Se
solo avessi potuto incontrarla sarei stato felice.
Quella sera faceva freddo dentro di me e il desiderio di lei s’era
fatto più forte del solito; inoltre, avevo con me due oggetti che avrei
desiderato regalarle: una foto scattata a Linosa nell’inverno precedente
ed una copia della mia tesi di laurea sulle Architetture tardo romane
della Sicilia.
Alla fotografia ero particolarmente legato; riproduceva la prua di un
peschereccio mazarese che una mattina di forte grecale s’era ormeggiato
a cala pozzolana di ponente, nella nera isoletta delle pelagie. La bitta
arrugginita ed i colori della scogliera riflessa sul mare mi avevano
ispirato; ancora, il nome del peschereccio, Socrate, mi aveva fatto
pensare alla secolare saggezza dei pescatori. Regalare quella fotografia
significava donare un’emozione del mio passato.
Suonai il campanello di casa e lei rispose al citofono, dicendomi che
stava riposando ma il tono della sua voce era severo. Avrei desiderato
salire a casa ed abbracciarla forte.
Rimisi il libro e la foto in una sacca di tela, presa a Siena, al museo di
Santa Maria della Scala e rientrai a casa, a piedi, seguendo la Casilina,
ormai priva di macchine, mentre sentivo il solito sferragliare dei
treni sui binari che correvano parallelamente alla strada.
Stava iniziando una nuova estate e presto avrei lasciato quel quartiere
per trasferirmi a trastevere e continuare il mio servizio civile in un
centro d’ascolto.
Quell’anno ho incrociato tante vite le cui storie sono rimaste per anni
nella mia memoria ma spesso ripenso al suo sguardo che sfioravo alla mensa
dei senza fissa dimora di Ponte Casilino, a quei grandi occhi che mi hanno
ridato speranze là dove tutto sembrava degradare in una metropoli che
già da anni vomitava emarginazione e solitudine. |