Una notte d'estate metropolitana
Autore: Vincenzo  Pascale

 

Se solo avessi potuto incontrarla sarei stato felice.
Quella sera faceva freddo dentro di me e il desiderio di  lei s’era fatto più forte del solito; inoltre, avevo con me due oggetti che avrei desiderato regalarle: una foto scattata a Linosa nell’inverno precedente ed una copia della mia tesi di laurea sulle Architetture tardo romane della Sicilia.
Alla fotografia ero particolarmente legato; riproduceva la prua di un peschereccio mazarese che una mattina di forte grecale s’era ormeggiato a cala pozzolana di ponente, nella nera isoletta delle pelagie. La bitta arrugginita ed i colori della scogliera riflessa sul mare mi avevano ispirato; ancora, il nome del peschereccio, Socrate, mi aveva fatto pensare alla secolare saggezza dei pescatori. Regalare quella fotografia significava donare un’emozione del mio passato.
Suonai il campanello di casa e lei rispose al citofono, dicendomi che stava riposando ma il tono della sua voce era severo. Avrei desiderato salire a casa ed abbracciarla forte.
Rimisi il libro e la foto in una sacca di tela, presa a Siena, al museo di Santa Maria della Scala e rientrai a casa, a piedi, seguendo la Casilina, ormai priva di macchine,  mentre sentivo il solito sferragliare dei treni sui binari che correvano parallelamente alla strada.
Stava iniziando una nuova estate e presto avrei lasciato quel quartiere per trasferirmi a trastevere e continuare il mio servizio civile in un centro d’ascolto.
Quell’anno ho incrociato tante vite le cui storie sono rimaste per anni nella mia memoria ma spesso ripenso al suo sguardo che sfioravo alla mensa dei senza fissa dimora di Ponte Casilino, a quei grandi occhi che mi hanno ridato speranze là dove tutto sembrava degradare in una metropoli che già da anni vomitava emarginazione e solitudine.