di Santa Maria

dell'Anima a Roma, per finire poi dall'arcivescovo Siri a Genova.

Qui s'imbarcarono su delle navi e salparono verso una nuova vita

in Sudamerica'' (48).

La rete era stata predisposta con un certo anticipo: Hudal incontrò Walter

Rauff, assassino di circa 100.000 persone uccise nei furgoni a gas mobili,

fin dalla primavera del 1943 (41). In quell'occasione ``furono stabiliti i

primi contatti [...] che avrebbero portato, infine, all'istituzione, da

parte di Hudal, di una rete per l'espatrio clandestino dei criminali

nazisti'' (42).

``A seguito del crollo effettivo dell'esercito tedesco in Italia, Pio XII

avviò una campagna per ottenere il diritto di inviare i suoi rappresentanti

personali in visita alle decine di migliaia di prigionieri di guerra e

internati civili che allora si trovavano nei campi italiani'', con

particolare riferimento a quelli di lingua tedesca (43-44). Ottenuto tale

diritto, fu nominato ``per prestar soccorso alla popolazione nemica

sconfitta [il vescovo antisemita] Hudal'' (44). La scelta ebbe il complice

avallo degli Americani, che ``sapevano tutto sulle convinzioni politiche del

vescovo austriaco'' e il cui servizio segreto aveva redatto un dossier sul

libro filonazista che costui aveva pubblicato nel 1936 (45).

``Senza la diretta intercessione diplomatica del Vaticano [egli] non sarebbe

mai riuscito a entrare in contatto con tanti criminali di guerra nazisti''

(45).

Lo stesso Hudal, molti anni più tardi scrisse:

``Ringrazio Dio per avermi permesso di visitare e confortare molte

vittime nelle loro prigioni e nei campi di concentramento e di

aiutarle a fuggire con falsi documenti di identità.

[...] La guerra intrapresa dagli alleati contro la Germania non fu

motivata da una crociata, bensì dalla rivalità dei complessi

economici per la cui vittoria essi avevano combattuto. Questo

cosiddetto business [...] si servì di slogan come democrazia,

razza, libertà religiosa e cristianesimo quali esche per le masse.

Tutte queste esperienze mi fecero sentire in dovere, dopo il 1945,

di dedicare la mia opera caritatevole principalmente ad

ex-nazionalsocialisti ed ex-fascisti, soprattutto ai cosiddetti

"criminali di guerra"'' (45).

Hudal era in grado di fornire qualsiasi tipo di documenti falsi: ``carte

d'identità italiane, falsi certificati di nascita, persino dei visti per il

paese verso cui si era diretti. I più utili erano i passaporti della Croce

Rossa Internazionale'' (48).

``La Santa Sede patrocinava il traffico illecito di documenti della Croce

Rossa, ottenuti con un falso nome o una falsa nazionalità. [...] Il perno di

questa operazione era il prete ungherese Gallov'' (52).

I passaporti e documenti di identità e di viaggio occorrenti per aiutare i

suoi amici nazisti erano forniti al vescovo Hudal da Montini tramite la

Commissione Pontificia di Assistenza ai profughi e la Caritas Internazionale

(43).

Il traffico illecito di documenti della Croce Rossa era noto ai servizi

segreti americani (49), ed anche il fatto che il Vaticano stava agevolando

la fuga di criminali di guerra, come è scritto nel "Rapporto La Vista" del

1947: vi erano elencate ``più di venti organizzazioni assistenziali vaticane

implicate nell'emigrazione illecita o sospettate di esserlo. In cima alla

lista degli ecclesiastici coinvolti c'era l'onnipresente vescovo Hudal''

(50). ``I burocrati di Washington decisero, alla fine, di inoltrare soltanto

una protesta discreta e molto informale presso la Santa Sede'' (53). ``Il

Dipartimento di Stato sembrava preoccuparsi maggiormente del fatto che i

documenti falsi potessero inavvertitamente aiutare degli ebrei diretti in

Palestina o degli agenti segreti comunisti [...] diretti verso l'emisfero

occidentale'' (53).

Inoltre il capitale privato americano aveva preso, autonomamente rispetto al

proprio governo, l'iniziativa di finanziare quest'emigrazione illegale (54).

Le azioni di Hudal a favore dei nazisti non passarono inosservate, ed una

serie di articoli apparsi sulla stampa italiana nel 1947 fecero scoppiare

uno scandalo, mettendo in cattiva luce persino Pio XII (54). Hudal fu

costretto a ritirarsi, ma non per questo terminò il traffico: ``da quel

momento vennero prese misure straordinarie per nascondere i percorsi di fuga

dei nazisti'' (55).

La rete fu riorganizzata meglio, e sempre con l'autorizzazione di alti

funzionari ecclesiastici: ``Il Vaticano sceglieva, per questo lavoro, dei

preti fascisti dell'Europa Centrale'' (55).

La rete di fuga di Hudal era inserita nell'organizzazione nota con la sigla

ODESSA - Organisation der Ehemaligen SS Angehörigen (organizzazione degli

ex-appartenenti alle SS). Troviamo ulteriori annotazioni nell'articolo "I

segreti della ODESSA" su Storia Illustrata:

``Segnando un giorno su un mappamondo gli itinerari percorsi nella loro fuga

da alcuni tra i maggiori criminali nazisti, Simon Wiesenthal [un

sopravvissuto del campo di concentramento di Mauthausen, diventato poi

cacciatore di nazisti e direttore del Centro di Documentazione di Vienna

sull'olocausto] si accorse che seguivano grosso modo tre direttrici

principali. Il primo di questi itinerari conduceva dalla Germania in

Austria, poi in Italia e di qui in Spagna. Il secondo collegava la Germania

con i paesi arabi, il terzo con il Sud America, precisamente con

l'Argentina. Questo paese infatti, fino al 1955 -l'anno in cui cadde la

dittatura di Perón- fu uno dei rifugi preferiti dei criminali nazisti che in

seguito si indirizzarono verso il Paraguay.

Wiesenthal constatò che molte fughe, iniziate nelle più diverse città

tedesche, convergevano verso Memmingen, un centro medievale nel cuore

dell'Allgäu (regione della Germania meridionale, tra la Baviera e il

Württemberg); da qui i fuggiaschi si dirigevano a Innsbruck e, attraverso il

Brennero, passavano in Italia.

[...] Alla fine della guerra, in piena occupazione alleata, era sorta in

Germania una serie di reti di contatto tra i nazisti chiusi in carcere e

gruppi clandestini che facevano capo a ex-gerarchi i quali vivevano nascosti

sotto falsi nomi. Già molto tempo prima del crollo del Terzo Reich, infatti,

i capi nazisti avevano ricevuto dal partito documenti di identità con nomi

falsi e stabilito dei codici segreti da usare in caso di necessità.

[...] Le due principali vie di fuga andavano da Brema a Roma e da Brema a

Genova. Lungo tutto il confine austro-tedesco, nel distretto di Salisburgo e

in Tirolo, ogni 60 o 70 km di percorso c'era uno scalo costituito da un

massimo di cinque persone, le quali conoscevano soltanto l'ubicazione dei

due scali più vicini: quello da cui giungevano a loro i fuggiaschi e quello

a cui dovevano indirizzarli. Questi scali erano mimetizzati nei luoghi più

fuorimano: capanne isolate, fattorie vicine ai confini, locande nascoste in

mezzo ai boschi. Qui i fuggiaschi giungevano accompagnati dai "corrieri",

persone che si occultavano sotto le più impensate attività.

Tra questi corrieri, ad esempio, c'erano molti degli autisti tedeschi che

gli Alleati avevano assunto per guidare sull'autostrada Monaco-Saliburgo i

camion militari adibiti al trasporto del giornale dell'esercito americano

"The Stars and Stripes". Così, spesso, nascosti dietro pacchi di giornali,

viaggiavano criminali nazisti. Questi poi, con documenti falsi e talvolta

accompagnati da donne e bambini che per sviare l'attenzione delle autorità

di frontiera si dichiaravano loro parenti, riuscivano a varcare il confine.

[...] Fu grazie all'ODESSA -afferma Wiesenthal- che Bormann, Eichmann,

Mengele e altri, riuscirono a fuggire dalla Germania e a far perdere così

bene le loro tracce.

In seguito, da altre fonti, Wiesenthal apprese che uno dei principali

organizzatori dell'ODESSA era un ex-capitano delle SS: Franz Röstel, che si

nascondeva sotto il nome di Haddad Said, viaggiava con passaporto siriano e

faceva la spola da Lindau a Zurigo o Ginevra e da qui verso la Costa Brava,

in Spagna (altro rifugio prediletto dagli ex-nazisti), l'Oriente, il Sud

America. Scoprì anche che l'ODESSA si era valsa più volte, tra l'Italia e

l'Austria, della cosiddetta via dei conventi, servendosi cioè di case

religiose, soprattutto di frati i quali, per carità cristiana, davano

ospitalità per qualche ora o per qualche giorno ai fuggiaschi, come in

passato avevano accolto gli ebrei braccati dai nazisti.''

L'ODESSA era finanziata con i fondi degli ``industriali della Renania e

della Ruhr, che nel 1933 erano stati i sostenitori di Hitler, [i quali]

avendo compreso che la guerra era ormai perduta, avevano deciso di buttare a

mare il Führer. Si erano perciò accordati per impedire che le ricchezze del

Terzo Reich cadessero in mano agli Alleati. Così cominciarono a trasferire

cospicui fondi nei Paesi neutrali, sotto la copertura di uomini di paglia

che, con operazioni commerciali legittime, diedero vita a colossali imprese.

Un rapporto pubblicato nel 1946 dal Dipartimento del Tesoro degli Stati

Uniti riferisce che le società create in tutto il mondo con il denaro

proveniente dai forzieri degli industriali nazisti erano allora 750, di cui

112 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 98 in Argentina, 214 in

Svizzera, 233 in vari altri paesi. Ma il segreto bancario, inviolabile,

copre questi trasferimenti di fondi e con essi i nomi dei finanziatori

dell'organizzazione ODESSA.''

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La rete di fuga dei criminali di guerra croati

``La maggior parte degli assassini non era neppure tedesca. Alla fine della

seconda guerra mondiale, c'erano decine di migliaia di europei dell'Europa

orientale e centrale che avevano collaborato con i nazisti ed erano

altrettanto colpevoli. Erano capi dei governi fantoccio nazisti, funzionari

municipali, capi di polizia e membri delle unità locali di polizia

ausiliaria che avevano eseguito l'olocausto. Molti si trovavano sulle liste

nere degli alleati'' (97).

Fra gli stati fantoccio di Hitler vi era la Croazia indipendente, governata

dal movimento ustascia (fascisti croati) di Ante Pavelic. Se la rete del

vescovo Hudal era specializzata nella fuga dei criminali di guerra tedeschi,

esisteva una seconda rete specializzata negli ustascia.

``Padre Krunoslav Draganovic, segretario dell'Istituto Croato di San

Girolamo, era il principale organizzatore delle ratlines utilizzate da noti

criminali di guerra per sfuggire'' alla giustizia (85). ``Gli ustascia

furono i primi a beneficiare della protezione di Draganovic.'' Secondo gli

storici ufficiali del Vaticano, infatti, si trattava di "profughi croati"

(98). La maggior parte dei fuggiaschi finì per trovare rifugio in Gran

Bretagna, Canada, Australia e Stati Uniti (97).

Non era per puri fini umanitari che il Vaticano metteva in salvo queste

persone: ``Draganovic li reclutava per entrare a far parte dei krizari'', e

per utilizzarli in azioni terroristiche contro la Federazione Jugoslava

(131).

Anche i fascisti sloveni fuggivano: ``nell'agosto del 1944 [...] gli

ecclesiastici sloveni stavano collaborando attivamente con i nazisti e già

operavano a stretto contatto con Draganovic per fornire assistenza ai

profughi'' (137).

``La Chiesa aveva conferito pieni poteri a Draganovic'' e, a dire di padre

Cecelja, ne approvava il lavoro (105).

``Una volta, all'inizio di marzo del 1946, il sacerdote croato si appellò a

eminenti figure ecclesiastiche in varie parti del mondo, tra cui i cardinali

Griffin e Gilroy in Inghilterra e in Australia, richiedendo la loro

assistenza. Poi fece pressioni sulla Segreteria di Stato affinché

intervenisse ufficialmente. Infine, si rivolse direttamente a Pio XII.

L'oggetto del suo appello erano duecento ex-miliziani ustascia e numerosi

membri delle scellerate divisioni SS Principe Eugenio e Handzar. I primi

erano slavi tedeschi, mentre i secondi venivano raccolti tra la

considerevole popolazione musulmana della Bosnia. Entrambi i gruppi avevano

commesso delle atrocità contro civili innocenti. Tra le altre persone difese

da Draganovic, figuravano gli ex-ministri del governo ustascia Dragutin

Toth, Vjekoslav Vrancic, Mile Starcevic, e Stjiepo Peric, come pure

l'ex-capo dell'aviazione Vladimir Kren. [...] Alcuni di questi uomini si

nascondevano all'interno dell'Istituto di San Girolamo o in Vaticano.

Il Vaticano agì subito, sottoponendo questi casi all'attenzione dei

diplomatici inglesi e americani e raccomandando alla loro cortese attenzione

e considerazione l'appello di padre Draganovic. Fecero seguito molti altri

interventi diplomatici da parte del Vaticano, la maggioranza dei quali in

favore di uomini che avevano perpetrato di recente l'olocausto nazista''

(126-127).

Come nel caso della rete di Hudal, i preparativi iniziarono con grande

anticipo. Sin dall'agosto 1943 Draganovic cominciò ad intercedere per Ante

Pavelic in Vaticano, e ad attuare ``i piani di Pavelic relativi

all'istituzione di un sistema per l'espatrio clandestino dei nazisti'',

coinvolgendo lo stesso papa Pio XII e ``alti funzionari della Segreteria di

Stato vaticana e dei servizi segreti italiani. Il suo collegamento più

importante era quello con monsignor Montini'' (66,98). Nel 1944, la ratline

era già pronta per essere aperta (67).

``La maggior parte dell'organico [della ratline] era costituito da sacerdoti

croati'', la maggior parte dei quali erano legati alla Confraternita di San

Girolamo (107-108). ``Con l'aiuto di altri ecclesiastici, fanatici

nazionalisti croati, [la Confraternita] divenne il quartier generale delle

ratlines'' (66).

``Sebbene Draganovic fosse noto ai diplomatici occidentali come fanatico

ustascia, i servizi segreti alleati gli diedero carta bianca'' per visitare

i campi profughi, esattamente come avevano fatto con Hudal (98-99).

``Nel maggio del 1945, servendosi di documenti di viaggio americani, il

sacerdote slavo si avventurò fuori di Roma. A bordo di un'automobile

americana, visitò l'Italia settentrionale e le zone intorno a Klagenfurt e

Villach, sul confine austro-jugoslavo. Lì prese contatto con i maggiori

leader ustascia, nonché con altri sacerdoti fascisti che prendevano parte

alle operazioni della ratline.

Il perno dell'organizzazione di Draganovic per l'espatrio clandestino era la

Confraternita di San Girolamo, che prendeva il nome dall'omonimo istituto

situato a Roma, in via Tomacelli 132, base principale delle sue operazioni.

Il comitato centrale della confraternita era costituito da monsignor Juraj

Magjerec, presidente e rettore dell'Istituto, da padre Dominik Mandic,

vicepresidente e tesoriere, e dal suo assistente Vitomir Naletilic, nonché

naturalmente da padre Krunoslav Draganovic, che ricopriva la carica di

segretario. La confraternita fu presto riconosciuta Comitato ufficiale

croato della Commissione Assistenziale Pontificia, il corpo papale di

assistenza ai profughi.

[...] In apparenza, il comitato croato offriva assistenza morale e materiale

ai profughi, ma attraverso la commissione pontificia manteneva anche stretti

collegamenti con la Croce Rossa Internazionale e con le autorità alleate in

Italia. Draganovic aveva rapporti particolarmente stretti con due ufficiali

dei servizi segreti occidentali, il colonnello C. Findlay, direttore della

sezione profughi e rimpatrio delle forze di occupazione, e il suo

assistente, il maggiore Simcock.

[...] Draganovic aveva anche stretti rapporti con importanti funzionari

italiani, specialmente col funzionario degli Affari Interni, Migliore, che

dirigeva il servizio segreto italiano e la sezione di polizia che si

occupava dei profughi in Italia. Draganovic raggiunse un accordo con

Migliore per ottenere ufficiosamente l'appoggio dell'Italia -in particolare

quello della sezione stranieri della questura- alla sua ratline.

Attraverso questa ragnatela di influenti contatti, Draganovic costruì una

sofisticata organizzazione che si estendeva in Italia, in Austria e in

Germania. Il comitato croato della Commissione Profughi del papa era in

grado d'inviare i suoi agenti a far visita ai numerosi campi in cui si erano

rifugiati i criminali di guerra nazisti che cercavano di fuggire. La maggior

parte di questi agenti era costituta da sacerdoti cattolici croati e, anche

se gran parte del loro lavoro spirituale e materiale consisteva nell'aiutare

effettivamente i malati, gli invalidi, le vedove e i veri profughi, c'era

tempo in abbondanza per aiutare anche i fuggiaschi'' (99-100).

Tra i fuggiaschi che ricevettero l'aiuto di Draganovic, il nome eccellente è

quello dell'ex-dittatore croato Ante Pavelic in persona. ``Nell'ambito dei

servizi segreti occidentali, quasi tutti sapevano che Draganovic stava

proteggendo Ante Pavelic, che si nascondeva in Vaticano. Inoltre, all'epoca,

la ratline di Draganovic era nota a tutti nell'ambito dei servizi segreti.

Il sacerdote era tristemente noto per il suo vizio di aiutare i criminali di

guerra a fuggire'' (123). Del resto, gli anglo-americani non si limitavano a

lasciarlo fare. ``Draganovic faceva regolarmente visita al quartier generale

dell'esercito e dei servizi segreti a Roma, dove il maggiore Simcock gli

rivelava i dettagli delle imminenti operazioni di arresto dei fuggiaschi''

(121).

``Gli Italiani vennero a sapere che, presso la Confraternita di San

Girolamo, erano alloggiati molti criminali latitanti, tra i quali alcuni

alti membri del governo di Pavelic. Tuttavia non venne intrapresa alcuna

azione contro Draganovic né contro i funzionari italiani che gli davano una

mano'' (109-110). Ed infatti, erano stretti i legami del prete croato nei

servizi segreti italiani (123).

Grazie all'aiuto di Montini e della Commissione papale per l'assistenza ai

profughi, Draganovic ``ottenne una gran quantità di documenti di identità.

[...] Migliaia di questi documenti aiutarono i fuggitivi ad eludere la

giustizia'' (67). ``La ratline di Draganovic era una rete sofisticata e

professionale. Era ottimamente organizzata e poteva occuparsi di centinaia

di fuggitivi alla volta. [In tutto] furono fatte pervenire a Roma circa

30.000 persone provenienti dall'Austria, per poi farle proseguire fino a

Genova e a nuove patrie nell'America settentrionale e meridionale e in

Australia'' (96).

``Le operazioni di espatrio clandestino ebbero inizio in Austria, dove padre

Cecelja fungeva da collegamento con Roma'' (100). Cecelja era il terminale

austriaco di Draganovic, e aveva iniziato a lavorare alla preparazione della

rete di espatrio sin dal maggio 1944 (102).

Cecelja si trovava a Vienna. L'armata rossa avanzava, e la sconfitta si

avvicinava. Nella Pasqua del 1945 ``l'irriducibile "ustascia giurato"

(Cecelja) lasciò Vienna e trasferì la sua base vicino a Salisburgo, dove,

alla fine della guerra, si erano riuniti molti fuggitivi nazisti'' (102).

Intervistato dagli autori del libro, ``Cecelja dichiarò con orgoglio [che il

suo compito era stato quello di] fornire documenti alle persone che avevano

perduto i propri. Non nascose di aver aiutato dei fuggitivi a cambiare

identità:

Disponevo di moduli di domanda della Croce Rossa a pacchi, per

mezzo dei quali fornivo una nuova identità a chiunque volesse

cambiare il proprio nome e la propria storia personale'' (103).

``In Austria era la sua sezione dell'organizzazione a prendersi cura dei

fuggitivi, dando loro i soldi, il cibo, l'alloggio e i documenti falsi di

cui avevano bisogno per intraprendere il viaggio dall'Austria all'Italia. A

Roma, invece, era Draganovic il centro nevralgico dell'operazione.

Provvedeva ai documenti di viaggio internazionali e, attraverso i suoi

contatti ad alto livello con i consolati sudamericani procurava i visti

necessari, soprattutto per l'Argentina. Una volta a settimana Cecelja

chiamava Draganovic per sapere quanti posti fossero disponibili per quella

settimana, e poi inviava a Roma quel numero esatto di persone'' (105).

Draganovic forniva ai fuggiaschi croati ``il necessario aiuto morale e

materiale, facendo in modo di farli fuggire in Sudamerica. Veniva aiutato in

questa attività dai suoi numerosi contatti con le ambasciate e le legazioni

del Sudamerica in Italia e con la Croce Rossa Internazionale, nonché dal

fatto che la Confraternita croata del Collegio di San Girolamo degli

Illirici, dove aveva il suo ufficio, emetteva false carte d'identità a

beneficio degli ustascia. Con tali documenti e con l'approvazione della

Commissione Pontificia per l'Assistenza ai Profughi, situata in via Piave 41

a Roma e controllata quasi esclusivamente dagli ustascia, si potevano

ottenere passaporti della Croce Rossa Internazionale, di cui Draganovic

riusciva a garantire l'emissione'' (109).

``Le carte d'identità false rilasciate ai criminali di guerra in fuga erano

stampate nella tipografia francescana. [...] A organizzare tutto questo era

[il francescano] padre Dominik Mandic, il rappresentante ufficiale del

Vaticano presso la Confraternita di San Girolamo'' (109). ``Avvalendosi dei

suoi collegamenti con la polizia segreta italiana, Draganovic fece sì che le

carte d'identità francescane venissero accettate come documenti ufficiali

sulla cui base venivano poi rilasciate le carte d'identità italiane e i

permessi di residenza'' (109).

Mandic ``mise anche la tipografia francescana a disposizione dell'apparato

propagandistico degli ustascia. Gran parte della campagna, patrocinata dagli

inglesi e intrapresa nei campi profughi come quelli di Fermo, di Modena e di

Bagnoli, dovette il suo successo ai tipografi francescani. Lo stesso Mandic

visitava regolarmente i campi per pronunciare discorsi d'incitamento ai

militanti ustascia riuniti per ascoltarlo'' (109).

``La tappa successiva della sofisticata ratline del Vaticano era Genova,

dove un altro sacerdote croato si occupava dei passeggeri: monsignor Karlo

Petranovic'' (113).

``Draganovic gli telefonava regolarmente per dirgli di quanti posti avesse

bisogno. Petranovic aveva già visitato gli uffici d'imbarco locali e

prenotato delle cuccette. Diceva allora a Draganovic quante fossero le

cuccette disponibili e, un paio di giorni prima dell'imbarco, veniva mandato

a Genova un numero corrispondente di persone. Draganovic aveva già fornito

ai passeggeri i documenti di viaggio e i visti necessari, perciò Petranovic

non doveva fare altro che trovar loro un alloggio per pochi giorni e poi

condurli alla nave. Alcune delle persone che aiutò erano senza dubbio

profughi veri e propri; [tuttavia] molti importanti criminali di guerra

fuggirono da Genova grazie al suo aiuto'' (116).

Gli inglesi conoscevano benissimo i movimenti di Petranovic a Genova, dato

che lo tenevano sotto sorveglianza speciale (116).

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I krizari

Il motivo per cui il Vaticano ed i servizi segreti occidentali lasciarono

fuggire gli ustascia era la necessità di sconfiggere il nemico "ateo

bolscevico", creando un movimento di resistenza clandestino per far

scoppiare un'insurrezione nella neonata Jugoslavia di Tito.

Oltre al compito di aiutarli a scappare, nel dopoguerra Draganovic aveva

anche ``quello di coordinare e dirigere l'attività degli ustascia in

Italia'' (108).

Poche settimane dopo la conclusione della guerra, il 25 giugno 1945, gli

ustascia si erano messi in contatto con la missione papale a Salisburgo,

nella zona dell'Austria controllata dagli Stati Uniti (60). ``Chiedevano

l'assistenza del papa per creare un altro Stato croato indipendente, o

almeno un'unione adriatico-danubiana in cui la Croazia, secondo le leggi di

natura, avrebbe la possibilità di svilupparsi'' (60).

``Uno degli ecclesiastici che maggiormente si impegnarono ad aiutare gli

ustascia fu l'arcivescovo di Salisburgo Andreas Rohracher [il quale] mise la

Chiesa a disposizione della Confederazione Pandanubiana dell'Intermarium''

(136).

I servizi segreti occidentali conoscevano benissimo queste trame, ed un

rapporto dei servizi segreti USA di quegli anni lo riassumeva con le

seguenti parole: ``Stanno tentando di istituire lo Stato Intermarium o

Inter-Danubio, composto da tutte le nazioni cattoliche dell'Europa

sudorientale'' (149). Anche ``importanti politici e burocrati italiani

aiutavano le operazioni terroristiche dei krizari'' (135).

Nel 1945 gli ustascia formularono ``l'offerta di mettersi a disposizione del

comando anglo-americano. [...] Gli inglesi avevano accettato immediatamente

questa offerta'' (136).

``Sia gli inglesi sia, in un secondo momento, gli americani avevano

assoldato quegli stessi nazisti che venivano protetti dalla Chiesa'' (128)

per ``colpire con azioni terroristiche bersagli strategici e uomini al

servizio dei comunisti'' all'interno della Jugoslavia (129). ``Questi agenti

venivano presi dalle fila degli ustascia sconfitti di Pavelic. Riandando ai

giorni della cristianità militante, il poglavnik chiamò questi guerrieri

cattolici "krizari", ossia i suoi crociati'' (129). Tale nome derivava da

quello di un gruppo ecclesiastico ufficiale degli anni Trenta, denominato

anch'esso "krizari" (145).

``Il distaccamento del CIC a Trieste riceveva informazioni sulle operazioni

che inglesi e americani dovevano compiere congiuntamente, tra cui una

campagna di reclutamento patrocinata dagli alleati al fine di procacciare

volontari per il movimento krizari. Molti di questi volontari erano già

stati portati in un campo di addestramento americano ad Udine o lì vicino,

dove ricevevano la preparazione necessaria. Venivano dati loro

approvvigionamenti e uniformi dell'esercito americano, più 700 lire al

giorno di paga. Alla fine del loro addestramento, gli uomini venivano muniti

di armi americane e portati in Austria, dai cui confini entravano in

territorio jugoslavo. Potevano utilizzare i campi inglesi in Austria, nei

quali si ritiravano periodicamente per riposarsi'' (145).

Uno dei principali collegamenti americani con la ratline di Draganovic

``durante gli anni 1946-47 [era] il colonnello Lewis Perry, [che] faceva

parte del distaccamento del CIC a Trieste'' (145-146). Costui manteneva

rapporti in particolare con Srecko Rover (146).

``Pavelic e Draganovic collaboravano strettamente, impartendo di comune

accordo i loro ordini ai gruppi terroristici'' (132). ``Pavelic e i camerati

più vicini a lui s'incontravano regolarmente con elementi simpatizzanti

delle forze armate inglesi, che avevano pagato per la riorganizzazione

unitaria degli ustascia da usare, alla fine, contro Tito'' (136).

``I rifornimenti militari ai krizari provenivano quasi esclusivamente dagli

inglesi e comprendevano mortai, mitragliatrici, fucili mitragliatori, radio

ricetrasmittenti da campo e uniformi di fattura inglese'' (136-137). In

Vaticano si trovava ``il centro del comando. Gli aiuti [...] armi e altri

rifornimenti di base arrivavano dal Vaticano con metodi clandestini. [...]

Le armi che giungevano in Croazia provenivano dalla Svizzera'' (137).

Il finanziamento del movimento avveniva attraverso le operazioni di

riciclaggio di denaro sporco di sangue proveniente dal furto nei confronti

degli ebrei e dei serbi durante la guerra; inoltre ``attraverso figure molto

influenti in ambito ecclesiastico, il comando dei krizari riceveva dei fondi

vaticani. Alcuni furono usati per indurre il governo italiano di Alcide de

Gasperi a fornire le armi richieste per la loro crociata contro Tito''

(143).

``Il colonnello dei krizari Drago Marinkovic [...] aveva la responsabilità

di procurarsi armi e fondi di provenienza italiana, viaggiando in lungo e in

largo per le missioni tra Trieste, Venezia e Roma. Inoltre Marinkovic aveva

contattato il Vaticano a Roma, dove [era] riuscito ad ottenere una grossa

somma di denaro. [...] Questi soldi servirono per procurarsi delle armi:

[...] un camion con rimorchio che trasportava fucili mitragliatori nascosti

tra pezzi di mobilio [fu consegnato ad] un gruppo di persone in attesa di

portare le armi in Jugoslavia'' (143).

``I criminali comuni, soprattutto spacciatori di droga e operatori del

mercato nero, venivano spesso utilizzati per aiutare i krizari ad

attraversare il confine jugoslavo'' (145). Il traffico delle armi avveniva

``dietro la copertura della Croce Rossa Italiana'' (145).

A dicembre 1945 ``padre Ivan Condric e altri quattro preti furono

riconosciuti colpevoli di aver organizzato le azioni terroristiche dei

krizari'' (131). Si trattava del primo processo contro i krizari in

Jugoslavia: in seguito ne vennero altri.

``Nell'agosto del 1946, una quantità considerevole di opuscoli venne gettata

sul territorio croato da alcuni aeroplani, decollati, a quanto pare, dalla

zona inglese dell'Austria. Questi opuscoli, firmati da Pavelic, dichiaravano

che la guerra sarebbe continuata senza tregua fino alla definitiva

eliminazione di Tito [...]'' (136).

Negli anni 1946-47, i krizari si infiltrarono in Croazia a partire dalle

loro basi in Austria: ``i loro ordini erano di rafforzare il movimento

clandestino e di lanciare una violenta campagna di assassinii e sabotaggi,

per prepararsi al momento in cui avrebbero finalmente regolato i conti coi

loro vecchi nemici. Il loro scopo era quello di ricongiungersi coi potenti

reparti che operavano sull'impervio terreno, distruggere le comunicazioni

telegrafiche, telefoniche e ferroviarie, attaccare l'industria e assassinare

i più importanti rappresentanti politici e militari. Invece di trovare un

movimento clandestino ben organizzato di 300.000 uomini, s'imbatterono

presto nell'efficiente e spietata polizia segreta di Tito. A pochi giorni,

se non addirittura a poche ore, dal superamento del confine, la maggior

parte di loro si ritrovò in mano ai comunisti'' (130-131).

Tra di loro ``c'erano alcune persone che avevano eseguito le stragi più

brutali per conto di Ante Pavelic, uomini che avevano messo in atto i

sanguinosi metodi politici e razziali del loro poglavnik con incredibile

accanimento'' (130).

``Il contatto radio era mantenuto mediante una radio da campo fatta

funzionare da Vrancic [...] e situata nella zona inglese dell'Austria. Si

ritiene che al servizio di corriere ustascia all'interno delle zone

austriache collaborasse la Chiesa cattolica romana in Austria [e in

particolare] il cardinale di Graz'' (133).

``L'uomo al comando delle operazioni era uno dei più fedeli servitori del

poglavnik, Bozidar Kavran, assistito da Lovro Susic'' (134).

``Gli Sloveni avevano istituito la loro sezione del movimento krizari''

sotto la leadership spirituale del vescovo di Lubiana Rozman, che si era

rifugiato a Klagenfurt (137-138). Il capo dei krizari sloveni era Franjo

Lipovec (143). ``Nel 1945 [Lipovec] fu arrestato dal SIS a Trieste, dove

[...] fu assunto e stipendiato'' dal servizio segreto inglese (143).

``Lipovec costituiva il principale legame tra i krizari e il governo

italiano. Nell'agosto 1946, s'incontrò con alti ufficiali del servizio

segreto militare italiano, i quali proposero di stabilire un certo grado di

collaborazione. Lipovec accettò la loro offerta e vendette completamente se

stesso e i suoi piani agli italiani. Tali piani vennero a loro volta forniti

al capo di gabinetto di De Gasperi e, in seguito, il presidente del

Consiglio italiano assicurò a Lipovec che il suo governo avrebbe fatto, in

via ufficiosa, qualsiasi cosa in suo potere per rafforzare l'opposizione a

Tito, promettendogli un appoggio incondizionato nel caso in cui la

situazione si fosse fatta più favorevole.

Con il sostegno finanziario dei servizi segreti italiani, Lipovec e i suoi

camerati lanciarono quindi una campagna di propaganda per procurarsi nuove

reclute tra gli esuli politici a Trieste. Il passo successivo fu quello di

armare le unità di krizari che si trovavano nella zona e, dopo diversi

incontri col servizio segreto italiano, Lipovec raggiunse un accordo secondo

cui armi provenienti dai depositi dell'esercito italiano sarebbero state

messe a sua disposizione per essere inviate ad elementi krizari che si

trovavano a Trieste. Nei mesi di febbraio e marzo del 1947, secondo

l'accordo, [...] furono consegnati otto carichi d'armi, che comprendevano

500 armi automatiche, circa 4.000 granate a mano, 100 pistole e più di 30

bombe a orologeria. I servizi segreti italiani pagarono le spese di

trasporto per portare le armi fuori dalla zona alleata di Trieste fino in

Jugoslavia'' (143-144).

``Trieste [che si trovava sotto l'amministrazione militare degli inglesi]

rappresentava il punto d'incontro tra le forze di resistenza all'interno

della Jugoslavia e le forze che le stavano finanziando, controllando e

dirigendo in Italia. Il principale collegamento era costituito dal professor

Ivan Protulipac, [...] l'uomo di padre Draganovic a Trieste'' (144-145).

Protulipac ``dopo la guerra assunse un ruolo di primo piano [...] finché

verso la fine del 1946 gli agenti comunisti non lo assassinarono a Trieste''

(145).

``La sezione croata della Croce Rossa fondata da Cecelja era, in effetti,

sotto il controllo degli ustascia, che ne utilizzavano i vari uffici come

agenzia per la raccolta di informazioni per operazioni clandestine in

Jugoslavia e in Austria. Inoltre Cecelja era noto come uno dei principali

organizzatori ustascia in Austria, dove [venivano organizzati] regolarmente

raduni militari'' (104).

Una delle loro basi era a Trofaiach (Austria), ed era diretta da Bozidar

Kavran e Srecko Rover (146). Quest'ultimo fu successivamente sospettato di

essere una spia di Tito, in quanto tutte le operazioni da lui dirette si

rivelarono disastrose: i suoi uomini venivano regolarmente arrestati appena

mettevano piede in Jugoslavia, mentre lui la scampava sempre (147-148).

``Tanti dei criminali di guerra che vennero [tratti in salvo dalla rete di

Draganovic] furono catturati in seguito durante missioni terroristiche

compiute all'interno della Jugoslavia'' (121).

In luglio ed agosto del 1948, si tenne a Zagabria un processo giudiziario

contro 57 imputati, per gli atti di terrorismo compiuti dai krizari. ``Il

verdetto, dichiarando colpevoli gli imputati, li condannava a morte o a

lunghi periodi di carcere'' (130).

In Ratlines, il procedimento viene chiamato sarcasticamente "processo

pilotato", e viene manifestato chiaramente il disprezzo degli autori nei

confronti della Jugoslavia di Tito. Dopo sei pagine di denigrazione del

processo, tuttavia, gli autori arrivano alla seguente conclusione:

``È possibile che le strane accuse fatte dagli jugoslavi durante

il "processo pilotato" ai krizari avessero, dopotutto, una certa

sostanza'' (137).

Il Foreign Office smentiva le accuse che gli venivano formulate al processo,

accusando invece l'alleato americano; tuttavia ``dietro la rinascita

militare e politica degli ustascia c'era proprio il SIS'' (132).

``Nel 1948 le prove presentate durante il processo pilotato ai krizari

lasciarono ben pochi dubbi sul fatto che la polizia segreta comunista si

fosse servita di agenti doppiogiochisti per condurre una contro-operazione

molto sofisticata. Erano riusciti in qualche modo a procurarsi i codici

radio segreti usati dai krizari ed erano informati, con buon anticipo, sui

dettagli precisi delle loro operazioni. Conoscevano gli itinerari esatti

adoperati dai gruppi che cercavano di entrare clandestinamente in

Jugoslavia, come pure la data e l'ora del loro ingresso nel paese. Grazie a

questi vantaggi, era facile per la polizia segreta attirare i krizari

inconsapevoli nelle loro mani, servendosi dei loro stessi codici radio. Una

volta all'interno del paese, potevano catturarli quando volevano.

[...] Nonostante questi terribili rovesci, le operazioni proseguirono e si

estesero addirittura in altri paesi comunisti. Per tutti gli anni Cinquanta,

fino agli inizi degli anni Sessanta, il governo jugoslavo continuò a

processare gli agenti catturati, molti dei quali erano presumibilmente

finanziati da padre Draganovic e agivano dietro suoi ordini'' (148-149).

``Altri eserciti cattolici clandestini erano stati radunati per disgregare

e, se possibile, rovesciare i regimi comunisti dell'Europa centrale e

orientale. In Cecoslovacchia, in Polonia, negli Stati Baltici e in Ucraina

gruppi di nazisti clandestini operavano a stretto contatto con i krizari.

[Fra i] complici dei krizari c'erano famigerati [fascisti ucraini, sotto il

comando di] Stjepan Bandera, per costruire [...] il Blocco delle Nazioni

Anti-bolsceviche. Cominciarono presto a lavorare per l'occidente'' (149).

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Riciclaggio di denaro sporco (di sangue)

Oltre a nascondere i fuggiaschi ed a impiegarli nel terrorismo, alcuni

funzionari ecclesiastici riciclavano i tesori rubati dai nazisti alle loro

vittime (32). Erano coinvolte nelle operazioni numerose ``banche situate in

Gran Bretagna, in Palestina, in Italia e in Svizzera.''

Inoltre Walter Rauff, dopo aver preso contatto con l'arcivescovo Siri ``si

impegnò a riciclare denaro falso con l'aiuto di Frederick Schwendt, un

ex-collega di Rauff nelle SS. Schwendt è considerato tra i più grandi

falsari della storia'' (47).

``Con l'aiuto dei preti cattolici, all'inizio del 1944 Pavelic aveva

cominciato a trasferire [a Berna] notevoli quantità d'oro e di valuta.'' Il

tesoro doveva ammontare a 2500-3000 kg di oro (142), ``ossia in realtà i

valori delle vittime assassinate da Pavelic, rubati dagli ustascia in fuga''

(127-128).

Una parte del tesoro fu portata a Roma con dei camion dal tenente colonnello

inglese Jonson. ``Due autocarri [...] che trasportavano una parte del tesoro

degli ustascia avevano [...] raggiunto l'Austria'' e furono trasferiti in

Italia ``per finanziare il movimento croato di resistenza in Jugoslavia''

(133).

Inoltre, ``a Wolfsber erano stati nascosti 400 kg d'oro, del valore di

milioni di dollari, nonché una considerevole quantità di valuta straniera, e

lì si trovavano sotto il controllo dell'ex-ministro ustascia Lovro Susic.''

Gli ufficiali ustascia ``dissero a Draganovic di tenere [il tesoro] al

sicuro. Il sacerdote obbedì fin troppo volentieri; contattò Susic e, con il

suo accordo, prese 40 kg di lingotti d'oro e li portò a Roma, nascosti in

due casse da imballaggio'' (133).

``Susic nominò Draganovic membro di un comitato di tre persone incaricato di

controllare il tesoro. [Gli altri due erano] l'ex-ministro ustascia Stjepan

Hefer e il generale di gendarmeria Vilko Pecnikar'' (134). Draganovic

``consentì a Pecnikar di avere accesso al tesoro accumulato per la sua

ratline. [...] Parte di quel tesoro andò a finanziare anche una nuova

campagna terroristica, appoggiata dall'occidente, all'interno della

Jugoslavia'', ossia il movimento dei krizari (112).

Nella veste di ``tesoriere della sezione ufficiale croata della Pontificia

Commissione di Assistenza Profughi [padre Mandic] provvedeva alla vendita

dell'oro, dei gioielli e della valuta straniera depositati dagli alti

ufficiali ustascia in cambio di valuta italiana'' (127-128).

Nei primi mesi del 1948 il vescovo di Lubiana Rozman si recò a Berna, dove

``2400 kg d'oro e altri valori rimanevano ancora nascosti. [...] Avrebbero

dovuto essere usati per aiutare i profughi di religione cattolica'', il

solito eufemismo per dire gli ex-ustascia. Gli alleati, e in particolare gli

americani, erano perfettamente a conoscenza dell'esistenza di questo tesoro

(142). ``Gli amici ustascia di Rozman erano impegnati in un'enorme truffa,

in cui ci si serviva del mercato nero per convertire l'oro in dollari e, più

tardi, in scellini austriaci'' (142).

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I personaggi

I preti

papa Pio XII (Eugenio Pacelli)

Fu papa dal 1939 al 1958, era un fervente anticomunista, e a causa

delle sue posizioni politiche veniva detto "il papa tedesco" (54).

Durante la guerra appoggiò la Croazia di Ante Pavelic (82-83). Era

perfettamente al corrente delle ratlines organizzate da Hudal e

Draganovic, in quanto era tenuto al corrente da Montini (122,126).

Giovanni Montini, il futuro papa Paolo VI

Assistente personale di papa Pio XII nella veste di sottosegretario di

Stato per gli affari ecclesiastici (25-26). Durante la guerra fu

coinvolto nelle trattative fra nazisti e occidente (25) e fu

organizzatore, per conto del papa, del Servizio Informazioni del

Vaticano (il servizio segreto vaticano) (26).

Fu lui a rifiutare l'udienza a Bokun, inviato dalla monarchia jugoslava

per trasmettere al Vaticano le prove delle atrocità di Pavelic,

malgrado che ``non ci fossero dubbi che Montini fosse ben informato

sulla reale situazione'' (82).

Aiutò e collaborò con Hudal per l'organizzazione della fuga dei nazisti

(43). Era anche l'amico di Draganovic (67,94). Questi talvolta

``chiedeva a Montini di procurarsi più visti da paesi che non ne

emettevano in numero adeguato, e il burocrate vaticano intercedeva

presso i diplomatici competenti'' (125). Altre volte, invece, era

Montini a chiedere a Draganovic di ``far espatriare clandestinamente

certa gente'' (125). Era sempre Montini che nascondeva Ante Pavelic a

Castel Gandolfo (87).

``In quel periodo Montini era il prediletto del papa e dirigeva l'opera

caritatevole della Santa Sede a beneficio dei profughi. Dato che i due

prelati s'incontravano quotidianamente per parlare del lavoro che la

Segreteria di Stato doveva svolgere, è inconcepibile che Pio XII fosse

all'oscuro di tutto'' (126).

Alois Hudal

Vescovo austriaco, amico di Pio XII (40), antisemita convinto (55), e

principale organizzatore della rete di fuga (ratline) per i criminali

di guerra tedeschi nell'immediato dopoguerra.

``Nato il 31 maggio 1885, divenne professore di studi sull'Antico

Testamento all'Università di Graz nel 1919. Quattro anni più tardi,

Hudal si trasferì a Roma come rettore del Pontificio Collegio di Santa

Maria dell'Anima, situato su una strada che paradossalmente si chiama

Via della Pace'' (37).

In tale veste, durante la guerra il vescovo aveva ``prestato servizio

come commissario dell'episcopato per i cattolici di lingua tedesca in

Italia [e] come padre confessore della comunità tedesca a Roma'' (37).

Il Pontificio Collegio, uno dei tre seminari per preti tedeschi a Roma

(34), ``era stato fondato nel XVI secolo per la formazione teologica

dei preti tedeschi, ma nel dopoguerra divenne un centro nevralgico per

l'espatrio clandestino dei nazisti'' (37).

Hudal ``era un ardente anticomunista, convinto che la vera minaccia per

l'Europa fosse rappresentata dal bolscevismo ateo. Era perciò

favorevole al raggiungimento di un accordo con i nazionalsocialisti

tedeschi, che rappresentavano l'unica potenza abbastanza forte da

sconfiggere i comunisti. [...] Riteneva che questa fosse una lotta di

importanza vitale per la Chiesa, una lotta che avrebbe deciso chi, fra

il comunismo e la cristianità, sarebbe alla fine sopravvissuto''

(37-38).

``All'inizio degli anni Trenta [...] appoggiò apertamente Hitler,

viaggiando in molte zone dell'Italia e della Germania per arringare le

grandi folle di cattolici di lingua tedesca'' (37).

``Pensava di essere stato chiamato da Dio per stabilire dei rapporti

fra i nazisti e la Chiesa Cattolica'' (37).

Nell'aprile 1933 negoziò con Franz von Papen, il vicecancelliere di

Hitler, il concordato tra Berlino e la Santa Sede. ``Prima della fine

di quello stesso anno divenne senz'altro l'alleato politico di von

Papen e fu da lui consultato immediatamente dopo il fallito putsch

nazista in Austria'' (38).

``Nel 1936 pubblicò un trattato filosofico intitolato I Fondamenti del

Nazionalsocialismo'', libro che ottenne l'imprimatur (ossia il permesso

ufficiale della Chiesa per la pubblicazione) da parte del primate della

Chiesa austriaca, il cardinale filonazista Theodore Innitzer (38). ``Il

cardinale lo approvò calorosamente come prezioso tentativo di

pacificare la situazione religiosa del popolo tedesco'' (38-39).

Il libro fu bandito dal ministro tedesco della propaganda Joseph

Göbbels, il quale ``non permetteva che i fondamenti del movimento

venissero analizzati e criticati da un vescovo romano'' (39).

Ciononostante, Hudal rimaneva ben visto alla gerarchia nazista, e

``portava un distintivo d'oro di appartenenza al partito di Hitler''

(39). Inoltre se ne andava ``orgogliosamente in giro per Roma con il

vessillo di una Germania più grande sulla sua automobile; ma quando,

nel giugno del 1944, gli alleati giunsero nella capitale italiana,

Hudal fu il primo a cambiarla: improvvisamente la sua bandiera divenne

austriaca'' (42).

``Nel 1945, dall'oggi al domani, Hudal, da ideologo fascista qual era,

cominciò a manifestare le sue nuove aspirazioni democratiche.

Abbandonando la sua posizione favorevole alla Germania, s'affrettò a

unirsi al libero comitato austriaco di Roma, e collaborò persino

all'organizzazione di una liberazione simbolica della legazione

austriaca.'' Quest'atteggiamento ipocrita era molto diffuso fra gli

Austriaci, popolo ``la cui percentuale di iscritti al partito nazista

era più elevata di quella della Germania'' e che malgrado ciò ha

``immediatamente richiesto un trattamento speciale in quanto prima

vittima di Hitler'' (42).

Dopo la guerra Hudal fece scappare numerosi criminali di guerra

attraverso la rete di fuga che aveva provveduto a predisporre sin dal

1943. Nel 1947 il suo operato fu scoperto e lo scandalo lo costrinse a

farsi da parte. Tuttavia ``ci vollero quasi quattro anni per sostituire

il vescovo austriaco come rettore del Collegio di Santa Maria

dell'Anima. Infine, nel Natale del 1951 Hudal si arrese di fronte

all'ineluttabile, annunciando che avrebbe lasciato il Collegio nel

luglio seguente.'' (55).

``Convinto che la sua unica colpa fosse quella di avere una cattiva

immagine presso la stampa, Hudal rimase a Roma fino alla sua morte,

[che avvenne nel 1963 a Grottaferrata], senza pentirsi mai della sua

opera a beneficio dei criminali di guerra nazisti:

Aiutare la gente, salvare qualcuno, senza pensare alle

conseguenze, lavorando altruisticamente e con determinazione,

era naturalmente ciò che ci si sarebbe dovuti aspettare da un

vero cristiano. Noi non crediamo all'"occhio per occhio"

degli ebrei'' (55).

Siri

Il vescovo di Genova Siri era il terminale genovese della rete del

vescovo Hudal. ``Era uno dei principali coordinatori di

un'organizzazione internazionale il cui scopo era quello di provvedere

all'emigrazione di europei anticomunisti in Sudamerica. Questa

classificazione generale di anticomunisti comprende, ovviamente, tutte

le persone compromesse politicamente agli occhi dei comunisti, vale a

dire fascisti, ustascia e altri gruppi del genere. [...] Siri

rappresentava il contatto di Walter Rauff nella messa a punto del

sistema usato da Hudal per far fuggire clandestinamente dall'Europa i

latitanti tedeschi'' (117).

``Anche se pensava soprattutto a mantenere la propria organizzazione,

Siri sapeva tutto sulla rete croata'' e aiutava talvolta Petranovic

``dandogli una mano ogni volta che poteva'' (117).

Krunoslav Draganovic

Prete croato, stretto collaboratore di Ante Pavelic, sia durante che

dopo la guerra. In quanto ``rappresentante croato all'Intermarium in

veste quasi ufficiale'' (65) si impegnò a far fuggire molti criminali

ustascia ed a organizzare il movimento dei krizari. Era noto come

"l'eminenza grigia dei Balcani" (123) ed anche ``come "il prete d'oro"

poiché controllava gran parte del tesoro rubato'' alle vittime degli

ustascia durante la guerra (133).

Nacque nel 1903 a Brcko, in Bosnia, e prese i voti nel 1928. Dal '32 al

'35 studiò al Pio Pontificio Istituto Orientale e all'Università

Gregoriana Pontificia, lavorando negli archivi vaticani (66). ``Divenne

in seguito segretario del vescovo di Sarajevo Ivan Saric, che raggiunse

una certa notorietà durante la guerra come boia dei Serbi'' (66,136).

``Quando i nazisti occuparono Zagabria nell'aprile del 1941, era

professore di teologia all'università locale. In seguito raccontò:

Quando venne proclamato lo stato croato indipendente ero in

attesa a Zagabria con le lacrime agli occhi. Pensavo che la

nazione croata, dopo otto secoli, avesse finalmente

realizzato il suo più profondo desiderio d'indipendenza e

d'autonomia'' (106).

(In realtà lo stato croato non era per nulla indipendente: era uno

stato fantoccio impiantato dai Tedeschi senza che i Croati avessero

neanche dovuto combattere)

``Era vicepresidente dell'Ufficio per la Colonizzazione ustascia.

Questo ufficio costituiva parte integrante della macchina usata dai

nazisti per il genocidio, poiché disponeva dei serbi o degli ebrei

destinati allo sterminio, oppure, se erano molto fortunati, alla

deportazione'' (106).

``Draganovic era un criminale di guerra latitante: la Commissione

Jugoslava per i Crimini di Guerra mise a verbale che il sacerdote era

stato un alto funzionario del comitato addetto alla conversione forzata

al cattolicesimo dei serbi ortodossi. Inoltre aveva scoperto il suo

ruolo di primo piano nella requisizione forzata di cibo durante la

sanguinosa offensiva anti-partigiana compiuta dai nazisti sul Monte

Kozara, nella Bosnia occidentale, durante l'estate del 1942. Fu la

stessa offensiva in cui l'ex-presidente austriaco Kurt Waldheim svolse

un ruolo di primo piano come ufficiale nazista. Pavelic conferì a

Waldheim un'importante decorazione per i suoi servigi e poi, alla fine

della guerra, lo seguì in Austria'' (105-106).

``Nell'agosto del 1943, Pavelic e l'arcivescovo Stepinàc inviarono

Draganovic a Roma [con la carica di] rappresentante ustascia in

Vaticano [per] costruire la rete clandestina per l'espatrio dei

nazisti'' (107). In tale veste, ed in quella di rappresentante della

Croce Rossa croata, iniziò a preparare i percorsi di fuga per i

criminali di guerra (66).

``Riceveva l'appoggio dell'arcivescovo di Croazia, Aloysius Stepinàc,

che gli aveva procurato influenti contatti in Vaticano'': si incontrava

regolarmente con il segretario di Stato Maglione, con il vicesegretario

di Stato Montini (il futuro papa Paolo VI), e persino con papa Pio XII

(66-67,94).

Divenne segretario della Confraternita croata di San Girolamo, situata

a Roma, in Via Tomacelli 132 (65). ``Fondata nel 1453 con il patrocinio

di papa Nicola V, la Confraternita di San Girolamo aveva sfornato

alcuni dei più eminenti studiosi, scienziati, scrittori e preti della Croazia'' (66).

Nel dopoguerra sarà lui a coordinare e dirigere il movimento ustascia

in Italia (108), facendo fuggire i criminali di guerra attraverso la

sua rete clandestina e reclutandoli per entrare a far parte dei krizari

(131).

``Draganovic era non soltanto un capo del Partito Clericale Croato, ma

anche uno dei maggiori leader dei krizari. Manteneva eccellenti

contatti con le sue forze all'interno della Croazia e riceveva il

sostegno della Chiesa Cattolica'' (137).

``Nell'estate del 1945, Draganovic fece personalmente un giro dei campi

in cui erano stati sistemati ex-componenti delle forze armate e delle

organizzazioni politiche ustascia. Avviò ben presto un'intensa attività

politica e prese contatto con i principali rappresentanti ustascia. In

questo era assistito da altri sacerdoti croati, con l'aiuto dei quali

si mantennero stretti rapporti fra la Confraternita di San Girolamo e i

gruppi ustascia in tutta Italia e anche in Austria. Ciò condusse alla

formazione di un servizio di spionaggio politico che permise alla

Confraternita di raccogliere resoconti e dati sulle tendenze politiche

tra gli emigrati. È altresì probabile che le informazioni apprese da

questi rapporti venissero poi trasmesse al Vaticano'' (107).

Si sospetta che Draganovic agisse nell'ambito del servizio segreto

vaticano, agli ordini di monsignor Angelo Dell'Acqua; sono inoltre

confermati ``stretti legami tra Draganovic e i servizi segreti

italiani'' (123).

Draganovic ``dichiarava inequivocabilmente che coloro i quali hanno

commesso crimini di guerra, soprattutto crimini contro l'umanità,

devono essere puniti. Tuttavia sosteneva che proprio i più colpevoli

non avrebbero dovuto essere classificati come criminali di guerra''

(119). ``Le uniche persone condannate da Draganovic come criminali di

guerra furono i soldati che s'insanguinarono effettivamente le mani

[...]. Egli escludeva [...] i politici che avevano effettivamente

decretato le leggi razziali che avevano reso legale la strage'' (120).

Vilim Cecelja

``Schedato dal governo di Tito come criminale di guerra numero 7103''

(101), questo prete ustascia collaborò attivamente con il regime di

Ante Pavelic durante la guerra, e dopo divenne il collegamento

austriaco della rete di Draganovic (100).

``Dieci giorni dopo che Pavelic fu messo al potere dai nazisti, il

quotidiano ufficiale ustascia "Hrvatsky Narod" (Nazione Croata)

pubblicò una lunga intervista con Cecelja. L'articolo s'intitolava "Il

prete ustascia Cecelja" e rivelava quelle che erano, all'epoca, le sue

vere attitudini. Nel corso di esso, Cecelja si vantava dell'importante

ruolo svolto, prima della guerra, nelle attività illegali del movimento

a Zagabria, dove molti capi ustascia che operavano clandestinamente

s'erano incontrati in segreto nella sua parrocchia.

Ammise [di fronte agli autori di Ratlines, che lo intervistarono nel

1989] di aver fatto parte segretamente del movimento ustascia,

descrivendo con orgoglio il giuramento rituale che aveva compiuto

davanti a due candele, a un crocifisso e a una spada e una pistola

incrociate. Ciò gli valse il titolo di "Ustascia Giurato", concesso

soltanto a coloro che militavano nel partito da prima della guerra.

Successivamente il prete fascista offrì a Pavelic il suo crocifisso e

le sue candele in segno di devozione. Cecelja parlò con orgoglio anche

del suo ruolo di primo piano nel coordinamento di 800 contadini che

combatterono a fianco dei nazisti invasori.

Quando ci fu bisogno di un sacerdote per officiare alla cerimonia del

giuramento di Pavelic, Cecelja fu ben lieto di farlo, impartendo così

la benedizione della Chiesa al regime fantoccio dei nazisti. Poco tempo

dopo, in pubblico, Cecelja "salutò con gioia il momento di libertà",

proclamando apertamente i suoi stretti collegamenti con i maggiori

ministri del gabinetto ustascia, come Mile Budak. Qualche settimana più

tardi Budak annunciò pubblicamente il destino di due milioni di serbi

in Croazia: un terzo doveva essere ucciso, un altro terzo deportato e

il resto convertito con la forza al cattolicesimo. Cecelja, tuttavia,

non modificò il suo atteggiamento benevolo nei confronti di Budak''

(101).

Fece parte ``della delegazione ufficiale di Pavelic a Roma, benedetta

in Vaticano da Pio XII il 17 maggio del 1941. A quell'epoca il

dittatore croato aveva già promulgato le sue leggi contro i serbi e gli

ebrei e il genocidio era in corso. La principale conquista della

delegazione fu la cessione della costa dalmata all'Italia, cosa che non

rappresentò certo un atto di patriottismo croato'' (101).

``Cecelja ha tranquillamente ammesso di essere stato cappellano

militare nelle forze ustascia durante la guerra, [...] nominato da

Pavelic in persona nell'ottobre del 1941 e più tardi confermato dal suo

caro amico, l'arcivescovo (in seguito cardinale) Aloysius Stepinàc''

(101).

``Nel maggio del 1944 abbandonò finalmente la sua carica [di cappellano

militare] per recarsi a Vienna, ufficialmente per prendersi cura dei

soldati croati feriti in battaglia. In realtà, il suo compito era

quello di preparare il capo austriaco della rete per l'espatrio

clandestino dei criminali nazisti, per cui fondò anche la sezione

locale della Croce Rossa Croata, che forniva una copertura ideale alla

sua attività illecita'' (102). A proposito della Croce Rossa Croata,

bisogna far notare che la stessa Croce Rossa Internazionale si rifiutò

di riconoscerla, ``pur offrendole ufficiosamente notevole assistenza''

(102).

``Un diplomatico americano sollevò Cecelja da qualsiasi accusa di

collaborazionismo con i nazisti. Il console americano a Zagabria

affermò che il sacerdote era stato esiliato a Vienna da Pavelic per il

suo ruolo in un complotto anti-ustascia.'' Queste affermazioni erano

tuttavia smentite dal fatto che ``Cecelja continuò a viaggiare su aerei

ufficiali degli ustascia tra Vienna, Zagabria, Praga e Berlino.'' Egli

inoltre ``ricevette da Zagabria l'ordine di condurre un'intensa

campagna propagandistica tra gli ustascia presenti in Austria'' (102).

Nel 1945, Cecelja si trasferì da Vienna a Salisburgo: ``il sacerdote

ustascia era provvisto di documenti americani e della Croce Rossa che

gli permisero di viaggiare liberamente attraverso la zona di

occupazione statunitense'' (102-103). ``Il 19 ottobre del 1945 venne

arrestato dal quattrocentesimo distaccamento CIC dell'esercito degli

Stati Uniti. Rimase in carcere per i 18 mesi successivi.'' In agosto

1946 ``il governo jugoslavo richiese la sua estradizione come

traditore, descrivendone accuratamente le attività in favore degli

ustascia durante la guerra'' (103).

Tuttavia nel marzo 1947 Cecelja venne rilasciato e ciò malgrado la

``decisione da parte dell'Extradition Board americano in Austria di

approvare la richiesta jugoslava'' (104). Avevano parlato a suo favore:

l'arcivescovo Stepinàc; il vescovo americano Joseph Patrick Hurley, che

si trovava in Jugoslavia come rappresentante del papa; il Foreign

Office inglese, secondo il quale ``la maggior parte delle sue azioni

[era] stata di carattere umanitario e non politico''; il console

americano a Zagabria, per il quale Cecelja era un ``sacerdote di sani

principi''; ed il Segretario di Stato americano George Marshall

(103-104).

Cecelja partecipò anche alla costituzione del movimento dei krizari:

``era noto come uno dei principali organizzatori ustascia in Austria,

dove partecipava regolarmente a raduni militari e faceva infuocati

discorsi ai fedeli riuniti'' (104).

``In seguito, fu direttamente implicato dalle autorità del

controspionaggio australiano in una serie di azioni terroristiche

intraprese da cellule ustascia operanti a Sidney e Melbourne'' (104).

Nel 1957 ottenne un visto per visitare gli Stati Uniti (104).

``Cecelja morì qualche mese dopo aver concesso un'intervista'' agli

autori di Ratlines (100). Ha ``trascorso i suoi ultimi anni di vita in

un pittoresco villaggio appena fuori Salisburgo, dove le suore del

convento Maria Pline si prendevano cura di lui'' (100). All'epoca

dell'intervista aveva 80 anni ed ``era ancora molto fiero

dell'importante ruolo che aveva svolto in favore della sua amata

Croazia. Pur criticando gli ustascia per aver procurato una brutta

reputazione ai Croati, non mostrava né senso di colpa né rimorso''

(100).

Nell'intervista rilasciata nel 1989, Cecelja ammise:

``Fui fiero di aiutare questi fuggiaschi, registrandoli e

offrendo loro cibo, alloggio e documenti di immigrazione,

nonché l'opportunità di spostarsi in giro per il mondo fino

in Argentina. Ricevevo i documenti dalla Croce Rossa''

(104-105).

Karlo Petranovic

Nel 1934 divenne parroco di Ogulin, ``un distretto composto sia da

serbi sia da croati'' (114). ``Quando i nazisti invasero la Jugoslavia

nell'aprile del 1941, Petranovic era cappellano nell'esercito'' (114).

``Si era unito al movimento [ustascia] subito dopo l'invasione'' (114).

``Fu chiamato a ricoprire cariche ufficiali molto alte e influenti.

[...] Gli era stato conferito il grado di capitano nell'esercito

ustascia e aveva accettato la carica di vice del capo ustascia di

Ogulin. [...] Egli divenne un fattore molto importante nella politica

locale del regime ustascia, che decideva della vita e della morte dei

serbi di Ogulin e del distretto circostante. [...] Tale politica

consisteva nel seminare il terrore tra la popolazione serba

completamente innocente e si risolse nello sterminio di circa duemila

serbi locali'' (114).

``Una volta aveva diretto l'arresto e l'esecuzione di eminenti

personalità serbe. Un'altra volta il prete, a quanto si diceva, fu

responsabile del prelevamento dall'ospedale di Ogulin di cinque o sei

pazienti serbi che furono uccisi nelle circostanze più brutali. Un

altro episodio fu l'assassinio del dottor Branko Zivanovic, avvenuto il

31 luglio del 1941. [...] Petranovic aveva collaborato

all'organizzazione degli arresti di massa dei serbi di Ogulin e del

distretto, che furono derubati e uccisi, alcuni a Brezno, gli altri

vicino al villaggio di St. Petar. [Ebbe un ruolo] nella morte di circa

un centinaio di serbi alla fine di luglio, un massacro compiuto in

seguito a una decisione presa dal comitato ustascia di Ogulin, di cui

Petranovic era un alto e influente membro. [...] Il comitato ustascia

di Ogulin, di cui Petranovic era funzionario, fu responsabile

dell'invio di centinaia di serbi e di croati del posto ai campi di

concentramento degli ustascia, cosa che si concluse con lo sterminio

della maggior parte di queste persone'' (115).

Nel 1947 gli jugoslavi ne chiesero l'estradizione agli inglesi (114),

ma questa non fu concessa. Fino ad oggi, Petranovic ha continuato a

negare i suoi crimini di guerra, affermando che non era stato messo al

corrente di quanto accadeva (114).

Nel 1989 Petranovic fu intervistato dagli autori di Ratlines. ``A

domande relative alle sue attività postbelliche, Monsignor Petranovic

rispose ammettendo senza problemi di aver aiutato un paio di migliaia

di persone a lasciare l'Italia via Genova'' (115).

Al termine della guerra ``fu inviato al confine austro-jugoslavo, dove

poteva muoversi liberamente tra gli ustascia in fuga. Si stabilì per un

certo tempo a Graz, dove si nascondevano molti famigerati criminali di

guerra. Lì fu aiutato nel suo lavoro dal vescovo Ferdinand Pawlikowski,

che ottenne dal capo della polizia locale il permesso di far rimanete

Petranovic a Graz. Da lì il sacerdote croato riuscì a scendere fino a

Trieste, dove il vescovo locale provvide al suo alloggiamento; poi

proseguì verso Milano, dove venne aiutato dal cardinale Schuster, per

arrivare finalmente a Genova verso la fine del 1945. Voleva recarsi

presso la Confraternita di San Girolamo a Roma, ma era già piena;

perciò rimase a Genova e divenne l'agente locale di Draganovic'', dopo

essere stato assoldato da questi in persona durante una visita a Genova

(115-116).

Petranovic manteneva ``ottimi collegamenti nella gerarchia

ecclesiastica, soprattutto con il vescovo di Genova Siri'', il quale

era il terminale genovese dell'altra rete di fuga, quella del vescovo

Hudal (117).

Monsignor Petranovic ``ha oggi quasi 80 anni e, negli ultimi tre

decenni è vissuto a Niagara Falls, in Canada'' (113).

Gregory Rozman

``Durante la guerra, in assenza di Krek, [il vescovo di Lubiana] Rozman

si era assunto la responsabilità del Partito Clericale Sloveno,

stabilendo stretti contatti sia con i fascisti italiani sia con i

nazisti'' (138). ``Verso la metà del 1942 andò in Vaticano per una

missione segreta, consistente nel chiedere a Pio XII armi, cibo

uniformi e altro equipaggiamento essenziale per il suo esercito

anticomunista cattolico. Di conseguenza, gli italiani rifornirono le

forze armate di Rozman. Dietro suo suggerimento, un certo numero di

preti assunse anche ruoli chiave a livello militare e spionistico per

conto delle potenze dell'Asse.

Quando, nel settembre del 1943, gli italiani capitolarono, Rozman fece

in modo che il passaggio al dominio nazista fosse il più facile

possibile, suggerendo al gauleiter di Hitler la formazione della

Guardia Nazionale Slovena. Questa Guardia Nazionale era completamente

sotto il controllo tedesco, poiché obbediva direttamente agli ordini

del capo delle SS locali e della Polizia Superiore. Fu tristemente nota

per i suoi massacri di civili, soprattutto sostenitori dei partigiani

guidati dai comunisti, mentre la polizia segreta conduceva una campagna

terroristica sotto la direzione della Gestapo.

Mentre avevano luogo queste atrocità, Rozman sosteneva

entusiasticamente la causa nazista, emettendo numerosi appelli affinché

gli Sloveni combattessero dalla parte della Germania. La sua Lettera

Pastorale del 30 novembre 1943 rappresentò un'espressione tipica del

tono filonazista che caratterizzava l'opera spirituale del vescovo.

Dopo aver sollecitato i suoi fedeli a combattere per la Germania,

sottolineò che soltanto "per mezzo di questa coraggiosa lotta e di

questo industrioso lavoro per Dio, per il popolo e per la terra dei

padri [gli Sloveni si assicureranno], sotto la guida della Germania, la

[loro] esistenza e un futuro migliore, nella lotta contro la congiura

ebraica"'' (138-139).

Nel 1943 fu ``fotografato sul palco con il comandante delle SS locali,

[il generale Rosener,] durante una cerimonia ufficiale. La Guardia

Nazionale aveva appena giurato di presentare servizio sotto la guida di

Hitler, e stava marciando di fronte al suo ufficiale di comando. Il

generale delle SS se ne stava rigido sull'attenti, facendo il saluto

nazista, mentre il vescovo dava la pia approvazione al suo esercito

collaborazionista'' (139).

(La stretta di mano fra Rozman e Rosener è raffigurata nella fotografia

nei risguardi della copertina del libro.)

``Sei mesi prima della fine della guerra, Krek e monsignor Preseren

perorarono la causa di Rozman presso il papa. Nel corso di un incontro

con Pio XII tenutosi il 26 novembre del 1944, consegnarono al pontefice

la lettera personale del vescovo. Rozman esponeva per sommi capi il suo

piano per uno sforzo, appoggiato dall'Occidente, destinato a

sconfiggere i partigiani di Tito e a instaurare un governo

filooccidentale. Non appena cessarono le ostilità, il Vaticano

intraprese una campagna per ottenere la libertà del suo vescovo,

chiedendo ripetutamente che gli venisse concesso un salvacondotto

dall'Austria per potersi rifugiare presso la Santa Sede. Si offrirono

persino di inviare un sacerdote appositamente scelto fino a Klagenfurt,

[nella zona di occupazione inglese,] per prendere Rozman. L'uomo scelto

per questo compito fu nientemeno che padre Draganovic.'' La missione

ebbe luogo nel maggio 1945 (139).

``Gli inglesi [con la complicità statunitense] gli permisero di fuggire

e di svolgere un ruolo di primo piano nell'ambito del movimento dei

krizari'' (139-140). La decisione degli inglesi di lasciar fuggire

Rozman conseguì dalle pressioni di Krek ``sul Foreign Office, tramite i

buoni uffici di un membro laburista del Parlamento'' (140). ``L'11

novembre del 1947 Rozman sparì dal palazzo del vescovo di Klagenfurt e

[...] si recò a Salisburgo per mettersi sotto la protezione

dell'arcivescovo Rohracher. [...] Aveva lasciato Klagenfurt in

un'automobile del personale dell'esercito americano, guidata da un

autista americano'' (142).

``Rozman, non appena fuggito da Klagenfurt, aveva ripreso con

entusiasmo il suo lavoro per il movimento clandestino nazista. Il

vescovo collaborazionista s'era unito ai krizari'' per finanziare i

quali si dedicò al recupero del tesoro di guerra (142). ``Alla fine di

maggio 1948, Rozman [...] viaggiò fino agli Stati Uniti e si stabilì a

Cleveland, nell'Ohio'' (143).

Dragutin Kamber

Era ``legato alla Confraternita di San Girolamo, all'interno della

quale aveva studiato dalla fine degli anni Venti ai primi anni Trenta''

(108). ``Dal 1936 era stato membro del partito ustascia'' (108). ``Il

sacerdote era stato anche ufficiale della famigerata guardia del corpo

personale di Pavelic'' (108).

``Padre Dragutin Kamber era un sanguinario responsabile di omicidi di

massa'' (108). ``Dopo l'invasione da parte dell'Asse, fu messo a capo

dell'amministrazione ustascia nella città di Doboj, [in Bosnia,] e uno

dei primi provvedimenti che prese fu quello di istituire un campo di

concentramento, di cui era comandante lui stesso. Introdusse nel

distretto le regole razziali naziste e, di conseguenza, ordinò agli

ebrei e ai serbi di portare intorno al braccio rispettivamente una

fascia gialla e una fascia bianca. In seguito proclamò che i serbi e

gli ebrei dovevano essere sterminati in quanto dannosi per lo stato

ustascia'' (108).

``A Doboj, compì arresti in massa e fece internare i serbi. Molte delle

vittime venivano spesso portate in casa di Kamber per essere

interrogate e, dietro suo ordine, uccise nelle cantine. I primi ad

essere assassinati in questo modo furono i sacerdoti e gli insegnanti

serbi'' (108).

Milan Simcic

``Uno dei colleghi più vicini a Draganovic nella rete per l'espatrio

clandestino dei criminali di guerra'' (100). ``Lavorava all'interno

della Confraternita di san Girolamo e aiutava Draganovic nelle sue

operazioni'' (110). ``Lavorò diversi anni per la ratline a Roma''

(122).

``Oggi Simcic è un alto funzionario vaticano e ammette apertamente che

la Confraternita di San Girolamo protesse eminenti fuggiaschi ustascia.

[...] Ha detto con assoluta chiarezza che il dottor Draganovic si

prendeva cura a parte delle persone più importanti, tra cui ex-ministri

del governo ed ex-capi di polizia'' (124). Sempre secondo la

testimonianza di Monsignor Simcic, ``il dottor Draganovic e Montini

s'incontrarono molte volte per parlare dell'operato della Confraternita

di San Girolamo'' (125).

Dominik Mandic

Era ``rappresentante ufficiale del Vaticano presso la Confraternita di

San Girolamo: [...] era, inoltre, un alto funzionario dell'ordine

francescano, poiché ricopriva la carica di economo generale

(tesoriere)'' (109). ``Mandic era l'alto funzionario francescano che

mise la stampatrice dell'ordine a disposizione della Confraternita di

San Girolamo in modo da poter fornire le carte d'identità false ai

fuggiaschi'' (128). ``Padre Dominik Mandic controllava le finanze

dell'istituto di san Girolamo con notevole destrezza [nella veste di]

tesoriere della sezione ufficiale croata della Pontificia Commissione

di Assistenza Profughi'' e provvide a riciclare il denaro sporco di

sangue degli ustascia (127-128).

Josip Bujanovic

Sacerdote fascista croato (134) e criminale ricercato (95). ``Durante

la guerra era stato il leader ustascia della città di Gospic''

(134-135). ``Prese parte al massacro dei contadini ortodossi'' (135).

``Bujanovic abbandonò la Croazia all'arrivo dei comunisti e divenne un

alto ufficiale krizari'' (135). ``Organizzò il viaggio di Pavelic in

Argentina e poi [sembra che] lo seguì in Sudamerica, prima di

stabilirsi definitivamente in Australia'', dove oggi vive ancora

serenamente (95,135).

I nazisti

Ferenc Vajta

Ferenc Vajta era un ``criminale di guerra ungherese, tirapiedi

nazista'' (76), ``autore di spietati eccidi di massa'' (78).

Prima della guerra aveva studiato alla Sorbona e si era unito alla

loggia Grand Orient, ``specializzata nelle faccende dell'Europa

centrale e orientale'' e con vedute filofrancesi (62). ``È stato

protagonista attivo della politica clandestina degli emigrati politici

sin dal 1932, quando cominciò a impegnarsi in questi campi per ordine

del Ministero degli Affari Esteri ungherese'' (73).

Fu ``uno dei principali propagandisti nazisti nei quotidiani

patrocinati dalla Germania'' (71). Inoltre ``aveva lavorato per i

servizi segreti ungheresi prima della guerra'' (71). ``Tra il 1941 e il

1944, i governi ungheresi filonazisti avevano inviato spesso Vajta in

missioni speciali, anche a Berlino, a Istanbul e in numerosi paesi

balcanici che, all'epoca, collaboravano attivamente con i tedeschi''

(71). Nel 1944 fu promosso a Console Generale a Vienna (71). Tentò poi

di giustificare il suo collaborazionismo con la necessità di frenare

l'avanzata comunista (71).

Alla fine della guerra fu ``console ungherese a Vienna, inviato per

organizzare il trasloco dell'industria ungherese e stabilire itinerari

di fuga per i "profughi". [...] Allestì più di 7.000 vagoni ferroviari

carichi di macchinari e di pezzi di fabbriche per raggiungere la

Germania occidentale e salvò dai sovietici la grande maggioranza dei

borghesi e degli aristocratici ungheresi. I francesi scoprirono presto

che Vajta era uno dei pochi uomini a sapere dove fosse stata trasferita

l'industria ungherese. I francesi erano disperatamente a corto di soldi

per finanziare le operazioni clandestine e il tesoro rubato di Vajta

divenne, nel 1945, la principale base finanziaria della ripresa

d'interesse per l'Intermarium da parte della Francia'' (61).

Subito dopo la guerra ``fu preso in una retata del CIC e detenuto a

Dachau. Fortuna volle che uno dei suoi compagni di prigione fosse il

principe ereditario del Siam; un funzionario inglese venne per liberare

quest'ultimo, e riconoscendo il nome di Vajta fece uscire anche lui''

(70).

Vajta, infatti, era ``considerato troppo prezioso nelle operazioni di

spionaggio da francesi e inglesi, per essere riconsegnato al governo

del suo paese'' (71). E infatti nel 1945 ``fu assoldato dal Deuxième

Bureau e dall'Alto Comando Francese in Austria'' (62). Lavorò ``per più

di due anni sia coi servizi segreti francesi sia con quelli inglesi,

organizzando due movimenti clandestini contro i russi'' (61). Sotto la

direzione francese prima e inglese poi, fu il principale organizzatore

dell'Intermarium (62).

Il 10 aprile 1947, Vajta fu arrestato a Roma dalle autorità italiane,

``ma il 26 aprile venne rilasciato, malgrado si trovasse sulla lista

ufficiale dei criminali di guerra e l'Italia dovesse consegnarlo come

tale alle autorità straniere. [...] Il rilascio di Vajta era stato

congegnato da Pecorari, segretario generale della Democrazia Cristiana

[e vicepresidente dell'Assemblea costituente] e da Insabato, capo del

Partito Agrario Italiano'' (69).

In seguito cercò di ottenere l'appoggio degli Stati Uniti

all'Intermarium, e nel mese di luglio fu assoldato dal CIC (70). Aveva

``eccellenti contatti in Vaticano, in Inghilterra, in Francia e in

Spagna'' (73). Inoltre ``conosceva personalmente il generale Franco, il

ministro degli esteri spagnolo Artajo e il cardinale primate di

Spagna'' (74).

Nel 1947, Vajta intraprese un viaggio segreto con Casimir Papee, ``uno

straordinario diplomatico polacco [...] presso la Santa Sede dal 1939,

[...] un autorevole membro dell'Intermarium [che aveva] collegamenti

con i servizi segreti occidentali. [...] Nel corso del loro viaggio i

due s'incontrano con funzionari dei servizi segreti inglesi e

francesi'' (73-74).

A seguito di pressioni da parte del governo ungherese, la polizia

italiana emise un mandato d'arresto nei confronti di Vajta (73). Il 3

settembre, al ritorno dal suo viaggio con Papee, l'ungherese fu

avvisato ``del suo imminente arresto. [...] Vajta si recò

immediatamente a Castelgandolfo, la residenza estiva del Pontefice.''

La mattina del giorno successivo poté tornare impunemente a Roma,

grazie alle sue potenti amicizie: ``Alcide De Gasperi, che era anche

primo ministro, aveva personalmente garantito per la [sua] salvezza.''

Inoltre egli aveva ottenuto dei documenti falsi, rilasciati dai

francesi. A Roma ottenne una breve ospitalità ``presso un padre gesuita

ungherese nell'Università Gregoriana Gesuita'', e scappò poi per

Livorno con l'agente del CIC Gowen, per poi scappare in Spagna (74).

Da quell'anno, si mise a lavorare per gli americani al progetto

dell'Unione Continentale (74-75). Il 16 dicembre 1947 arriva a New York

``con un visto emesso dal consolato americano a Madrid e contrassegnato

dalla dicitura "Diplomatico"'' (76). Negli USA, Vajta incontrò ``il

cardinale Spellmann, il leader gesuita padre La Farge e un gran numero

di capi politici emigrati'' allo scopo di ``procurarsi appoggi per

l'Unione Continentale'' (77).

La visita di Vajta non passò inosservata, e grazie all'intervento dei

due noti giornalisti Drew Pearson e Walter Winchell ``il governo fu

sommerso dalla pubblicità negativa'' (77). ``Vajta fu immediatamente

arrestato, e il 3 febbraio 1948 gli ungheresi chiesero la sua

estradizione.'' ``Gli americani non volevano restituirlo all'Ungheria''

e finalmente fu ``cacciato dagli Stati Uniti nel febbraio del 1950 [e]

dopo il rifiuto da parte di Italia e Spagna di raccoglierlo, andò in

Colombia'' (77).

``Il Vaticano intervenne e fece in modo che la Colombia lo accettasse e

che un piccolo collegio cattolico situato laggiù lo impiegasse.

Trascorse il resto della sua vita a Bogotà come professore di

economia'' (78).

Walter Rauff

Criminale di guerra, capo della Gestapo nella Repubblica di Salò e

terminale milanese della rete di fuga del vescovo Hudal nel dopoguerra.

Partecipò direttamente allo sterminio degli Ebrei, mettendo a punto

un'innovativa tecnica di morte:

``A seguito dell'angoscia provata da Himmler [ministro degli interni]

nell'assistere a una fucilazione di massa di ebrei a Minsk nel 1941,

Rauff aveva diretto lo svolgimento del programma per la messa a punto

di furgoni a gas mobili'' nei quali morirono ``circa centomila persone,

per la maggior parte donne e bambini dell'Europa orientale'' (41).

``In seguito alla caduta del regime di Mussolini, nel settembre del

1943 Rauff fu inviato in Italia settentrionale, dove prestò servizio

presso le SS nella zona intorno a Genova, Torino e Milano. Ancora una

volta il suo incarico era quello di sterminare la popolazione ebrea''

(41).

Nella primavera del 1943, il vescovo Hudal ``entrò in contatto con

questo famigerato autore di stragi'', incontrandolo a Roma, dove Rauff

era stato mandato dal suo superiore Martin Borrmann per sei mesi

(41-42). ``In quei mesi furono stabiliti i primi contatti col Vaticano,

che avrebbero portato, infine, all'istituzione da parte di Hudal di una

rete per l'espatrio clandestino dei criminali nazisti'' (42).

``Con l'aiuto di Rauff, i più alti funzionari della Wehrmacht

nell'Italia settentrionale [ed in particolare l'Obergruppenführer Karl

Wolff] intrapresero una serie di negoziati segreti per la resa. Allen

Dulles, il capo del servizio segreto americano in Svizzera, concluse la

resa con le forze tedesche con l'aiuto di intermediari del Vaticano. A

questi negoziati venne dato il nome in codice di "operazione Sunrise"

e, anche se non abbreviarono la guerra, gli ufficiali nazisti che vi

parteciparono sfuggirono ad una dura pena'' (46).

Sull'operazione Sunrise, Il Secolo Corto ci fornisce ulteriori

particolari (cap. 15).

L'operazione era condotta ufficialmente ``per risparmiare inutili

morti'', ma il suo scopo reale era invece ``di evitare che fossero i

partigiani democratici italiani a conseguire la vittoria sull'esercito

tedesco, poiché ciò avrebbe rafforzato il loro potere.'' I contatti fra

Dulles e Rauff erano cominciati ``già all'inizio del gennaio 1945. Nel

marzo dello stesso anno, le trattative fra OSS e SS erano giunte a un

punto talmente avanzato da giustificare una prova concreta di buona

fede da parte tedesca. Il 3 marzo Walter Rauff ebbe un incontro a

Lugano con Dulles. [...] L'incontro [...] servì per organizzare il

rilascio dei prigionieri americani e inglesi che si trovavano nelle

mani della Gestapo in Italia. Le trattative proseguirono poi a ritmo

serrato.'' A metà aprile ``Wolff si recò in Svizzera contando sulla sua

reputazione personale presso gli anglo-americani per ottenere garanzie

da parte di Dulles che "gli elementi idealisti e rispettabili

dell'esercito, del partito, e delle SS avrebbero potuto svolgere una

parte attiva nella ricostruzione della Germania". Non si trattava

quindi soltanto della resa delle truppe tedesche nell'Italia

settentrionale, ma di qualcosa che implicava una connivenza futura con

i quadri qualificati del nazismo. Dulles concesse in pratica

un'amnistia ufficiosa alle SS. Quasi una pace separata, comprendente

non solo la salvaguardia della vita, ma anche la libertà personale e la

protezione dell'espatrio verso luoghi lontani e sicuri.''

``Quando, il 29 aprile del 1945, l'esercito tedesco si arrese, Rauff

ottenne un falso passaporto a nome di Carlo Comte e affittò un

appartamento a Milano. Poi prese la sua copia dei documenti della

polizia segreta di Mussolini, che comprendevano le liste degli iscritti

al partito fascista, e la seppellì di nascosto fuori città. Sapeva che

quei documenti si sarebbero rivelati molto utili nei mesi a venire e la

sua previsione si dimostrò corretta. Il giorno seguente, tuttavia,

Rauff venne arrestato dagli americani e rinchiuso nella prigione di San

Vittore a Milano. Nel giro di alcune ore, arrivò un sacerdote e fece in

modo che l'ufficiale tedesco venisse trasferito in un ospedale

dell'esercito americano'' (46).

``Rauff venne rilasciato per essere affidato alla custodia della "S

Force Verona", un'unità dell'OSS che operava con la squadra di

controspionaggio speciale anglo-americana in Italia, comandata da James

Jesus Angleton. Tra le altre cose, la S Force era l'equivalente

occidentale della sezione anticomunista di Rauff durante la guerra''

(46).

NOTA: Angleton e Dulles divennero in seguito, rispettivamente, capo del

controspionaggio e direttore della CIA, e mantennero per tutta la

durata della loro carriera il controllo esclusivo sui collegamenti tra

i servizi segreti americani ed il Vaticano (47).

Rauff fu rilasciato dopo un lungo interrogatorio sulle attività

anticomuniste della Gestapo (47). Monsignor Giuseppe Bicchierai,

segretario del cardinale di Milano Schuster, ``organizzò le cose in

modo tale che questi potesse starsene nascosto nei conventi della Santa

Sede'' (46).

``Rauff prese contatto con l'arcivescovo di Genova Siri e andò

immediatamente [a Milano] a lavorare per il Vaticano alla creazione di

un sistema per far fuggire clandestinamente i nazisti'' (47).

Secondo Il Secolo Corto, dal 1945 al 1949 Rauff, agendo per conto dei

servizi segreti americani ``sotto la copertura di un'organizzazione di

aiuto ai rifugiati gestita dal Vaticano, avrebbe fatto partire

clandestinamente verso asili sicuri più di 5.000 fra agenti della

Gestapo e SS.''

Nel 1949 Rauff lascia l'Italia per il Sud America, senza neanche

prendere la precauzione di usare documenti falsi: il nome sul

passaporto era infatti proprio il suo. Visse tranquillamente in Cile,

paese che ne negò l'estradizione anche dopo che fu eletto il socialista

Salvador Allende.

Franz Stangl

Fu comandante del campo di sterminio di Treblinka (33). Verso la fine

della guerra fu trasferito in Jugoslavia a combattere contro i

partigiani (34). Catturato dagli americani, dal 1945 al 1947 fu

rinchiuso nel campo di prigionieri di guerra di Glasembach. Intorno al

Natale 1947 gli americani lo consegnarono agli austriaci, che lo

trasferirono a Linz. Da qui evase nel maggio successivo, e si incamminò

verso Roma (34).

``Dopo essere giunto a Roma, si mise alla ricerca del vescovo Alois

Hudal, [il quale gli procurò] un alloggio a Roma, [...] gli diede [...]

denaro, [...] un passaporto della Croce Rossa, [...] un visto d'entrata

in Siria, un posto in una fabbrica di tessuti a Damasco, e un biglietto

per la nave'' (34-35).

Fuggì insieme a Gustav Wagner e ``alla fine giunsero in Brasile

entrambi e lodarono il vescovo Hudal per l'aiuto che aveva offerto

loro'' (36).

Stangl fu catturato definitivamente da Simon Wiesenthal nel 1967 in

Brasile (35-36). Nel 1970 venne condannato all'ergastolo in Germania, e

morì in carcere un anno dopo.

Gustav Wagner

Comandante del campo di concentramento di Sobibor durante la guerra

(36). Arrestato, fuggì dalle prigioni alleate e percorse insieme a

Franz Stangl la strada per Roma. Fuggì infine in Brasile grazie

all'opera caritatevole del vescovo Hudal (36).

Alois Brunner

``Uno degli ufficiali più spietati che portarono a compimento il

programma di deportazione degli ebrei'', riuscì a fuggire ``attraverso

la rete ordita dal Vaticano per permettere la fuga dei nazisti'' (36).

``Fuggì a Damasco, in Siria, dove vive ancora sotto il nome di dottor

George Fischer, [...] impunito per le centinaia di migliaia di vittime

che inviò a Stangl e Wagner affinché le processassero'' (36).

Adolf Eichmann

``Principale artefice dell'olocausto'' nella veste di ``capo del

Dipartimento per gli affari ebrei'' (36).

Nel 1950, Hudal gli fornì ``una nuova identità, quella del profugo

croato Richard Klement e lo mandò a Genova. Lì Eichmann [...] fu

nascosto in un monastero, sotto il controllo caritatevole

dell'arcivescovo Siri, prima di essere fatto fuggire clandestinamente

in Sudamerica'' (36).

``La Caritas ha pagato tutte le spese di viaggio per permettere a

Eichmann di raggiungere il Sudamerica'' (37).

``Alla fine, Eichmann fu rintracciato in Argentina dal servizio segreto

israeliano, rapito, processato e giustiziato a Gerusalemme nel 1962''

(36).

Gli ustascia

Ante Pavelic

Detto "il poglavnik" (il duce). Durante la guerra fu leader dello

"Stato Croato Indipendente" ustascia, nel quale mezzo milione di serbi,

ebrei e zingari furono trucidati per suo ordine personale (80). Dopo la

guerra si impegnò nella costituzione del movimento dei krizari, prima

di fuggire in Sudamerica.

Su Ante Pavelic si confronti anche La politica dei papi nel XX secolo:

``Nato nel 1889 in Erzegovina, laureatosi in legge nel 1915'', avvocato

a Zagabria successivamente. ``Il 7 gennaio 1929, un giorno dopo la

proclamazione della dittatura regia di Alessandro I, Pavelic [...] ed

altri ustascia fondarono la lega per la lotta nazionalrivoluzionaria.

[...] Ogni membro doveva giurare ubbidienza attraverso un

pronunciamento al cospetto di Dio onnipotente e di tutto ciò che è

sacro.''

(Si veda anche la descrizione del giuramento fatta da padre Cecelja.)

``Il loro precursore spirituale, il politico e pubblicista Ante

Starcevic, moto nel 1896, capo del Partito della Destra Croata,

sosteneva la tesi che [...] "i Serbi sono lavoro per il macello", [idea

che gli valse il titolo di] Padre della Patria e maggiore ideologo

politico croato.'' ``Ciò che si preparava [era] una guerra santa, una

guerra di religione, che ammetteva qualunque Terrore ed includeva "la

Bibbia e la Bomba l'una di fianco all'altra come distintivo e mezzo di

lotta".

Neanche ebbe fondato il suo partito di ribelli, che Pavelic [...] con i

suoi compari più prossimi si rifugiò a Vienna, poi in Bulgaria, ed

infine il regime fascista italiano gli assicurò ricovero ed alimenti.

Mentre un tribunale serbo lo condannava già a morte in contumacia,

Mussolini metteva a disposizione della famiglia Pavelic una casa a

Bologna, la quale servì poi per anni come quartier generale degli

ustascia. Con l'aiuto del capo della polizia segreta Ercole Conti e del

Ministro di Polizia Bocchini, il boss dei congiurati fece poi

addestrare in Toscana e sulle isole Lipari gli emigranti croati ed i

seguaci ustascia transfughi, per gli assassinii a venire. Egli

disponeva di alcune trasmissioni di Radio Bari, pubblicava il giornale

"Ustasa" in lingua croata, teneva contatti con centrali di propaganda

nazional-croata a Vienna, Berlino, negli USA ed in Argentina, e rendeva

noti i suoi piani gloriosi al mondo di volta in volta, attraverso

l'esplosione di bombe sui treni Vienna-Belgrado, con un più rilevante

tentativo -subito sedato- di rivolta nelle montagne del Velebit (1932),

e con una serie di attentati particolari.

Tra le prime azioni degne di nota ci furono l'eliminazione del

direttore del foglio filojugoslavo zagrebino "Jedinstvo" (l'Unità),

Ristovic, freddato nell'agosto 1928 in pieno giorno in un caffè di

Zagabria, e l'assassinio del redattore capo del giornale di Zagabria

"Novosti", Slegl, il 22 marzo 1929. Pavelic lasciò che la polizia

rinchiudesse il suo più stretto collaboratore, Gustav Percec, in una

prigione di Arezzo, e lì gli sparò di propria mano, dopo un

interrogatorio con sevizie.

Ma la sua vittima certo più eminente fu il Re di Jugoslavia Alessandro.

Un primo attentato al regnante, uomo gradito in effetti a tanti croati,

fu sventato nell'autunno 1933 a Zagabria dal servizio segreto

jugoslavo. Tuttavia, quando un anno più tardi il monarca giunse a

Marsiglia dagli alleati francesi, il 9 ottobre 1934, fu assassinato

mentre era ancora nella zona del porto, assieme al Ministro degli

Esteri francese Louis Barthou, da un emissario di Pavelic -subito

sottoposto a linciaggio dalla folla. Di nuovo Pavelic fu condannato a

morte in contumacia da Francia e Jugoslavia -ed era la seconda volta.

Ebbene, i fascisti italiani, dopo una custodia preventiva, gli

assegnarono una nuova residenza a Siena ed una pensione di stato di

5.000 lire al mese.''

In Ratlines troviamo che oltre agli italiani, ``prima della guerra

[anche] i servizi segreti britannici mantennero stretti rapporti con la

sua rete terroristica clandestina, anche dopo l'assassinio [...] del Re

jugoslavo'' (80-81).

Continuiamo a leggere su La Politica dei papi nel XX secolo:

``Uno scritto autografo, redatto da Pavelic nel 1936 e riguardante la

causa croata, giunse al Ministero degli Esteri [tedesco] solo

nell'aprile 1941, mentre erano in atto i preparativi della campagna di

Jugoslavia. Il documento di 30 pagine [...] celebra Hitler come

"maggiore e miglior figlio della Germania", loda la Germania hitleriana

quale "potentissima combattente per il diritto vitale, la vera cultura

e la più alta civiltà". [...] Il 6 aprile 1941, mentre Belgrado

sottoposta al terrore incessante delle bombe tedesche cominciava a

bruciare e la Dodicesima Armata del Feldmaresciallo Generale List

attaccava il sud della Serbia dalla Bulgaria, Pavelic incitava le

truppe croate per mezzo di un'emittente clandestina, acché puntassero

le armi contro i serbi. "D'ora in poi combatteremo fianco a fianco con

i nostri nuovi alleati, i Tedeschi e gli Italiani". [...] La Wehrmacht

di Hitler era salutata in Slovenia e in Croazia amichevolmente ed anche

con entusiasmo.

Il 10 aprile, [...] mentre i tedeschi occupavano Zagabria, capitale del

vecchio Banato, avveniva la proclamazione della "Croazia Indipendente",

sempre in assenza di Pavelic: [...] "Dio è con i Croati! Pronti per la

Patria!". [La proclamazione era stata] firmata dall'ex-[...] colonnello

Slavko Kvaternik, rappresentante del poglavnik e Comandante Supremo

delle Forze Armate [...].

Il poglavnik fece tenere ancora una parata alla sua truppa di circa 300

uomini, lo stesso 10 aprile a Pistoia; la sera fu convocato a Roma da

Mussolini; l'11 aprile assicurò a Hitler gratitudine e sottomissione

con un telegramma; durante la notte del 13 oltrepassò il confine

jugoslavo presso Fiume, giunse a Zagabria nella notte del 15, ed il 17

nominò il suo primo Gabinetto. Era adesso Capo dello Stato, del Governo

e del Partito, nonché Comandante in Capo delle truppe, e governava da

dittatore -certo con sudditanza rispetto ai suoi grandi alleati, dai

cui regimi copiò ampiamente- alla testa di 3 milioni di Croati

cattolici, 2 milioni di Serbi ortodossi, mezzo milione di Musulmani

bosniaci e parecchi altri gruppi etnici minori, tra i quali 40.000

Ebrei.

Il 18 aprile l'esercito jugoslavo capitolava senza condizioni. La

Serbia fu sottoposta all'occupazione militare tedesca, e quasi due

quinti del Regno di Jugoslavia andarono a formare lo Stato Indipendente

di Croazia, che si componeva del nucleo di Croazia e Slavonia insieme

alla Sirmia, a tutta la Bosnia (fino alla Drina) e all'Erzegovina, con

una parte del litorale dalmatino; in tutto quasi 102.000 km quadrati.

Però nel maggio seguente Pavelic regalò in tutti i modi quasi la metà

della Jugoslavia ai paesi limitrofi: nel Nord ai Tedeschi, per cui i

confini del Reich arrivavano a soli 20 km da Zagabria, nel Nordest

all'Ungheria, nel sud alla Bulgaria e all'Albania, ed infine il

Sudovest, l'Ovest (dove la popolazione croata era la stragrande

maggioranza) ed il Nordovest all'Italia. Qui giunse Pavelic il 7 maggio

con ministri e membri del clero, tra i quali il vicario generale

dell'arcivescovo Stepinàc, vescovo di Salis-Sewis, ed offrì al Re

Vittorio Emanuele III la cosiddetta corona di Zvonimiro (ultimo re

indipendente della Croazia nell'XI secolo), destinata al meno

significativo Conte Aimone di Spoleto, il quale in effetti non venne

mai incoronato, non apparve mai nel suo regno, e tuttavia parlò in

Vaticano già il 17 maggio quale re designato della Croazia (con

l'appellativo di Tomislao II).

E lì, in Vaticano, il giorno seguente si presentò il poglavnik, colui

il quale era stato ripetutamente condannato a morte a causa di svariati

omicidi, accompagnato da una delegazione numerosa -Pavelic "circondato

dai suoi banditi", annotava lo stesso Ministro degli Esteri Ciano nel

suo diario solo poche settimane prima. Le concessioni territoriali del

poglavnik all'Italia, che laggiù conduceva con brutalità la sua

politica del "mare nostro", causarono sconforto in tutta la Croazia,

come riferì il 21 maggio il generale Glaise von Horstenau. "Dovunque si

vada si ascoltano minacce contro gli Italiani". Eppure la stampa

cattolica del paese era molto commossa per l'attenzione e la cordialità

di papa Pio XII, che salutò Pavelic ed i suoi gangsters durante

un'udienza privata particolarmente festosa -un grande ricevimento- e si

accomiatò da loro in modo amichevole, con i migliori auguri di buon

proseguimento.''

Anche Ratlines si sofferma sui rapporti fra il poglavnik e la Chiesa:

``Le atrocità erano già in corso nel momento stesso in cui Pio XII

ricevette il poglavnik in un'udienza privata alla fine di aprile 1941''

(80). ``Pio XII e i suoi consiglieri più anziani nutrivano opinioni

estremamente benevole nei confronti del suo cattolicesimo militante.

Durante la guerra Pavelic aveva convertito con la forza decine di

migliaia di ortodossi serbi sotto la minaccia della pena capitale''

(80). In virtù di ciò ``agli occhi del Vaticano Pavelic rappresentava

un militante cattolico, un uomo che ha peccato, ma che l'ha fatto per

lottare a favore del cattolicesimo'' (92).

Il papa riceveva regolarmente gli emissari di Pavelic, ai quali forniva

ogni volta ``delle assicurazioni relative al fatto che il Santo Padre

avrebbe aiutato la Croazia cattolica'' (82-83). A Branko Bokun, giovane

jugoslavo che tentò di segnalare alle autorità vaticane i misfatti del

regime croato, non fu invece accordata l'udienza richiesta. ``Bokun era

stato mandato a Roma da uno dei capi dei servizi segreti jugoslavi a

chiedere l'intervento del Vaticano per fermare il massacro in Croazia.

[Egli era] armato di un voluminoso fascio di documenti, di resoconti e

di testimoni oculari, e persino di fotografie dei massacri. [...]

Voleva consegnare il suo incartamento a monsignor Giovanni Montini,

sottosegretario di Stato per gli Affari Correnti, ma non riuscì a

ottenere udienza'' (81-82). ``A Bokun venne semplicemente detto che le

atrocità descritte nell'incartamento erano opera dei comunisti, ma che

erano state attribuite in mala fede ai cattolici'' (82).

``Allo stato di Pavelic fu negato il riconoscimento ufficiale da parte

del Vaticano'' (82), ma ``quando Pavelic chiese un'altra udienza con il

Santo Padre nel maggio del 1943, il Segretario di Stato Maglione gli

assicurò che non c'erano difficoltà connesse con la visita del

poglavnik al Santo Padre, se non per il fatto che non lo si sarebbe

potuto ricevere come un Capo di Stato. Lo stesso Pio XII promise di

dare nuovamente a Pavelic la sua benedizione personale, [malgrado il

fatto che] in quel periodo la Santa Sede possedesse già abbondanti

prove delle atrocità commesse dal suo regime'' (82).

Pavelic amava vantarsi dei suoi crimini, e si dice che esibiva sul suo

tavolo una grossa coppa contenente ``circa venti chili di occhi di

serbi inviatigli dai suoi fedeli ustascia'' (83).

Al termine della guerra Pavelic scomparve (83). ``Mentre i suoi uomini

combattevano ancora, il poglavnik era scappato con il suo seguito di

comprimari, tra cui circa 500 padri cattolici, a capo dei quali erano

il vescovo di Banja Luka, Jozo Gavic, e l'arcivescovo di Sarajevo, Ivan

Saric (morto poi a Madrid nel 1960). Fu accolto nel convento di San

Gilgen, presso Salisburgo, insieme a quintali d'oro rubato'' (da La

politica dei papi). Nel maggio 1945, Pavelic fu arrestato dagli agenti

del SIS (133). Più che di un arresto, bisogna parlare però di una

protezione. Infatti fu proprio il SIS ad aiutarlo a fuggire (129),

nascondendolo ``a Klagenfurt, dove possedeva un appartamento e una

villa'' (86). Il vescovo di Klagenfurt era un membro dell'Intermarium

(136). Klagenfurt si trovava nella zona occupata dagli inglesi.

``Nel luglio del 1945 l'ambasciatore jugoslavo a Londra disse agli

inglesi che Pavelic [...] era stato fatto prigioniero a Celovac

(Klagenfurt) da truppe inglesi. Il Foreign Office si mostrò

inflessibile nel sostenere che Pavelic non era mai stato in mano loro''

(83). Anche i ``serbi cetnici sostenevano che Pavelic era travestito da

monaco in un monastero a Klagenfurt'' (84).

Londra negava, ma secondo rapporti statunitensi del 1947 gli ``alleati

inglesi avevano sempre mentito. [...] Il servizio segreto jugoslavo

aveva sempre avuto ragione. Secondo fonti attendibili, Pavelic era

davvero riuscito a superare la frontiera austriaca e a raggiungere i

confini inglesi, dove venne protetto dagli inglesi, nei settori

sorvegliati e requisiti dagli inglesi, per un periodo di due settimane,

[...] restò nella zona di occupazione inglese per almeno due o tre

mesi, rimanendo in contatto con il SIS'' (86).

``Nell'aprile del 1946, Pavelic lasciò l'Austria e giunse a Roma,

accompagnato soltanto da un tenente di nome Dochsen. Entrambi gli

uomini erano vestiti da preti della Chiesa cattolica romana. Trovarono

rifugio in un collegio situato in via Gioacchino Belli 3. Il compagno

di viaggio di Pavelic era, in realtà, Dragutin Dosen, un ex-alto

ufficiale della guardia del corpo del poglavnik'' (86). ``Subito dopo

essere arrivato [...] a Roma, il poglavnik [...] aveva trovato rifugio

presso Castelgandolfo, residenza estiva del papa'', dove aveva spesso

l'occasione di incontrarsi in segreto con monsignor Montini'' (87).

``Sembra che molti nazisti gravitassero intorno a Castelgandolfo, [e]

che Pavelic alloggiasse con un ex-ministro del governo nazista rumeno''

(87).

``Pavelic aveva ottenuto un passaporto spagnolo sotto il nome di Don

Pedro Gonner, in previsione della sua fuga definitiva, probabilmente

alla volta della Spagna o del Sudamerica'' (87). ``I gesuiti furono tra

gli ecclesiastici che maggiormente l'aiutarono e appoggiarono i suoi

piani per lasciare l'Italia organizzando il suo viaggio verso la Spagna

sotto il falso nome di padre Gomez'' (89). ``Tuttavia, verso la metà

del 1946 Pavelic temette di trovarsi troppo strettamente sotto

controllo e [...] ritornò in Austria'' (87), e ritornò nuovamente a

Roma alla fine dell'anno.

Sin dal momento in cui era fuggito, il poglavnik era rimasto in stretto

contatto con padre Draganovic, segretario della Confraternita di San

Girolamo dei Croati a Roma (88,94), il quale ``sin dal mese di agosto

del 1943 [...] si era trovato a Roma a negoziare per Pavelic in

Vaticano'' (98). L'agente segreto del CIC Robert Mudd, nel febbraio

1947, scrisse il seguente rapporto sull'istituto di San Girolamo:

``Per poter entrare in questo monastero, bisogna sottoporsi

ad una perquisizione personale per verificare se si è in

possesso di armi o di documenti, si deve rispondere a domande

sulla propria provenienza, sulla propria identità, su chi si

conosce, su quale sia lo scopo della propria visita e come si

sia venuti a sapere della presenza di croati all'interno del

monastero. Tutte le porte che mettono in comunicazione stanze

diverse sono chiuse e quelle che non lo sono hanno di fronte

una guardia armata e c'è bisogno di una parola d'ordine per

andare da una stanza all'altra. Tutta la zona è sorvegliata

da giovani ustascia armati in abiti civili e ci si scambia

continuamente il saluto ustascia'' (110).

``In un'intervista registrata, Simcic ammise l'esistenza, all'epoca, di

una strettissima sorveglianza all'interno dell'istituto [...]

necessaria a causa della minaccia, sempre presente, di attacco da parte

dei comunisti'' (110).

Il motivo di tante precauzioni era molto semplice. Fra l'Istituto di

San Girolamo e ``quella che si riteneva fosse una delle biblioteche

vaticane, in via Giacomo Venezian 17-C'' si trovavano nel 1947 numerosi

ustascia ricercati. Si trattava del poglavnik Ante Pavelic e di membri

del suo governo (111):

1. Ivan Devcic, tenente colonnello

2. Vjekoslav Vrancic, vice ministro

3. Dragutin Toth, ministro

4. Lovro Susic, ministro

5. Mile Starcevic, ministro

6. Dragutin Rupcic, generale

7. Vilko Pecnikar, generale

8. Josip Markovic, ministro

9. Vladimir Kren, generale

Alcuni di questi assassini risiedevano in Vaticano:

``Gli ustascia che risiedevano in Vaticano facevano la spola tra i loro

alloggi e la Confraternita [andando] avanti e indietro dal Vaticano

varie volte la settimana, a bordo di un'automobile con autista la cui

targa recava le iniziali CD, Corpo Diplomatico. [...] A causa

dell'immunità diplomatica, era impossibile fermare l'automobile''

(113).

La realtà è che ``il Vaticano stava nascondendo il poglavnik, con la

connivenza del SIS'' (132). Ovviamente, ``il SIS non aveva aiutato il

Vaticano a salvare Ante Pavelic per malintesi concetti di benevolenza e

carità. Voleva molto in cambio. Voleva degli agenti per infiltrarsi

nella Jugoslavia comunista, per ottenere informazioni segrete e per

colpire con azioni terroristiche bersagli strategici e uomini al

servizio dei comunisti, soprattutto gli agenti della temuta polizia

segreta'' (129). Fu solo 18 mesi dopo la scomparsa di Pavelic che gli

inglesi ufficialmente "scoprirono" che costui si trovava in Vaticano. A

quel punto scaricarono la responsabilità dichiarando che era fuori

dalla loro giurisdizione (85).

All'inizio del 1947 Pavelic si trovava ``in un complesso

extraterritoriale cinto da mura [che] si trova in cima al colle

Aventino [e] che secondo l'opinione generale è crivellato di tunnel

sotterranei che uniscono tra loro i singoli edifici.'' Tale complesso

ospita varie organizzazioni della Chiesa, fra cui il Monastero di Santa

Sabina, nel quale l'agente americano Gowen riteneva a quei tempi che

avesse trovato ospitalità il poglavnik, e l'Ordine Militare Sovrano dei

Cavalieri di Malta (87-88). Secondo l'autore de Il Secolo Corto,

l'Ordine di Malta aveva anch'esso una sua rete per la fuga dei

criminali di guerra. Ne faceva parte William J. Casey, che divenne capo

della CIA negli anni ottanta.

Gli ustascia godevano di ottimi contatti con la polizia italiana (89).

Un'altra delle loro basi si trovava in Via Cavour 210 (88).

In agosto Pavelic ``si nascondeva come ex-generale ungherese sotto il

nome di Giuseppe [...] e viveva in una proprietà della Chiesa sotto la

protezione del Vaticano, a Via Giacomo Venezian, [...] insieme al

famoso terrorista bulgaro Vancia Mikoiloff (sic) e ad altre due

persone. Nell'edificio vivevano circa altri dodici uomini. Erano tutti

ustascia e costituivano la guardia del corpo di Pavelic. Quando Pavelic

usciva, si serviva di un'automobile con la targa del Vaticano (SCV)''

(90-91). ``Andava regolarmente in giro a bordo delle auto ufficiali

vaticane che, recando le speciali targhe dei corpi diplomatici, non

potevano essere fermate dalle autorità occidentali, neppure quando

Pavelic lasciava il territorio vaticano'' (91).

I servizi segreti inglesi e americani conoscevano i movimenti di

Pavelic ed avevano ricevuto l'ordine di arrestarlo. Tuttavia, dopo un

continuo scarica-barile fra i due servizi segreti, l'operazione fu

``lasciata morire'' (89-91). ``La posizione degli inglesi era cinica e

disonesta; mentre il SIS proteggeva Pavelic, il Foreign Office

protestava perché gli Stati Uniti si sforzavano di sabotare il piano

per arrestare il poglavnik'' (89). ``Il motivo [...] era davvero molto

semplice. Gli alti ufficiali statunitensi stavano formando, all'epoca,

la loro rete di ex-nazisti, e cominciavano a coordinare le proprie

attività con quelle del Vaticano e di Londra'' (92).

Alla fine Pavelic riparò in Argentina: ``salpò dall'Italia il 13

settembre del 1947, viaggiando a bordo del piroscafo italiano Sestriere

sotto il nome di Pablo Aranyos, un presunto profugo ungherese, e giunse

a Buenos Aires il 16 novembre'' (95). ``Pavelic si servì dei suoi

contatti molto influenti all'interno dei servizi segreti italiani per

attuare il suo piano di fuga'' (96). ``Padre Draganovic [...] fornì il

passaporto della Croce Rossa di cui si servì Pavelic e organizzò i

dettagli del viaggio in nave'' (95). Sembra addirittura che Draganovic

``accompagnò personalmente il criminale di guerra a Buenos Aires, dove

rimase con lui per dodici mesi'' (95). Secondo un'altra versione dei

fatti, tuttavia, la persona che accompagnò l'ex-poglavnik era ``un

altro sacerdote croato, un certo padre Jole, che era in realtà padre

Josip Bujanovic'' (95).

Quando ``riapparve in Argentina, [...] il dittatore Juan Perón lo

assunse come consulente per la sicurezza'' (95). ``Un certo Daniel

Crljen [mandato in Argentina da Draganovic per trovare una sistemazione

a Pavelic] era giunto in aereo a Buenos Aires, grazie all'assistenza

del Vaticano, per conferire con il generale Perón a proposito

dell'organizzazione in Argentina di un movimento ustascia chiamato

"Élite". Crljen era uno dei principali ideologi e propagandisti del

movimento, dato che durante la guerra aveva incitato al massacro dei

Serbi. La missione di Crljen ebbe certamente successo; l'arrivo di

Pavelic servì solamente a completare il trasferimento in Argentina di

quasi tutto il suo governo. Tra i veterani che l'attendevano per dargli

il benvenuto c'erano quasi tutti i ministri del gabinetto

sopravvissuti, come pure molti funzionari municipali, capi militari e

della polizia. Erano per la maggior parte criminali di guerra

ricercati'' (96).

Per il seguito della storia di Pavelic, leggiamo La Storia dei Papi del

XX secolo:

``Dopo la caduta di Perón, Pavelic sfuggì nel 1957 ad un attentato così

come riuscì a sottrarsi alla polizia argentina; di nuovo finì in un

convento, stavolta presso i Francescani di Madrid, e morì settantenne

(alla fine del 1959) nell'ospedale tedesco (sic!) della capitale

spagnola.''

Vladimir Kren

Durante la guerra fu generale e comandante in capo dell'aviazione dello

"Stato Croato Indipendente": ``il generale Vladimir Kren,

l'ex-ufficiale dell'aviazione jugoslava che, nell'aprile del 1941,

aveva organizzato il passaggio ai tedeschi di molti dei suoi militari,

era stato ricompensato con la carica di comandante dell'aviazione di

Pavelic'' (118).

Vladimir Kren fu uno dei pochi amici di Pavelic che fu preso:

Nell'indagare sulla presenza di criminali croati a San Girolamo,

l'agente americano ``Gowen organizzò un audace furto con scasso

nell'ufficio di Draganovic. [...] Uno dei documenti più importanti era

una lista di nomi di croati che venivano nutriti, vestiti, alloggiati e

provvisti di ogni altra cosa nel monastero di San Girolamo. [...] In

tale elenco erano inclusi anche i nomi di diversi criminali di guerra

jugoslavi ricercati da tempo, dei quali Draganovic aveva continuamente

negato la presenza: [...] almeno una ventina delle persone alloggiate

all'interno dell'istituto si trovavano nelle liste nere occidentali''

(112-113).

In questo modo, i servizi occidentali avevano saputo che ``un gruppo di

criminali di guerra ricercati [...] si era imbarcato sulla "Philippa"

il 4 marzo 1947'' e che fra loro si trovava Vladimir Kren, che

viaggiava sotto il falso nome di Marko Rubini (118-119). Kren fu

arrestato dal maggiore Clissold, della British Special Screening

Mission, la squadra alla ricerca dei nazisti. ``Questa fu una delle

pochissime occasioni in cui lo spionaggio occidentale trionfò. [...]

Qualche settimana più tardi, gli inglesi prepararono un'imboscata nello

stesso istituto di San Girolamo, arrestando circa un centinaio di

uomini che stavano andandosene al termine di un incontro'' (118). Alla

fine, Kren fu consegnato al governo jugoslavo (118).

Vjekoslav Vrancic

Fu sottosegretario del Ministero degli Interni di Ante Pavelic. ``Tale

ministero [...] era direttamente responsabile dei campi di

concentramento nonché dell'apparato poliziesco particolarmente

repressivo'' (112). Divenne poi il contatto radio in Austria per le

missioni dei krizari (133).

Nel 1947, ``Vrancic doveva essere consegnato agli jugoslavi ma, tre

giorni dopo questa decisione, egli sfuggì misteriosamente alla custodia

degli inglesi. Riuscì quindi a mettersi al sicuro all'interno della

Confraternita di San Girolamo, prima che padre Draganovic lo facesse

espatriare attraverso la sua ratline. Nel novembre del 1947 [arrivò] in

Argentina sotto il nome di Ivo Rajicevic; in quel paese Vrancic divenne

una figura di primo piano nella rinascita dell'apparato terroristico

ustascia'' (112).

Vilko Pecnikar

Genero di Ante Pavelic (134), Pecnikar era un ``veterano del movimento

e organizzatore dei gruppi terroristici di Pavelic prima della guerra.

Durante il conflitto raggiunse il grado di generale nella guardia del

corpo personale di Pavelic e fu capo anche della brutale gendarmeria

che operava in stretta collaborazione con la Gestapo'' (112).

Dopo la fine del conflitto ``Draganovic e Pecnikar lavorarono a stretto

contatto per riorganizzare il movimento ustascia'' (112) ed entrambi

gestirono insieme il tesoro degli ustascia (134). ``Manteneva contatti

con diverse organizzazioni naziste clandestine e gestiva un sofisticato

servizio segreto che collegava i gruppi italiani con quelli austriaci''

(134).

Ivo Omrcanin

Durante il breve periodo di vita della Croazia Indipendente, fu ``un

funzionario del Ministero degli Esteri ustascia'' (127).

Successivamente, ``Lavorò a stretto contatto con Draganovic per dare

una mano nelle vicende relative all'emigrazione dei profughi croati.

[...] Lavorò direttamente sotto la guida di Draganovic nel Pontificio

Comitato Croato di Assistenza tra il 1948 e il 1953, girando per i

campi di profughi e inviando migliaia di fuggiaschi attraverso la

ratline. [...] Si vanta anche di aver inviato attraverso la ratline

30.000 persone, tra cui molti scienziati e tecnici tedeschi'' (127).

``Omrcanin [....] vive oggi a Washington, da dove pubblica una serie di

trattati di propaganda pro-ustascia'' (127).

Ljubo Milos

``Fu un alto ufficiale nel campo di concentramento di Jasenovac. Uno

dei suoi atti esemplari fu l'uccisione rituale degli ebrei. Dopo

l'arrivo al campo di un mezzo di trasporto, Milos indossava un camice

da medico, ordinava alla guardia di portargli tutti coloro che avevano

richiesto un ospedale, li conduceva all'ambulanza, li metteva lungo il

muro e, con un colpo di coltello, tagliava la gola delle vittime,

spezzava loro le costole e le sventrava.

Milos diresse anche altri brutali metodi di sterminio. Prigionieri nudi

venivano gettati vivi nella fornace accesa della fabbrica di mattoni

annessa al campo, mentre altri venivano percossi a morte con mazze e

martelli. Decisamente, Milos non era un innocente patriota croato che

si era limitato a prestar servizio nel governo di Pavelic per senso del

dovere nei confronti della propria nazione. Era un volgare e sadico

assassino, colpevole proprio di quel tipo di crimini che Draganovic

riteneva meritassero una punizione. Eppure Draganovic estese anche a

lui la sua carità cristiana.'' (120).

Il prete croato, infatti, fece fuggire Milos, e gli diede anche molti

soldi (120). Milos scampò ``all'arresto da parte degli alleati proprio

grazie a padre Draganovic, nonostante i suoi sanguinosi precedenti''

(132). ``Milos viveva in un campo italiano e stavano per arrestarlo.

Draganovic fu avvertito segretamente da qualche agente dei servizi

segreti inglesi e usò la sua sofisticata organizzazione per far sparire

Milos, portandolo in salvo'' (121).

In seguito fu catturato in Jugoslavia nel corso di una missione

terroristica (121): nel 1948 figurò come imputato al processo dei

krizari (132).

Lovro Susic

Ministro dell'economia di Ante Pavelic (111), ``collaborò strettamente

coi nazisti alla deportazione di lavoratori croati per lavori forzati

in Germania, prestando servizio, in seguito, presso la sanguinaria

divisione delle SS denominata Principe Eugenio'' (111).

Nel 1945 si trovava a Wolfsber, dove custodiva gran parte del tesoro

ustascia, prima di affidare tale tesoro a Draganovic, Hefer, e Pecnikar

(133-134). Nel 1947 si rifugiò nell'istituto di San Girolamo (111), e

poi divenne uno dei comandanti delle operazioni dei krizari (134).

Dragutin Toth

Durante il conflitto il dottor Dragutin Toth fu Ministro del Commercio

di Ante Pavelic, presidente della Banca Nazionale Croata e, infine,

Ministro delle Finanze (111). ``Riuscì ad arrivare alla ratline di

Draganovic e a raggiungere l'Argentina verso la metà del 1947'', e ciò

malgrado il fatto che Londra e Washington avessero già raggiunto un

accordo per consegnarlo a Tito (111).

Bozidar Kavran

``Prima della guerra [aveva fatto parte, insieme a Rover,] del

movimento clandestino ustascia in Bosnia, [ed entrambi] furono

coinvolti in un complotto per assassinare Re Pietro'' (146). ``In tempo

di guerra fu il comandante del quartier generale ustascia'' (146).

``Dopo la fine del conflitto gli fu affidata la responsabilità della

base austriaca dei krizari a Trofaiach. Lavorò direttamente agli ordini

di Pavelic e Draganovic nelle operazioni terroristiche e spionistiche

dei krizari'' (146). Finì imputato al "processo pilotato" del 1948

(146).

Srecko Rover

Ustascia sin da prima della guerra, i suoi camerati lo soprannominavano

affettuosamente "piccolo lupo" (147). Fece parte, insieme a Kavran, di

un complotto per assassinare Re Pietro (146). ``Quando nel 1941

arrivarono i nazisti, Rover entrò a far parte di una delle micidiali

corti marziali itineranti di Pavelic, che giustiziavano in maniera

sommaria i nemici razziali e politici degli ustascia. Dopo aver

prestato servizio in questa squadra di sterminio itinerante, Rover fu

inviato in Austria per essere addestrato come agente speciale e quindi

promosso a prestar servizio nella guardia del corpo personale di

Pavelic, un'unità di polizia repressiva simile alla Gestapo'' (146).

Divenne il contatto degli americani nei krizari: ``Dopo la guerra,

Rover si unì alla moltitudine di criminali di guerra latitanti, dandosi

alla macchia nella campagna italiana, e presto si arruolò nel movimento

clandestino dei krizari. Alla Confraternita di San Girolamo, ottenne da

Draganovic i documenti d'identità falsi che gli permisero di procurarsi

dei certificati ufficiali, soprattutto quelli di residenza italiana.

Rover lavorò a stretto contatto con Draganovic, intraprendendo numerose

missioni per conto dell'eminenza grigia degli ustascia, [ossia

Draganovic,] e riuscendo ad arrivare, alla fine, ai vertici del comando

dei krizari. All'inizio del 1946, Rover fu mandato a Trieste per

lavorare nella rete spionistica di Draganovic. Contattò il colonnello

Perry e stabilì stretti rapporti di lavoro con l'ufficiale dei servizi

segreti americani. [...] Perry rimase impressionato dai progetti di

Rover, dato che reclutò il capitano dei krizari e gli fornì documenti

di viaggio e d'identità. L'americano lo inviò in Jugoslavia per creare

un percorso clandestino attraverso cui si potessero far penetrare degli

agenti all'interno di quel paese.

[...] Quasi ogni volta che [Rover] si trovava nei guai con le autorità

occidentali, Perry veniva in suo aiuto. I reparti alleati specializzati

nella caccia ai nazisti arrestarono Rover in varie occasioni, ma gli

interventi di Perry ne garantivano sempre il rilascio. Il rapporto con

gli americani permise anche al "piccolo lupo" di avere accesso a

risorse e informazioni grazie alle quali fece rapidamente carriera tra

le file dei krizari, fino a diventare, alla fine, comandante in seconda

di Kavran della base di Trofaiach, in Austria.

[...] Da principio faceva il corriere e consegnava istruzioni top

secret ai capi krizari. Divenne anche abile nel procurarsi e

falsificare sofisticati documenti d'identità e di viaggio, permettendo

a se stesso e ai suoi compagni di viaggiare liberamente persino

all'interno della Jugoslavia comunista. Poi reclutò volontari per le

missioni terroristiche e di spionaggio.

[...] Si recò a Roma per incontrarsi con Draganovic e riferirgli di

persona i suoi ultimi successi. Cominciò presto a lavorare a stretto

contatto con altri importanti membri della rete di Draganovic. [...]

Fin dall'inizio del suo rapporto con Perry, sembrò che le cose

andassero storte. Per esempio, la prima missione per conto

dell'americano aveva condotto Rover a Rijeka e Zagabria. Questi tornò

indietro senza correre rischi, ma la persona che percorse dopo di lui

lo stesso itinerario venne immediatamente catturata.

[...] Quasi tutte le operazioni dei krizari in cui ci fu lo zampino di

Rover si rivelarono un completo disastro. Lo stesso Pavelic arrivò a

sospettare che Rover fosse un agente comunista che faceva il doppio

gioco, o almeno una specie di agente provocatore. Tra i principali

leader dei krizari, Rover sembra sia stato uno dei pochi a entrare più

volte in Jugoslavia senza essere scoperto e arrestato dalla polizia

segreta di Tito.

[...] Quando, verso la metà del 1948, furono varate le ultime

disastrose operazioni, a Rover fu affidata la responsabilità di guidare

i gruppi terroristici all'interno del paese. Per coincidenza, tutti gli

uomini da lui portati oltre il confine furono uccisi o catturati, la

maggior parte nel giro di poche ore, i dispersi entro pochi giorni.

Nello stesso anno, i sopravvissuti si trovarono di fronte al tribunale

di Tito a Zagabria. Sembra che Srecko Rover sia stato uno dei pochi tra

i più importanti krizari a non trovarsi tra le loro fila. In seguito

Rover riportò fiaschi simili anche in Australia'' (146-148).

Miha Krek

Presidente di Intermarium e amico intimo di Vajta (67). ``Capo del

Partito Popolare Cattolico della Slovenia, [...] Krek lavorava per i

servizi segreti inglesi'' (67,137). Lavorava in stretta collaborazione

con monsignor Anton Preseren, ``assistente generale del potente ordine

dei gesuiti'' (137).

L'agente statunitense William Gowen

Fu incaricato dal CIC per indagare sulla rete clandestina istituita per

permettere ai nazisti di fuggire ed arrestare i criminali ricercati presenti

a Roma (57). Fu tuttavia convinto da Ferenc Vajta a premere sugli USA

affinché collaborassero con Intermarium (73). Vajta gli aveva anche rivelato

l'appoggio del SIS ai krizari (132).

Fu l'arteficie della scelta americana di coprire i criminali in fuga.

Consigliò ``all'America di chiudere un occhio sul fatto che il Vaticano

proteggesse un nazista'', e cioè Vajta, giustificando la cosa ``in

considerazione del contributo della Santa Sede alla causa anticomunista''

(78). Il 6 luglio 1947, Gowen ``suggerì che i servizi segreti americani

assumessero il controllo dell'Intermarium'' (92).

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Le sigle

* Servizi segreti americani

o OSS = Office of Strategic Service

o CIC = Counter Intelligence Corps (militare)

* Servizi segreti inglesi

o SIS = Secret Intelligence Service

o SOE = Special Operations Executive (militare)

* Servizi di sicurezza della Germania hitleriana

o SS = Schutz Staffel (braccio armato del partito nazista)

o Ge.sta.po = Geheime Staatspolizei