PALAZZO VENIERI

La storia del palazzo

Le vicende costruttive del palazzo che il Venieri fece edificare a Recanati sono ricostruibili con una buona dose di certezza grazie agli studi archivistici del Vogel e del Benedettucci che hanno contribuito a dissipare molti dubbi circa la storia primitiva dell'edificio.

La data di inizio dei lavori può fissarsi intorno ai primi mesi del 1473, in un tempo assai prossimo alla nomina cardinalizia del Venieri; è chiaro però che l'imponente costruzione, da erigersi nel luogo più centrale ed elevato della città, rendeva necessario acquisire prima i modesti fabbricati che si trovavano sull'area prescelta dal Venieri e quindi consolidare la scarpata verso mare.

Queste opere preliminari erano probabilmente già state avviate negli ultimi mesi del 1472.

Facciata posterioreLe spese per la costruzione dell'imponente edificio furono in parte sostenute dalla comunità di Recanati che nel 1473 erogava 700 ducati ed altri 800 nel 1475; in cambio di questi cospicui sussidi il Venieri si impegnava ad ospitare nel nuovo palazzo i cardinali legati ed altri illustri personaggi di passaggio a Recanati.

Grazie agli studi compiuti dal Vogel nel 1815, resi noti dal Giannuzzi e ripresi dal Benedettucci nel 1884, è emerso che l'incarico di progettare l'edificio era stato affidato all' architetto toscano Giuliano da Majano; tre lettere indirizzate dal Venieri a Lorenzo il Magnifico per sollecitare il ritorno dell'architetto a Recanati, nonché altri contratti nei quali si fa il nome del da Majano, confermano pienamente il riferimento all'architetto toscano che si avvalse di maestranze fiorentine per l'esecuzione del progetto.

L'aspetto che il palazzo doveva avere secondo il disegno quattrocentesco è oggi di difficile ricostruzione perché le vicende intercorse ne hanno notevolmente alterato la forma; doveva trattarsi di un imponente edificio quadrilatero di 4 piani sopra il suolo, articolato intorno ad un cortile centrale a cinque interculumni per lato, secondo uno schema tipicamente toscano riscontrabile anche in altri palazzi ideati dal Majano palazzi Pazzi e Quaratesi a Firenze, palazzo Spannocchi a Siena).

 
CortileSulla facciata, al piano terreno, dovevano aprirsi delle ampie botteghe che il comune si era riservato in tempi di fiera ed è presumibile che le finestre dei piani superiori fossero a forma di bifora con colonnina al centro.

 Veduta del cortile

Il progetto che abbiamo così provato a ricostruire non poté essere portato a termine per la morte del cardinale e gli stemmi Venieri furono scalpellati per far posto a quelli del cardinale Farnese, committente dell'opera.

Con la morte improvvisa del Venieri cominciava un lungo periodo di abbandono del palazzo; avocato dalla camera apostolica, passava nel 1480 in proprietà a Giovanni Venieri, nipote del costruttore e vescovo di Ragusa, che lo acquistava per 1200 scudi.

Nel 1490, morto il vescovo, ne diveniva proprietario Giacomo Venieri ed alla scomparsa di questi nel 1519 passava alla confraternita di San Giacomo che, pur attuando qualche intervento d'ordinaria manutenzione, lo sfruttò soprattutto come immobile da pigione.

Dopo quasi due secoli di degrado il palazzo veniva acquistato nel 1729 dal conte Roberto Carradori che, sotto la direzione dell'architetto Pietro Augustoni , gli diede l'odierno aspetto.

L'intervento settecentesco

Passato nel 1729 in proprietà della famiglia Carradori, l'antico Palazzo dei Venieri subiva un radicale intervento di trasformazione per essere adibito alle funzioni di rappresentanza richieste dal rango dei nuovi proprietari.

L'incarico di sovrintendere i lavori era stato affidato all'architetto comasco Pietro Augustoni (1741 - 1815), lungamente attivo a partire dal settimo decennio nelle Marche, soprattutto a Fermo dove ebbe stabile residenza. E' probabile che l'intervento abbia avuto luogo intorno al 1770, quando l'Augustoni aveva ricevuto numerosi incarichi nel maceratese, a Caldarola (chiesa di Santa Maria del Monte), a Mogliano, a Treia.

Veduta del cortileChiuse le botteghe del piano terreno, venne dimezzato il primo piano ricavandone due magazzini per i servizi; tutte le finestre della facciata e del cortile vennero ridotte a forma rettangolare ed ornate con cornici lapidee; a destra ed a sinistra del cortile si approntarono due basse costruzioni adibite a stalla ed a rimessa per le carrozze;

Timpano con orologio sul lato nord-est del cortile, dove probabilmente il colonnato majanesco non era mai stato innalzato, fu realizzato un prospetto classicheggiante con un'apertura al centro, sormontata da un timpano con orologio, dalla quale si gode una stupenda veduta verso Loreto ed il Conero.


Scalone
Internamente, oltre a prevedere una nuova distribuzione degli ambienti, l'Augustoni disegnò l'imponente scalone di linee sobrie ma sontuose.

Per sostenere la costruzione così modificata si rese anche necessario consolidare le colonne del lato sud-ovest del cortile, che vennero affiancate da pilastri in laterizio. Da questo sintetico esame emerge dunque che si trattò di un intervento molto esteso nel quale Augustoni seppe coniugare le necessità dei nuovi proprietari con la volontà di salvaguardare la struttura quattrocentesca di maggior rilevanza estetica, il cortile.

 

Capitello I capitelli danneggiati vennero così rifatti secondo il disegno del da Majano, sostituendo lo stemma Carradori a quello Venieri; le colonne che fu necessario consolidare con pilastri vennero lasciate visibili;

Ingresso sulla facciata principalesulla facciata del palazzo vennero mantenuti i due stemmi angolari tipicamente quattrocenteschi ed anche per il nuovo scalone i capitelli delle colonne e delle paraste riprendono la forma di quelli del cortile, ricreando così una certa continuità fra il passato ed il presente. Com'era consuetudine dell'Agustoni, testimoniataci anche dai palazzi che a Fermo edificava per le famiglie Pelagallo, Erioni e Nannerini, l'architetto sfruttò soprattutto il laterizio, limitando l'uso della pietra alle cornici delle finestre, sormontate da timpani triangolari e curvilinei alternati, mirando ad ottenere un effetto complessivo di sobria compostezza, memore di certe soluzioni vanvitelliane.

Il Palazzo durante la proprietà dei Carradori

Durante i 153 anni che il Palazzo rimase in proprietà alla famiglia Carradori subì continui miglioramenti interni tanto da essere ritenuto degno di ospitare nel 1814 Pio VII che tornava a Roma dopo i lunghi anni dell'esilio francese. I più importanti lavori ebbero luogo nel 1838 in occasione delle nozze del conte Antonio Carradori con la principessa Laura Simonetti, quando dal Moretti vennero eseguiti i dipinti murali dell'appartamento al piano nobile riservato agli sposi.

Era già stata da tempo ultimata la decorazione della cappella domestica dove vennero collocate le spoglie di Santa Ruffina rinvenute sin dal 1805 nelle catacombe di Roma.

A completare gli ambienti, le cui pareti dovevano essere tappezzate di stoffe preziose, erano molti, importanti mobili, una ricca quadreria oltreché una scelta biblioteca composta di rari volumi.

Facciata principale e giardiniAll'amenità del Palazzo contribuivano poi due giardini, l'uno verso il mare prospiciente le mura cittadine, l'altro assai più grande, organizzato a terrazze, sul lato anteriore della costruzione, al di là della pubblica via.

Per agevolarne l'uso, Antonio Carradori faceva congiungere questo giardino al Palazzo tramite un passaggio sotterraneo che porta al ripiano intermedio, ornato di un prospetto di gusto neo-gotico. Il giardino anteriore veniva anche arricchito da una serra e da una kaffeehaus; a completare l'effetto erano le numerose sculture disposte lungo i vialetti e sulle balaustre.

I mobili, i quadri, i libri rari e le statue del giardino vennero vendute nel 1882 alla morte del conte Antonio quando, per far fronte alle disagiate condizioni finanziarie della famiglia, anche il Palazzo cambiò proprietario; ad acquistarlo era il genero del Carradori, Pascucci Carulli che apportava ben poche modifiche, fatta eccezione per la decorazione del soffitto dello scalone dove campeggiava lo stemma della casata.

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