La Puledra.   Di Lupo Mannaro

 

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Portai Sabrina con me in campanga perché avevo bisogno di fare legna.
Eravamo all'inizio della primavera. Di giorno il sole scalava la pianura e
il clima era caldo e sensuale, ma di notte nella fattoria diventava freddo e
l'erba si faceva umida.
Era la prima volta che ci accompagnavo Sabrina. Le aprii la portiera
dell'auto e la aiutai a scendere. Le feci vedere le varie stanze della casa,
le mostrai il cortile, le indicai il capanno dove erano accatastati gli
attrezzi e la legna. Mi piaceva tenerle una mano dietro la testa e spingerla
avanti a me mentre camminavamo sul grande prato dietro la casa, mentre le
spiegavo che eravamo soli e che la casa abitata più vicina era a quasi 15
chilometri da qui.
- Davvero?
- Certo, cagnetta. Ma adesso togliti le scarpe. Ti piacerà camminare
sull'erba a piedi nudi.
Lei le tolse, e le tenne in mano per tutto il sentiero che percorremmo
intorno alla casa. Le tenne in mano anche quando fummo sul vialetto di
ghiaia. Mi fermai di fronte all'ingresso principale, e le dissi di
aspettarmi. Tornai alla macchina, presi il borsone dal bagagliaio e ci
sistemammo nel salone, davanti a un grande camino spento.
- Queste non ti servono, puttanella, dissi prendendole le scarpe e
appoggiandole sul tavolo insieme al borsone. Ora voglio che ti giri.
Sabrina andò di fronte al camino e si voltò, mostrandomi le spalle.
Aprii il borsone e cominciai a tirare fuori quello che conteneva. Quei
tintinnii metallici e di plastica, quegli oggetti che disponevo
meticolosamente sul tavolo della sala suscitavano in lei una partecipe
curiosità, e più volte fece l'atto di girasi.
- Non ti voltare, puttanella. Ancora un attimo di pazienza
Presi un paio di manette e mi avvicinai a lei.
- Dammi le mani, da brava.
Presi le mani che mi porgeva dietro la schiena e le feci scattare le manette
intorno ai polsi. Poi la tirai per i capelli e le dissi di aprire la bocca.
Nell'altra mano tenevo una matita. Gliela misi in bocca orizzontalmente e le
dissi che doveva tenerla così, senza lasciarla cadere. Sabrina annuì.
Tornai verso il tavolo, presi un grosso elastico e tornai da lei. Le bloccai
la matita in bocca passandone l'elastico prima intorno a un'estremità, poi
dietro la sua testa e fissandolo infine all'altra estemità. Sabrina mugolò.
Era una cosa che non le avevo mai fatto, e la sorprese.
Le avevo messo il morso. Improvvisamente, era diventata la mia puledra.
- Ti piace, cagna?
La girai. Mi guardò e provò a dire di sì. Brava, le sussurrai. Le tolsi la
minigonna e le mutande, la accarezzai le cosce e la condussi davanti al
tavolo su cui avevo disposto i suoi giochi.
- Guardli, piccola.
C'erano tutti. Una lunga fila di palline di plastica da infilare nel sedere,
morsetti per i capezzoli, vestitini di cuoio, corde.
- Da quale vuoi cominciare
Le accarezzavo la schiena, la mano infilata sotto il golfino. Li stava
guardando tutti, uno per uno. Li aveva provati tutti più volte, ma aveva
sempre avuto un debole per
- La frusta? chiesi
Si piegò sul tavolo e con il mento indicò la frusta, che avevo lasciato da
sola in fondo al tavolo.
- Vuoi cominciare subito con la frusta?
Mi guardò annuendo. La vidi cercare di inghiottire la saliva.
- Va bene, troietta... ma per potere usare quella, bisogna che ti prepari.
Prima di tutto mettiamo questi deliziosi morsetti ai tuoi deliziosi
capezzoli, cosa ne dici..
Sentii il tintinnio metallico delle manette. Sabrina cercava istintivamente
di portare le mani al seno. I suoi capezzoli erano squisitamente sensibili.
Presi un morsetto dal tavolo, strinsi Sabrina a me e le sollevai il golfino
sopra le tette. Erano perfette, rotonde, gonfie. Un capezzolo spiccava
eccitato al centro perfetto di un cerchio bruno. Lo stuzzicai con i dentini
metallici del morsetto, lo leccai e poi guardai in viso Sabrina. Sabrina
invece guardava il morsetto; lo vide premere contro il suo seno e poi lo
sentì chiudersi lento, come una tenaglia, intorno alla base del capezzolo.
Emise un gemito e si appoggiò contro di me. Le sollevai la testa tenendola
per i capelli. Anche se Sabrina non lo aveva mai capito, quei morsetti la
eccitavano terribilmente.
- Adesso mettiamo l'altro, ok?
Mi guardò prendere il secondo morsetto e fare esattamente la stessa cosa con
l'altro capezzolo, solo più lentamente. Lasciai cadere un po' di saliva sul
seno, e poi nel solco tra i due seni, rimanendo a osservare le curve morbide
che disegnavano sul suo corpo.
- Brava, bambina. Adesso voglio che ti inginocchi.
Sabrina ubbidì, inginocchiandosi in terra davanti a me. Cominciai a
spogliarmi di fronte a lei, con il suo viso a non più di quindici centimetri
dal mio cazzo, fino a rimanere in boxer e maglietta. Poi abbassai anche i
boxer.
- Adesso devo farti bella, vieni qui.
E così dicendo, la presi per i capelli e strofinai il suo viso contro il mio
cazzo per un po'. Poi cominciai a spazzolarle i lunghi capelli neri per
farle una coda. La punta del mio cazzo rimase contro la sua fronte per tutto
il tempo che ci misi. Alla fine, avevo raccolto quei meravigliosi capelli
corvini in una coda lunga almeno trentacinque centimetri che partiva dalla
nuca e finiva nella mia mano. La fermai con un laccetto di cuoio e diedi
alcuni strattoni verso l'alto per vedere se era venuta bene. Sabrina
sollevava la testa di scatto ogni volta che strattonavo. Sì, era venuta
decisamente bene. Cominciai a sollevarla da terra tirandola per la coda,
fino a quando non fu di nuovo in piedi davanti a me. Un rigagnolo di saliva
cominciava a gocciolarle all'angolo della bocca.
- Adesso credo proprio che serva questo. Tu cosa ne dici, cagna?
Presi un collare di cuoio con un vistoso anello di metallo sul davanti e
glielo allacciai intorno al collo. Poi passai una lunga catenella argentata
nell'anello e tenendone le estremità in una mano cominciai ad allontanarmi
dal camino, costringendola a seguirmi. Era terribilmente eccitante rimanere
a guardare Sabrina mentre si avvicinava; oppure allontanarmi ancora di più e
vederla costretta ad allungare il passo, tirata al guinzaglio come una
cagna, con quel curioso morso in bocca, praticamente nuda, ammanettata con
le mani dietro la schiena. Le feci fare un giro completo intorno alla
tavola, strattonandola quando volevo, avvicinandola a me per raccogliere col
dito un po' della saliva che cominciava a colarle copiosa sul mento.
Ritornati davanti al camino, andai a fissare le estremità della catenella ai
primi gradini di una scala a chiocciola che portava al piano speriore, a cui
si accedeva peraltro anche da un ingresso più comodo sul retro della casa.
Strinsi la catenella in modo che Sabrina guardasse il gradino, a un metro
dalla scala. Poi impugnai la frusta e cominciai a picchiarla sul tavolo,
guardandole il culo.
- Apri le gambe, cagna.
Sabrina distanziò i piedi sul pavimento.
- Quante frustate vuoi, eh? Ti piacciono le frustate, vero puttanella?
Provò girare la testa, mugugnò di piacere o forse voleva dire qualcosa.
- Allora facciamo così. Ti do una frustata per ogni anno che hai. Va bene?
Mi avvicinai a lei, le accarezzavo la schiena.
- Hai forse un anno, puttanella?
E le diedi una piccola frustata sul sedere.
- No, vero? Vero, piccola puttanella?
Sabrina scosse la testa per dire di no.
- Quindi devo continuare, non è così?
Sabrina annui debolmente.
- Vuoi che continui, vero puttanella?
Anche questa volta annuì.
- Hai due anni, cagna? Posso smettere, allora. No? Allora forse ne hai tre,
giusto? Neanche tre? Non sono ancora abbastanza? Proviamo con il numero
quattro..
A ogni frustata che le davo, Sabrina doveva scuotere la testa per dire che
no, non erano ancora abbastanza, e sì, che continuassi a frustare. Arrivai
lentamente a 8, stringendole un seno in mano e strizzandolo contro il
morsetto. Non erano colpi forti, ma di sottomissione. A ogni colpo di frusta
Sabrina diventava più indifesa, più disponibile a obbedire. Le diedi altri
dieci colpi, alternando al sedere l'incavo delle sue lunghe gambe
affusolate. Poi la presi per la coda dei capelli, mi allontanai dietro di
lei e cominciai a frustarla più forte.
- 19? Allarga di più e gambe, cagnetta. E porta quel culo più indietro,
dissi frustando di nuovo, così posso colpirlo meglio. Su, da brava. Nemmeno
venti?
Sentivo la sua testa muoversi all'altra estremità della mano. Stava dicendo
di no.
- No? Allora posso continuare... 21... 22...
Le diedi due frustate sulle spalle. Queste le fecero male parecchio, perché
tentò di avvicinarsi alla scala e di allontanarsi dalla frusta. La riportai
verso di me tirandola per la coda. Anche quando la catenella che la teneva
legata alla scala si tese al massimo, continuai a tirarla verso di me.
Sabrina cominciò a mugolare, cercando di non soffocare nel suo collarino da
schiava. Lasciai andare la coda.
- 23?... forse 24.. no? nemmeno 25?
Adesso la frustavo forte, le gambe, il sedere e le spalle, in modo che non
capisse mai dove l'avrei colpito la volta seguente.
- Nemmeno 26?.. Ventisette?
Attesi, e sferrai la frustata numero 27. Sabrina cominciò ad annuire
energicamente.
- 27? Ne hai ventisette puttanella mia? Sì, ne hai proprio 27, che brava...
Mi misi accanto a lei, osserandola annuire ancora una volta. Le presi il
mento nella mano e la costrinsi a guardarmi.
- Però ne vuoi ancora uno, non è così? Vero, cagna? Vero che ti piace
talmente che ne vuoi ancora uno? Uno solo, forte, sulla pancia questa volta.
Sabrina annuì debolmente, umiliata e ansimante. Le diedi una frustata
sull'addome, secca e fortissima, che la fece piegare in avanti e contrarre
tutti i muscoli del corpo. Le afferrai la testa piegata verso il basso, e la
tenni giù così fino a quando un grosso rivolo di saliva cominciò a colarle
dalle labbra. Era densissimo, lattiginoso. Le spinsi il corpo più in avanti,
in modo che le cadesse addosso.
Per un minuto intero continuò a colarle saliva dalla bocca. Non solo dagli
angoli; ma anche dal centro, dove talvolta la punta della sua lingua
guizzava fuori passando sotto la matita.
- Spingila fuori, da brava. Non vorrai mica continuare a sbavare come una
cagnetta tutto il giorno, vero? Lasciala cadere tutta, così.. Bravissima,
brava..
La saliva formava un grosso e tremolante filo che scendeva ininterrotto
sulla sua pancia e le ricopriva l'ombelico. Era talmente denso che non
colava neppure. Cominciai lentamente a spalmargliela sulla pancia, tra le
gambe, con il palmo della mano.
Quando Sabrina finì di far colare la saliva che non era più riuscita a
deglutire da quando le avevo messo il morso, le legai una fune stretta
intorno alla vita e la condussi fuori, nella luce del mattino.
La portai con me fino al capanno degli attrezzi.
- Bisogna fare legna, puttanella. Lo sai; fa freddo quassù, di notte.
Metà del capanno era piena di legna accatastata ordinatamente. Nell'altra
metà, alcuni attrezzi poco adoperati giacevano alla rinfusa o popolavano
rozze mensole. Davanti a me c'era una cariola.
Portai Sabrina accanto alla catasta di legno, le feci passare un tronco
robusto tra i gomiti e la schiena e le dissi di mettersi in ginocchio e di
aspettare. Lei annuì ubbidendo. Trovai un asse, piatto e abbastanza lungo
per fare al caso mio. Lo appoggiai sopra i manici della carriola e cominciai
a fissarla con una corda, legando le estremità intorno ai bracci. Quando fui
sicuro di averlo legata per bene, feci una prova. Sollevai l'asse e la
carriola si azò senza alcuna difficoltà. A quel punto cominciai a riempire
la carriola di legna. Ne caricai fino a quando ce ne fu abbastanza da
consentirmi di fare un primo viaggio.
Mi appoggiai a una parete del capanno e fissai Sabrina.
- Vai a metterti dvanti alla carriola, troietta. Ti ho forse detto di
alzarti, stupida?
Riappoggiò il ginocchio in terra, Sabrina; e pian piano si avvicinò alla
carriola passandomi davanti.
- Girati, voltati verso di me.
Era bellissima e eccitante. Le andai dietro, scavalcando il braccio della
carriola, e con una lunga corda cominciai a legare l'asse piatto alla corda
che Sabrina teneva intorno alla vita. Dopo di che, tornai a mettermi di
fronte a lei. Avevo una maledetta voglia di pisciare.
- Adesso alzati.
Cautamente, lentamente, Sabrina si mise in piedi, e la carriola piena di
legna si sollevò insieme a lei.
- Bravissima, puledrina. E adesso porta la legna in casa.
Con un piccolo sforzo, Sabrina cominciava a camminare, portandosi dietro la
sua prima soma. La guardai percorrere alcuni metri. Perfetto. La cariola non
oscillava minimamente.
Camminavo davanti a lei, perché potesse vedere il mio sorriso soddisfatto, e
per vederla mentre si umiliava così di fronte a me.
- Ti piace sentirti una puledra, vero Sabri? Sabrina la puledrina, non suona
neanche male. Ti piace?
Annuì, continuando a trascinare su quella carriola piena la mia legna e la
sua umiliazione.
Quando fu giunta a metà strada mi fermai e cominciai a pisciare in mezzo al
prato, proprio nel punto in cui doveva passare di lì a poco. Sabrina
cominciò ad allungare la strada per evitare di attraversare il mio getto, ma
io mi spostai verso di lei continuando a pisciare molto forte e lontano.
Fu costretta a fermarsi.
- Cammina. Avanti, le dissi. Una puledra come te non si ferma per queste
cose. Forza. Continua a camminare.
Sabrina guardò quella fontana che zampillava davanti alle sue gambe, alta
nella luce del mattino, e trascinandosi dietro la carriola carica di legna
cominciò a passarci in mezzo.
Il mio getto le arrivava all'altezza delle cosce, ed era ancora vitale. Mi
spostai ridendo davanti a lei e mi presi in mano il cazzo, per orientare il
getto contro la sua pancia e la figa. Quando fu più vicina, presi la
catenella che ancora le penzolava dal collare e proseguii, guardandola, e
finendo di pisciarle davanti ai piedi. La portai fino all'ingresso della
casa, poi la feci inginocchiare e cominciai a scaricare la legna.
Facemmo cinque viaggi, in quel modo. Mentre portavo la legna in casa, e la
sistemavo accanto al camino, Sabrina tornava alla catasta di legna e,
paziente, aspettava il mio ritorno in ginocchio. Mi piaceva da morire.
Uscivo di casa e la scorgevo nel capanno, ansimante, obbediente, eccitata.
Buttavo la legna dietro di lei facendo in modo che rimbombasse sulla lamiera
e la conducevo attraverso il prato come una vera cavalla, con due dita
infilate nell'anello del suo collare.
Quando nel salone ci fu legna a sufficienza cominciai a caricarne altra, per
il caminetto nella stanza superiore.
Per arrivare all'ingresso secondario, Sabrina era costretta fare il giro
quasi completo della casa, percorrendo tutto il prato e risalendo per il
sentiero di ghiaia. La portai con me, incitandola, vedendola affondare i
piedi nudi nella ghiaia e trascinare dietro sé la carriola a pieno carico.
Quando finimmo di fare legna anche per la seconda stanza, Sabrina era
esausta. Ansimava, e un velo madido le copriva la fronte e le spalle.
- Bravissima, puledrina. Sei stata bravissima.
La feci camminare per un po' sul prato davanti a casa, perché il sole le
asciugasse il sudore. La portavo con me tenendola per il collare, e la
facevo girare in tondo come si fa con le puledre che si vogliano rendere
docili per la monta, facendo in modo che lei e la carriola vuota che ancora
portava con sé descrivessero degli ampi cerchi nell'erba bassa. Sabrina
assecondava i miei gesti e si lasciava guidare. Un grosso filo di saliva le
gocciolava dal mento e finiva su un seno.
Mi venne un'idea. Le dissi di fermarsi e la feci inginocchiare. Tornai
dentro casa, e dopo aver raccolto alcuni cuscini da un divanetto uscii, li
sistemai sul fondo della carriola e tornai a prendere la catenella, che
passai tra la matita e l'elastico, da una parte e dall'altra. Gettai le
estremità della catenella nella carriola. Poi ci saltai dentro, mi sistemai
più comodo che potevo, allungai le gambe sull'asse e presi in mano quelle
briglie nuove fiammanti. Strattonai piano, e la testa di Sabrina si piegò
docilmente all'indietro.
- Forza, puledrina. Andiamo a fare un giro.
Strattonai ancora. Sabrina si alzò in piedi.
- Avanti
Sabrina cominciò a camminare, portandomi con sé. Dopo dieci minuti aveva già
imparato a rispondere alle briglie. Quando le tiravo dalla parte di destra
si incamminava verso destra; se strattonavo a sinistra, prendeva a sinistra.
Quando le tiravo insieme doveva fermarsi.
Il primo pensiero fu quello di farmi portare su per sul vialetto di ghiaia,
ma poi pensai che forse ero troppo pesante. Così tirai le redini con forza,
la feci fermare proprio d fronte all'imboccatura del vialetto, e continuai a
strattonare leggermente la briglia di sinistra fino a quando non ebbe fatto
un meraviglioso dietro front.
- Cammina
Ci allontanammo per il prato, verso i campi e e vigne, i filari di alberi da
frutto e gli ulivi. Sabrina proseguiva ansimando, con la bocca aperta,
ubbidiente e totalmente sottomessa. Era stupendo guardare le sue spalle
armoniose, quella coda di capelli che oscillva, le sue mani ancora
imprigionate dalle manette, quel tronco robusto che le passava dietro ai
gomiti e la costringeva a tenere la schiena sempre dritta, e sapere che
stava facendo tutto questo per me. Perché Sabrina mi amava, me lo ripeteva
ogni giorno. E non si stancava di mai di darmene dimostrazioni con la
devozione più assoluta e fiduciosa, come stava facendo quel giorno.
Spesso tiravo le briglie e la facevo riposare. Rimanevo disteso, le mani che
sfioravano il terreno, a guardare l'azzurro del cielo sopra di me, a sentire
il ronzio degli insetti e il respiro ansioso di Sabrina che riprendeva
fiato. Di tanto in tanto prendevo a masturbarmi. Avevo l'uccello molto duro,
e sapevo che tra poco avrei sentito il bisogno di possederla.
Percorremmo per alcune decine di metri anche il sentiero che scendeva fino
alla statale, e da cui eravamo passati quella mattina arrivando in auto.
Sabrina fu molto recalcitrante a imboccarlo. In effetti, se fossimo arrivati
a ricongiungerci con la strada principale, la nostra apparizione avrebbe
certamente stupito ogni eventuale automobilista di passaggio. Ma non era
certo quello che avevo intenzione di fare. Le appoggiai il piede tra le
scapole e la spinsi in avanti, per convincerla a proseguire. Finalmente,
dopo molti mugolii e qualche strattonata alla briglia, Sabrina si decise a
imboccare il sentiero e proseguimmo, accompagnati dagli alberi che si
alzavano sempre più fitti intorno a noi.
Dopo un centinaio di metri, feci accostare Sabrina a una fontanella. Scesi,
le bagnai la fronte, le asciugai il sudore dal viso e mi rinfrescai anch'io.
Poi tenni il cazzo sotto quel getto di acqua gelida fino a quando non
riuscii più a sopportarlo. Lo asciugai premendolo contro i suoi seni, cosa
che la fece sussultare e rabbrividire per l'eccitazione e il freddo. Poi
rimontai sulla carriola, la feci girare nel modo che aveva imparato e
tornammo indietro.
Arrivati sul prato davanti alla casa, scesi. Riportai i cuscini dove li
avevo trovati, tolsi a Sabrina le briglie, la feci chinare un'ultima volta e
cominciai a slaccare le corde che tenevano la carriola imprigionata ai suoi
fianchi. Avevo l'uccello duro e grosso come il tronco che le bloccava le
braccia. Mi sarebbe tanto piaciuto lasciare che me lo leccasse, che lo
ciucciasse come le piaceva tanto fare. Ma avrei dovuto toglierle la matita
dalla bocca, e non volevo. Non sarebbe più stata la mia puledra, senza il
morso.
La feci rialzare, fissai nuovamente la catenella al suo collare e la portai
verso la staccionata che delimitava la fine del prato dall'inizio dei campi.
Girai due volte la catenella intorno alla staccionata, impugnai la coda dei
suoi capelli neri e la feci voltare.
- Guarda cosa hai fatto, puledrina. Guardalo bene. Lo vedi come è diventato
duro? Lo vedi?
Abbassò lo sguardo tra le mie gambe, ma strattonai dolcemente la coda e
subito tornò a guardarmi il viso. Con la mano tagliai un lungo filo di
saliva che le colava sul petto.
- E adesso puledra, cosa pensi di fare? Pensi di lasciarmi così o pensi di
aiutarmi a venire?
Per tutta risposta, Sabrina si sforzò tanto vistosamente quanto inutilmente
di deglutire.
- Sì, da brava.. come prima. Avanti
Le feci chinare la testa in avanti e dopo alcuni istanti, senza che potesse
fare niente per impedirlo, dalla bocca cominciò a scenderle un rigagnolo di
saliva che si allungava lento verso terra, centimetro dopo centimetro. Tenni
il cazzo sotto quel rigagnolo e aspettai. Non appena toccò la punta della
cappella, il fiotto sembrò essersi fermato; ma un attimo dopo dell'altra
saliva scendeva lungo il filo per ricongiungersi a quella già intorno alla
mia cappella. Mi presi l'uccello in mano e cominciai a muoverlo piano
intorno a quel rigagnolo che continuava a gocciolare e a ingrossarsi senza
sosta. Sabrina muoveva la testa cercando di farne cadere un po' anche sulle
mie palle. In pochi minuti, il mio cazzo era completamente ricoperto da
quella saliva cremosa che Sabrina aveva raccolto nella bocca per ore, e che
ora univa il mio cazzo e la sua bocca con lunghissimi e deliziosi fili.
Sabrina si strinse contro di me, e cominciò a premere il ventre piatto
contro mio cazzo duro e scivoloso. Cercò di abbassarsi per sentirlo anceh
contro il seno, ma ormai ne avevo abbastanza. Mi staccai, e si udì
chiaramente un rumore appiccicaticcio.
- Girati, forza. Girati
La presi per i fianchi e la tirai a me. La catenella si tese, costringendola
a piegarsi in avanti per poter indietreggiare. Così chinata mostrava ai miei
occhi il suo magnifico culo. Mi chinai per leccarle il buco, massaggiandomi
i coglioni e l'uccello scivolosi e gonfi. Le infilai un dito dentro e
continuai a leccare.
A Sabrina piaceva da matti, sentirlo nel culo. Le palline che erano rimaste
sul tavolo erano uno dei suoi divertimeti preferiti; ma adesso non mi
sembrava decisamente il caso di ricordargliele. Spinsi con decisione la
punta della cappella contro il suo buchetto, la strofinai piano perché si
aprisse ancora di più e cominciai a spingere per farlo entrare.
Sabrina si lasciava prendere, cercando di rimanere più aperta e rilassata
possibile. Ma io ce l'avevo davvero grosso, e lei non era abbastanza
bagnata. Riuscii a spingerle dentro a fatica quasi metà della cappella, poi
la presi per i fianchi e diedi quattro o cinque spinte vigorose. La sentii
gemere forte. Spinsi forte altre due o tre volte. Sentii il suo ano
stringermi fortissimo, un centimetro dopo la base della cappella. Ero
entrato.
Sabrina cominciò a bagnarsi, e poco a poco capii che il suo culetto bagnato
si stava rilassando. Presi la coda dei suoi capelli neri e cominciai a
tirarla verso di me, spingendo per poter entrare. Ma Sabrina cominciò a
spingersi da sola contro di me. Cominciò a premere il culetto aperto contro
il mio cazzo per farlo entrare, senza che la forzassi, mugolando, e
lasciandomi libero di sentire che il mio cazzo le sprofondava nel culetto
dolcemente, millimetro dopo millimetro. Quando fu riuscita a farmi entrare
dentro per una buona metà la spinsi contro la staccionata, la tenni ferma e
buona, e diedi gli ultimi dieci colpi che mi permisero di entrare fino in
fondo.
Ero dentro affondato fino alle palle. La prima cosa che feci fu uscire,
dolcemente, in modo che le rimanesse dentro poco più che la cappella.
Sabrina mugolò e strinse, dimenò i fianchi e si portò dietro in quei
movimenti anche la punta del mio cazzo. Quando la sentii di nuovo pronta e
rilassata spinsi con decisione, senza fermarmi fino a quando non fui di
nuovo dentro fino in fondo.
Sentire il suo buco del culo stringersi forte intorno alla base del mio
uccello mi provocò un piacere quasi insopportabile. Cominciai a possederla
lentamente, entrando e uscendo per pochi centimetri alla volta, muovendomi
piano dentro di lei e spingendo il cazzo in alto e di lato, dove era meno
abituata a sentirlo e perciò più sensibile. Ma Sabrina si era bagnata di
brutto, ormai. Il suo culetto luccicava di umori nel sole alto del primo
pomeriggio.
Cominciai a penetrarla interamente, senza troppe delicatezze. Sabrina era
talmente calda che riuscivo a muovermi sia che lei stringesse, sia che
tenesse il culetto rilassato e disponibile. Più di una volta tolsi
l'uccello, lo usai per picchiattarle le chiappe e lo rispinsi dentro. Per
tutta risposta ricevevo dei lunghissimi e disperati mugolii di piacere. Mi
faceva letteralmente impazzire.
Mi aggrappai alla staccionata e cominciai a possederla senza sosta. A ogni
colpo, un rumore dolce e appiccicoso: le mie palle che andavano a sbattere
contro la sua figa.
Stavo finalmente perdendo il controllo. Sabrina mugolava tra le mie braccia,
gemeva, godeva come una cagna e poi ricominciava a gemere, a sbavare, a
lasciarsi rapire dall'ennesimo, ultimo, bruciante orgasmo.
Uscii dal suo culo.
Sentivo la morsa di una tenaglia stringersi intorno ai miei coglioni e
cominciai a masturbarmi follemente, mentre Sabrina si girava per venire a
inginocchiarsi davanti al mio uccello in fiamme. Cominciai a segarmi più
piano. Stavo per esplodere. Le misi una mano sulla fronte e le tenni la
testa ferma, inclinata all'indietro. Ancora più piano. Di colpo sentii un
crampo fortissimo partire dall'ano e salirmi su per la schiena. Venni.
Un fiotto bianchissimo, caldo, disegnò un arco perfetto e concluse la sua
traiettoria finendole in bocca. Continuò a sgorgare senza soste per quattro
cinque secondi, riempiendo la sua bocca di crema bianca e spegnendosi infine
sulle sue tette. Il secondo fiotto fu più debole, il terzo meno, ma il
quarto fu quasi più intenso del primo e la costrinse a chiudere gli occhi,
le inondò il viso e le riempì competamente la bocca, tenuta aperta dal
morso. Continuai a far cadere grossi schizzi di sperma sul volto di Sabrina
fino a quando non fui esausto. Strizzai il mio uccello per bene, più volte,
lasciai che l'ultima goccia le cadesse sui seni già inzuppati di seme e mi
chinai su di lei.
- Adesso ti tolgo la matita. Vuoi mandare giù tutto, vero piccola?
Annuì. Aveva la lingua bianca, e grossi rigagnoli di seme sulla fronte e le
guance, altri erano finiti per sfilacciarsi chissà come sulla sua pancia o
sulle cosce. Così le slacciai l'elastico, e Sabrina, dopo aver chiuso con
molta precauzione la bocca, deglutì.

- Amore, disse all'improvviso, guardandomi negli occhi con uno sguardo che
sul momento non avrei saputo decifrare
- Si? Qualcosa non va?
Lei sorrise, dolcissima.
- Credi che abbiamo fatto abbastanza legna?

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By   Lupo Mannaro