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Yukio Mishima - Giappone 

Indice:

- Le “poesie di addio al mondo” di Mishima e dei membri dell’Associazione degli Scudi

- L’ideologia delle tre funzioni nei miti del Giappone

- Intervista a Giuseppe Fino: 'Sul Giappone'

- recensioni

 

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Le “poesie di addio al mondo” di Mishima
e dei membri dell’Associazione degli Scudi


Giuseppe Fino, in Margini n. 33 del gennaio 2001

Il 25 novembre 2000 ricorreva il trentesimo anniversario del suicidio rituale di Mishima e Morita. Raccogliamo l’invito del prof. Giuseppe Fino ricordandoli con alcune notizie relative all’Istituto Mishima e con le “poesie di addio al mondo” di Mishima e dei membri dell’Associazione degli Scudi (per la prima volta tradotte integralmente in una lingua diversa dall’originale) che parteciparono all’azione.

Sul quotidiano Sankei Shinbun del 15 settembre 1999, a firma di Shigeki Takarada è apparso un articolo dedicato al successo di pubblico ottenuto dall’“Istituto Yukio Mishima” (Mishima Yukio Bungaku-kan) che è stato inaugurato, unico nel suo genere in tutto il Giappone, lo scorso 3 luglio sul lago Yamanaka-ko, nella prefettura di Yamanashi, sul versante nord del Fujiyama. Il direttore dell’Istituto è Shoichi Saeki, un noto critico letterario e specialista di Mishima. L’edificio, che è costato circa 338 milioni di yen (oltre 5 miliardi di lire), è situato nel parco naturale del villaggio di Yamanaka-ko-mura ed è circondato dal verde. E’ un moderno edificio a due piani che raccoglie tutti i documenti che facevano parte della libreria personale di Mishima e che il comune di Yamanaka-ko-mura ha comprato dagli eredi dello scomparso scrittore nel 1996, grazie alla forte volontà mostrata dall’attuale sindacoTakamura. Nella sala al primo piano, sono esposte le prime edizioni delle maggiori opere di Mishima, a cominciare da Hanazakari no mori (Il bosco fiorito, 1944). C’è anche un grande pannello con la biografia dell’autore. Il visitatore può ammirare inoltre i manoscritti di opere quali Le confessioni di una maschera, La voce delle onde, Il padiglione d’oro, Sole e acciaio etc.etc. e i relativi quaderni di appunti. Sono esposti anche posters dei suoi film e dei drammi teatrali, fotografie che lo ritraggono da giovane e autoritratti, pagelle scolastiche e testamento spirituale. In particolare, i pannelli con le fotografie di Mishima coprono tutto l’arco delle sua vita. C’è inoltre una stanza riservata alle proiezioni cinematografiche e di video-tape dedicate alla letteratura di Mishima e soprattutto all’ultima opera Il mare della fertilità. Si può anche effettuare una ricerca telematica nel mondo di Mishima usando l’annesso computer, o fare l’esperienza di entrare nella “stanza-libreria” dello scrittore, che è stata ricreata alla perfezione, scaffale per scaffale. Al secondo piano, invece, per il momento sono custoditi i numerosi documenti inediti e in parte non ancora catalogati, che comprendono 2.631 pagine del manoscritto del Mare della fertilità, 8.884 pagine di altri manoscritti, 30 quaderni di appunti di viaggio, 43 quaderni relativi alla trama delle opere che Mishima andava scrivendo, 1.300 libri vari, 800 riviste, 378 opere tradotte in giapponese, 130 documenti relativi a film e opere teatrali di cui fu protagonista. L’Istituto sta gradualmente rendendo pubblica ai numerosi lettori e studiosi di Mishima una parte di questi documenti “inediti”, che rivelano interessanti particolari dell’attività letteraria dello scrittore (per es., cambiamenti nei titoli delle opere o variazioni della trama o della struttura...). L’Istituto è aperto tutti i giorni (tranne il lunedì) dalle 10.00 alle 16.30. Il biglietto d’ingresso è di 300 yen.

“Poesie di addio al mondo” (Jisei)

Masurao otoko ga
tabasamu tachi no
sayanari ni
ikutose taete
kyoo no hatsushimo.
(Yukio Mishima)

Prima brina, oggi,
per il guerriero
che tante volte
si è indurito
al suono della spada sfoderata.


Chiru wo itou
yo ni mo hito ni mo
sakigakete
chiru koso hana to
fuku sayoarashi.
(Yukio Mishima)

Non importa cadere.
Prima di tutto.
Prima di tutti.
E‘ proprio del fior di ciliegio
cadere nobilmente
in una notte di tempesta.


Kyoo ni kakete
kanete chikaishi
waga mune no
omoi wo shiru wa
nowake nomi ka wa.
(Masakatsu Morita)

Oggi, nel giorno atteso,
a conoscere quello
che è racchiuso nel mio cuore,
che da tempo ha giurato,
sarà la sola tempesta?


Hi to moyuru
Yamatogokoro wo
harukanaru
oomikokoro no
misonawasu made.
(Masayoshi Koga)

Ah, l‘amor di patria
che brucia come il fuoco!
Esso durerà fin quando
avrò la forza di non
distogliere lo sguardo
da Sua Maestà Perenne.


Kumo orabi
shirayuki sayagu
Fuji no ne no
uta no kokoro zo
mononofu no michi.
(Masayoshi Ogawa)

Tra una nuvola e l‘altra
cade bianca la neve.
E‘ il cuore della poesia
che canta il Fujiyama
la vera via del guerriero.


Shishi to nari
tora to naritemo
kuni no tame
masuraoburi mo
kami no mani mani.
(Hiroyasu Koga)

Non fa differenza combattere
da leone o tigre.
Se è per la patria,
anche la vita del guerriero
e‘ accolta tra gli dei.


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Intervista a Giuseppe Fino: Sul Giappone

In 'Margini' n. 21 del gennaio 1998

Benchè la modernità abbia oramai ricoperto il Giappone della sua grigia atmosfera, di tanto in tanto fasci di luce filtrano tra l’oscurità, ricordandoci di un passato non ancora così lontano da essere completamente dimenticato.
Al Professore G. Fino, che vive in Giappone, autore di uno studio su Yukio Mishima ('Mishima e la restaurazione della cultura integrale', Sannô-kai), abbiamo chiesto notizie di alcune delle “manifestazioni luminose” che rischiarano il buio del calante sole giapponese.

D. - Qualche tempo fa i telegiornali italiani hanno citato l’episodio del soldato giapponese che continuò a considerarsi in guerra anche dopo il ’45. Che significato assume per i giapponesi di oggi il comportamento di quel soldato?
R. - Anche in Giappone i telegiornali hanno dato notizia della scomparsa di Yokoi Shoichi, il militare giapponese che aveva continuato a “combattere” nella giungla dell’isola di Guam anche dopo il ’45. Per i giapponesi di sinistra o nati ed allevati nel clima pacifista e democratico del dopoguerra, il comportamento di Yokoi è difficilmente comprensibile e approvabile: si tratterebbe di un episodio di fanatismo di cui bisogna possibilmente tacere o vergognarsi. Per i giapponesi nati nell’anteguerra o sensibili ancora al patriottismo, il comportamento di Yokoi è esemplare ed eroico. Per le generazioni giovanissime, invece, il nome di questo soldato non dice assolutamente nulla. Vorrei aggiungere una considerazione personale. Più che Yokoi Shoichi, che in qualche modo si è “ambientato” al clima del dopoguerra, io vorrei segnalare la figura di un suo commilitone, Onoda Hiroo, che invece preferì abbandonare il Giappone consumista e americanizzato del dopoguerra per andare ad “allevare vitelli e conigli” nell’America del Sud.

D. - Nel libro Tenchû (Castigo del cielo), Edizioni Sannô-kai, vengono descritti gli avvenimenti che dettero origine alla Rivolta degli Ufficiali del 1936. Esistono oggi in Giappone forze politiche che si richiamano a quegli avvenimenti, agli uomini e al fermento ideale di quel periodo?
R. - La risposta è completamente negativa. L’Insurrezione dei ‘Giovani Ufficiali’ del 26 febbraio 1936 (Ni niroku jiken) è adesso oggetto solo di romanzi, saggi e film un pò nostalgici. I familiari dei “rivoltosi” giustiziati hanno costituito un’apposita associazione per la riabilitazione dei loro cari, ma non c’è nessun gruppo politico che si rifaccia a quell’esperienza di “puro neo-romanticismo fascista”. Perfino la destra giapponese extraparlamentare considera quell’episodio disonorevole ed “eretico”: non è stato infatti approvato dall’Imperatore. Questo può dare un’idea del conformismo vigente in questo Paese. Forse è stato merito del solo Mishima aver riproposto e rivalutato questo episodio nel dopoguerra.

D. - Mishima è l’autore giapponese più tradotto in Italia, ma la maggior parte dei lettori si sofferma sull’aspetto narrativo della sua opera. Lei che ne ha ricostruito le radici culturali nel suo libro Mishima e la restaurazione della cultura integrale, Edizioni Sannô kai, ci può sintetizzare i punti essenziali della visione del mondo di Mishima?
R. - Le radici culturali di Mishima sono molto complesse. Da giovane fa parte del movimento neo-romantico di Yasuda Yojuro e del poeta Ito Shizuo ed è influenzato soprattutto da Hasuda Zenmei, il teorico della “bella morte”. Nel dopoguerra, dopo un periodo di riflessione e di attività letteraria a sfondo un pò “intimo” e “autobiografico”, riscopre e interpreta la cultura giapponese (Nipponjin-ron, dibattito sui giapponesi). Nel suo saggio Difesa della Cultura (1969) scopre in essa tre caratteristiche: la ciclicità, la totalità e la soggettività. Per Mishima, anche l’azione è cultura. La forma più alta di cultura è il bunburyodo l’unione di arte e azione. Mishima riscopre anche la filosofia attivista e intuitiva di Wang Yang-ming (in giapponese, Yomeigaku), il bushido integrale dello Hagakure (Il pazzo morire, Edizioni Sannô-kai), il tradizionalismo ovvero l’anti-modernismo dello Shinpuren (La Lega del Vento Divino) e l’idealismo imperialista e romantico dei ‘Giovani Ufficiali’ del Ni niroku jiken. Al centro del pensiero di Mishima resta comunque l’Imperatore come concetto culturale supremo, a cui fa da corollario la sua opposizione politica contro-rivoluzionaria e l’implacabile critica all’intellettualismo pacifista e democratico del dopoguerra.

D. - In occidente è consuetudine praticare discipline fisiche estremo-orientali, a volte come pratica sportiva, altre come discipline marziali. Il dubbio, però, è che di originale in queste discipline sia rimasto ben poco. Qual’è la situazione in Giappone?
R. - La situazione in Giappone purtroppo non è molto diversa. Soprattutto per il judo e il karate, è veramente arduo trovare palestre che diano più peso all’aspetto “spirituale” della disciplina che non a quello sportivo e agonistico. La situazione è leggermente migliore nelle palestre di kendo e aikido e quasi soddisfacente in quelle di kyudo (tiro con l’arco) e di i-ai (disciplina con la spada vera). È questa la mia impressione. Devo confessare, però, che io in passato ho frequentato solo le palestre di judo...

D. - Vi è possibilità di ricevere dal Giappone ultra tecnologizzato di oggi insegnamenti validi per l’Uomo della Tradizione?
R. - Si, vi è qualche possibilità, ma essa è limitata a qualche monastero Zen e a qualche palestra di arti marziali influenzate magari dal pensiero Zen. Occorre una buona dose di pazienza e di fortuna prima di trovare il Maestro giusto e l’ambiente adatto. Nell’eventuale pratica dello Zen, vorrei consigliare un impegno incondizionato e a lungo termine possibilmente presso i monasteri della Scuola ovvero dell’Ordine Rinzai.

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Un nostro lettore, Castrese Cacciapuoti, attualmente in Giappone per motivi di studio, venuto a conoscenza della pubblicazione in lingua italiana del libro di J. Haudry 'Gli Indoeuropei', ci ha inviato queste note sulla corrispondenza analogica tra la ideologia tripartita indoeuropea e la struttura tripartita della simbologia shintoista.

L’ideologia delle tre funzioni nei miti del Giappone

C. Cacciapuoti, in 'Margini' n. 35 luglio 2001

Che i miti nazionali del Giappone rivelino un gran numero di sorprendenti simiglianze con i miti
dei Greci, degli Sciti, oltre che con l’epopea degli Osseti era noto già da tempo agli studiosi. Tuttavia è solo dagli anni settanta che, grazie al lavoro di comparazione strutturale compiuto da Ohayashi Taro e Yoshida Atsuhiko, si è riusciti a dimostrare che elementi simbolici appartenenti all’area culturale indoiranica si propagarono da occidente verso l’estremo oriente fino a influenzare anche popoli di diversa stirpe, come è dimostrato dai miti dell’antico regno coreano di Koguryo e dai miti shintoisti. Secondo la teoria avanzata dai due studiosi giapponesi, i nomadi di ceppo altaico che, passando per la penisola coreana, si stanziarono in epoca preistorica nell’arcipelago nipponico, e gettarono le basi della nazione Yamato, erano precedentemente entrati in contatto nelle steppe dell’Asia centrale con i popoli Sciti di stirpe iranica, da cui avrebbero ricevuto una sorta di investitura rappresentata dalla consegna dei tre tesori sacri, che sono tuttora i simboli della podestà suprema del Tennô.
Nel confronto tra i miti giapponesi e quelli dei popoli di stirpe indoeuropea non solo riscontriamo chiarissime affinità negli elementi narrativi, ma vediamo precisi accordi anche e soprattutto in termini di Weltanschauung. Per tale ragione Ohayashi e Yoshida ritengono che benché i miti giapponesi siano composti da strati di diversa origine, essi formino un sistema coerente con il sistema mitologico-simbolico indoeuropeo. A titolo di esempio, citiamo la coincidenza simbolica dei tre tesori celesti della famiglia reale degli Sciti con i tre tesori sacri imperiali del Giappone (lo specchio di Amaterasu Yataka no kagami, la spada di Susanowo Ame no Murakumo no Kurugi, e il gioiello ricurvo di Okuninishi Yasakani no Magatama), che, come viene dimostrato dall’interpretazione di Yoshida e Ohayashi, rappresentano rispettivamente le tre funzioni - magico-religiose, guerriere, produttive- del Potere. Nei miti giapponesi la società risulta coerentemente organizzata sulla base dei concetti ideologici simbolizzati dai tre tesori. Infatti il racconto mitico riconosce sin dai primordi una struttura di rapporti che si sviluppano dalla connessione fra i tre strati: i sacerdoti, gli specialisti delle funzioni militari, il popolo comune -composto dai produttori di derrate alimentari, i quali risultano subordinati ai primi due.
Nel ciclo di miti riguardanti la discesa dal Cielo dei discendenti della dea Amaterasu, antenata della famiglia imperiale, è presentato l’archetipo mitico della comunità giapponese organizzata sotto l’Augusto Governo Imperiale. Secondo questi miti, nel momento in cui l’Antenato Celeste Ninigi no mikoto scende in veste di sovrano sulla “Terra dalle vigorose spighe di riso” (antonomasia poetica per Giappone), egli è accompagnato da un gruppo di divinità celesti fondatrici dei casati che in epoca storica avranno un importante ruolo nell’esercizio del potere regale. Chiaramente, a questo modello mitico si conforma la struttura sociale data da uno strato dominante aristocratico di ceppo altaico che con a capo il Tennô esercitava il proprio dominio sul territorio dell’arcipelago e sulle popolazioni autoctone di ceppo australe.

Significato di Dei del Cielo (Tenshin) e Dei della Terra (Chigi)

Anche il pantheon shintoista riflette l’idea per cui l’assetto sociale viene considerato tripartito in sovrani-sacerdoti, detentori della sovranità, militari e popolo addetto alle mansioni economiche. Sin dalla più remota antichità gli dèi del Giappone erano suddivisi in Divinità del Cielo (in giapp. Ama tsu Kami, in cinese Tenshin) e Divinità della Terra (Kuni tsu Kami in giapp., Chigi in cinese). Appartenenti alla classe degli dèi Celesti menzioniamo Amaterasu, Takamimusubi, Kamimusubi che costituiscono gli dèi sovrani dominanti il mondo dall’alto del Takamagahara. Chiaramente distinte da questi, le altre Divinità del Cielo, detentrici delle armi e in possesso delle arti guerriere, che precedono le divinità sovrane nella loro discesa sulla terra. Pertanto Yoshida conclude che le Divinità Celesti pur formando un unico gruppo, sono distinte da una parte dagli dèi regali e, strettamente legati a questi, da dèi della funzione sacerdotale, oltre che da dèi guerrieri costituenti un diverso ceppo divino. Decisamente contrapposte alle Divinità del Cielo, le divinità note sotto il nome di Dèi della Terra (Kuni tsu Kami), dalla precisa indole comportamentale di “Signori della terra”. Il ruolo principale di queste divinità consiste nel produrre alimenti e ricchezza dalla terra, definita significativamente nei miti Osukuni, cioè “Terra che dà il nutrimento”. Come è noto, i miti nazionali del popolo giapponese sono riportati in massima parte nel Kojiki, testo sacro dello Shintô, e nel Nihongi o Nihonshoki, cronaca storico-mitica scritta in gran parte in cinese. Da una analisi delle strutture narrative di questi testi emerge che sono esplicitamente tre le divinità principali a cui è tributato un carattere divino superiore: Amaterasu, Antenata della stirpe imperiale, sacerdotessa celeste, che possiede la sovranità del Cielo, e che dopo avere sottomesso Okuninushi, riesce ad estendere la sua potestà cosmica fino al mondo degli umani; segue Susanowo, divinità guerriera dal carattere impetuoso e violento; infine Okuninushi, divinità tutelare dei lavori agricoli e della felicità coniugale, che tutt’oggi per queste sue caratteristiche di dio della fecondità, è la divinità che riceve il maggiore favore popolare. Queste tre divinità supreme detengono su scala cosmica rispettivamente la funzione regale-sacerdotale, la forza guerriera e la fecondità. Esse sono l’esatto corrispondente delle divinità sovrane del mondo indoeuropeo descritte nei lavori di Dumézil. Gli oggetti simboleggianti queste funzioni rappresentano tuttora il potere sacro del Tennô. Essi sono, lo ricordiamo ancora una volta: lo specchio di Yata, simbolo della prima funzione, la spada di Amenomurakumo, simbolo della seconda funzione, e il gioiello ricurvo di Yasakani, simbolo della terza funzione. Tutti e tre questi oggetti, secondo le teorie di Yoshida e Ohayashi, derivano direttamente dai simboli del potere dei re Sciti.

Bibliografia indicativa:
Ohayashi Taro, Nihon shinwa no kozo (Struttura dei miti giapponesi), Kobundo 1975.
Ohayashi Taro, Higashi Ajia no oken shinwa (I miti della sovranità in Asia orientale), Kobundo 1984.
Yoshida Atsuhiko, Nihon shinwa to In-o shinwa (I miti del Giappone e i miti indoeuropei), Kobundo 1974.
Yoshida Atsuhiko, Nihon shinwa no naritachi (La struttura dei miti del Giappone), Seidosha 1992.
Hirafuji Hisako, Kuni-yuzuri ni miru Sankino-taikei (Il sistema delle tre funzioni visto nel mito dell’affidamento del Paese), Rivista dell’Associazione di studi di lingua e lett. nazionali dell’Università Gakushuin 1996.

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Mishima Yukio, Mishima yukio mihappyô shokan (Lettere inedite di Yukio Mishima a Donald Keene), Chûô Kôron-sha.
Donald Keene è un famoso studioso americano di letteratura giapponese nonché apprezzato traduttore. La sua amicizia con Mishima risale agli anni cinquanta e il rapporto tra i due fu sempre improntato a reciproca stima. Questo epistolario comprende novantasette lettere indirizzate da Mishima a Keene: la prima risale al 1956, l'ultima al 1970. Si tratta forse dei quindici anni più intensi e attivi dell'attività letteraria ed extra-letteraria del Nostro. Mishima mette al corrente Keene sugli spettacoli di Nô e Kabuki a cui ha assistito, sui drammi e i film a cui sta lavorando, sulle opere che va scrivendo e sulle traduzioni dei suoi libri all'estero. A questo argomento Mishima è particolarmente sensibile. Forse questo interesse è legato al suo sogno di ricevere il Premio Nobel per la Letteratura. Il contenuto di queste lettere è, comunque, riservato al suo lavoro di scrittore. Mancano quasi del tutto accenni al suo pensiero politico incentrato sull'Imperatore, al kendô, al Tate-no-kai (Associazione degli Scudi). Questo “silenzio” è, forse, da mettere in relazione con la nota idiosincrasia di Keene per le concezioni guerrieri e virili del Giappone quale patria del Bushidô. Keene è sempre stato, infatti, un tipico rappresentante dell'ambiente accademico “liberal” e progressista, nonché pacifista e democratico. (G. Fino, in 'Margini' n. 31, luglio 2000)

101 storie zen, Punto d'incontro.
La vita del praticante dello zen —si deduce dalla lettura delle storie— è scandita da alcuni momenti essenziali: la meditazione, lo studio, gli incontri con il maestro. Il sottofondo costante della pratica, però, risulta essere la semplicità, intesa soprattutto come essenzialità; vale a dire che il cambiamento del praticante diventa possibile quando questi sappia interrompere il flusso delle immedesimazioni con le preoccupazioni e le illusioni, facendo sì che il ritmo reale della vita penetri in lui, ponendo le basi per il raggiungimento del primo livello di conoscenza, definito risveglio o illuminazione.


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