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Liceo Scientifico e Classico "G. Asproni" - Iglesias

 

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Malaria

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La Lotta Antianofelica in Sardegna


1946 - 1950

L'Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna
(ERLAAS ) fu istituito il 12 aprile 1946, come ente speciale dell'Alto Commissariato Italiano per l'Igiene e la Sanità, per la realizzazione della lotta antianofelica in Sardegna.

Il progetto era finanziato da:

UNRRA ( United Nations Relief and Rehabilitation Administration)

ECA ( Economic Cooperation Administration )

Rockfeller Foundation

La Fondazione Rockfeller contribuì al progetto, che ebbe inizio il 13 maggio 1946, anche con la direzione tecnica dello stesso, attraverso la propria International Health Division; l'attività continuò fino alla fine del 1950.

Nel 1943 i Tedeschi, prima di abbandonare la Sardegna, ne allagarono deliberatamente alcune zone determinando in questo modo una grave recrudescenza dell'epidemia malarica. La allarmante progressione della malattia era resa ulteriormente precaria dall'assenza di trasporti pubblici accettabili e dunque dalla estrema penuria di rifornimenti di vario genere. Inoltre i tentativi di bonifica di alcuni territori erano stati interrotti durante il conflitto.

Con l'arrivo delle truppe alleate cominciò l'uso del DDT, nuovissimo prodotto utilizzato in vicinanza degli accampamenti militari, per il controllo della malaria e come profilattico di routine contro gli insetti in genere. Notevoli successi erano stati ottenuti con il suo uso in altre parti d'Italia ( Napoli, foce del Tevere ). Nel tentativo di controllare la malaria a livello nazionale, venne proposto un programma sperimentale, con la collaborazione dell'Istituto Superiore di Sanità e nel quale fu coinvolta anche la fondazione Rockfeller, di eradicazione delle anofeline, e per questa sperimentazione venne scelta la Sardegna.

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Prelievo di sangue agli alunni di una scuola in provincia di Cagliari (Villaputzu)

L'isola era da sempre la regione più malarica d'Italia e proprio per questo era una delle zone più note del Mediterraneo, ma nonostante ciò non si avevano fino ad allora informazioni sufficienti sul vettore della malattia.

In Sardegna, nel 1946 vennero condotte varie indagini che dimostrarono la presenza di diverse specie di Anopheles, e in particolare della specie Anopheles Labranchiae presente non solo in habitat soleggiati ma anche in zone paludose.

Vista la gravità del problema, venne organizzato un programma antilarvale e antialate con lo scopo di eliminare le larve della zanzara anofele, responsabile della diffusione della Malaria in Sardegna. Nella prima campagna antianofelica (aprile-ottobre 1947) che fu di tipo sperimentale, si suddivise una superficie di 5400 chilometri quadrati nella parte sud-occidentale della Sardegna, in 10 sezioni, raggruppate in due divisioni.

Ogni sezione venne suddivisa in media in nove distretti e ciascun distretto in sei settori; i distretti furono, a loro volta, divisi in sotto settori che rappresentavano la superficie da trattare in una giornata. Il sottosettore più lontano veniva trattato il lunedì, quello più vicino il sabato.

Ai distretti venne assegnato un numero e un nome, secondo il metodo attuato già in Brasile. I 94 distretti istituiti avevano una superficie di 57chilometri quadrati e i 579 settori di 8 chilometri quadrati. Ma in realtà i distretti e i settori risultarono troppo vasti; i confini non erano ben demarcati, i disinfestatori dovevano affidarsi alla memoria, così capitava che alcune zone non venivano trattate mentre altre venivano trattate più volte.

Nella seconda campagna antilarvale, durata dal febbraio all'ottobre del 1948 si intervenne contro tutte le specie di zanzara anofele presenti in Sardegna; per facilitare le imprese di disinfestazione, i confini dei diversi distretti furono definiti in modo più chiaro, si cercò di invogliare gli osservatori attraverso una "caccia ai focolai", essi intensificarono i loro sforzi raccogliendo informazioni, facendo il censimento delle zone trattate e chiedendo la colaborazione degli abitanti per la segnalazione di eventuali zone non trattate.

Nella terza campagna, che durò dal febbraio all'ottobre del 1949, vennero risetacciate le zone dove erano sopravvissute le anofeline (fino al marzo del 1949), poi si intensificarono gli sforzi contro la sola specie della Anopheles labranchiae.

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Trattamento larvicida

Durante questa campagna si comprese che la dimensione media dei settori era ancora troppo ampia, si procedette, quindi, ad un'ulteriore suddivisione del territorio e ad una segnalazione più precisa dei luoghi che venivano trattati attraverso l'utilizzo di vernici che venivano applicate sulle rocce per segnalare il passaggio dei disinfestatori; ma alcuni di loro erano analfabeti e non sapevano riconoscere le scritte di indicazione, per risolvere il problema furono utilizzati alcuni simboli particolari.

Il lavoro effettuato in queste campagne (specialmente nell'ultima) fu soddisfacente, ma per prevenire l'eventuale pericolo che il vettore malarico fosse ancora la causa di morte, venne effettuata un'altra campagna antianofelica (la quarta) nel 1950 che doveva servire come controllo. I focolai furono ricontrollati e, dove la vernice si era cancellata venne rinnovata e sostituiti i simboli mancanti o illeggibili. Nello stesso anno, grazie alla raccolta di informazioni durante tutte queste campagne, furono creati dei documenti scritti e visivi.

Di questo progetto si occupò l'ERLAAS (Ente Regionale per la Lotta AntiAnofelica in Sardegna) che si occupò anche dell'addestramento del personale non specializzato; servivano infatti persone che avessero un minimo di conoscenze per la distinzione delle larve o degli adulti di zanzara anofele, dagli altri insetti. Questo servizio si occupò inizialmente dello "sterminio" della zanzara anofele adulta della specie Anopheles Labranchiae e, in tempi successivi, cominciò ad intervenire sulle larve che si sviluppavano nelle paludi. Proprio per avere la sicurezza di uccidere tutte le larve della zanzara anofele, non si intervenne solo sulle paludi più estese, ma anche sulle più piccole pozze d'acqua. Inoltre anche tutti i terreni, le case, le stalle furono sottoposti ad un trattamento molto minuzioso, perché, in caso contrario, quei luoghi potevano divenire pericolosi focolai.

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Addestramento dei segnalatori

Purtroppo, a causa delle attrezzature non all'avanguardia, coloro che parteciparono alle campagne contro la zanzara anofele dovettero faticare molto e per molto tempo per riuscire ad estinguerla in Sardegna, anche perché le larve venivano depositate in luoghi assai impervi da raggiungere.

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Asinello usato per il trasporto di larvicida.

La vegetazione ostacolava le operazioni antilarvali, e proprio per questo si decise di utilizzare strumenti come l'ascia, le roncole, le pale, i picconi, le zappe, i palanchini, le falci, i rastrelli, che erano comunque degli attrezzi da usare manualmente.

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Trattamento larvicida a mano

Tra il 1948 e il 1950 vennero comprati 2 trattori cingolati , utili per accelerare l'estirpazione della vegetazione, due falciatrici e alcune escavatrici, che in Sardegna si rivelarono utili in poche zone.

La dinamite si rivelò il sistema più costoso anche se più rapido e, proprio per questo, veniva utilizzato solo in zone particolarmente difficili e lunghe da trattare. Furono usati 2 tipi di dinamite:

1) dinamite da miniera, che veniva utilizzata per frantumare i banchi di roccia che ostruivano i fossati;

2) dinamite per scavi profondi e lavori di canalizzazione più importanti.

Si fece anche ricorso al diserbante, anche se nel caso della vegetazione acquatica non si riuscì ad ottenere i risultati sperati.

Una volta bruciata o estirpata la vegetazione che impediva le operazioni antilarvali si procedette in tanti modi e con molti mezzi:

Larvicida leggero di petrolio o nafta con l'aggiunta di un emulsionante. Per ogni gallone di nafta vi erano 0,05 libbre di DDT e 0,5% di Triton B-1956. In genere per l'irrorazione a mano si preferì il larvicida con DDT al 2,5%, mentre negli aerei si arrivò ad utilizzare anche il DDT al 20%.

Verde di Parigi. Fu utilizzato nelle aree in cui il larvicida al petrolio veniva contestato. Nel 1950, l'applicazione del verde di Parigi si diffuse maggiormente nel trattamento dei pozzi, poiché si ebbero lamentele per la presenza di petrolio nell'acqua potabile. Vennero così distribuite piccole buste contenenti 0.02 grammi di verde di Parigi mescolato con talco, sufficiente per trattare 1 metro quadrato di superficie idrica. Il numero delle bustine dipendeva dalle dimensioni del pozzo.

Pompe irroratrici. Vennero utilizzate pompe a mano o a spalla ed in seguito a motore, molto spesso prodotte dalla stessa ERLAAS.

Erogatori di insetticida. Per trattare pozzi o pozzanghere, venivano utilizzati degli erogatori di larvicida di 2 tipi:

1) Palle di alghe rivestite di cemento che veniva fatto solidificare, ed impregnate di larvicida tramite 2 fori praticati alle loro estremità.

2) Vasi di terracotta riempiti di larvicida e tappati con materiali fibrosi.

Entrambi i tipi di erogatori funzionavano allo stesso modo:
l'acqua che entrava dai fori permeabili, essendo più pesante del larvicida contenuto, lo faceva fuoriuscire e si spandeva sulla superficie della pozza d'acqua.

Barche e zattere. Furono necessarie per lo spostamento fino agli isolotti che non potevano essere raggiunti via terra; infatti non si ispezionarono solo i territori sardi, ma anche gli isolotti vicini alla Sardegna che potevano essere dei pericolosi focolai.

Aerei. Furono utilizzati per raggiungere i canneti più inaccessibili. I gas, che venivano "spruzzati" dalla parte posteriore degli aeroplani, erano miscele di DDT, nafta e soluzioni acquose ( il larvicida al 20% di DDT, venne poi sostituito con uno al 10% e una maggiore quantità di nafta). L'utilizzo di questi mezzi, però, non diede i risultati previsti infatti, nelle zone più coperte, dopo questo trattamento le larve molto spesso riuscivano a sopravvivere.

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A conclusione delle operazioni dell'ERLAAS l'Alto Commissario Italiano per l'Igiene e la Sanità decise di abbandonare ogni ulteriore tentativo di eradicazione del Labranchiae in Sardegna e di includere l'Isola nel programma nazionale di trattamento antialate.

                                     RISULTATI

Dopo un impegno assai notevole, durato circa 5 anni e costato svariati milioni di dollari, il vettore indigeno della malaria persiste ancora, seppure in numero esiguo, in alcune isolate zone della Sardegna; questo significa che il progetto dell'ERLAAS non ha avuto successo.  Tuttavia è necessario ricordare che questo era  soprattutto sperimentale e dunque con risultati non prevedibili, ma certamente la Malaria come malattia sociale è stata eliminata  dall'isola e, per la prima volta a memoria d'uomo, è diventato possibile vivere e lavorare ovunque.

Per la popolazione sarda questo risultato rappresenta indubbiamente uno degli eventi più significativi della sua storia, la vasta azione di bonifica  ha reso disponibili grandi aree di terreni coltivabili e, inoltre, è stata messa in luce l'entità delle risorse agricole, minerarie e naturali inutilizzate e potenzialmente preziose.

 


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