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Storia antica e medievale

Indice:

- La religione degli antichi Germani;

- Un cammino per le anime. Note sull’opera di V. Magnien, 'I Misteri di Eleusi';

- recensioni

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La religione degli antichi Germani

Stefano Giuliano, in "Margini" n. 28, ottobre 1999

Le principali fonti delle nostre conoscenze relative alla religione dei Germani sono: le cronache degli autori latini (soprattutto la "Germania" di Tacito, scritta nel 98 d.C.); le "Vitae" dei missionari, redatte a cavallo tra l'epoca del Basso Impero e l'Alto Medioevo; le composizioni islandesi denominate "Edda poetica" (raccolta anonima di carmi risalenti, probabilmente, al IV-V secolo, ma compilata nella seconda metà 88 del XIII secolo d.C.) e "Edda in prosa" (composta da Snorri Sturluson verso il 1220 circa); le poesie degli scaldi, basate sul patrimonio comune germanico e caratterizzate dall'uso delle così dette "kenningar" (1) (IX-XIV sec.); e, infine, le celebri saghe norrene (scritte nei secoli XII-XIII), racconti eroici, unici nel loro genere, che si pongono alla base del romanzo moderno. A questo elenco si può aggiungere le "Gesta Danorum" di Sassone Grammatico, opera stilata tra il XII e il XIII secolo, ma si tratta di materiale fortemente rielaborato e razionalizzato. Altre fonti sono le genealogie dei re norvegesi; le cronache degli insediamenti vichinghi in Islanda e Groenlandia; i reso conti di viaggiatori non scandinavi, come l'arabo Ibn Fadlan; gli autori cristiani, come Adamo di Brema; nonché i toponimi, la numismatica, le ballate popolari, l'iconografia.
Le fonti classiche costituiscono un primo determinante approccio per lo studio della religione antico-germanica. Autori come Cesare, Plinio, Tacito si occuparono delle popolazioni abitanti al di là del Reno, che premevano sul limes imperiale. Nondimeno, tali fonti, quando elencano le divinità germaniche lo fanno per il tramite della così detta "interpretatio romana" , ossia sovrapponendo i nomi degli dei di Roma a quelli locali. Si genera, in tal modo, il problema dell'individuazione delle divinità locali "nascoste" sotto tale strato e che, spesso, è tutt'altro che certa. Il processo di identificazione si fonda sul confronto delle funzioni ascritte agli dei in questione, del materiale iconografico, nonché delle corrispondenze nella scelta dei nomi dei giorni della settimana(2).
In un celebre passo, Tacito ("Germania", 9) indica quattro principali divinità: Mercurio, Ercole, Marte, Iside. Mercurio, scrive Tacito, è sopra tutti gli dei e a questi si immolano vittime umane. Egli, dunque, è identificabile con *"Wodanaz" (antico nordico Odhinn, antico inglese Woden, antico tedesco Wuotan). L'associazione tra Mercurio, che non è certo il più importante degli dei greco-romani, e Wodanaz nasce dal fatto che entrambi presentano un aspetto decisamente oltretombale. E' nota, infatti, la funzione di accompagnatore dei morti riservata a Mercurio, così come è altrettanto noto che a Wodanaz era affidata la cura dei guerrieri caduti in combattimento. Altre motivazioni per associare i due dei poggiano sull'iconografia: nelle raffigurazioni, a Wodanaz sono attribuiti la lancia e il cappellaccio, e a Mercurio il pètaso (cappello a falda larga) e il caduceo (bastone alato con due serpenti attorcigliati). Un'altra conferma si trova nella struttura dei giorni della settimana, cioè nella corrispondenza del "dies Mercurii" con il giorno di Wodanaz (inglese Wednesday, olandese Woensdag, antico scandinavo Odhinsdagr). I Germani, continua Tacito, placano Ercole e Marte immolando animali. Marte è, generalmente, identificato con il dio *"Teiwaz" (antico nordico Tyr), come prova la corrispondenza tra il giorno di Marte e il giorno di Teiwaz (inglese Tuesday, antico frisone Tiesdei, ecc.). Ercole, a sua volta, in un primo tempo, fu identificato con *"Thuranaz" (antico nordico Thórr, antico sassone Thunar) in forza delle armi, la clava e il martello, con le quali sono sempre raffigurati entrambi. Tuttavia, in seguito, Ercole sarà sostituito da Giove, in quanto il martello di Thuranaz simboleggia la folgore e, dunque, è più vicino all'arma per eccellenza del dio supremo dei greci e dei romani. La nuova relazione sarà ribadita dal collegamento tra il giovedì, giorno di Giove e il giorno di Thuranaz (inglese Thursday, tedesco Donnerstag, ecc.). L'ultima divinità citata dal grande storico romano è Iside la quale, ovviamente, non è una dea romana, (tanto è vero che lo stesso Tacito suppone che i Germani potessero averne appreso il culto da contatti con altri popoli). Essa potrebbe essere identificata con Nerthus, dea della fecondità, di cui Tacito parla in seguito ("Germania", 40), e alla quale, nella settimana germanica, era consacrato il venerdì (Friday in inglese, Freitag in tedesco), e, cioè il giorno di Venere appunto. Ma l'effettivo ruolo e la giusta collocazione di questa dea sono molto vaghe. I dati relativi alla religione germanica più antica si riducono a poche altre affermazioni: il mito delle origini dei Germani dal dio Tuistone, nato dalla terra, e di suo figlio Manno, dal quale sarebbero nate le stirpi degli Ingevoni, degli Erminioni e degli Istevoni ("Germania" , 2), mito in genere spiegato tramite la comparazione con modelli dell'India vedica(3); l'esistenza di una classe sacerdotale dedita all'esecuzione dei rituali, all'interpretazione dei presagi, alla persecuzione dei rei ("Germania" , 7), ma non avente di certo lo stesso peso che avevano, per esempio, i druidi in Gallia; il culto delle Madri, divinità femminili, concepite a gruppi di tre e mai separate, la cui funzione è di protezione e tutela, e le cui tracce si possono ancora scorgere nel folklore popolare (si pensi alle fate delle fiabe).
Appare evidente che il quadro di riferimento della religione germanica arcaica sia piuttosto scarso. Occorre arrivare all'epoca medievale, e, specificamente, ad un ambito geografico più propriamente nordico (ma etnicamente affine) per avere testimonianze più sicure e più sostanziose, e cioè alla Scandinavia dei secoli XI-XII.

Gli dei principali nordico-germanici
I maggiori dei sono suddivisi in due grandi gruppi: gli Asi e i Vani, dove la distinzione segnala una differenza di carattere funzionale, essendo i primi associati alla sovranità, al diritto, alla guerra, i secondi alla fecondità , alla pace. Gli Asi sono gli dei sovrani. Essi dimorano in Asgard (recinto degli Asi), una fortezza celeste situata al centro del mondo cui si accede attraverso il ponte dell'arcobaleno, "Bifröst" , perennemente sotto la minaccia dell'assalto dei giganti, i nemici mortali degli dei, rappresentanti delle forze del male, del caos, dell'oscurità.
Odino è il dio più importante fra gli Asi. Il suo nome è connesso alla radice indouropea *Wat, nella quale è espresso il concetto di ispirazione e furore e che si ritrova nel latino vates , nell'antico irlandese faith (veggente), nel gotico *wots (furente, posseduto). L'ispirazione si lega al suo rapporto specifico con l'arte poetica, la parola ispirata e la saggezza, mentre il furore si pone in relazione con la guerra. Egli è, contemporaneamente il dio dei vivi e dei morti e può essere benigno o malevolo, positivo o negativo. Nei miti della creazione è detto che Odino conferì agli uomini "spirito e vita", egli è pertanto il padre degli uomini e degli dei. Egli, in particolare, è il padre di tutti coloro che cadono in battaglia. Costoro vengono accolti nella Walhalla , la sala degli eroi, sono chiamati Einherjar (prescelti), e lo accompagneranno nella battaglia cosmica finale che porrà termine al mondo, dopo la quale ricomincerà un nuovo ciclo.
Tyr appartiene anch'egli alla stirpe degli Asi. Si tratta di un dio di grande importanza del quale però si sa pochissimo. Il suo nome deriva dall'indoeuropeo *Déiwos , "dio", e, probabilmente, era identificato come la divinità suprema del cielo. Nell'"interpretatio" romana egli viene inteso come Mars . Suoi attributi sono il coraggio e la saggezza che lo mettono in relazione, rispettivamente con la guerra e con la pace di cui è garante. Egli, infatti era la divinità che presiedeva l'assemblea, il Thing . Tyr è monco, suoi paralleli indoeuropei sono, come ha dimostrato Dumézil, il celta Nuada e il romano Muzio Scevola.
Heimdallr è il guardiano degli dei. Egli siede ai limiti del cielo, presso il ponte Bifröst. Heimdallr 6 dotato di vista e udito finissimi per poter scorgere gli attacchi dei giganti. Egli è il garante dell'equilibrio cosmico, tanto è vero che il suo avversario diretto è Loki, figura che, viceversa, incarna la costante minaccia all'ordine del mondo. Heimdallr sorveglia l'ordinato svolgersi del ciclo cosmico e conosce con esattezza quando verrà la fine del mondo. In quel drammatico frangente, egli si ergeràe soffierà nel corno "Giallarhorn", il cui suono si sente in tutti e nove i mondi della cosmologia nordica, chiamando gli dei alla battaglia.
Thor è il dio del tuono e come tale antichissimo. La sua figura trova confronti indoeuropei in Indra per gli indiani, Taranis per i celti e Jupiter per i romani. La sua presenza si fa sentire attraverso il tuono e il lampo, rappresentando quest'ultimo sia il potere sovrano, creatore, legato alla fertilità, che il potere distruttore. Thor svolge una funzione di tutela degli dei e degli uomini.
Baldr, figlio di Odino e di Frigg, sposo di Nanna. Snorri lo descrive come il migliore degli dei, bello e luminoso, saggio ed eloquente. La sua essenza è quella di un principio della luce. Baldr è destinato a morire in circostanze tragiche a causa della malizia di Loki, ma rinascerà per presiedere alla nuova era che seguirà il Ragnarokk .
Loki è una figura singolare tra gli dei ed è dotato di una grande ambivalenza. Egli, in taluni miti è il compagno di Odino e Thor, e spesso gli dei si traggono d'impaccio grazie alla sua astuzia e alla sua abilit\à. In altri, invece, Loki è colui che attenta all'ordine cosmico, un ingannatore maligno e temibile. Sebbene appartenga agli Asi, egli genera creature mostruose. Dalla sua unione con la gigantessa Angrboda nascono tre figli: Hel, guardiana del regno dei morti, Fenrir, il grande lupo, e il serpente che giace nell'oceano, le cui spire avvolgono tutta la terra. Egli è presente nei miti più antichi per sottolineare come il male abbia origine al principio stesso del mondo. Il suo atto più efferato è aver provocato la morte di Baldr. Per tale colpa è catturato dagli dei e incatenato a tre massi mentre un serpe velenoso è legato sopra di lui, così che il veleno gli gocciola sul volto. Loki si libererà solo alla fine del mondo allorché capeggerà le forze del male nel Ragnarokk.
Njordr fa parte dei Vani edè il padre di Freyr e di Freya. Egli governa il vento, il mare e il fuoco, ed è il protettore dei viaggi di mare e della pesca. Il suo nome risale alla radice *Nertu - che contiene l'idea della forza vivificante e procreatrice. Nell'"interpretatio" sarebbe dunque da intendere come la dea Nerthus ponendo il problema, che rimane tuttora aperto, dell'identità sessuale di questa divinità.
Freyr è il dio della fecondità e ha potere sulla pioggia e sul sole. Inoltre governa le ricchezze degli uomini (tra i suoi appellativi vi sono: "dio dell'abbondanza" e "dispensatore di ricchezza"). Il suo nome significa "signore". Egli dimora in "Alfheimr", il paese degli elfi, uno dei nove mondi della geografia nordica. Freyr èstato identificato con Yngvi, il progenitore, secondo Tacito, della tribù degli "Ingaevones" da cui deriva, per Snorri, la grande stirpe dei re norvegesi degli "Ynglingar".
Freya è la dea dell'amore, della fertilità e della lussuria. Ella è anche in relazione con la guerra e le spettano la metà di caduti in battaglia (l'altra metà tocca ad Odino). E' maestra di magia, arte che si lega a pratiche sessuali, e, per la sua bellezza, è oggetto del desiderio dei giganti.

Il Ragnarokk (fato degli dei)
Nella concezione germanico-nordica il tempo ha un carattere ciclico. Il presente si regge sul difficile bilanciamento di forze contrapposte (gli dei contro le forze del caos, cioè i Giganti e i mostri), destinate a scontrarsi in una lotta finale che darà anche origine a un nuovo ciclo di vita.
La fine del mondo annuncia anche, inesorabile, il fato degli dei. Il mito racconta che dapprima vi sarà un inverno aspro e terribile. Faranno seguito altre tre lunghe stagioni fredde senza soluzione di continuità, durante le quali vi saranno guerre, assassinii, sacrilegi. Nel cielo si vedranno eventi inequivocabili: il lupo Sköll ingoierà il sole, il lupo Hati la luna, le stelle scompariranno, ecc. I mostri saranno liberi: Fenrir uscirà dalla sua tana con le fauci spalancate, sbuffando fiamme dalle narici e dagli occhi, e il serpente di Midgardr si leverà dall'oceano, provocando alluvioni e maremoti. Il cielo si spaccheràe le potenze del male daranno l'assalto alla dimora degli dei. Davanti a tutti vi sarà Surtr, il demone di fuoco, quindi Loki, i giganti di ghiaccio e i demoni infernali. Costoro oltrepasseranno Biföst , che si frantumerà al loro passaggio. Heimdallr soffierà il suo corno e gli dei indosseranno l'armatura, accingendosi alla battaglia, seguiti dagli "Einherjar". Un destino di morte attende gli dei; nondimeno essi, risolutamente, vi marceranno incontro ("fatalismo attivo"). Odino sarà davanti a tutti. Egli si scontrerà col lupo Fenrir che lo ingoierà, prima di soccombere a sua volta, ucciso da uno dei figli di Odino, Vi\darr, il quale gli conficcherà la spada in gola fino al cuore. Thor combatterà col serpente e riuscirà ad ucciderlo, ma morrà subito dopo a causa del veleno di questi. Freyr lotterà con Surtr e cadrà anch'egli. Il cane infernale, Garmr, affronterà il dio T yr e moriranno entrambi, così come Loki e Heimdallr. Quindi, Surtr appiccherà il fuoco, distruggendo tutto eccetto taluni luoghi dove saranno radunati i morti (da una parte i buoni e da un'altra i malvagi, secondo una concezione che ha, probabilmente, subito degli influssi cristiani). Quando il fuoco avrà arso ogni cosa, vi sarà un nuovo inizio. La terra riemergerà dalle acque, nuovamente verde e fiorente. Un nuovo sole splenderà nel cielo. Gli dei sopravvissuti, i figli di Odino Vidarr e Vali, i figli di Thor, Baldr tornato dagli inferi, daranno inizio ad una nuova stirpe divina e, da un uomo e una donna, avrà inizio una nuova generazione umana. Tuttavia il tenebroso drago Nidhöggr solcherà i cieli, segno che la rigenerazione del mondo non significa la rottura dell'equilibrio tra forze opposte né la definitiva scomparsa del male.

Note:
L'asterisco che accompagna alcune parole contenute nel testo indica i termini ricostruiti secondo le regole della filologia. (N.d.R).

(1) Si tratta di metafore piuttosto elaborate, composte di due termini per cui, ad esempio, la nave è il "cavallo dell'onda", la battaglia è "la voce della spada" , il guerriero è "albero della battaglia", ecc.
(2) La suddivisione dei giorni della settimana venne adottata in queste regioni nel IV secolo d.C. e si basava sulla ripartizione romana.
(3) Tuistone contiene, etimologicamente, il numerale 2, \è interpretato come il Gemello e confrontato con il dio vedico Yama, che significa appunto "gemello", mentre Manno, che significa "Uomo", è equiparato a Purusa ("Uomo"), l'uomo primordiale da cui nacque l'umanità.

L'Autore collabora con la cattedra di Storia delle Religioni dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha pubblicato saggi e recensioni su riviste specializzate.


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Un cammino per le anime
Note sull’opera di V. Magnien, I Misteri di Eleusi


Giovanni Damiano, in 'Margini' n. 19 del settembre 1997

Nell’agosto 1796 Hegel dedica all’amico Holderlin una poesia dal titolo “Eleusi”. In essa vi è nostalgia (“le tue case, ahimé, sono divenute mute, o dea”) ma anche presagio di un nuovo inizio, comprensione per l’essenziale ineffabilità dei misteri (“al figlio dell’iniziazione la pienezza delle alte dottrine, la profondità del sentimento inesprimibile eran troppo sacre per considerarne degni gli aridi segni”) e per l’indigenza in cui le parole si trovano quando sono chiamate a dar nome a ciò che è per sua natura al di là del linguaggio (“chi mai volesse parlarne agli altri, parlerebbe con la lingua degli angeli”). Un’adesione totale. Ciò vale anche per il testo di V. Magnien, “I Misteri di Eleusi”. Non c’è in esso mera erudizione o il disincantato distacco del ricercatore, né la Grecia è trattata come una passione antiquaria ma con intima partecipazione.
I misteri dell’antichità classica erano culti iniziatici tendenti ad assicurare una più diretta relazione col divino: “ogni iniziazione intende congiungerci al Mondo e agli Dei” afferma Sallustio (Sugli dei e il mondo, IV, 6) ed introdurre in un’esperienza straordinaria capace di trasfigurare l’esistenza all’iniziato era appunto lo scopo dei misteri, tra cui primi per importanza quelli di Eleusi, località dell’Attica non lontana da Atene. Questi ultimi erano dedicati a Demetra, la dea del grano, e a sua figlia Persefone, chiamata anche Kore, “la Fanciulla”. Questi misteri erano organizzati dalla polis ateniese e posti sotto il diretto controllo dell’archon basileus. Eleusi era il luogo in cui Kore era tornata dagli inferi dopo esservi stata condotta da Ade. E proprio ad Eleusi gli ateniesi celebravano la grande festa autunnale, i Mysteria; la processione andava da Atene ad Eleusi e culminava in un rito notturno nel Telesterion (una famiglia verbale, annota W. Burkert, largamente sovrappostasi a mysteria è proprio quella di telein, “compire”, “celebrare”, “iniziare”; telete, “festa”, “rito”, “iniziazione”; telestes, “sacerdote dell’iniziazione”; telesterion, “palazzo delle iniziazioni”. È poi ancora Burkert a ricordarci la traduzione latina di mysteria che è resa con initia, a indicare appunto la crucialità del momento iniziatico). Differenti dalle religioni monoteiste perché basati sul rituale e non su un libro sacro, perché non esclusivisti e non miranti a formare comunità di fedeli (nel senso dell’ecclesia), i misteri hanno costituito un’esperienza del sacro cruciale per il paganesimo. E davvero l’esperienza (il pathema) era il centro del culto misterico, reale e concreta esperienza che, come già ammoniva l’omerico Inno a Demetra (la dea “istitutrice” dei misteri eleusini), non era insegnabile. I misteri non insegnano nulla, permettono l’accesso ad un’esperienza (accesso però non destinato a tutti ma aperto solo ai meritevoli dell’iniziazione, vincolati per di più al silenzio sulle cerimonie sacre). Tale esperienza è perciò alogos, non discorsiva, non dicibile, come ci ricorda anche Aristotele: “gli iniziati non devono imparare qualcosa bensì subire un’emozione ed essere in un certo stato, evidentemente dopo di essere divenuti capaci di ciò”. Per Magnien il nucleo centrale del rituale iniziatico eleusino è rappresentato dalla discesa delle anime nel mondo del divenire e dalla loro risalita verso le regioni pleromatiche (stretta è quindi l’analogia con il mito che narra della discesa di Kore agli inferi e del suo ritorno). Si tratta cioè di una “peripezia” o, meglio, di una vera e propria odissea dell’anima. Le iniziazioni, infatti, dice Magnien, “hanno lo scopo di ristabilire l’anima sul trono di Zeus sia nel corso della sua vita quaggiù, sia quando essa avrà lasciato il soggiorno terreno: l’iniziato risale verso gli Dei mentre chi non lo è resta immerso nel fango”. L’iniziazione perciò rende possibile la liberazione già in vita. Magnien si discosta così dalle ricorrenti interpretazioni dei misteri eleusini come rituale salvifico tendente ad assicurare al defunto una vita beata nelle regioni dell’Ade.
Daccapo: morte e rinascita, tipiche “stazioni” di ogni iniziazione, vengono quindi interpretate rispettivamente come caduta dell’anima e sua successiva risalita al divino. Si prospetta così una condizione esilica dell’anima e al contempo la capacità dell’uomo di ritornare alla Patria solo in quanto ha in sé la favilla del Principio perduto (quì emerge il significato più profondo di telein che non è tanto quello di “compiere il rito” quanto quello di “giungere a compimento”). Non a caso Magnien riprende anche il mito del Dioniso orfico fatto a pezzi dai Titani, leggendolo come rottura dell’unità, sua dispersione e sua successiva ricomposizione. I disiecta membra di Dioniso “rappresentano” le anime allontanatesi dall’Uno: “l’anima subisce la medesima sorte di Dioniso; al principio ha vissuto della vita indivisa; poi è stata suddivisa nella materia e rinchiusa nel corpo come in una prigione; dopo aver subito il castigo, essa si concentra in se stessa, ovvero prende coscienza del suo intimo e vero essere e ridiventa così un Dioniso”. Già Nietzsche l’aveva compreso tanto da scrivere che “il Dioniso fatto a pezzi è una promessa alla vita: essa rinascerà e rifiorirà eternamente dalla distruzione”. È qui all’opera lo schema Uno- molti-ritorno all’Uno (catastrofe ed epistrofe) tipico della civiltà greca. Ad esempio Plotino riprende il mito del Dioniso orfico per “narrare” la “venuta” delle anime nel mondo le quali, rimirando le loro immagini fallaci e illusorie (eidola) nello specchio di Dioniso, si slanciano quasi istintivamente nel mondo. In Platone invece ora l’anima viene biasimata per la sua unione col corpo ora viene, nel Timeo, elogiata perché è stata mandata dal Dio nel mondo per completarlo. Porfirio afferma che la causa della caduta risiede in una colpa originaria dell’anima. Per Stobeo la caduta è legata alla perdita di libertà dell’anima o al fatto che essa, naturaliter, è “consonante” con il mondo della generazione. Per Sallustio l’anima si rende colpevole perché mira al bene ma erra circa il bene stesso. Aristide Quintiliano ritiene che l’anima cada a causa di una inclinazione per il mondo “di quaggiù”, Macrobio parla invece di una discesa “indotta da una segreta brama” e Celso invece pensa che l’anima discenda o come sanzione di una sua colpa o perché appesantita dalle passioni. Magnien poi illustra anche il momento della psicanodia, della risalita dell’anima attraverso i vari gradi dell’iniziazione eleusina. Il viaggio dell’anima sino all’henosis col divino si compie “percorrendo” i Grandi Misteri (il cui culmine è l’epopteia, la visione delle cose sacre), l’iniziazione ierofantica o regale (in cui si ha la contemplazione del Dio) sino all’iniziazione suprema che è oltre la stessa visione, perché “vedere” il Dio significa essere ancora “altro” dal Dio stesso. L’unione col Dio infatti è un “aderire”, un con-tatto nel senso letterale del termine, un “toccare il Dio” come afferma anche Aristotele nell’”Eudemo”: “l’iniziazione è un toccare direttamente la verità pura”.
Infine Magnien descrive i riti che presiedono ai diversi “livelli” iniziatici ognuno collegato ad una complessa simbologia. Per primi vengono i piccoli Misteri (celebrati sei mesi prima dei Grandi Misteri) che consistono soprattutto in purificazioni (sacrifici, lavacri, divieti alimentari e sessuali, ecc.) e nel sonno iniziatico in qualche modo preparatorio alla vera e propria morte iniziatica. Nei Grandi Misteri il candidato è sottoposto a svariate prove iniziatiche: innanzitutto la svestizione e la sepoltura simbolica a cui segue la catabasi, il viaggio agli inferi, durante il quale l’iniziato non deve mai voltarsi al fine di mostrare l’assoluta mancanza di nostalgia per la sua condizione precedente; il viaggio termina arrivando ad una fonte di luce e ricevendo nuove vesti. Dopo un intervallo di almeno un anno, secondo Magnien, avviene il completamento dei Grandi Misteri, l’iniziazione epoptica, il cui rituale consiste soprattutto in un viaggio dall’oscurità alla luce (discesa nell’antro, visione della luce in uno specchio, successiva visione delle “cose sacre”, la spiga di grano e il fallo; in più si assisterebbe ad una vera e propria ierogamia annunciata dallo ierofante). Le successive iniziazioni per Magnien riguardano soltanto i dignitari, ossia coloro che sono preposti al culto misterico. È chiaro perciò che l’unione col Dio in questa prospettiva era davvero ristretta ad un limitatissimo numero di persone mentre la maggior parte degli iniziati si fermava all’epopteia. In queste iniziazioni si moltiplicavano le prove alle quali sottoporre i candidati fino alla perfezione assoluta, al divenire tutt’uno col Dio.

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Plutarco, Le virtù di Sparta, Adelphi.
Di contro all’instancabile “andare” di Atene lo “stare” di Sparta, città severa (“quel gran convento” la definì, livoroso, Constant), immune dalla violenza affascinante della dialettica, chiusa alle suggestioni dell’insolito e del disarmonico, catafratta nell’immutabile costituzione di Licurgo, rispettosa del principio platonico di giustizia (“eguaglianza tra eguali, diseguaglianza tra diseguali”), incentrata sul totale spirito di servizio verso la comunità. E poi: le immagini di Sparta nella storia, la fortuna del suo mito. A caso: la Sparta modello, per monarcomachi quali Beza e Hotman, di perfetto equilibrio dei poteri, la Sparta virtuosa dei giacobini, che però avevano malamente equivocato sull’eguaglianza in vigore tra gli Spartiati. Per finire: “i loro ideali (degli spartani) sono allevamento selettivo ed eterna giovinezza, uguaglianza con gli dèi, grande volontà, fortissima fede aristocratica nella razza, cura, al di là di se stessi, per tutta la stirpe”. Queste parole, del 1934, sono di G. Benn. Il saggio da cui sono tratte non poteva non intitolarsi 'Mondo dorico'.


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V. Magnien, I Misteri di Eleusi. Traduzione e nota introduttiva di Ezio d’Intra.
Edizioni di Ar, Padova, 1996. Collezione Paganitas, pp. 416, con 28 ill., £. 60.000.
Victor Magnien, professore all’università di Tolosa, scrisse i Misteri di Eleusi nel 1929, per poi approntarne nel 1938 una seconda edizione aumentata, su cui si basa la presente traduzione. L’opera è centrata soprattutto, come “recita” il sottotitolo, sulle origini e sul rituale delle iniziazioni eleusine e si segnala per la completezza della documentazione, la scrittura piana e comprensibile, l’intima “consonanza” col mondo dei misteri. Dopo due capitoli introduttivi sui misteri e sul “principio dell’iniziazione”, Magnien delinea le condizioni generali d’ammissione ai misteri e la gerarchia delle iniziazioni eleusine che vengono poi, una ad una, descritte e interpretate. In tal modo viene presentata al lettore un’opera completa ed organica che sicuramente costituisce una decisiva chiave d’accesso a uno dei fenomeni più “qualificati” del mondo greco.

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