Seta nera           di Moemi

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 Sono giorni di apatia, questi, per me. Ho le membra intorpidite e galleggio
tra il risveglio e una nuova sonnolenza.
Non provo nulla e neanche m'interessa indagare a fondo sulla causa. Quello
di cui ho davvero bisogno è sentirmi di nuovo viva, qualcosa che assorba
tutte le nuvole che mi avvolgono la testa come uno scialle di cashmere. Per
questo l'ho chiamato ancora.
Appuntamento alle 21, solito albergo, solita stanza. E mentre mi allaccio la
guepiere, con il corpo già fragrante d'olio profumato, tu non dici una
parola. Poi, degnandomi appena di un'occhiata distratta mi chiedi: "Esci
anche stasera?" e senza aspettare la mia risposta torni a chiuderti nel tuo
studio, hai del lavoro da terminare, dici, e mi lasci a contemplare una
donna seminuda nello specchio.
E' una bella donna. Ancora giovane e con la pelle morbida, la carne soda di
palestra.
E mi osserva con l'atteggiamento di chi pensa che io non mi meriti questa
bellezza, che non è pane per i miei denti. Lei sì, pensa la mia controfigura
mancina, lei saprebbe utilizzarla.
Mi accarezzo il fianco, sostenendo il suo sguardo duro. La vuoi? La vuoi tu,
questa pelle liscia?
Vieni a prendertela, forza. Vuoi questi seni sodi? Ecco te li offro...vieni
a prenderteli, stronza.
E' inutile. Anche questa piccola provocazione non mi dà più il piacere di un
tempo.
Indosso rapidamente la camicia, la mia preferita, ma senza godere del tocco
leggero della seta, trattandola come una comune maglietta di cotone. Mi
scivola addosso avvilita, con un fruscio serpentino, fresca sulla pelle. Una
camicia nera. Nera, come il mio umore.
Afferro dal cassetto il mazzetto di matite per le labbra, l'elastico si
rompe e mentre le matite si spargono in un complicato disordine sul comò,
penso distrattamente che potrei giocare a Mikado.
Ne impugno una e comincio a tracciare il contorno labbra. Mi fermo a metà.
Mi capita spesso in questi giorni, di perdere improvvisamente interesse in
quello che sto facendo. O addirittura, di dimenticare il motivo per cui lo
sto facendo. Dura un attimo, poi ritorno in me e mi scopro sul punto di
disegnarmi il viso con un tratto rosso carminio. Una maschera tribale. Bene.
Qualcosa che mi nasconda il viso, che mi camuffi da qualcun'altra.
Ma non è per questo che vado a quell'appuntamento? Per sentirmi un'altra?
Già troppe volte ho abbandonato una parte di me tra le lenzuola di un altro
letto, tra le pieghe di altri corpi. Ma non è servito a nulla. Al mio
rientro, quando emergendo dal tuo dormiveglia mi hai guardato con un sorriso
assonnato, ho capito che ero sempre io.
E poi, che diavolo significa quel sorriso? Cosa? Significa forse che sei
contento per il mio ritorno, magari pensavi che non sarei più tornata? No,
questo non posso crederlo. Non posso permettermi di illudermi ancora.
Allora cosa? Mi deridi perché hai notato la camicia abbottonata male, la
calza smagliata, il trucco disfatto? E' il potere che hai su di me a
divertirti? No, non voglio saperlo davvero. Mi ferirebbe, in qualche modo,
se riuscisse a superare il torpore che mi protegge.
L'uomo di turno è giovane, e molto bello. Sai che non uso facilmente la
parola "bello", ma lui lo è davvero. Ha un corpo tonico e proporzionato, un
volto regolare e lucenti occhi azzurri.
L'ho conosciuto al cinema, un anno fa. Tu eri preso dai soliti numerosi
impegni che escludono la mia presenza e, per indispettirti, sono andata al
cinema, da sola. So che non ti piace che esca, se non accompagnata. Ma ero
così stanca... non avevo voglia di mentirti una volta di più, nascondendomi
dietro amici che non conosci, che non conoscerai mai.
L'ho notato durante l'intervallo. Mi guardava e il suo sguardo mi ha fatto
fremere d'eccitazione.
Quando si sono spente le luci mi ha raggiunta e mi si è seduto accanto.
Senza dire una parola ha preso a carezzarmi le gambe, fin sotto la gonna,
trovando la pelle nuda. Aveva le mani calde. Non l'ho incoraggiato, ma
neanche l'ho fermato. Ha continuato a toccarmi, ad accarezzarmi, con lo
sguardo fisso verso lo schermo. Allora ho allargato le cosce ed ho poggiato
la testa allo schienale, lasciando che riuscisse ad infilare le dita nel
tessuto sottile degli slip. Ero eccitata e se n'è accorto subito. Solo
allora ha parlato. Aveva una voce profonda e gentile, mi ha detto che aveva
la macchina parcheggiata fuori. L'ho seguito.
Mentre guidava non guardavo fuori dal finestrino, non m'interessava dove mi
stava portando.
Neanche quando ci siamo fermati, in un angolo buio, ho guardato.
Ho solo lasciato che mi baciasse e mi spogliasse.
Ora, a distanza di un anno, mi sorprendo a pensare a quell'orgasmo, rapido,
potente. Venni quasi contemporaneamente a lui, dopo poche spinte. Ed è
insolito, lo sai. Forse è per questo che ho continuato a vederlo, per quello
zampillo di unicità che mi ha donato.
Oggi però lo guardo e non trovo nulla di unico in lui e in quello che fa.
Mi passa le mani sulla pelle, con dolcezza, e per me non fa differenza che
lo faccia per fare l'amore o per controllare che sia tutto al suo posto. In
effetti, ai miei occhi, tutta la faccenda assume la crudezza e la sterilità
di una visita medica. Il suo pene è solo un buffo muscolo, uguale a tanti
altri, pure se turgido e imponente. Il suo corpo statuario non è altro che
un corpo: pelle e peli a ricoprire carne umana. E' disteso su di me, con la
testa verso i miei piedi, e mi lecca la clitoride, mentre io gli succhio il
sesso. No, non è corretto. E' più corretto dire: lo tengo in bocca, come si
terrebbe del cibo solido e ingombrante. Poi si alza, si volta per
penetrarmi, ed io non posso fare a meno di trovare patetico tutto quel suo
agitarsi e dimenarsi per darmi piacere.
Mi concentro, il piacere arriverà. Ma quando il suo incalzarsi nel mio corpo
comincia a diventare qualcosa di più di un piacevole massaggio, ecco che
viene.
"Mi dici che cazzo hai oggi? Sembri un cadavere, un pezzo di legno." La
gentilezza è sparita dalla sua voce. Già da un po', in realtà. La storia, se
mai una storia vera e propria c'è stata, sta finendo. Non m'importa. Voglio
solo tornare a casa.
"Mi stai ascoltando?" Alza la voce. No, non lo sto ascoltando. Sto pensando
che l'ho fatto per dispetto, per farti male, e non ho provato nulla.
La mia indifferenza lo innervosisce e, prima ancora di rendersi conto di
quello che sta facendo, mi molla un ceffone, per scuotermi, si giustificherà
poi.
Per la potenza dell'impatto, il velo di lacrime che si andava creando nei
miei occhi si scioglie in bollenti goccioline, rigandomi le guance.
Le nota quasi subito e ne resta sconvolto. "Oddio...cosa ho fatto?
Perdonami, non volevo... perdonami!" Mi accorgo a malapena che si è
inginocchiato davanti a me e che, circondandomi la vita con le braccia,
poggia il viso tra le mie cosce, ancora nude. Piango, è vero, ma non per il
suo schiaffo. Un pensiero ha preso forma, ferendomi molto più profondamente
della tua violenza: a te non importa che io lo abbia fatto, che ti abbia
tradito.
"Ci rivedremo?" Mi chiede mentre scendo dalla sua macchina. Non gli
rispondo, non ho mai amato le domande retoriche.
Comincio a spogliarmi in ascensore e quando questo si ferma al mio piano ho
addosso solo la camicia e le scarpe. Ma so già che non mi vedrai entrare in
casa in questo stato. Infatti sei già a letto, non mi hai aspettato sveglio.
Un tempo lo facevi. Ovunque io fossi andata, mi aspettavi, anche solo per
dirmi "ciao". Talvolta mi veniva la tentazione di tardare molto, solo per
vedere se mi avresti aspettato, e quanto, ma poi la fretta di vederti
prendeva il sopravvento.
E' passato tanto tempo. Tu hai smesso di aspettarmi ed io di preoccuparmi
dell'ora in cui tornerò. Eppure non smetto di illudermi che un giorno mi
aprirai di nuovo la porta e il cuore,
cogliendomi di sorpresa, come il giorno in cui mi hai regalato questa
camicia in seta nera.
Questa stessa camicia che indosso per andare agli appuntamenti con il mio
amante e che ogni volta ho la tentazione di tagliare in mille pezzi da
soffiar via dalla finestra.
Non sarà oggi, però. La abbandono sul pavimento della nostra stanza e
m'infilo sotto le coperte, per abbracciare il tuo corpo addormentato che mi
dà le spalle. E con questo abbraccio abbandono la coscienza a favore
dell'oblio, avvolgendomi in quelle nubi che di giorno mi annullano e di
notte mi fanno più vera.

 

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Di Moemi

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