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PARCO DEI NEBRODI

I SEGNI DEL LAVORO

di Nuccio Lo Castro pubblicato su "Nebrodi - Il Parco tra cultura e natura"

supplemento al n° 44 di Ambiente duemila

 

Borgo contadino di Milè (Galati Mamertino)Accanto alle opere erette per uno sforzo collettivo e prodotte dall'ingegno e dalle capacità artistiche, costituenti le "emergenze" all'interno dei centri abitati, pervasi della stessa dignità sono quelle architetture che documentano i bisogni dell'uomo, il suo modo di antropizzare il paesaggio, il lavoro, le tecniche di costruzione o l'uso di manufatti. È in realtà dentro il suo contesto che si carica di significato un prodotto costruito: se un edificio sacro esprime molta parte dei sentimenti umani, ed in particolare quello religioso, le strade, i luoghi delle attività lavorative, le strutture produttive, documentano gli aspetti della vita materiale, il sostrato delle vicende economiche e sociali, il modo di strutturarsi ed organizzarsi delle società nei diversi periodi della storia. Un aspetto poi che ha carattere di rilevanza nell'attività di trasformazione e plasmazione del paesaggio è il ricorso all'uso di particolari materiali, disponibili in natura, in quanto attesta spesso tutta una stratificazione di realtà culturali: dalle tradizionali forme di estrazione e lavorazione al consolidarsi di esperienze e abilità artigiane, dall'invenzione di propri stilemi all'assimilazione di modelli formali derivanti da influssi di culture "altre".

Preparazione dei "fussuni" (Cesarò)L'economia dei Nebrodi è stata caratterizzata da un sistema "chiuso", rivolto al soddisfacimento di esigenze delle comunità e dunque perfettamente equilibrato nel rapporto tra le varie componenti, dedite alle attività agricole, silvo-pastorali, artigianali, commerciali, e, in misura ridotta, peschereccia. Accanto a questo dato sono però da rilevare la capacità in periodi specifici, di conversione o intenso sfruttamento di risorse proprie da destinare all'esportazione. Fin dall'epoca romana i caricato! costieri venivano impiegati per il trasporto marittimo di frumento e legname (il cui commercio era ancora notevole in età normanna). A partire dal XVI secolo invalsero la coltivazione della canna da zucchero e l'allevamento del baco da seta, la cui produzione toccò la punta massima intorno al 1660. Fino al 1700 era attiva a Caronia una tonnara; declinata tale attività, dalla costa si continuò a imbarcare sughero, pesce salato, cannella, tannino per la concia delle pelli. Il carbone era al tempo un prodotto assai richiesto e venduto: nel 1829, dal caricatoio di S. Agata Militello venne stivato in un giorno un carico di 20.000 salme per il trasporto verso il capo-luogo. Nelle maggiori cittadine costiere, in fase di costruzione della ferrovia (dal 1895) si rendeva necessaria la realizzazione di strutture e linee per il carico di agrumi, nocciole, laterizi e ceramiche su treni-merci.

Zona rocciosa e casa di pastori di Alcara li FusiAccanto ai segni impressi sul territorio da tali interventi, con effetti assai vistosi sul paesaggio (disboscamenti, mantenimento di superfici destinate al pascolo o alle produzioni cerealicole, impianto di colture specializzate nella costa e nei solchi vallivi), l'ambiente antropico dei Nebrodi presenta tutta una serie di opere, sistemazioni, adattamenti, frutto di una millenaria azione di addomesticazione degli spazi, che si conserva e legge ancora in gran parte nelle aree che appartengono non più alla zona di forte insediamento e aggressione dell'ambiente naturale, e non ancora in quelle in cui l'intervento e la presenza umana sono talmente rarefatti da risultare difficilmente rintracciabili.

Villagio pastorale di "Stidda" ad Alcara li FusiVario e difforme è il carattere della campagna, mosaico di "lochi" recintati da muretti e siepi spinose, dove si esplicava l'attività delle famiglie contadine, mobili se abitavano nel paese in prossimità e raggiungevano la terra a dorso delle cavalcature, stanziali se vi sorgeva la povera casa in muratura, provvista del forno, del "baddaturi" del "chianu" che costituiva il centro di ogni attività, della stalla, dell'ombra di un pergolato o di un albero di gelso. Ancora in qualche caso, tra gli edifici abbandonati presso cui sorgono esemplari di tale pianta, è possibile individuare una "casa di nutricato", con i letticci ("litteri") utilizzati per il mantenimento del baco da seta. Gli edifici legati maggiormente ad attività in cui si richiedeva l'uso di bestie da soma, si corredavano di "pagghieri" e di "pinnati"; nell'area di produzione del nocciolo si distinguevano invece gli ambienti destinati alla raccolta del prodotto ("magazzeni") e all'essicazione ("pirterra"). Nel territorio sopravvivono interi nuclei abitati contadini di notevole interesse per la loro integrità. Tra questi, Erbazzo (Alcara Li Fusi), Filipelli e Pado (Longi), Pagliara (Tortorici); un caso di straordinaria conservazione, non solo degli edifici ma di tutto il contesto, è quello di Milè, a lato del torrente omonimo nei pressi di Galati Mamertino, abbandonato lentamente dai suoi occupanti, emigrati intorno agli anni '50.

Pastori durante la produzione della ricotta (Longi)La struttura che presiede alla tenuta dei più agiati proprietari terrieri è la masseria, edificio a due livelli, provvisti di stalla, pagliere, magazzino di frumento o "sadaula" (Mistretta), talvolta di un palmento o di un trappeto, sul fronte si apre "u bagghiu", limitato da un grande albero di pino. Al piano superiore la residenza del "massariottu" con terrazzo per la essiccazione di pelli, fichi, pomodori.

Costituiscono esempi notevoli la masseria Salamone alla Suarita (Mistretta), la masseria di M. Colla (Randazzo), le case dei Filangieri, nel feudo la Montagna (m. 1058) presso S. Marco d'Alunzio, ove confluiva il prodotto del vicino noccioleto.

Apparato di un mulino vicino ad Alcara li FusiAltra era la geografia delle aree utilizzate dalla pastorizia, impervie e rocciose in molti casi, ampie e deserte per i grandi pascoli a margine delle aree boschive, raggiungibili o percorse da trazzeri, viòli, mulatteri utili agli spostamenti stagionali del bestiame: la transumanza.

Le unione architetture sono quelle dei ricoveri provvisori, isolati e dislocati nei luoghi più difficili e rischiosi, ovvero aggregati a recinti (ovili) per il riparo del gregge (mànnira, màndura, màrchitu, stazzu) realizzati con pietre a secco. I tipi e le forme di tali edificazioni sui Nebrodi variano per zone, presentando nell'area compresa tra S. Fratello, Alcara li Fusi e Galati Mamertino pagliai isolati o in gruppi, costituiti da un corpo circolare, interrotto dall'ingresso architravato, e da una copertura conica in rami e fronde di ginestra; complessi ben conservati sono quelli di Stidda (Alcara li Fusi) e Molisa (Galati Mamertino).

"Pagghiari" nei dintorni di Militello RosmarinoUna varietà è costituita dal più recente "casottu", a pianta rettangolare e con copertura a falda ricoperta da canali in cotto. L'interno è generalmente semplice ed essenziale, con focolare centrale (cufularu), letticci (jazzi) incassi murali (jazzani), portaoggetti pensili (percî). Sulle montagne comprese tra Tortorici, Montalbano Elicona e S.Domenica Vittoria il paesaggio è spesso caratterizzato dalla presenza di "cùbburì", edifici perfettamente circolari ed emergenti dal terreno, con muri in pietra dalla tessitura alquanto regolare per la forma delle scaglie litiche di cui è costituita, coperti da volte tholoidali.

Occorre spingersi verso Randazzo e Bronte per avere analoghi esempi, ottenuti con Fuso della pietra lavica, che in tempi più recenti si sono modificati modellandosi sul tipo dei "casotti" (contrada S. Elia).

Struttura più effimera e diffusa nella zona tra Caronia e Mistretta è quella del "pagghiaru di carvunara", costruito nei luoghi scelti di volta in volta per la carbonizzazione per mezzo dei "fussuna" e abitato nel periodo della produzione. Si compone di una struttura conica ottenuta con lunghe pertiche in legno, rivestite con frasche di ginestra e zolle di terra; l'ingresso è formato da rami legati agli incastri con fibre vegetali e da un precario portello in legno.

"Cuffurì" presso UcriaNumerosi manufatti trovano conformazione e motivo nelle necessità di raccogliere, convogliare, sfruttare l'energia idrica a scopi irrigui e produttivi oltre che per le esigenze alimentari di uomini e animali. I mulini in questo territorio utilizzano esclusivamente la forza dell'acqua, condotta attraverso canaletti o acquedotti e fatta precipitare nella "prisa". La ruota a pale orizzontali ruotando aziona le macine in pietra poste all'interno dell'edificio (mòli). Straordinari esempi ben conservati sono ad Alcara Li Fusi (torrente Stidda), alle case Flascio (Randazzo), a Passo dell'Olmo (S. Domenica Vittoria), nella contrada Fontana Murata di Mistretta.

Legati alle necessità idriche sono ancora le "gebbie" le fontane, gli "abbiviratura" i lavatoi, i pozzi, le senie, diffusissimi ancorché indispensabili dovunque vi siano state attività umane.

Spazio per la caseificazione (Mistretta)Reperti ormai in stato di rudere sono in molte campagne le "carcare", forni per la cottura della calce o, più frequentemente, di laterizi. A S. Stefano di Camastra, dove questa attività è antica e diffusa, costituiva un tempo un'area assai significativa la località Turrazzi, dove erano le cave oramai abbandonate dell'argilla e il quartiere degli stazzunari con le decine di fornaci, oggi alquanto degradate e inglobate nell'espansione urbana. L'attività estrattiva ha rappresentato in passato una realtà economica non secondaria, anche se limitata alle indispensabili necessità locali a fini edificatori. Il materiale litico utilizzato, diverso per composizione e zone di prelievo, ha finito col caratterizzare le architetture e le tecniche costruttive, divenendo da semplice inerte per le murature, elemento nobile largamente usato per ottenere elementi strutturali e decorativi di grande pregnanza. È il caso della pietra dorata e utilizzata nei paesi che fanno corona a Mistretta, della pietra di Castanea ampiamente impiegata nell'areale di Tortorici, della pietra lavica costituente il materiale maggiormente in uso nei centri di Randazzo e Bronte. Il marmo rosso aluntino presente sui rilievi presso S. Marco d'Alunzio, caratterizza invece i paesi più a nord della cintura del Parco.

Nei dintorni della cittadina sono interessanti le cave, ormai ferme da circa un ventennio, in cui è possibile individuare le varie tecniche di estrazione. Molto spesso le enormi pareti lisce, i blocchi abbandonati, le perforazioni, i giunti di distacco, i fori dei cunei e gli attrezzi abbandonati all'intorno, fanno di questi siti dei veri musei a cielo aperto.

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