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Foto n.7

Uomini e donne di Macomer nei costumi tradizionali.

Il Giudicato di Arborea, l’originale concezione statuale unica nell’occidente post bizantino, venne trasformato in Marchesato di Oristano nel 1410 e Leonardo Cubello fu il primo ad essere insignito del titolo nobiliare. Gli Aragonesi sconfissero e fecero prigioniero l’ultimo Marchese di Oristano, Leonardo Alagon, nel 1478 nella decisiva e tragica battaglia di Macomer. Solo allora essi poterono estendere il dominio su tutta l’Isola. Nel 1479 la Spagna fu unificata da Ferdinando il Cattolico e la Sardegna divenne un feudo spagnolo. Dopo più di due secoli di dominazione, alla morte di Carlo secondo scoppiò la guerra di successione spagnola che temporaneamente si concluse col trattato di Utrecht nel 1713, e secondo gli accordi da esso previsti la Sardegna venne assegnata a Carlo d’Austria che non ne prese mai possesso. Gli Spagnoli infatti con un colpo di mano rioccuparono l’isola violando di fatto il trattato. Dopo una nuova guerra conclusasi con il trattato di Londra nel 1718 la Sardegna fu assegnata a Vittorio Amedeo di Savoia in cambio della Sicilia. Da feudo del più importante regno del mondo la Sardegna divenne colonia di un piccolo granducato sperso tra le montagne e governato da principi tanto avidi quanto ignoranti, tanto spregiudicati quanto inclini a violare i patti e imbrogliare il prossimo. I sardi ne faranno ben presto tragiche esperienze. Gli Spagnoli abbandonarono definitivamente la Sardegna nel 1720.

In Sardegna si verificò un cambiamento di moda nel vestire dopo l’arrivo dei piemontesi.

Gli uomini smisero di indossare sas ragas bianche di lino e misero sos carzones neri di orbace. Rimase immutato il modo di vestire il tronco del corpo. Sopra sa camisa bianca a sa tzigana si indossava su cossu e infine su zippone. E in testa sa barrita longa, oppure avvolta e ripiegata sul capo. Si calzavano sos bottinos cuciti da ottimi artigiani che si rifornivano della suola dalle concerie bosane.

Le donne indossavano sa unnedda e sopra di essa sa farda. Sopra sa camisa indossavano su corpette e tenevano la testa avvolta in sottili veli ricamati che di volta in volta prendevano nomi diversi: su velu, sa veletta, su muccadore, s’issallittu. Anche le loro calzature erano sos bottinos realizzati dagli stessi calzolai che li cucivano per gli uomini.

Unico segno di civetteria in questo documento fotografico è il fucile che uno dei giovani ritratti ha in spalla. I pastori, che poi erano anche contadini e cacciatori, vignaioli e ortolani avevano necessità di portare appresso un’arma, per ammazzare una preda e riparare un pasto, o per allontanare una volpe che insidiava gli agnelli, per difendersi dai ladri di bestiame o per scoraggiare i malintenzionati. Non serviva assolutamente per salvarsi la vita in una società nella quale il diritto della Carta de Logu era stato sostituito dalla logica del muretto a secco e dell’imboscata, e i principi giuridici della tradizionale società sarda erano stati sostituiti o dalla lontananza e assenza dell’ordinamento giuridico spagnolo o dall’arroganza colonialista e prevaricatrice di quello piemontese. L’atteggiamento comune della gente sarda fu per secoli quello della diffidenza, e non si pretendeva giustizia dallo stato ma costituiva onore e vanto il poter affermare di non aver mai avuto a che fare con essa, neppure per una testimonianza. Su frastimu, s’irroccu più comune era del resto: sa zustizia ti curzat e su bozinu ti degollet, di facile interpretazione.