Storia
antica e medievale
Indice:
- La religione
degli antichi Germani;
- Un cammino
per le anime. Note sull’opera di V. Magnien, 'I
Misteri di Eleusi';
- recensioni
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La religione
degli antichi Germani
Stefano Giuliano,
in "Margini" n. 28, ottobre 1999
Le principali fonti
delle nostre conoscenze relative alla religione
dei Germani sono: le cronache degli autori latini
(soprattutto la "Germania" di Tacito,
scritta nel 98 d.C.); le "Vitae" dei
missionari, redatte a cavallo tra l'epoca del
Basso Impero e l'Alto Medioevo; le composizioni
islandesi denominate "Edda poetica"
(raccolta anonima di carmi risalenti, probabilmente,
al IV-V secolo, ma compilata nella seconda metà
88 del XIII secolo d.C.) e "Edda in prosa"
(composta da Snorri Sturluson verso il 1220 circa);
le poesie degli scaldi, basate sul patrimonio
comune germanico e caratterizzate dall'uso delle
così dette "kenningar" (1) (IX-XIV
sec.); e, infine, le celebri saghe norrene (scritte
nei secoli XII-XIII), racconti eroici, unici nel
loro genere, che si pongono alla base del romanzo
moderno. A questo elenco si può aggiungere
le "Gesta Danorum" di Sassone Grammatico,
opera stilata tra il XII e il XIII secolo, ma
si tratta di materiale fortemente rielaborato
e razionalizzato. Altre fonti sono le genealogie
dei re norvegesi; le cronache degli insediamenti
vichinghi in Islanda e Groenlandia; i reso conti
di viaggiatori non scandinavi, come l'arabo Ibn
Fadlan; gli autori cristiani, come Adamo di Brema;
nonché i toponimi, la numismatica, le ballate
popolari, l'iconografia.
Le fonti classiche costituiscono un primo determinante
approccio per lo studio della religione antico-germanica.
Autori come Cesare, Plinio, Tacito si occuparono
delle popolazioni abitanti al di là del
Reno, che premevano sul limes imperiale. Nondimeno,
tali fonti, quando elencano le divinità
germaniche lo fanno per il tramite della così
detta "interpretatio romana" , ossia
sovrapponendo i nomi degli dei di Roma a quelli
locali. Si genera, in tal modo, il problema dell'individuazione
delle divinità locali "nascoste"
sotto tale strato e che, spesso, è tutt'altro
che certa. Il processo di identificazione si fonda
sul confronto delle funzioni ascritte agli dei
in questione, del materiale iconografico, nonché
delle corrispondenze nella scelta dei nomi dei
giorni della settimana(2).
In un celebre passo, Tacito ("Germania",
9) indica quattro principali divinità:
Mercurio, Ercole, Marte, Iside. Mercurio, scrive
Tacito, è sopra tutti gli dei e a questi
si immolano vittime umane. Egli, dunque, è
identificabile con *"Wodanaz" (antico
nordico Odhinn, antico inglese Woden, antico tedesco
Wuotan). L'associazione tra Mercurio, che non
è certo il più importante degli
dei greco-romani, e Wodanaz nasce dal fatto che
entrambi presentano un aspetto decisamente oltretombale.
E' nota, infatti, la funzione di accompagnatore
dei morti riservata a Mercurio, così come
è altrettanto noto che a Wodanaz era affidata
la cura dei guerrieri caduti in combattimento.
Altre motivazioni per associare i due dei poggiano
sull'iconografia: nelle raffigurazioni, a Wodanaz
sono attribuiti la lancia e il cappellaccio, e
a Mercurio il pètaso (cappello a falda
larga) e il caduceo (bastone alato con due serpenti
attorcigliati). Un'altra conferma si trova nella
struttura dei giorni della settimana, cioè
nella corrispondenza del "dies Mercurii"
con il giorno di Wodanaz (inglese Wednesday, olandese
Woensdag, antico scandinavo Odhinsdagr). I Germani,
continua Tacito, placano Ercole e Marte immolando
animali. Marte è, generalmente, identificato
con il dio *"Teiwaz" (antico nordico
Tyr), come prova la corrispondenza tra il giorno
di Marte e il giorno di Teiwaz (inglese Tuesday,
antico frisone Tiesdei, ecc.). Ercole, a sua volta,
in un primo tempo, fu identificato con *"Thuranaz"
(antico nordico Thórr, antico sassone Thunar)
in forza delle armi, la clava e il martello, con
le quali sono sempre raffigurati entrambi. Tuttavia,
in seguito, Ercole sarà sostituito da Giove,
in quanto il martello di Thuranaz simboleggia
la folgore e, dunque, è più vicino
all'arma per eccellenza del dio supremo dei greci
e dei romani. La nuova relazione sarà ribadita
dal collegamento tra il giovedì, giorno
di Giove e il giorno di Thuranaz (inglese Thursday,
tedesco Donnerstag, ecc.). L'ultima divinità
citata dal grande storico romano è Iside
la quale, ovviamente, non è una dea romana,
(tanto è vero che lo stesso Tacito suppone
che i Germani potessero averne appreso il culto
da contatti con altri popoli). Essa potrebbe essere
identificata con Nerthus, dea della fecondità,
di cui Tacito parla in seguito ("Germania",
40), e alla quale, nella settimana germanica,
era consacrato il venerdì (Friday in inglese,
Freitag in tedesco), e, cioè il giorno
di Venere appunto. Ma l'effettivo ruolo e la giusta
collocazione di questa dea sono molto vaghe. I
dati relativi alla religione germanica più
antica si riducono a poche altre affermazioni:
il mito delle origini dei Germani dal dio Tuistone,
nato dalla terra, e di suo figlio Manno, dal quale
sarebbero nate le stirpi degli Ingevoni, degli
Erminioni e degli Istevoni ("Germania"
, 2), mito in genere spiegato tramite la comparazione
con modelli dell'India vedica(3); l'esistenza
di una classe sacerdotale dedita all'esecuzione
dei rituali, all'interpretazione dei presagi,
alla persecuzione dei rei ("Germania"
, 7), ma non avente di certo lo stesso peso che
avevano, per esempio, i druidi in Gallia; il culto
delle Madri, divinità femminili, concepite
a gruppi di tre e mai separate, la cui funzione
è di protezione e tutela, e le cui tracce
si possono ancora scorgere nel folklore popolare
(si pensi alle fate delle fiabe).
Appare evidente che il quadro di riferimento della
religione germanica arcaica sia piuttosto scarso.
Occorre arrivare all'epoca medievale, e, specificamente,
ad un ambito geografico più propriamente
nordico (ma etnicamente affine) per avere testimonianze
più sicure e più sostanziose, e
cioè alla Scandinavia dei secoli XI-XII.
Gli dei principali nordico-germanici
I maggiori dei sono suddivisi in due grandi gruppi:
gli Asi e i Vani, dove la distinzione segnala
una differenza di carattere funzionale, essendo
i primi associati alla sovranità, al diritto,
alla guerra, i secondi alla fecondità ,
alla pace. Gli Asi sono gli dei sovrani. Essi
dimorano in Asgard (recinto degli Asi), una fortezza
celeste situata al centro del mondo cui si accede
attraverso il ponte dell'arcobaleno, "Bifröst"
, perennemente sotto la minaccia dell'assalto
dei giganti, i nemici mortali degli dei, rappresentanti
delle forze del male, del caos, dell'oscurità.
Odino è il dio più importante fra
gli Asi. Il suo nome è connesso alla radice
indouropea *Wat, nella quale è espresso
il concetto di ispirazione e furore e che si ritrova
nel latino vates , nell'antico irlandese faith
(veggente), nel gotico *wots (furente, posseduto).
L'ispirazione si lega al suo rapporto specifico
con l'arte poetica, la parola ispirata e la saggezza,
mentre il furore si pone in relazione con la guerra.
Egli è, contemporaneamente il dio dei vivi
e dei morti e può essere benigno o malevolo,
positivo o negativo. Nei miti della creazione
è detto che Odino conferì agli uomini
"spirito e vita", egli è pertanto
il padre degli uomini e degli dei. Egli, in particolare,
è il padre di tutti coloro che cadono in
battaglia. Costoro vengono accolti nella Walhalla
, la sala degli eroi, sono chiamati Einherjar
(prescelti), e lo accompagneranno nella battaglia
cosmica finale che porrà termine al mondo,
dopo la quale ricomincerà un nuovo ciclo.
Tyr appartiene anch'egli alla stirpe degli Asi.
Si tratta di un dio di grande importanza del quale
però si sa pochissimo. Il suo nome deriva
dall'indoeuropeo *Déiwos , "dio",
e, probabilmente, era identificato come la divinità
suprema del cielo. Nell'"interpretatio"
romana egli viene inteso come Mars . Suoi attributi
sono il coraggio e la saggezza che lo mettono
in relazione, rispettivamente con la guerra e
con la pace di cui è garante. Egli, infatti
era la divinità che presiedeva l'assemblea,
il Thing . Tyr è monco, suoi paralleli
indoeuropei sono, come ha dimostrato Dumézil,
il celta Nuada e il romano Muzio Scevola.
Heimdallr è il guardiano degli dei. Egli
siede ai limiti del cielo, presso il ponte Bifröst.
Heimdallr 6 dotato di vista e udito finissimi
per poter scorgere gli attacchi dei giganti. Egli
è il garante dell'equilibrio cosmico, tanto
è vero che il suo avversario diretto è
Loki, figura che, viceversa, incarna la costante
minaccia all'ordine del mondo. Heimdallr sorveglia
l'ordinato svolgersi del ciclo cosmico e conosce
con esattezza quando verrà la fine del
mondo. In quel drammatico frangente, egli si ergeràe
soffierà nel corno "Giallarhorn",
il cui suono si sente in tutti e nove i mondi
della cosmologia nordica, chiamando gli dei alla
battaglia.
Thor è il dio del tuono e come tale antichissimo.
La sua figura trova confronti indoeuropei in Indra
per gli indiani, Taranis per i celti e Jupiter
per i romani. La sua presenza si fa sentire attraverso
il tuono e il lampo, rappresentando quest'ultimo
sia il potere sovrano, creatore, legato alla fertilità,
che il potere distruttore. Thor svolge una funzione
di tutela degli dei e degli uomini.
Baldr, figlio di Odino e di Frigg, sposo di Nanna.
Snorri lo descrive come il migliore degli dei,
bello e luminoso, saggio ed eloquente. La sua
essenza è quella di un principio della
luce. Baldr è destinato a morire in circostanze
tragiche a causa della malizia di Loki, ma rinascerà
per presiedere alla nuova era che seguirà
il Ragnarokk .
Loki è una figura singolare tra gli dei
ed è dotato di una grande ambivalenza.
Egli, in taluni miti è il compagno di Odino
e Thor, e spesso gli dei si traggono d'impaccio
grazie alla sua astuzia e alla sua abilit\à.
In altri, invece, Loki è colui che attenta
all'ordine cosmico, un ingannatore maligno e temibile.
Sebbene appartenga agli Asi, egli genera creature
mostruose. Dalla sua unione con la gigantessa
Angrboda nascono tre figli: Hel, guardiana del
regno dei morti, Fenrir, il grande lupo, e il
serpente che giace nell'oceano, le cui spire avvolgono
tutta la terra. Egli è presente nei miti
più antichi per sottolineare come il male
abbia origine al principio stesso del mondo. Il
suo atto più efferato è aver provocato
la morte di Baldr. Per tale colpa è catturato
dagli dei e incatenato a tre massi mentre un serpe
velenoso è legato sopra di lui, così
che il veleno gli gocciola sul volto. Loki si
libererà solo alla fine del mondo allorché
capeggerà le forze del male nel Ragnarokk.
Njordr fa parte dei Vani edè il padre di
Freyr e di Freya. Egli governa il vento, il mare
e il fuoco, ed è il protettore dei viaggi
di mare e della pesca. Il suo nome risale alla
radice *Nertu - che contiene l'idea della forza
vivificante e procreatrice. Nell'"interpretatio"
sarebbe dunque da intendere come la dea Nerthus
ponendo il problema, che rimane tuttora aperto,
dell'identità sessuale di questa divinità.
Freyr è il dio della fecondità e
ha potere sulla pioggia e sul sole. Inoltre governa
le ricchezze degli uomini (tra i suoi appellativi
vi sono: "dio dell'abbondanza" e "dispensatore
di ricchezza"). Il suo nome significa "signore".
Egli dimora in "Alfheimr", il paese
degli elfi, uno dei nove mondi della geografia
nordica. Freyr èstato identificato con
Yngvi, il progenitore, secondo Tacito, della tribù
degli "Ingaevones" da cui deriva, per
Snorri, la grande stirpe dei re norvegesi degli
"Ynglingar".
Freya è la dea dell'amore, della fertilità
e della lussuria. Ella è anche in relazione
con la guerra e le spettano la metà di
caduti in battaglia (l'altra metà tocca
ad Odino). E' maestra di magia, arte che si lega
a pratiche sessuali, e, per la sua bellezza, è
oggetto del desiderio dei giganti.
Il Ragnarokk (fato degli dei)
Nella concezione germanico-nordica il tempo ha
un carattere ciclico. Il presente si regge sul
difficile bilanciamento di forze contrapposte
(gli dei contro le forze del caos, cioè
i Giganti e i mostri), destinate a scontrarsi
in una lotta finale che darà anche origine
a un nuovo ciclo di vita.
La fine del mondo annuncia anche, inesorabile,
il fato degli dei. Il mito racconta che dapprima
vi sarà un inverno aspro e terribile. Faranno
seguito altre tre lunghe stagioni fredde senza
soluzione di continuità, durante le quali
vi saranno guerre, assassinii, sacrilegi. Nel
cielo si vedranno eventi inequivocabili: il lupo
Sköll ingoierà il sole, il lupo Hati la luna,
le stelle scompariranno, ecc. I mostri saranno
liberi: Fenrir uscirà dalla sua tana con
le fauci spalancate, sbuffando fiamme dalle narici
e dagli occhi, e il serpente di Midgardr si leverà
dall'oceano, provocando alluvioni e maremoti.
Il cielo si spaccheràe le potenze del male
daranno l'assalto alla dimora degli dei. Davanti
a tutti vi sarà Surtr, il demone di fuoco,
quindi Loki, i giganti di ghiaccio e i demoni
infernali. Costoro oltrepasseranno Biföst
, che si frantumerà al loro passaggio. Heimdallr
soffierà il suo corno e gli dei indosseranno l'armatura,
accingendosi alla battaglia, seguiti dagli "Einherjar".
Un destino di morte attende gli dei; nondimeno
essi, risolutamente, vi marceranno incontro ("fatalismo
attivo"). Odino sarà davanti a tutti.
Egli si scontrerà col lupo Fenrir che lo
ingoierà, prima di soccombere a sua volta,
ucciso da uno dei figli di Odino, Vi\darr, il
quale gli conficcherà la spada in gola
fino al cuore. Thor combatterà col serpente
e riuscirà ad ucciderlo, ma morrà
subito dopo a causa del veleno di questi. Freyr
lotterà con Surtr e cadrà anch'egli.
Il cane infernale, Garmr, affronterà il
dio T yr e moriranno entrambi, così come
Loki e Heimdallr. Quindi, Surtr appiccherà
il fuoco, distruggendo tutto eccetto taluni luoghi
dove saranno radunati i morti (da una parte i
buoni e da un'altra i malvagi, secondo una concezione
che ha, probabilmente, subito degli influssi cristiani).
Quando il fuoco avrà arso ogni cosa, vi
sarà un nuovo inizio. La terra riemergerà
dalle acque, nuovamente verde e fiorente. Un nuovo
sole splenderà nel cielo. Gli dei sopravvissuti,
i figli di Odino Vidarr e Vali, i figli di Thor,
Baldr tornato dagli inferi, daranno inizio ad
una nuova stirpe divina e, da un uomo e una donna,
avrà inizio una nuova generazione umana.
Tuttavia il tenebroso drago Nidhöggr solcherà
i cieli, segno che la rigenerazione del mondo
non significa la rottura dell'equilibrio tra forze
opposte né la definitiva scomparsa del
male.
Note:
L'asterisco che accompagna alcune parole contenute
nel testo indica i termini ricostruiti secondo
le regole della filologia. (N.d.R).
(1) Si tratta di metafore piuttosto elaborate,
composte di due termini per cui, ad esempio, la
nave è il "cavallo dell'onda",
la battaglia è "la voce della spada"
, il guerriero è "albero della battaglia",
ecc.
(2) La suddivisione dei giorni della settimana
venne adottata in queste regioni nel IV secolo
d.C. e si basava sulla ripartizione romana.
(3) Tuistone contiene, etimologicamente, il numerale
2, \è interpretato come il Gemello e confrontato
con il dio vedico Yama, che significa appunto
"gemello", mentre Manno, che significa
"Uomo", è equiparato a Purusa
("Uomo"), l'uomo primordiale da cui
nacque l'umanità.
L'Autore collabora con la cattedra di Storia delle
Religioni dell'Istituto Universitario Orientale
di Napoli. Ha pubblicato saggi e recensioni su
riviste specializzate.
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Un cammino
per le anime
Note sull’opera di V. Magnien, I Misteri di Eleusi
Giovanni Damiano, in 'Margini' n. 19 del settembre
1997
Nell’agosto 1796 Hegel dedica all’amico
Holderlin una poesia dal titolo “Eleusi”. In essa
vi è nostalgia (“le tue case, ahimé,
sono divenute mute, o dea”) ma anche presagio
di un nuovo inizio, comprensione per l’essenziale
ineffabilità dei misteri (“al figlio dell’iniziazione
la pienezza delle alte dottrine, la profondità
del sentimento inesprimibile eran troppo sacre
per considerarne degni gli aridi segni”) e per
l’indigenza in cui le parole si trovano quando
sono chiamate a dar nome a ciò che è
per sua natura al di là del linguaggio
(“chi mai volesse parlarne agli altri, parlerebbe
con la lingua degli angeli”). Un’adesione totale.
Ciò vale anche per il testo di V. Magnien,
“I Misteri di Eleusi”. Non c’è in esso
mera erudizione o il disincantato distacco del
ricercatore, né la Grecia è trattata
come una passione antiquaria ma con intima partecipazione.
I misteri dell’antichità classica erano
culti iniziatici tendenti ad assicurare una più
diretta relazione col divino: “ogni iniziazione
intende congiungerci al Mondo e agli Dei” afferma
Sallustio (Sugli dei e il mondo, IV, 6) ed introdurre
in un’esperienza straordinaria capace di trasfigurare
l’esistenza all’iniziato era appunto lo scopo
dei misteri, tra cui primi per importanza quelli
di Eleusi, località dell’Attica non lontana
da Atene. Questi ultimi erano dedicati a Demetra,
la dea del grano, e a sua figlia Persefone, chiamata
anche Kore, “la Fanciulla”. Questi misteri erano
organizzati dalla polis ateniese e posti sotto
il diretto controllo dell’archon basileus. Eleusi
era il luogo in cui Kore era tornata dagli inferi
dopo esservi stata condotta da Ade. E proprio
ad Eleusi gli ateniesi celebravano la grande festa
autunnale, i Mysteria; la processione andava da
Atene ad Eleusi e culminava in un rito notturno
nel Telesterion (una famiglia verbale, annota
W. Burkert, largamente sovrappostasi a mysteria
è proprio quella di telein, “compire”,
“celebrare”, “iniziare”; telete, “festa”, “rito”,
“iniziazione”; telestes, “sacerdote dell’iniziazione”;
telesterion, “palazzo delle iniziazioni”. È
poi ancora Burkert a ricordarci la traduzione
latina di mysteria che è resa con initia,
a indicare appunto la crucialità del momento
iniziatico). Differenti dalle religioni monoteiste
perché basati sul rituale e non su un libro
sacro, perché non esclusivisti e non miranti
a formare comunità di fedeli (nel senso
dell’ecclesia), i misteri hanno costituito un’esperienza
del sacro cruciale per il paganesimo. E davvero
l’esperienza (il pathema) era il centro del culto
misterico, reale e concreta esperienza che, come
già ammoniva l’omerico Inno a Demetra (la
dea “istitutrice” dei misteri eleusini), non era
insegnabile. I misteri non insegnano nulla, permettono
l’accesso ad un’esperienza (accesso però
non destinato a tutti ma aperto solo ai meritevoli
dell’iniziazione, vincolati per di più
al silenzio sulle cerimonie sacre). Tale esperienza
è perciò alogos, non discorsiva,
non dicibile, come ci ricorda anche Aristotele:
“gli iniziati non devono imparare qualcosa bensì
subire un’emozione ed essere in un certo stato,
evidentemente dopo di essere divenuti capaci di
ciò”. Per Magnien il nucleo centrale del
rituale iniziatico eleusino è rappresentato
dalla discesa delle anime nel mondo del divenire
e dalla loro risalita verso le regioni pleromatiche
(stretta è quindi l’analogia con il mito
che narra della discesa di Kore agli inferi e
del suo ritorno). Si tratta cioè di una
“peripezia” o, meglio, di una vera e propria odissea
dell’anima. Le iniziazioni, infatti, dice Magnien,
“hanno lo scopo di ristabilire l’anima sul trono
di Zeus sia nel corso della sua vita quaggiù,
sia quando essa avrà lasciato il soggiorno
terreno: l’iniziato risale verso gli Dei mentre
chi non lo è resta immerso nel fango”.
L’iniziazione perciò rende possibile la
liberazione già in vita. Magnien si discosta
così dalle ricorrenti interpretazioni dei
misteri eleusini come rituale salvifico tendente
ad assicurare al defunto una vita beata nelle
regioni dell’Ade.
Daccapo: morte e rinascita, tipiche “stazioni”
di ogni iniziazione, vengono quindi interpretate
rispettivamente come caduta dell’anima e sua successiva
risalita al divino. Si prospetta così una
condizione esilica dell’anima e al contempo la
capacità dell’uomo di ritornare alla Patria
solo in quanto ha in sé la favilla del
Principio perduto (quì emerge il significato
più profondo di telein che non è
tanto quello di “compiere il rito” quanto quello
di “giungere a compimento”). Non a caso Magnien
riprende anche il mito del Dioniso orfico fatto
a pezzi dai Titani, leggendolo come rottura dell’unità,
sua dispersione e sua successiva ricomposizione.
I disiecta membra di Dioniso “rappresentano” le
anime allontanatesi dall’Uno: “l’anima subisce
la medesima sorte di Dioniso; al principio ha
vissuto della vita indivisa; poi è stata
suddivisa nella materia e rinchiusa nel corpo
come in una prigione; dopo aver subito il castigo,
essa si concentra in se stessa, ovvero prende
coscienza del suo intimo e vero essere e ridiventa
così un Dioniso”. Già Nietzsche
l’aveva compreso tanto da scrivere che “il Dioniso
fatto a pezzi è una promessa alla vita:
essa rinascerà e rifiorirà eternamente
dalla distruzione”. È qui all’opera lo
schema Uno- molti-ritorno all’Uno (catastrofe
ed epistrofe) tipico della civiltà greca.
Ad esempio Plotino riprende il mito del Dioniso
orfico per “narrare” la “venuta” delle anime nel
mondo le quali, rimirando le loro immagini fallaci
e illusorie (eidola) nello specchio di Dioniso,
si slanciano quasi istintivamente nel mondo. In
Platone invece ora l’anima viene biasimata per
la sua unione col corpo ora viene, nel Timeo,
elogiata perché è stata mandata
dal Dio nel mondo per completarlo. Porfirio afferma
che la causa della caduta risiede in una colpa
originaria dell’anima. Per Stobeo la caduta è
legata alla perdita di libertà dell’anima
o al fatto che essa, naturaliter, è “consonante”
con il mondo della generazione. Per Sallustio
l’anima si rende colpevole perché mira
al bene ma erra circa il bene stesso. Aristide
Quintiliano ritiene che l’anima cada a causa di
una inclinazione per il mondo “di quaggiù”,
Macrobio parla invece di una discesa “indotta
da una segreta brama” e Celso invece pensa che
l’anima discenda o come sanzione di una sua colpa
o perché appesantita dalle passioni. Magnien
poi illustra anche il momento della psicanodia,
della risalita dell’anima attraverso i vari gradi
dell’iniziazione eleusina. Il viaggio dell’anima
sino all’henosis col divino si compie “percorrendo”
i Grandi Misteri (il cui culmine è l’epopteia,
la visione delle cose sacre), l’iniziazione ierofantica
o regale (in cui si ha la contemplazione del Dio)
sino all’iniziazione suprema che è oltre
la stessa visione, perché “vedere” il Dio
significa essere ancora “altro” dal Dio stesso.
L’unione col Dio infatti è un “aderire”,
un con-tatto nel senso letterale del termine,
un “toccare il Dio” come afferma anche Aristotele
nell’”Eudemo”: “l’iniziazione è un toccare
direttamente la verità pura”.
Infine Magnien descrive i riti che presiedono
ai diversi “livelli” iniziatici ognuno collegato
ad una complessa simbologia. Per primi vengono
i piccoli Misteri (celebrati sei mesi prima dei
Grandi Misteri) che consistono soprattutto in
purificazioni (sacrifici, lavacri, divieti alimentari
e sessuali, ecc.) e nel sonno iniziatico in qualche
modo preparatorio alla vera e propria morte iniziatica.
Nei Grandi Misteri il candidato è sottoposto
a svariate prove iniziatiche: innanzitutto la
svestizione e la sepoltura simbolica a cui segue
la catabasi, il viaggio agli inferi, durante il
quale l’iniziato non deve mai voltarsi al fine
di mostrare l’assoluta mancanza di nostalgia per
la sua condizione precedente; il viaggio termina
arrivando ad una fonte di luce e ricevendo nuove
vesti. Dopo un intervallo di almeno un anno, secondo
Magnien, avviene il completamento dei Grandi Misteri,
l’iniziazione epoptica, il cui rituale consiste
soprattutto in un viaggio dall’oscurità
alla luce (discesa nell’antro, visione della luce
in uno specchio, successiva visione delle “cose
sacre”, la spiga di grano e il fallo; in più
si assisterebbe ad una vera e propria ierogamia
annunciata dallo ierofante). Le successive iniziazioni
per Magnien riguardano soltanto i dignitari, ossia
coloro che sono preposti al culto misterico. È
chiaro perciò che l’unione col Dio in questa
prospettiva era davvero ristretta ad un limitatissimo
numero di persone mentre la maggior parte degli
iniziati si fermava all’epopteia. In queste iniziazioni
si moltiplicavano le prove alle quali sottoporre
i candidati fino alla perfezione assoluta, al
divenire tutt’uno col Dio.
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Plutarco,
Le virtù di Sparta, Adelphi.
Di contro all’instancabile “andare” di Atene lo
“stare” di Sparta, città severa (“quel
gran convento” la definì, livoroso, Constant),
immune dalla violenza affascinante della dialettica,
chiusa alle suggestioni dell’insolito e del disarmonico,
catafratta nell’immutabile costituzione di Licurgo,
rispettosa del principio platonico di giustizia
(“eguaglianza tra eguali, diseguaglianza tra diseguali”),
incentrata sul totale spirito di servizio verso
la comunità. E poi: le immagini di Sparta
nella storia, la fortuna del suo mito. A caso:
la Sparta modello, per monarcomachi quali Beza
e Hotman, di perfetto equilibrio dei poteri, la
Sparta virtuosa dei giacobini, che però
avevano malamente equivocato sull’eguaglianza
in vigore tra gli Spartiati. Per finire: “i loro
ideali (degli spartani) sono allevamento selettivo
ed eterna giovinezza, uguaglianza con gli dèi,
grande volontà, fortissima fede aristocratica
nella razza, cura, al di là di se stessi,
per tutta la stirpe”. Queste parole, del 1934,
sono di G. Benn. Il saggio da cui sono tratte
non poteva non intitolarsi 'Mondo dorico'.
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V. Magnien, I Misteri di Eleusi.
Traduzione e nota introduttiva di Ezio d’Intra.
Edizioni di Ar, Padova, 1996. Collezione Paganitas,
pp. 416, con 28 ill., £. 60.000.
Victor Magnien, professore all’università
di Tolosa, scrisse i Misteri di Eleusi nel 1929,
per poi approntarne nel 1938 una seconda edizione
aumentata, su cui si basa la presente traduzione.
L’opera è centrata soprattutto, come “recita”
il sottotitolo, sulle origini e sul rituale delle
iniziazioni eleusine e si segnala per la completezza
della documentazione, la scrittura piana e comprensibile,
l’intima “consonanza” col mondo dei misteri. Dopo
due capitoli introduttivi sui misteri e sul “principio
dell’iniziazione”, Magnien delinea le condizioni
generali d’ammissione ai misteri e la gerarchia
delle iniziazioni eleusine che vengono poi, una
ad una, descritte e interpretate. In tal modo
viene presentata al lettore un’opera completa
ed organica che sicuramente costituisce una decisiva
chiave d’accesso a uno dei fenomeni più
“qualificati” del mondo greco.
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