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Foto n.2

 Macomer: gioghi di buoi trasportano sul carro sardo sacchi di granaglie diretti all’imbarco sui vagoni-merci delle ferrovie dello Stato.

 

Il carro sardo è una delle tante realizzazioni dell’artigianato locale che nel tempo ha avuto una sua evoluzione unica rispetto alle rimanenti aree del mediterraneo. Esso è una macchina che combina idee originali di statica con alcune pretese di eleganza estetica. Una scultura astratta, ebbero modo di definirlo Antonio Gramsci e successivamente Aligi Sassu. Alla robustezza delle strutture, pensate e realizzate per poter trasportare in una sola volta alcune tonnellate di carico si univa la leggerezza dei materiali e il gioco di incastri delle varie parti di cui il carro si componeva. Solo s’iscala, un tronco di faggio spaccato in due per tutta la sua lunghezza, aperto da una parte e tenuto solidale dall’altra da un robusto anello di ferro era intrasportabile a spalla da una sola persona. Sos mesatzos, che si incastravano su s’iscala, su fusu che costituiva il mozzo sul quale si inserivano le ruote piene, ma spesso a raggi, sas cotzas che rendevano le ruote solidali con su fusu, sas zerdas le spalliere che consentivano il carico, su ballanzinu che teneva all’occorrenza la struttura orizzontale, su giuale col quale si formava un giogo di due buoi, o se necessario anche di due vacche, sa crae con la quale si solidarizzava il carro al giogo e sas sogas realizzate in pelle cruda di vacca erano le componenti essenziali ed uniche del carro sardo. Se necessario un normale contadino poteva smontarlo e trasportarlo in spalla da un salto a un altro. All’occorrenza poteva essere smontato e riparato in stalla o in grotta. Ma questa macchina diventava una casa quando durante la trebbiatura i contadini dormivano nell’aia, diventava un’autobotte durante la vendemmia o un potente trattore quando si trasportavano le tuvas per Sant’Antonio abate. Tenet giuu e carru era un segno distintivo di benessere, tra i contadini significava essere proprietari. Era un segno distintivo della personalità di ognuno accompagnare la vecchiaia appoggiandosi su un semplice bastone, di olivastro s’intende, o su unu puntorzu. Anche i giovani che non avevano bisogno del bastone portavano spesso appresso come segno di distinzione su puntorzu. Jeo hippo Juanne Arina, Luvulesu, pitzinnu minore, in tempus de laore, de voes e de vaccas punghitore, così esordisce una bella e tragica poesia di Antoninu Mura Ena.

E Melchiorre Murenu, la coscienza civile del popolo sardo, così ironizzava su un tale amico suo che si era venduto il carro e il giogo:

 

Su cont''e Giuanne est contu bellu

Iscultadelu canta zente ch’hada

Teniada unu giuu, che vassellu

It’ha fatt’isse e bendidu si l’hada

Ca nacchi si poniat in cappellu

Tottu sa vida sua istudiada!

Su cont’ ‘e Giuanne est cont’ ‘e riere:

Como no hat giuu né ischit iscrier.